ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 131 del codice
 di procedura penale e dell'art. 1 del d.P.R. 8 agosto  1955,  n.  666
 (Norme  di  attuazione, transitorie e di coordinamento della legge 18
 giugno 1955, n. 517, contenente modificazioni al codice di  procedura
 penale),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  3 novembre 1987 dalla
 Sezione istruttoria della Corte d'appello di Messina nel procedimento
 relativo  ad  Autru  Ryolo  Luigi  ed  altri,  iscritta  al n. 63 del
 registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1988;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 ottobre 1988 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
    Ritenuto  che  la  Sezione  istruttoria  della  Corte d'appello di
 Messina,  con  ordinanza  del  3  novembre  1987,  ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione, questione di
 legittimita'  dell'art.  131  del  codice  di  procedura   penale   e
 dell'art.1  del  d.P.R.  8  agosto 1955, n. 666 (Norme di attuazione,
 transitorie e di coordinamento della legge 18 giugno  1955,  n.  517,
 contenente  modificazioni al codice di procedura penale), perche' "lo
 stesso fatto di cui si fa colpa al difensore,  cioe'  l'abbandono  di
 difesa  dell'imputato,  da'  luogo  alla  simultanea  apertura di due
 distinti  procedimenti  della  medesima  natura  (disciplinare),  che
 seguono  ciascuno  la propria via davanti a organi costituzionalmente
 diversi e non collegati fra di loro (Consiglio dell'ordine e  Sezione
 istruttoria),   ma   con   poteri   ugualmente  afflittivi  (sanzioni
 disciplinari) nei confronti dell'inquisito", pur essendo identico  il
 fatto  addebitato  ed  identiche  "la struttura e la funzione dei due
 giudizi";
      e  che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
    Considerato  che  l'ordinanza  di  rimessione,  nel  dolersi della
 "duplicazione" dei giudizi disciplinari, non permette di  individuare
 con  sicurezza  il petitum effettivamente avuto di mira dal giudice a
 quo, oscillandosi in essa fra la richiesta (insita  nell'affermazione
 che "con siffatta soluzione di compromesso... il legislatore del 1955
 - riconoscendo l'autonomia istituzionale dell'ordine forense,  ma  al
 tempo  stesso  mortificandola  con  l'antica  diffidenza  -  venne  a
 introdurre nel sistema quell'inutile, dannoso e illogico doppione  di
 procedimento  disciplinare")  di annullare la norma che, in relazione
 ai casi di  "abbandono  della  difesa"  dell'imputato,  legittima  ad
 irrogare  l'eventuale  sanzione disciplinare il consiglio dell'ordine
 forense, annullamento che avrebbe l'effetto di conservare la relativa
 competenza  alla sola sezione istruttoria della Corte d'appello, e la
 richiesta (insita nelle restanti parti della  motivazione,  oltreche'
 nel  dispositivo  dell'ordinanza)  di  annullare  la  norma  che,  in
 relazione  agli  stessi  casi,  legittima  ad  irrogare   l'eventuale
 sanzione  disciplinare  la sezione istruttoria della corte d'appello,
 annullamento  che  avrebbe  l'effetto  di  conservare   la   relativa
 competenza al solo consiglio dell'ordine forense;
      e   che,   quindi,   la   questione   deve   essere   dichiarata
 manifestamente inammissibile (v. sentenze n. 164 del 1985 e n. 67 del
 1984);
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;