ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art.56, u.c. del
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in  materia  di
 accertamento  delle  imposte  sui  redditi),  in relazione all'art. 3
 lett. d) dello stesso d.P.R., promosso  con  ordinanza  emessa  il  7
 marzo  1988 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Bologna nel
 procedimento penale a carico di Orlandi Alberto ed altri, iscritta al
 n.  374  del  registro  ordinanze  1988  e  pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 37 prima serie speciale dell'anno 1988;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 14 dicembre 1988 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  ordinanza emessa il 7 marzo 1988, il G.I. presso il Tribunale
 di Bologna ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 56 u.c. del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per contrasto
 con l'art.112 Cost., nella parte in cui dispone che  l'azione  penale
 ha  corso  dopo  che l'accertamento e' divenuto definitivo, anche nel
 caso indicato dalla lett. d) terzo comma dello stesso art. 56.
    Il  giudice  a  quo  presso il quale pende appunto un procedimento
 relativo al delitto punito dall'art. 56 terzo comma lett. d) (per  un
 caso  di  annotazione  nei  certificati di cui all'art.3 dello stesso
 decreto di corrispettivi inferiori a quelli  effettivamente  erogati)
 ha  osservato  che,  in base alla sentenza n. 89 del 1982 della Corte
 Costituzionale,  la  c.d.  pregiudiziale  tributaria  in   tanto   e'
 giustificabile  in quanto l'accertamento del reato o la pena relativa
 dipendano dall'accertamento del tributo evaso.
    Nell'ipotesi prevista dalla lett. d) dell'art. 56, terzo comma che
 punisce "chiunque, nei certificati di cui all'art. 3,  indica  somme,
 al   lordo   delle   ritenute,   inferiori  a  quelle  effettivamente
 corrisposte", la sussistenza del delitto e la misura della pena  sono
 del  tutto  indipendenti  dall'entita'  del tributo evaso, perche' il
 reato e' consumato mediante l'infedele  annotazione  sul  certificato
 previsto dall'art. 3, e la prova di tutti gli elementi costitutivi e'
 acquisibile in modo assolutamente indipendente da  ogni  accertamento
 tributario.
    Il  divieto  di procedere, stabilito dall'art. 56, u.c. del d.P.R.
 29  settembre  1973,  n.  600,  finirebbe  altrimenti  per  integrare
 un'ingiustificata   deroga   all'obbligatorieta'  dell'azione  penale
 invece stabilita dall'art. 112 Cost.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    Dal  combinato  disposto dell'ultimo comma dell'art. 56 del d.P.R.
 29 settembre 1973, n. 600 e del terzo comma  lett.  d)  dello  stesso
 articolo  si  ricava  che  l'azione penale non puo' essere iniziata o
 proseguita,  prima  che  l'accertamento  dell'imposta  sia   divenuto
 definitivo,  anche  per il caso di annotazione nei certificati di cui
 al  precedente  art.  3   di   corrispettivi   inferiori   a   quelli
 effettivamente erogati.
    Ma  l'esistenza e l'accertamento di simile delitto, che si consuma
 con la falsa indicazione, e' del tutto indipendente dall'entita'  del
 tributo  evaso,  cosi'  come  ne prescinde la pena per esso prevista.
 Talche', come gia' ritenuto da questa Corte nelle ipotesi considerate
 dalla  sentenza n. 89 del 1982, il divieto di procedere fino a quando
 l'accertamento dell'imposta non sia divenuto definitivo,  privo  come
 e'  di  qualsiasi  giustificazione sostanziale o processuale, integra
 una deroga irrazionale al principio dell'obbligatorieta'  dell'azione
 penale consacrato nell'art. 112 della Costituzione.
    Ne  deriva  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 56 u.c. del
 d.P.R. n. 600 del 1973 nella parte in cui  si  riferisce  anche  alla
 precedente lettera d) del comma terzo.