ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 54, 55 e 59
 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del  fallimento,
 del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
 liquidazione coatta amministrativa), e combinato disposto degli artt.
 59  stesso  regio decreto e 429, comma terzo, del codice di procedura
 civile, promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il  25  gennaio  1988  dal  Tribunale  di
 Frosinone nel procedimento civile vertente tra  Belli  Luciana  e  il
 Fallimento  "Lesa  Sport",  iscritta al n. 188 del registro ordinanze
 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  21,
 prima Serie speciale dell'anno 1988;
      2)  ordinanza  emessa  l'8 febbraio 1988 dal Tribunale di Savona
 nel procedimento civile vertente tra Viano Adriano  e  il  Fallimento
 Valente  Adriano,  iscritta  al  n.  22 del registro ordinanze 1988 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  23,  prima
 Serie speciale dell'anno 1988;
      3)  ordinanza  emessa  il  5 maggio 1988 dal Tribunale di Savona
 nella procedura fallimentare  nei  confronti  del  Fallimento  S.n.c.
 Edilferro  di  Bergamini  Wolmer e Ragazzi Walter, iscritta al n. 550
 del registro ordinanze 1988 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 43, prima Serie speciale dell'anno 1988;
    Visto l'atto di costituzione di Belli Luciana, nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  gennaio  1989  il  Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
    Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da
 Belli Luciana nei confronti del fallimento  della  "LESA  SPORT",  ed
 avente  ad  oggetto  l'ammissione  al  passivo  dei crediti di lavoro
 dell'attrice, il Tribunale di Frosinone, con ordinanza emessa  il  25
 gennaio 1988 (R.O. n. 188/88), ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36, comma primo,  della
 Costituzione:
       a)  dell'art.  59  del  r.d.  16  marzo  1942,  n.  267  (Legge
 fallimentare), nella  parte  in  cui  esclude  la  rivalutazione  dei
 crediti  di  lavoro  per  il periodo successivo alla dichiarazione di
 fallimento;
       b) degli artt. 54, comma terzo, e 55, comma primo, dello stesso
 r.d. n. 267 del 1942, nella parte in cui non estendono la  prelazione
 agli  interessi  sui  crediti  privilegiati di lavoro nella procedura
 fallimentare.
    In  relazione  alla questione sub a), il giudice a quo richiama la
 sentenza  n.  300/1986  della  Corte  costituzionale,   che   analoga
 questione  ha ritenuto fondata nell'ambito del concordato preventivo,
 ed osserva che anche nell'ambito del  fallimento  l'esclusione  della
 rivalutazione dei crediti di lavoro importa violazione dei suindicati
 precetti costituzionali,  e  precisamente:  1)  dell'art.  36,  comma
 primo,  perche'  la  mancata  applicazione della regula iuris dettata
 dall'art. 429, comma terzo, c.p.c. puo' privare in tutto o  in  parte
 il lavoratore del diritto a lui garantito e cioe' di una retribuzione
 proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro e  sufficiente  in
 ogni  modo ad assicurare a se' e alla famiglia una esistenza libera e
 dignitosa, minimum retributivo che la  rivalutazione  ha  appunto  la
 funzione  di  salvaguardare  parametrandolo alle variazioni del costo
 della vita; 2) dell'art. 3, perche' l'art. 59 impone al lavoratore il
 cui  datore  incorre  nella  pronuncia  di fallimento, e quindi senza
 alcuna diretta responsabilita' per  fatto  proprio,  una  limitazione
 della  quale  non soffrono i lavoratori dipendenti da altro datore di
 lavoro.
    Ne', al fine di giustificare una diversa soluzione nell'ambito del
 fallimento e del concordato preventivo e' invocabile  la  particolare
 disciplina diretta a ristabilire la par condicio creditorum, mediante
 la revocatoria, come ha argomentato la sent. n. 300/1986  per  negare
 veste  di  precedente  contrario  alla  sent.  n.  139/1981  resa  in
 riferimento alla procedura fallimentare, poiche' cio' che ha  rilievo
 nella  specie non e' il rispetto del suddetto principio, ma di quelli
 della retribuzione sufficiente e della uguaglianza di trattamento.
    In  relazione  alla questione sub b), osserva il giudice a quo che
 l'art. 55 della Legge fallimentare fissa la  regola  secondo  cui  la
 dichiarazione  di  fallimento sospende il corso degli interessi, agli
 effetti del concorso, salvo che per i crediti assistiti  da  ipoteca,
 pegno e privilegio. Tuttavia l'art. 54, disciplinando la misura entro
 cui la prelazione che  assiste  il  credito  si  estende  anche  agli
 interessi,  richiama  gli  artt. 2788 e 2855 c.c. Sicche', per quanto
 riguarda i crediti privilegiati -  non  essendovi  altresi'  richiamo
 anche   all'art.  2749  c.c.,  con  estensione  del  privilegio  agli
 interessi legali  sino  alla  data  della  vendita  -  gli  interessi
 maturati  dopo  la  dichiarazione  di fallimento possono essere fatti
 valere,   secondo   l'interpretazione   corrente,   solo    in    via
 chirografaria.
    Ora, prosegue l'ordinanza, la suindicata normativa, operante anche
 nel concordato preventivo in forza del richiamo  contenuto  nell'art.
 169  della  Legge fallimentare, e' stata dichiarata incostituzionale,
 nell'ambito di detta procedura concorsuale, con la sent. n. 300/1986,
 nella  parte  in  cui non estende la prelazione agli interessi dovuti
 sui crediti privilegiati di lavoro, e ad  uguale  soluzione  dovrebbe
 pervenirsi,  in tema di crediti di lavoro subordinato, in riferimento
 alla procedura fallimentare.
    Anche  in  tale  ipotesi,  infatti, appaiono lesi gli artt. 3 e 36
 della Costituzione, posti dalla sentenza  n.  300/1986  a  fondamento
 della  decisione.  Il  primo,  poiche'  i  privilegi  sono  causa  di
 prelazione alla  pari  del  pegno  e  dell'ipoteca,  sicche'  non  si
 giustifica  il trattamento preferenziale a favore degli interessi sui
 crediti garantiti da pegno e da ipoteca rispetto a quelli sui crediti
 assistiti  da  privilegio.  Il  secondo per la mancata garanzia della
 retribuzione proporzionata e sufficiente.
    2.  -  Si  e'  costituita  innanzi  a  questa Corte Belli Luciana,
 sollecitando l'accoglimento della questione.
    E'   intervenuto   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 concernente  la  legittimita' costituzionale dell'art. 59 della legge
 fallimentare, nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti
 di lavoro per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento,
 sia dichiarata manifestamente infondata.
    E cio' alla stregua della sentenza n. 139/1981 della Corte, che ha
 gia' dichiarato infondata identica questione, traendo argomento dalla
 funzione  di  remora all'inadempimento propria dell'art. 429 c.p.c. e
 della successiva sentenza n. 300/1986,  che  si  e'  data  carico  di
 sottolineare  come  il  problema  della  rivalutazione dei crediti di
 lavoro per il periodo  successivo  all'apertura  del  fallimento  del
 datore di lavoro sia caratterizzato da un contesto diverso rispetto a
 quello della  rivalutazione  degli  stessi  crediti  per  il  periodo
 successivo   alla   domanda  di  concordato  preventivo.  Sicche'  il
 princi'pio della rivalutabilita'  affermato  dalla  seconda  sentenza
 nell'ambito   del   concordato  non  e'  estensibile  all'ambito  del
 fallimento.
   Osserva   ancora   l'Avvocatura  dello  Stato  che  l'esigenza  del
 lavoratore di veder comunque soddisfatto il suo  credito,  anche  nel
 caso  di  insolvenza  del  datore di lavoro, e' tutelata dal Fondo di
 garanzia per il trattamento di fine rapporto, di cui all'art. 2 della
 legge  n.  297  del  1982,  senza alcuna incidenza sulle modalita' di
 svolgimento della  procedura  concorsuale,  della  quale  rispetta  i
 princi'pi regolatori ed in particolare quello della par condicio.
    3.  - Il giudice delegato al fallimento di Valente Adriano, presso
 il Tribunale di Savona, in sede di ammissione al passivo, ex art. 101
 L.F., di credito di lavoro di Viano Adriano, con ordinanza emessa l'8
 febbraio  1988  (R.O.  n.  222/1988)  ha   sollevato   questione   di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento agli stessi parametri,
 delle norme gia' censurate dalla precedente ordinanza n. 188/1988.
    Quanto  all'art.  59  L.F. (considerato nel combinato disposto con
 l'art. 429, terzo comma, c.p.c.), osserva il giudice a quo  che  tale
 norma  prevede  che  "i  crediti  non scaduti, aventi per oggetto una
 prestazione di denaro determinata con riferimento  ad  altri  valori,
 concorrono  secondo  il  loro  valore  alla data di dichiarazione del
 fallimento": tra tali crediti, per opinione oramai unanime, rientrano
 anche  i  crediti  di lavoro, da qualificarsi come crediti di valore,
 sulla base del loro automatico adeguamento agli indici  ISTAT  (artt.
 429,  terzo  comma,  c.p.c.,  e  150  d.a.c.p.c.);  percio', ai sensi
 dell'art. 59 ora  citato,  ove  si  chieda  l'ammissione  allo  stato
 passivo  di  un  fallimento  di  un  credito di lavoro, questo non e'
 suscettibile di rivalutazione  dal  momento  della  dichiarazione  di
 fallimento.
    Su  analoga  normativa  prevista  dagli  artt.  169  e  59 L.F. in
 combinato disposto, per la procedura  di  concordato  preventivo,  e'
 intervenuta  la  Corte  costituzionale,  con la sentenza n. 300/1986,
 dichiarandone la illegittimita' costituzionale per contrasto con  gli
 artt. 3 e 36 della Costituzione. Occorre quindi verificare - prosegue
 l'ordinanza - se nella motivazione di detta sentenza e' contenuta  la
 ragione  giustificatrice  per  cui  la  identica disciplina giuridica
 prevista nel caso di fallimento si  salvi  da  una  dichiarazione  di
 incostituzionalita'.
    Nella  sentenza  della  Corte  ora citata si legge che "poiche' le
 fattispecie in esame rientrano nel settore del concordato preventivo,
 non  assume  veste  di  precedente la sentenza n. 139/1981, da questa
 Corte resa in riferimento al  combinato  disposto  degli  artt.  429,
 terzo  comma, c.p.c. e 59 L.F., perche' l'esigenza della par condicio
 creditorum si realizza nella procedura fallimentare,  in  riferimento
 alla  quale  la  sentenza  fu  pronunciata,  con  la revocatoria "non
 ordinaria" (o fallimentare che dir si voglia) che ha per oggetto atti
 a  titolo  oneroso,  pagamenti e garanzie elencati nell'art. 67 L.F.;
 mezzo di tutela del quale non si ravvisa equipollente nella procedura
 di concordato preventivo".
    Ad avviso del giudice a quo, tale ragionamento non sembra influire
 sulla ritenuta costituzionalita' della mancata rivalutazione, in sede
 fallimentare,  dei  crediti  di  lavoro.  La revocatoria fallimentare
 serve infatti a ristabilire  una  condizione  paritaria  tra  crediti
 vantati, quando questa condizione venga lesa da atti del debitore poi
 fallito in frode  agli  altri  creditori,  come  dimostra  il  sempre
 richiesto  requisito  della  conoscenza  dello stato di insolvenza in
 colui che riscuote, in epoca sospetta,  il  proprio  credito.  Ma  il
 princi'pio  cui  risponde  la  esigenza  di  rivalutare il credito di
 lavoro,  in  primo  luogo  prescinde  dalla  esigenza  di  reagire  a
 comportamenti  fraudolenti  del  debitore e dei creditori previamente
 soddisfatti, in secondo luogo e' addirittura rivolto  alla  creazione
 di  una  posizione di impar condicio sulla base del dettato normativo
 dell'art. 36 della Costituzione. In sostanza, nulla ha a  che  vedere
 la  pari  posizione  dei  creditori  in  rapporto  alla  massa attiva
 fallimentare con la rivalutazione del credito di lavoro, perche' anzi
 con   essa   si   pone   volutamente  in  contrasto,  e  tuttavia  e'
 estrinsecazione del dettato dell'art. 36 della Costituzione  dove  il
 diritto   alla  retribuzione  viene  individuato  come  diritto  alla
 soddisfazione di beni primari.
    Rileva  ancora l'ordinanza che la sentenza n. 139/1981, richiamata
 dalla  sentenza   n.   300/1986,   aveva   individuato   la   ragione
 dell'esclusione  della rivalutazione monetaria del credito di lavoro,
 in linea con  l'ordinanza  di  rimessione  delle  Sezioni  Unite  (13
 ottobre 1980 n. 492), nella ratio dell'art. 429 c.p.c.
    La  ratio  di  detta norma, in relazione alla quale si invocava la
 rivalutazione  monetaria  dei  crediti  di  lavoro,  veniva   infatti
 ravvisata  nella funzione di "remora che essa ingenera rispetto... al
 fatto  stesso  del  non  puntuale  adempimento  alla  scadenza  delle
 prestazioni destinate ad assolvere esigenze primarie del lavoratore",
 funzione non operante nell'ambito  delle  procedure  concorsuali,  in
 ragione della loro natura esecutiva.
    Ad  avviso  del giudice a quo, e' tuttavia contestabile che l'art.
 429 c.p.c. persegua solo la sanzione del ritardo nell'adempimento, da
 parte  del datore/debitore. Con tale norma, invero, il legislatore ha
 voluto fornire di particolarmente incisiva e differenziata tutela  il
 diritto   del   lavoratore  alla  controprestazione  per  la  propria
 attivita',  stante  la  funzione  non  solo  patrimoniale   e   quasi
 alimentare  da esso svolta, gia' chiaramente individuata dall'art. 36
 della Costituzione in riferimento a beni della persona. Come rilevato
 da  Cass. 3 marzo 1980 n. 1408 "il credito del lavoratore a titolo di
 retribuzione (comprendente anche la indennita' di fine rapporto),  ha
 finito con l'assumere, nella coscienza sociale e nella considerazione
 ponderata degli interessi generali, il carattere  di  un  credito  di
 valore,  inteso  come complesso di utilita' concretizzabili sul piano
 economico (e non sul piano monetario) idonee a garantire la fruizione
 dei beni necessari alla vita".
   Appare quindi non manifestamente infondato, secondo l'ordinanza, il
 dubbio  sulla  costituzionalita'  della  normativa   risultante   dal
 combinato disposto degli artt. 59 L.F. e 429, terzo comma, c.p.c.: a)
 per contrasto con l'art. 36 della Costituzione; b) per contrasto  con
 l'art. 3 della Costituzione per il diverso trattamento dei crediti di
 lavoro vantati  verso  una  procedura  fallimentare,  non  piu'  solo
 rispetto ai crediti di lavoro non sottoposti a procedure concorsuali,
 ma, stante la dichiarazione contenuta  nella  sentenza  n.  300/1986,
 anche  verso datori di lavoro sottoposti alla procedura di concordato
 preventivo.
    Per  quanto  concerne  la  disciplina  degli interessi, risultante
 dagli artt. 54 e 55 L.F., rileva il giudice a quo che l'art. 55  L.F.
 sancisce la sospensione della decorrenza degli interessi, dal momento
 della sentenza di fallimento, a meno che non  si  tratti  di  crediti
 garantiti  da  pegno,  privilegio  od  ipoteca  e  salvo  il disposto
 dell'art. 54 L.F.. L'ultimo comma dell'art. 54 cit., richiamando  gli
 artt.  2788  e  2855  c.c.,  stabilisce che gli interessi su capitali
 garantiti da pegno od ipoteca si collocano anche essi  in  privilegio
 (per  il periodo ed alle condizioni dai detti artt. individuati). Non
 viene fatta menzione dei crediti garantiti da privilegio,  come,  nel
 caso  di  specie,  i  crediti  di  lavoro,  tanto  che  essi  vengono
 riconosciuti produttivi di interessi, collocabili pero' solo  in  via
 chirografaria.
    Anche  tale  situazione  -  prosegue  l'ordinanza  -  e'  idonea a
 sollevare dubbi di costituzionalita' rispetto al dettato dell'art.  3
 della Costituzione, ove si consideri il diverso trattamento riservato
 ai crediti garantiti da pegno ed  ipoteca,  e,  in  conseguenza  alla
 sentenza  n.  300/1986, anche ai crediti di lavoro nella procedura di
 concordato preventivo cui e' sottoposto il datore di lavoro,  nonche'
 rispetto  all'art.  36 della Costituzione, stante la gia' individuata
 funzione dei crediti di lavoro.
    4.  -  E'intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio dei ministri,
 rappresentato     dall'Avvocatura     dello     Stato,      eccependo
 l'inammissibilita' delle questioni, per carenza di legittimazione del
 giudice a quo.
    Osserva  l'interveniente  che,  ai  sensi  dell'art.  101 L.F., il
 giudice delegato puo' disporre l'ammissione al  passivo  del  credito
 insinuato tardivamente quando lo riconosca fondato ed il curatore non
 si opponga; diversamente, deve istruire la causa per la decisione  da
 parte  del  Tribunale. Nel caso di specie, con la stessa proposizione
 della questione  di  costituzionalita',  il  giudice  delegato  rende
 manifesto  che  la  domanda  del  creditore risulta (almeno in parte)
 infondata, alla stregua  delle  norme  vigenti;  e  rende,  per  cio'
 stesso,  manifesta  la  insussistenza di una delle condizioni - sopra
 richiamate - al cui concorso l'art. 101 cit. subordina l'esercizio di
 poteri  decisori  da  parte  del  giudice  delegato (al quale, quando
 agisca nella veste di giudice istruttore, Corte cost. n. 141/1971, ha
 negato la legittimazione a sollevare incidente di costituzionalita').
    In subordine, l'Avvocatura dello Stato deduce l'infondatezza della
 questione di letittimita' costituzionale relativa all'art. 59 L.F., e
 concernente  la  non  rivalutabilita'  dei  crediti  di  lavoro  dopo
 l'apertura del fallimento, svolgendo considerazioni eguali  a  quelle
 gia'  riportate nel riferire sull'ordinanza n. 188/1988 del Tribunale
 di Frosinone.
    5.  -  Il giudice delegato al fallimento della S.n.c. Edilferro di
 Bergamini Wolmer e Ragazzi Walter, presso il Tribunale di Savona,  in
 sede  di ripartizione parziale dell'attivo, con ordinanza emessa il 5
 maggio  1988  (R.Ord.   n.  550/1988),  ha  sollevato  questione   di
 legittimita'  costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 36 della
 Costituzione, degli artt. 55, primo comma, e 54, terzo  comma,  L.F.,
 nella  parte  in  cui  non  estendono  il  diritto di prelazione agli
 interessi  sui  crediti  privilegiati  di  lavoro   nella   procedura
 fallimentare.
    Osserva  il  giudice  a  quo che l'art. 55, primo comma, L.F., nel
 riconoscere la decorrenza degli interessi, agli effetti del concorso,
 sui  crediti  garantiti  da  ipoteca, pegno o privilegio, fa salvo il
 terzo comma del precedente art. 54  che  richiama,  per  l'estensione
 della  prelazione agli interessi, gli artt. 2788 e 2855 cod.civ., non
 anche l'art. 2749 cod. civ. che disciplina i crediti privilegiati. Ma
 il  diverso trattamento, riservato dal combinato disposto degli artt.
 55, primo comma, e 54, terzo comma,  L.F.  ai  crediti  garantiti  da
 pegno ed ipoteca rispetto a quelli assistiti da privilegio non appare
 sorretto da alcun criterio di ragionevolezza,  poiche'  l'art.  2741,
 secondo  comma,  cod. civ., considera causa legittima di prelazione i
 privilegi in non diversa guisa del pegno e delle ipoteche.
    Rileva  ancora  il  giudice a quo che, a seguito della sentenza n.
 300/1986 della Corte costituzionale, con cui  sono  stati  dichiarati
 costituzionalmente  illegittimi gli artt. 55, primo comma, richiamato
 dall'art. 169, e 54,  terzo  comma,  L.F.  nella  parte  in  cui  non
 estendono il privilegio agli interessi dovuti su crediti privilegiati
 di lavoro nella procedura di  concordato  preventivo  del  datore  di
 lavoro,  per  contrasto  con  gli artt. 3 e 36 della Costituzione, si
 verifica  una  ingiustificata   disparita'   di   trattamento   anche
 nell'ambito  dei  crediti assistiti da privilegio, ai sensi dell'art.
 2751 bis, n. 1, cod.civ., a seconda  che  il  datore  di  lavoro  sia
 ammesso  alla  procedura  di  concordato  preventivo o sia dichiarato
 fallito.
    Conclude  l'ordinanza  con  l'osservare che la collocazione in via
 chirografaria  degli  interessi  su  crediti  di   lavoro,   maturati
 successivamente   alla  dichiarazione  di  fallimento,  sacrifica  la
 posizione di creditori il cui credito capitale e' collocato al  primo
 posto  dell'ordine dei privilegi (art. 2751 bis cod. civ.) e comporta
 una illegittima  decurtazione  della  retribuzione,  determinata  dal
 lasso  di  tempo  -  notoriamente  non  breve - che intercorre tra la
 dichiarazione di fallimento ed il riparto finale  con  il  quale,  di
 regola,  vengono  distribuite  le  somme  ai  creditori chirografari,
 raramente soddisfatti per l'intero credito ammesso al passivo.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  le  ordinanze  in  epigrafe  e'  messa  in  dubbio  la
 legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  36  della
 Costituzione:
       a)  dell'art.  59  del  regio  decreto  16  marzo  1942, n. 267
 (Disciplina  del  fallimento,  del   concordato   preventivo,   della
 amministrazione    controllata    e    della    liquidazione   coatta
 amministrativa) - da considerare nella combinazione del suo  precetto
 con quello dell'art. 429, terzo comma, c.p.c. secondo uno dei giudici
 a  quibus  -  nella  parte  in  cui,  nell'ambito  del   procedimento
 fallimentare,  non  consente  la  rivalutazione dei crediti da lavoro
 riguardo al  periodo  successivo  alla  dichiarazione  di  fallimento
 (ordinanza  del Tribunale di Frosinone e del giudice delegato, presso
 il Tribunale di Savona, al fallimento di Adriano Valente);
       b) degli artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma, dello stesso
 regio decreto 267 del 1942, nella parte in  cui,  sempre  nell'ambito
 del   procedimento   fallimentare,  non  estende  agli  interessi  la
 prelazione che assiste i  crediti  da  lavoro  dipendente  (ordinanze
 suindicate  e  ordinanza del giudice delegato, presso il Tribunale di
 Savona, al fallimento della S.n.c. Edilferro di  Bergamini  Wolmer  e
 Ragazzi Walter).
    Stante  la  sostanziale  identita'  delle  questioni  che  ne sono
 oggetto, puo' essere disposta la riunione dei giudizi.
    2.  -  Va  disattesa l'eccezione di inammissibilita' opposta dalla
 Avvocatura dello Stato circa la legittimazione del giudice  delegato,
 presso  il  Tribunale  di  Savona,  al fallimento di Adriano Valente,
 investito dell'esame di una domanda tardiva di ammissione. Invero non
 difettava  il  potere  di  decidere positivamente sull'ammissione del
 credito,  anche  se,  ovviamente,  il  giudice  ne   ha   subordinato
 l'esercizio alla pronuncia sulla questione di legittimita' sollevata.
    3.  -  La legittimita' costituzionale della norma che non consente
 la rivalutazione dei crediti da lavoro  maturati  anteriormente  alla
 dichiarazione di fallimento con riguardo al tempo successivo e' messa
 in discussione deducendosi  che  la  norma,  da  un  lato,  restringe
 ingiustificatamente  l'attuazione  del precetto costituzionale di cui
 all'art. 36 della Costituzione, attuazione alla quale e'  preordinato
 l'art.   429,   terzo   comma,   c.p.c.,   dall'altro  determina  una
 ingiustificata discriminazione sfavorevole dei portatori  di  crediti
 da  lavoro  fatti  valere  nel  fallimento  rispetto  ai portatori di
 crediti da lavoro fatti valere in altre procedure.
    Con  la  sentenza  n. 139 del 1981, questa Corte ha dichiarato non
 fondata una questione di legittimita' costituzionale in tutto analoga
 a quella ora proposta.
    Ha  infatti  ritenuto  non contrastante con gli artt. 3 e 36 della
 Costituzione la non rivalutabilita' dei crediti da lavoro  dipendente
 nella  procedura  fallimentare  sia  che  tale non rivalutabilita' si
 faccia discendere dal coordinato disposto dell'art. 429, terzo comma,
 c.p.c.(che  prevede  la  rivalutabilita'  nel  caso  di  sentenza  di
 condanna al pagamento dei crediti stessi) e dell'art. 59 della  legge
 fallimentare  (che fissa nella data della dichiarazione di fallimento
 il momento al quale si deve avere riguardo nella quantificazione  dei
 crediti aventi per oggetto una prestazione pecuniaria determinata con
 riferimento ad altri valori o una prestazione  non  pecuniaria),  sia
 che  si  propenda  a  ricavare  la  non  rivalutabilita' suddetta, in
 riferimento all'art. 429 c.p.c. ora richiamato, dagli artt.  42,  52,
 92  e  seguenti della legge fallimentare (che esprimono in vario modo
 l'esigenza di aver riguardo,  per  ogni  valutazione  attinente  alla
 procedura fallimentare, alla data di dichiarazione di fallimento). Ha
 considerato in proposito che sue precedenti sentenze (nn. 13 e 43 del
 1977), sebbene avessero ravvisato il presidio e la garanzia dell'art.
 36 (oltre che di altri  precetti)  della  Costituzione  sullo  sfondo
 dell'art.  429,  terzo  comma,c.p.c., avevano individuato il ruolo di
 tale  ultima  norma  nella  "remora"  da  essa   posta   al   mancato
 soddisfacimento  dei  crediti  da  lavoro da parte dell'imprenditore,
 "remora" che non avrebbe ragion d'essere la' dove il  soddisfacimento
 non  e'  piu'  consentito  dopo la dichiarazione di fallimento se non
 attraverso l'espletamento della procedura fallimentare.
    Ma  con  la  successiva  sentenza n. 300 del 1986, questa Corte ha
 dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
 degli  artt.  59  della legge fallimentare e 429, terzo comma, c.p.c.
 nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti da lavoro per
 il periodo successivo alla domanda di concordato preventivo.
    E  cio'  in  quanto  ha ritenuto che, in tale ultimo procedimento,
 alla rivalutabilita' non si opponga  la  regola  della  par  condicio
 creditorum, considerando cosi' tale regola per un verso essenziale al
 procedimento fallimentare e per altro verso  idonea  ad  impedire  la
 rivalutazione dei crediti da lavoro nel procedimento medesimo.
    Argomentando  variamente  in  ordine  alle statuizioni adottate ed
 alle motivazioni svolte  da  questa  Corte  con  le  sentenze  dianzi
 richiamate,  i  giudici  a  quibus  negano  in particolare che la par
 condicio creditorum sia  valido  ostacolo  alla  rivalutabilita'  dei
 crediti   da   lavoro   nel  fallimento,  una  volta  che  questa  e'
 giustificata  dall'attuazione   dell'art.   36   della   Costituzione
 (precetto  per  se'  stesso implicante discriminazione favorevole dei
 lavoratori) e non costituisce una mera "remora" all'inadempimento  da
 parte del datore di lavoro.
    4. - Pur discutendosene il fondamento, e' comunemente riconosciuto
 che  la  par  condicio  creditorum  e'  la  regola  del  procedimento
 fallimentare.
    Ma  anche a ravvisarne il fondamento nel princi'pio costituzionale
 di eguaglianza - in quanto mira a  garantire  ad  ogni  creditore  la
 possibilita'  di  soddisfacimento  del  credito in proporzione al suo
 ammontare  -  non  per  questo  essa  puo'   vantare   una   assoluta
 inderogabilita'.   Il   princi'pio   costituzionale  di  eguaglianza,
 infatti,  tollera  disparita'  di   trattamento   se   queste   siano
 giustificate  da  ragioni  apprezzabili,  e  tanto  piu'  se lo siano
 dall'attuazione di un valore costituzionale. E  quest'ultima  ipotesi
 deve   ritenersi   qui   ricorrente,  non  essendovi  dubbio  che  la
 rivalutazione dei crediti da lavoro dipendente costituisca  forma  di
 attuazione dell'art. 36 della Costituzione.
    Non  puo'  dunque in nessun caso ritenersi assolutamente preclusa,
 in nome della par condicio creditorum, la rivalutazione  dei  crediti
 da lavoro nel procedimento fallimentare, tenuto conto fra l'altro che
 essa opera non tanto come "remora" posta all'inadempimento  da  parte
 dell'imprenditore,  quanto  come  strumento  destinato  ad assicurare
 l'effettivita'  della  garanzia   apprestata   dall'art.   36   della
 Costituzione  tramite  l'adeguamento  del loro ammontare secondo dati
 criteri.
    D'altra parte l'assoluta preclusione della rivalutazione dei detti
 crediti  nel  fallimento  determinerebbe   realmente   ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  dei  portatori  degli stessi rispetto ai
 portatori di crediti da lavoro fatti valere in altri procedimenti.
    5.  - E' da ritenere tuttavia che la rivalutazione con riguardo al
 tempo successivo alla data  della  dichiarazione  di  fallimento  non
 possa aver luogo, almeno in sede fallimentare, senza alcun limite, ma
 che essa debba essere disposta, sempre in tale sede, con riguardo  al
 tempo fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo.
    Oltre  tale  limite,  infatti,  la  rivalutazione  sacrificherebbe
 ingiustificatamente l'interesse degli altri creditori nel  fallimento
 (par   condicio),   mentre  urterebbe  contro  esigenze  proprie  del
 procedimento in discorso, vale a dire tanto contro quella,  rilevante
 per  tutti  i creditori (ivi compresi gli stessi portatori di crediti
 da lavoro), che la realizzazione dei crediti avvenga con la  maggiore
 speditezza  possibile,  quanto  contro quella che l'esecuzione qui si
 svolga,  come  ogni  forma  di   esecuzione   di   crediti,   secondo
 l'accertamento  e/o la liquidazione che ne sono la base, accertamento
 e liquidazione contenuti appunto nello stato passivo.
    La  rivalutabilita' entro il limite suindicato,invece, oltre a non
 determinare  ingiustificato  sacrificio  degli  altri  creditori  nel
 fallimento,  risponde  alle  dette esigenze. Inoltre essa non importa
 intollerabile discriminazione fra i crediti da  lavoro  fatti  valere
 nel  fallimento e quelli fatti valere in altra sede (particolarmente,
 in assenza di fallimento o nel caso che il debitore sia ritornato  in
 bonis, nella sequenza: cognizione-esecuzione individuale).
    Va  dunque  dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma
 impugnata nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti
 da lavoro nel fallimento entro il limite ora indicato.
    6.  -  La  legittimita'  costituzionale della norma risultante dal
 coordinamento degli  artt.  55  e  54  l.f.,  che,  pur  sancendo  la
 produzione  di  interessi sulle somme oggetto di crediti assistiti da
 privilegio, non estende (in quanto l'art. 54, ultimo comma, l.f.  non
 richiama  in  proposito  gli  artt.  2749  c.c.  e  2751  bis n.1) la
 prelazione a tali interessi come invece fa  per  quelli  sulle  somme
 oggetto  di  crediti  assistiti  da pegno o da ipoteca, e' anche essa
 messa in dubbio in riferimento congiunto agli  artt.  3  e  36  della
 Costituzione.
    Premesso  che  gli  obbiettivi  di  garanzia costituzionale per il
 lavoratore subordinato dianzi richiamati  vengono  in  considerazione
 non  soltanto  per  le  somme  oggetto  dei crediti da lavoro (la cui
 disponibilita' e' direttamente connessa agli obbiettivi  in  parola),
 ma  anche  per gli interessi sulle somme stesse (destinati al ristoro
 della mancanza della detta disponibilita'), non sembra dubbio che sia
 ingiustificatamente   lesiva   dell'art.  36  della  Costituzione  la
 disparita'  di  trattamento  determinata  dalla   denunciata   omessa
 previsione  della  prelazione (cfr., in tal senso, la sentenza n. 300
 del  1986  resa  da  questa  Corte  in  riferimento  all'ipotesi  del
 concordato preventivo).
    E'  dunque necessario dichiarare illegittima tale omissione, cosi'
 che  rimanga  adeguatamente  integrata,   anche   in   relazione   al
 fallimento,  la  tutela,  sotto  tale  aspetto, dei crediti da lavoro
 subordinato.