ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 1, 10 e 25
 del regio decreto legge 21 febbraio 1938, n.  246,  convertito  nella
 legge  4  giugno  1938,  n. 880 (Disciplina del canone di abbonamento
 radiotelevisivo), e dell'art.  15,  comma  secondo,  della  legge  14
 aprile  1975,  n.  103  (Nuove  norme in materia di radiodiffusione e
 televisiva), promosso con ordinanza emessa il 24  giugno  1988  dalla
 Corte d'Appello di Torino nel procedimento civile vertente tra la Rai
 - Radiotelevisione Italiana S.p.A. e Gorrfried Rainer ed altri  e  il
 Ministero  delle  Finanze,  iscritta al n. 818 del registro ordinanze
 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  3,
 prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di costituzione della Rai-Radiotelevisione Italiana
 S.p.A., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  dell'8  marzo 1989 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
    Ritenuto che la Corte d'Appello di Torino, con ordinanza 24 giugno
 1988, sollevava questione di legittimita' costituzionale degli  artt.
 1,  10  e  25  del  regio  decreto-legge  21  febbraio  1938, n. 246,
 convertito nella legge 4 giugno 1938, n. 880 (Disciplina  del  canone
 di  abbonamento radiotelevisivo), e dell'art.15, secondo comma, della
 legge  14  aprile  1975,  n.  103  (Nuove   norme   in   materia   di
 radiodiffusione  e  televisiva)  in  riferimento  all'art.  53  della
 Costituzione;
      che nell'ordinanza riferiva la Corte d'Appello di dover decidere
 in ordine al gravame interposto  dalla  RAI  avverso  la  sentenza  8
 novembre   1984   del   Tribunale  di  Torino  che  aveva  dichiarato
 illegittime 32 ingiunzioni emesse dall'Ufficio  registro  abbonamenti
 radio  di  Torino per la riscossione di altrettanti canoni televisivi
 dei quali era stato omesso il versamento;
      che, nella detta sentenza, il Tribunale di Torino aveva ritenuto
 che il presupposto dell'obbligazione concernente il cosidetto "canone
 di    abbonamento"   fosse   costituito   bensi'   dalla   detenzione
 dell'apparecchio, ma purche' qualificata dalla effettiva possibilita'
 di  uso del medesimo, anche per la ricezione dei programmi televisivi
 irradiati dal servizio pubblico nazionale;
      che,  pero', in analogo precedente giudizio, lo stesso Tribunale
 aveva   sollevato   questione   di    legittimita'    costituzionale,
 limitatamente agli artt. 1, 10 e 25 dello stesso regio decreto n. 246
 del 1938; questione che questa Corte aveva  dichiarata  inammissibile
 perche'  non  era possibile vagliare nel contempo anche il profilo di
 legittimita' costituzionale del  secondo  comma  dell'art.  15  della
 legge n.103 del 1975, allora non impugnato;
      che,  tuttavia,  ricorda il Giudice rimettente come, nella detta
 sentenza di questa Corte, fossero stati affacciati dubbi sulla  reale
 natura  del  cosidetto "canone di abbonamento", che, allo stato della
 legislazione,  sembrava  poter  essere  collocato   piuttosto   nella
 categoria tributaria usualmente qualificata come "imposta";
      che,  sulla  base delle argomentazioni in proposito svolte dalla
 citata sentenza di questa Corte, che il  giudice  a  quo  afferma  di
 condividere  e  fare  proprie,  ritiene  allora la Corte d'Appello di
 Torino che la normativa denunciata sia incompatibile con il principio
 sancito   nell'art.  53  della  Costituzione,  in  quanto  "ricollega
 un'obbligazione verso lo Stato, del tutto sganciata dal conseguimento
 di  speciali  vantaggi da parte degli obbligati, ad un presupposto di
 fatto che non puo' ritenersi avere  alcun  rapporto  neppure  con  la
 capacita' contributiva dei medesimi";
      che   a  tale  convincimento  perveniva  il  giudice  rimettente
 osservando che la mera  detenzione  di  un  qualsivoglia  apparecchio
 televisivo  non potrebbe essere sufficiente, anche a causa del rapido
 invecchiamento tecnologico, "a  rivelare  in  modo  attendibile  o  a
 rendere fondatamente presumibile" alcuna capacita' contributiva;
      che,    comunicata,    notificata   e   pubblicata   ritualmente
 l'ordinanza, interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  Generale dello Stato, e si
 costituiva anche  la  RAI  -  Radiotelevisione  italiana  S.p.A.,  in
 persona  del  legale  rappresentante,  dott.  Biagio Agnes, direttore
 generale,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  Franzo   Grande
 Stevens, Attilio Zoccali, Rubens Esposito e prof. Alessandro Pace;
      che,   secondo  l'Avvocatura  Generale,  la  questione  andrebbe
 dichiarata  inammissibile  perche',  nonostante  l'evoluzione   della
 normativa,  il  cosidetto "canone di abbonamento" non avrebbe perduto
 il suo carattere di  "tassa",  ma  perche',  comunque,  la  questione
 sarebbe   infondata   in  quanto  la  detenzione  di  un  apparecchio
 televisivo,  indipendentemente  da   ogni   altra   circostanza,   e'
 sufficiente   indice   rivelatore  di  quella  ricchezza  che,  nella
 discrezionalita' della scelta, il legislatore ha  ritenuto  idonea  a
 far assumere la modestissima imposta;
      che  i  difensori  della RAI, attenendosi proprio a quest'ultima
 argomentazione, e sostenendo, percio', che la capacita'  contributiva
 dell'utente  e'  desumibile  dallo  specifico  indice  rivelatore  di
 "ricchezza"    costituito    dalla    detenzione     dell'apparecchio
 telericevente,  secondo valutazioni che la costante giurisprudenza di
 questa Corte ritiene riservate al legislatore  ordinario,  chiedevano
 che la questione fosse dichiarata infondata;
    Considerato  che,  indipendentemente  dai dubbi espressi da questa
 Corte in ordine alla  natura  tributaria  del  cosidetto  "canone  di
 abbonamento" alla radio e alla televisione, sta di fatto che la Corte
 d'Appello di Torino, pur  facendo  proprie  le  argomentazioni  della
 sentenza di questa Corte n. 535 del 1988, ha ritenuto, nell'autonomia
 del suo giudizio  di  merito,  che  effettivamente  di  "imposta"  si
 tratti,  sopratutto  alla  luce  della  lettura  dell'art.15, secondo
 comma, della legge n.103 del 1975, qui ora pure impugnato;
      che  conseguentemente  il  giudice a quo lungi dal riproporre la
 questione che aveva sollevato il Tribunale di  Torino,  si  limita  a
 proporre  la questione di legittimita' costituzionale, esclusivamente
 in ordine alla compatibilita' della ritenuta imposta radiotelevisiva,
 cosi'   come   organizzata  dal  legislatore,  con  l'art.  53  della
 Costituzione, denunziando che la mera detenzione  di  un  apparecchio
 ricevente  televisivo  non  sarebbe  sufficiente  a  rivelare in modo
 attendibile la capacita' contributiva dell'utente;
      che,  sotto  tale  riflesso,  pero', la questione non e' fondata
 giacche' - come e' stato ripetutamente affermato da questa Corte  "la
 capacita'  contributiva  consiste...  nell'idoneita'  ad  eseguire la
 prestazione coattivamente imposta, correlata non gia'  alla  concreta
 capacita'  del  singolo contribuente, bensi' al presupposto economico
 al  quale  l'obbligazione  e'  collegata.  Quando  tale   presupposto
 sussista...  l'imposizione della prestazione tributaria e' certamente
 legittima, e  gli  accadimenti  successivi  non  sono  idonei,  salvo
 diversa   disposizione   di   legge,   ad  escludere  la  sussistenza
 dell'indicato  presupposto.  Conseguentemente   risulta   del   tutto
 irrilevante  che in concreto il contribuente consegua o no l'utilita'
 sperata, restando inalterato, per quanto si  e'  detto,  il  rapporto
 tributario"  (sentenza  n.  373 del 1988, ma vedi anche conformemente
 sentenze nn. 219 del 1985, 186 del 1982 e 120 del 1972);
      che,  d'altra  parte,  la  questione  non avrebbe potuto trovare
 accoglimento  nemmeno  se  fosse  stata  riferita  all'art.  3  della
 Costituzione   (parametro,  peraltro,  non  invocato  dall'ordinanza)
 giacche' sotto tale profilo si sarebbe dovuto condividere il  rilievo
 dell'Avvocatura e della difesa della RAI, secondo cui la costruzione,
 come presupposto d'imposta e come indice di  capacita'  contributiva,
 della  mera  detenzione  di  un  apparecchio radiotelevisivo non puo'
 essere considerata irragionevole ove venga comparata al  modestissimo
 tributo annuo che l'utente e' tenuto a pagare;