ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, terzo comma,
 lett. p), della legge  23  agosto  1988,  n.  400  (Disciplina  della
 attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
 Ministri), promosso con ricorso della Regione  Lombardia,  notificato
 il  12  ottobre 1988, depositato in cancelleria il 18 ottobre 1988 ed
 iscritto al n. 28 del registro ricorsi 1988;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  1989  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi  l'avv.  Valerio  Onida  per la Regione e l'avv. dello Stato
 Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso notificato il 12 ottobre 1988 la Regione Lombardia
 ha impugnato l'art. 2, comma 3, lett. p), della legge 23 agosto  1988
 n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di  governo e ordinamento della
 Presidenza del Consiglio dei Ministri), nella parte in cui  sottopone
 alla  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri, previo parere del
 Consiglio di Stato e della Commissione parlamentare per le  questioni
 regionali,     "le    determinazioni    concernenti    l'annullamento
 straordinario, a  tutela  dell'unita'  dell'ordinamento,  degli  atti
 amministrativi  illegittimi delle Regioni e delle Province autonome",
 con riferimento agli  artt.  5,  115,  118,  125,  126  e  134  Cost.
 (quest'ultimo  anche  in  relazione  all'art. 39 della legge 11 marzo
 1953 n. 87). Secondo la ricorrente la norma in esame, pur limitandosi
 in  apparenza  a  ridisciplinare  il  modo di esercizio del potere di
 annullamento gia' previsto dall'art. 6 del R.D. 3 marzo 1934  n.  383
 (Testo unico della legge comunale e provinciale), avrebbe una portata
 sostanzialmente innovativa, includendo per la prima volta le  Regioni
 e  le  Province  autonome  tra  gli  enti sottoposti a questo tipo di
 controllo.  Successivamente  all'entrata  in   vigore   della   Carta
 repubblicana,    infatti,   tale   inclusione   -   sostenuta   dalla
 giurisprudenza  amministrativa  -  avrebbe  incontrato  l'opposizione
 unanime  della dottrina che, vedendo nel potere in questione un mezzo
 di  autotutela,  lo  avrebbe  fatto  discendere  dalla  posizione  di
 supremazia   spettante   al   Governo   nell'ambito   di  un  sistema
 amministrativo concepito come "unitario e  monolitico",  sistema  cui
 l'amministrazione   regionale,   in   virtu'   della   sua  autonomia
 costituzionale, non potrebbe comunque fare capo.
    La   ricorrente   sostiene   inoltre   che   non   esistono  nella
 giurisprudenza di questa Corte precedenti  favorevoli  all'estensione
 di  tale  potere  governativo  di  annullamento anche agli atti delle
 Regioni e Province autonome. Le sentenze n. 24 del 1957 e n.  23  del
 1959   riguarderebbero,   infatti,  il  potere  di  annullamento  nei
 confronti degli  enti  minori;  la  sent.  n.  58  del  1959  avrebbe
 esplicitamente  lasciato  impregiudicato il problema; la sent. n. 207
 del 1971, infine, avrebbe riconosciuto l'applicabilita'  dell'art.  6
 del  Testo  unico  della  legge comunale e provinciale alle Regioni a
 statuto speciale solo sulla base di una "svista", ossia di  un'errata
 lettura delle citate decisioni del 1957 e del 1959.
    A  sostegno  delle  sue censure la ricorrente afferma che la norma
 impugnata  pone  in  questione  "la  stessa   essenza   del   sistema
 autonomistico configurato nella Costituzione", sistema che si afferma
 basato sull'attribuzione  alle  Regioni  di  poteri  e  funzioni  non
 disponibili  se  non  entro  limiti  precisi da parte del legislatore
 ordinario  (artt.  5,  115,  117  e  118  Cost.);  sulla   disciplina
 costituzionalizzata   degli   elementi   fondamentali   di   tutti  i
 procedimenti di controllo sull'attivita' e sugli organi delle Regioni
 (artt.  125,  126  e 127 Cost.); infine, sulla esclusiva attribuzione
 alla Corte Costituzionale del potere  di  risolvere  i  conflitti  di
 legittimita'  che  possono insorgere fra Regione e Stato (artt. 127 e
 134 Cost.; art. 39 della legge 11 marzo 1953 n. 87).
    Alla luce di siffatti principi la previsione in via legislativa di
 un potere di controllo governativo generale e innominato  e  altresi'
 caratterizzato  dalla  massima  discrezionalita', violerebbe in primo
 luogo i principi di legalita' e di riserva di legge che  governano  i
 rapporti  fra  Stato  e  Regioni;  in  secondo  luogo, svuoterebbe di
 significato l'articolato strumentario  di  controlli  previsto  dalla
 Costituzione   e,   in   particolare,   la   competenza  della  Corte
 Costituzionale in ordine ai conflitti di  attribuzione  originati  da
 atti amministrativi regionali.
    L'esercizio   del   potere   in   esame  non  potrebbe  del  resto
 giustificarsi ne' con  la  presenza  di  un  obiettivo  interesse  al
 ripristino  della  legalita'  -  dato  che  il  Governo  non potrebbe
 assumere il ruolo di giudice o di controllore fuori dei casi indicati
 dalla Costituzione -; ne' con l'esigenza di far prevalere l'interesse
 nazionale su quello delle Regioni. In ordine a quest'ultimo punto  la
 ricorrente   rileva   che   la  formulazione  della  norma  impugnata
 legittimerebbe l'uso in funzione politica del  potere  in  esame.  Il
 previsto  parere  della  Commissione  parlamentare  per  le questioni
 regionali, infatti, potrebbe  configurarsi  solo  come  strumento  di
 ulteriore  valutazione non della legittimita' dell'atto da annullare,
 ma dell'interesse politico in  nome  del  quale  il  Governo  intende
 annullarlo. A questo proposito la ricorrente contesta che il Governo,
 sia  pure  previo  parere  della  Commissione   parlamentare,   possa
 sovrapporre   la  propria  valutazione  politica  a  quella  compiuta
 dall'amministrazione regionale: detta valutazione potrebbe,  infatti,
 fondarsi  solo  sull'attribuzione  legislativa  di  poteri specifici,
 disciplinati  in  modo  da  assicurarne  la  corretta  utilizzazione,
 mentre,  anche  la'  dove  la Costituzione ammette che la valutazione
 statale  dell'interesse  nazionale  prevalga   definitivamente,   non
 sarebbe  in  ogni  caso  il  Governo  a  poter  decidere,  ma solo il
 Parlamento (art. 127, comma 4).
    2.  -  ll  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  si  e'  costituito  in
 giudizio per resistere al ricorso, osservando sostanzialmente: che la
 garanzia  costituzionale   delle   autonomie   regionali   non   puo'
 trasmutarsi  in  salvaguardia  degli  atti  amministrativi  regionali
 illegittimi; che la potesta' di  annullamento  straordinario  non  e'
 riducibile a semplice modalita' di "controllo"; che la illegittimita'
 costituzionale di una  legge  regionale  non  e'  "sanata"  dall'atto
 positivo  di  controllo  e puo' essere rilevata in via incidentale in
 ogni  tempo;  che  la  disposizione  sub  judice  ha   recepito   gli
 insegnamenti dati da questa Corte con la sentenza n. 207 del 1971.
    Solo  in via subordinata il resistente ha rilevato che l'art. 125,
 comma  primo,  Cost.  non  imporrebbe  affatto  che  la  potesta'  di
 controllo  debba  esaurirsi  irreversibilmente  in  tempi  brevi  (ad
 esempio, i "venti giorni dal ricevimento" previsti dall'art. 45 della
 legge  10.2.1953  n.  62);  che  non possa aversi, quanto meno in via
 straordinaria, un intervento demolitorio successivo all'inizio  della
 esecutivita'  dell'atto  gia' controllato; che il controllo non possa
 prendere forma diversa dall'"annullamento".
    3.   -   In  prossimita'  dell'udienza  la  Regione  Lombardia  ha
 depositato  memoria,  diffondendosi  a  esaminare   la   natura   del
 contestato  potere  di  annullamento  straordinario.  Le origini e la
 storia di tale istituto dimostrerebbero  che  si  tratta  non  di  un
 potere di controllo, ma di amministrazione attiva, tant'e' che il suo
 esercizio risulta condizionato non solo  all'asserita  illegittimita'
 dell'atto  da  annullare,  ma  anche  al  ricorrere  di  un interesse
 pubblico attuale. Tale interesse dovrebbe  individuarsi,  secondo  la
 ricorrente,  nello  stesso  interesse pubblico che ha presieduto alla
 formazione dell'atto, fondandosi, di conseguenza, il potere in  esame
 sulla  tradizionale concezione dell'"autarchia", secondo cui gli enti
 pubblici sono "organi  indiretti"  dello  Stato,  deputati  a  curare
 interessi  che non sono esclusivamente propri, ma che rimangono anche
 interessi dello Stato.  Detta concezione contrasterebbe peraltro  con
 la  disciplina  costituzionale  dei  rapporti  tra Stato e Regioni (o
 Province autonome), che presuppone la titolarita', in capo a  queste,
 di  funzioni  e  interessi "propri", legittimando di contro eventuali
 "interferenze" dello Stato solo  in  funzione  del  perseguimento  di
 specifici   interessi   di   rilievo   nazionale   o   ultraregionale
 suscettibili di trovare fondamento in una norma costituzionale.
    4.  -  Anche  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha  depositato
 memoria,   dove   si   rileva   che   l'istituto    dell'annullamento
 straordinario era "diritto vivente" gia' prima dell'entrata in vigore
 della disciplina impugnata e che, rispetto al passato e  agli  stessi
 principi  posti  dalla  giurisprudenza  di  questa Corte, la norma in
 contestazione avrebbe  il  merito  di  accrescere  il  livello  delle
 garanzie  apprestate  a favore dei soggetti di autonomia, grazie alla
 esplicita attribuzione del potere di annullamento  al  Governo  nella
 sua  collegialita',  alla  specifica  indicazione del fine di "tutela
 dell'unita' dell'ordinamento", nonche'  alla  previsione  del  parere
 della  Commissione  parlamentare,  chiamata  ad apprezzare il profilo
 dell'"interesse  nazionale"   rispetto   all'annullamento   dell'atto
 illegittimo. Dette garanzie non pregiudicherebbero, d'altro canto, la
 giurisdizione di questa Corte  in  ordine  agli  atti  amministrativi
 regionali  invasivi  di  competenze  statali,  poiche'  l'area  dell'
 "invasivita'" sarebbe, ad avviso del resistente, molto piu' ristretta
 dell'area delle residue illegittimita'.
    Il  Presidente del Consiglio - dopo aver individuato il fondamento
 dell'istituto in esame  nel  principio  di  unita'  della  Repubblica
 (art.5  Cost.)  e  nel  principio  di legalita' - fa osservare che la
 "consolidazione" dell'atto amministrativo illegittimo non  e'  regola
 generale nel nostro ordinamento, dove peraltro non esiste neppure una
 "riserva di giurisdizione" per quanto attiene  alla  rimozione  degli
 atti   illegittimi.   Ragioni   di  funzionalita'  delle  istituzioni
 imporrebbero anzi di preferire la rimozione  in  via  amministrativa,
 evitando  di  incrementare ulteriormente la "giurisdizionalizzazione"
 dei conflitti tra amministrazioni, specie quando, come  nel  caso  in
 esame,  essi  mal  si  adattano  ai  presupposti di legittimita' e di
 interesse caratteristici del processo amministrativo.  Rispetto  alla
 disapplicazione  l'annullamento  governativo  costituirebbe, infatti,
 uno strumento molto piu' lineare e  preciso;  rispetto  all'ordinario
 controllo   sugli   atti  esso  consentirebbe  una  valutazione  meno
 frettolosa  e  sommaria,  oltre  che  estensibile  alle  ipotesi   di
 illegalita' c.d. "sopravvenuta".
    Riguardo  alla  natura del potere, il resistente nega, infine, che
 si tratti di controllo (e  che  quindi  possa  invocarsi  l'art.  125
 Cost.),  a  causa  del rilievo che nell'annullamento straordinario, a
 differenza che  negli  atti  di  controllo,  assumerebbe  l'interesse
 nazionale "attuale": interesse che sarebbe dunque distinto e separato
 rispetto a quello perseguito dalla amministrazione regionale.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Forma oggetto di impugnativa l'art. 2, terzo comma, lett. p)
 della legge 23 agosto  1988  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di
 Governo  e  ordinamento  della Presidenza del Consiglio dei ministri)
 nella parte in cui attribuisce  alla  competenza  del  Consiglio  dei
 ministri,  previo  parere  del Consiglio di Stato e della Commissione
 parlamentare  per  le   questioni   regionali,   "le   determinazioni
 concernenti   l'annullamento   straordinario,  a  tutela  dell'unita'
 dell'ordinamento,  degli  atti  amministrativi   illegittimi"   delle
 Regioni e delle Province autonome.
    Ad  avviso della Regione Lombardia tale norma risulterebbe viziata
 nella legittimita' per violazione degli artt. 5, 115, 118, 125, 126 e
 134  della Costituzione (anche in riferimento all'art. 39 della legge
 11 marzo 1953 n. 87), in quanto suscettibile  di  ledere  "la  stessa
 essenza  del  sistema  autonomistico configurato nella Costituzione",
 incidendo sul  "carattere  costituzionale"  dell'autonomia  regionale
 sancita  dall'art.  115  Cost., sia con riferimento all'"attribuzione
 alle Regioni di poteri e funzioni non disponibili se non entro limiti
 precisi  da parte del legislatore ordinario (artt. 117 e 118 Cost.)",
 sia  con  riferimento  alla  "disciplina  costituzionalizzata   degli
 elementi   fondamentali   di   tutti   i  procedimenti  di  controllo
 sull'attivita' e sugli organi della Regione (artt. 125, 126 e  127)",
 sia,  infine,  in  relazione  alla "esclusiva attribuzione alla Corte
 costituzionale dei poteri di risoluzione autoritativa  dei  conflitti
 di  legittimita'  che possono sorgere fra Regione e Stato-persona, di
 cui il Governo e' portavoce unitario (artt. 134 e 127 Cost.)". Ne' il
 richiamo  all'interesse  nazionale  o  ad  altri  interessi  pubblici
 affidati  alla  cura  dello  Stato  potrebbe  comunque   giustificare
 l'attribuzione  allo  stesso  "di  un potere generale e innominato di
 annullamento degli atti amministrativi" senza  limiti  di  materia  o
 condizioni  sostanziali  di  esercizio: dal che l'asserita violazione
 anche dei principi di legalita' e di riserva di legge che regolano  i
 rapporti tra Stato e Regioni.
    2. - Il ricorso e' fondato.
    L'annullamento straordinario previsto dalla disposizione impugnata
 trova il suo antecedente storico diretto nell'art. 6 del Testo  unico
 della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934 n.
 383 (norma, a sua volta, mutuata dall'art. 114 del R.D.  30  dicembre
 1923  n.  2839,  ma gia' presente nei regolamenti di esecuzione della
 legge comunale e provinciale  succedutisi  dopo  il  1865),  dove  si
 attribuiva al Governo "la facolta', in qualunque tempo, di annullare,
 d'ufficio o su denunzia, sentito il  Consiglio  di  Stato,  gli  atti
 viziati da incompetenza, eccesso di potere o violazione di leggi e di
 regolamenti generali o speciali".
    Rispetto   a   tale   precedente  formulazione  la  disciplina  in
 contestazione ha,  peraltro,  introdotto  alcune  novita'  rilevanti:
 riferendo  il  potere  di  annullamento  non al Governo genericamente
 inteso, ma al Consiglio dei ministri;  estendendo  esplicitamente  la
 sua applicazione anche agli atti amministrativi delle Regioni e delle
 Province autonome; prevedendo, in questo caso, accanto al parere  del
 Consiglio  di  Stato,  anche il parere della Commissione parlamentare
 per le questioni  regionali.  Questi  elementi  di  novita'  appaiono
 sufficienti  a  escludere  la  possibilita'  di  configurare la norma
 impugnata - contrariamente a quanto asserito dalla difesa dello Stato
 - come meramente ricognitiva o confermativa di una norma preesistente
 ovvero di un "diritto vivente" gia' da tempo consolidato.
    3.  -  L'esame  della  giurisprudenza  costituzionale  in  tema di
 annullamento governativo previsto dall'art. 6 del  R.D.  n.  383  del
 1934 concorre, d'altro canto, a convalidare tale indicazione.
    Questa Corte, com'e' noto, fin dai primi anni della sua attivita',
 si e' in piu' occasioni occupata di tale potere,  riconoscendone  sia
 l'esclusiva  spettanza  al  Governo  centrale sia la legittimita' nel
 caso in cui venga esercitato, in presenza di un interesse attuale  di
 carattere  generale,  come  strumento  d'intervento  eccezionale  nei
 confronti degli atti dei Comuni e delle Province (sentt.  n.  24  del
 1957;  n.  23  del  1959;  n. 73 del 1960; n. 74 del 1960; n. 128 del
 1963; n. 4 del 1966).
    La  giurisprudenza costituzionale non ha avuto, invece, in passato
 occasione  di  affrontare  in  termini  diretti  il  problema   della
 ammissibilita' di un potere governativo di annullamento straordinario
 nei confronti degli atti amministrativi delle  Regioni,  ordinarie  e
 speciali,  e  delle  Province  autonome:  di talche' tale problema e'
 rimasto sinora, in sede giurisprudenziale, del tutto  impregiudicato,
 mentre  e'  stato  esplicitamente  risolto, in sede legislativa, solo
 attraverso la norma di cui e' causa, formulata  per  la  prima  volta
 nella legge n. 400 del 1988.
    4. - Poste tali premesse, ai fini della soluzione della questione,
 vanno innanzitutto richiamati i principi affermati dalla Costituzione
 a  fondamento  dell'ordinamento  delle  autonomie  territoriali e che
 connotano la stessa forma di Stato italiana come "Stato regionale". A
 tal  proposito, la norma fondamentale - al di' la' delle enunciazioni
 piu'  generali  tracciate  in  tema  di  autonomia  e   decentramento
 dall'art.  5  Cost.  -  puo'  essere individuata nell'art. 115 Cost.,
 secondo cui "le Regioni sono costituite in enti autonomi  con  propri
 poteri  secondo  i  principi  fissati  nella Costituzione": norma ben
 differenziata, nei suoi contenuti, da quella espressa con l'art.  128
 Cost.,  dove  si  qualificano  le  Province  ed  i  Comuni come "enti
 autonomi nell'ambito dei principi fissati  da  leggi  generali  della
 Repubblica,  che  ne  determinano  le  funzioni".  Tale diversita' di
 formulazione mette, pertanto, in luce  la  natura  costituzionale  (o
 politica)   dell'autonomia  regionale,  nonche'  l'attribuzione  alle
 stesse Regioni della qualita' di soggetti non solo amministrativi, ma
 costituzionali,  investiti  tra  l'altro di una funzione quale quella
 legislativa,  tradizionalmente  riservata,  nel  modello   di   Stato
 liberale a impianto centralista, allo Stato-persona.
    La  natura  costituzionale  che  risulta  conferita  all'autonomia
 regionale comporta, come prima conseguenza, che il complesso  sistema
 delle relazioni tra Stato e Regioni debba trovare la sua base diretta
 nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare,  in
 termini  conclusi,  le stesse dimensioni dell'autonomia, cioe' i suoi
 contenuti ed i suoi confini. L'ulteriore  conseguenza  sara'  che  ad
 ogni  potere  di  intervento dello Stato, suscettibile di incidere su
 tale sfera costituzionalmente garantita, in modo da condizionarne  in
 concreto - cosi' come accade con le forme puntuali del controllo - la
 misura e la portata,  non  potra'  non  corrispondere  un  fondamento
 specifico nella stessa disciplina costituzionale.
    5.  -  Tale fondamento specifico - nonostante il richiamo espresso
 nella norma impugnata ad un  fine  generico  di  "tutela  dell'unita'
 dell'ordinamento"  -  non puo' essere reperito per quanto riguarda un
 potere  di  annullamento  generale,  straordinario  e  svincolato  da
 qualunque limite temporale, quale quello di cui e' causa: dal disegno
 costituzionale scaturiscono,  invece,  chiare  indicazioni  contrarie
 all'ammissibilita'  di un potere di questo tipo, anche in riferimento
 alla natura che si intenda riconoscere allo stesso.
    Come  e'  noto,  su  questo  punto,  diverse  sono  state  le tesi
 enunciate, tanto  in  sede  scientifica  che  giurisprudenziale,  con
 riferimento al potere di cui all'art. 6 del R.D. n. 383 del 1934:  da
 quelle che hanno individuato in tale potere  una  forma  speciale  di
 controllo  sugli  atti;  a quelle che ne hanno, invece, avvicinato la
 natura alle forme dell'autotutela e dell'annullamento di  ufficio;  a
 quelle,  infine,  che,  valorizzando  al  massimo la discrezionalita'
 dell'intervento, hanno ricondotto il potere in  parola  all'attivita'
 di  "alta  amministrazione" o di "indirizzo politico". In realta', il
 fatto  che  il  potere  venga  esercitato  da  un  soggetto   esterno
 all'amministrazione  che ha posto l'atto da annullare e nei confronti
 di  atti  comunque  viziati  nella  legittimita'  induce  a  ritenere
 prevalenti,  nella  fattispecie,  le  garanzie della legalita' che si
 ricollegano al controllo di legittimita' sugli atti, pur con tutte le
 connotazioni  speciali  che  tendono  ad  avvicinare il potere stesso
 all'amministrazione attiva,  in  relazione  sia  alla  facoltativita'
 dell'annullamento,  sia all'inesistenza di un limite temporale per il
 suo  esercizio,  sia  all'ampia  discrezionalita'  della  valutazione
 relativa  alla presenza di un interesse attuale di carattere generale
 in grado di giustificare l'intervento straordinario del Governo.
    Se  cosi'  e', il potere in esame non potra' non essere ricondotto
 alla  disciplina   del   controllo   di   legittimita'   sugli   atti
 amministrativi  delle  Regioni  posta dall'art. 125 Cost., disciplina
 che - al pari di quella espressa sempre in tema  di  controlli  negli
 artt.  126  e  127  Cost.  -  viene  a  presentarsi  come tassativa e
 insuscettibile di estensione da parte del legislatore  ordinario,  in
 quanto  posta  a  garanzia di una autonomia compiutamente definita in
 sede costituzionale. Da  qui  l'incompatibilita'  della  disposizione
 impugnata,  dove  si  prevede  un  tipo  particolare  di controllo di
 legittimita' da esercitare in forma accentrata attraverso il Governo,
 con  il  contenuto  normativo  dell'art.  125  Cost., dove si impone,
 invece, che il controllo di legittimita'  sugli  atti  amministrativi
 della  Regione  avvenga  da  parte di un organo dello Stato "in forma
 decentrata".
    6. - La conclusione relativa all'incostituzionalita' del potere in
 esame non potrebbe, d'altro canto, essere  superata  neppure  ove  si
 intendesse   collocare   il   potere   stesso  fuori  dell'ambito  di
 operativita' dell'art. 125 Cost., seguendo le diverse tesi che  hanno
 configurato  l'annullamento  straordinario  o come atto di autotutela
 (legato  all'esigenza   di   preservare   l'unita'   dell'ordinamento
 amministrativo)  o  come  atto di "alta amministrazione" (destinato a
 far prevalere, nel conflitto tra  interessi  locali  e  centrali,  le
 esigenze  connesse all'indirizzo politico nazionale). Nel primo caso,
 infatti,  occorrerebbe  muovere  dall'accettazione  di  una   visione
 monolitica  dell'amministrazione  pubblica - quale quella che risulta
 sottesa alla  stessa  possibilita'  di  impiego  degli  strumenti  di
 autotutela   -   visione  certamente  incompatibile  con  il  disegno
 pluralista tracciato dalla Carta repubblicana,  dove  la  valutazione
 anche politica di larga parte degli interessi locali risulta affidata
 alla competenza delle Regioni e delle Province autonome, con apparati
 distinti  da  quelli  del  Governo  e  dell'amministrazione centrale;
 mentre, nel secondo caso, l'incostituzionalita' deriverebbe dal fatto
 della  previsione  di  un intervento limitativo della sfera regionale
 non d'indirizzo, bensi' specifico e puntuale, intervento  che  -  per
 quanto   avallato   dal   parere  non  vincolante  della  Commissione
 parlamentare per le questioni regionali - si verrebbe  pur  sempre  a
 configurare  come  caratterizzato dal massimo della discrezionalita',
 per il fatto di  essere  facoltativo  e  svincolato  da  qualsivoglia
 tipizzazione dei contenuti o degli interessi generali da affermare in
 sede di adozione del provvedimento demolitorio.
    7.  -  Sotto  qualunque profilo si voglia inquadrare, il potere in
 questione si presenta, dunque, incostituzionale ove venga  esercitato
 nei  confronti  delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle Province
 autonome, in quanto incompatibile con la  natura  stessa  della  loro
 autonomia,  cosi'  come  definita  nel  disegno  tracciato dal titolo
 quinto della parte seconda della Costituzione, derogabile, ma solo in
 termini  piu' favorevoli, per le autonomie speciali. Tale conclusione
 non comporta, peraltro, che gli atti amministrativi di tali enti, ove
 risultino  viziati  nella  legittimita'  possano  godere  - una volta
 superata la soglia dei controlli amministrativi  ordinari  -  di  una
 sorta  di immunita' da forme di sindacato successive all'inizio della
 loro efficacia, suscettibili di condurre all'annullamento  dell'atto:
 tale sindacato, com'e' noto, si potra', infatti, pur sempre attivare,
 oltre che attraverso l'annullamento di ufficio da parte dello  stesso
 ente  che  ha  emesso  l'atto,  attraverso  i  comuni  strumenti  del
 controllo  giurisdizionale  e  del  conflitto  di   attribuzione   da
 sollevare  innanzi  a  questa  Corte,  nel rispetto delle forme e dei
 limiti fissati dalle diverse procedure.