ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge 13
 luglio 1965, n. 836 (Aumento delle indennita' spettanti ai  testimoni
 chiamati a deporre in materia civile e penale, ai consulenti tecnici,
 periti,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite   a
 richiesta   dell'autorita'  giudiziaria  ed  ai  custodi  in  materia
 penale), promossi con le seguenti ordinanze:
    1.  -  Ordinanza emessa il 16 giugno 1986 dal Tribunale di Bologna
 nel procedimento camerale sorto a seguito di incidente di  esecuzione
 promosso  da  Pellicciari  Enrichetta  nel procedimento penale contro
 Mebus Karl,  iscritta  al  n.  617  del  registro  ordinanze  1988  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 46, prima
 serie speciale, dell'anno 1988;
    2.  -  Ordinanza emessa il 16 giugno 1988 dal Tribunale di Bologna
 nel procedimento camerale sorto a seguito di incidente di  esecuzione
 promosso  da  Casadio  Romano  nel  procedimento  penale  relativo al
 decesso di Lombardi Elena, iscritta al n. 618 del registro  ordinanze
 1988  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46,
 prima serie speciale, dell'anno 1988;
    3.  -  Ordinanza emessa il 23 giugno 1988 dal Tribunale di Bologna
 nel procedimento camerale sorto a seguito di incidente di  esecuzione
 promosso  dalla Nuova Centercar s.r.l. nel procedimento penale contro
 Pellati Elena, iscritta al n.  619  del  registro  ordinanze  1988  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 46, prima
 serie speciale, dell'anno 1988;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 22 febbraio 1989 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Bologna,  con tre ordinanze analoghe nel
 contenuto, ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 5 della legge 13 luglio 1965, n. 836 recante: Aumento delle
 indennita' spettanti ai  testimoni  chiamati  a  deporre  in  materia
 civile   e  penale,  ai  consulenti  tecnici,  periti,  interpreti  e
 traduttori per le  operazioni  eseguite  a  richiesta  dell'autorita'
 giudiziaria  ed ai custodi in materia penale (in riferimento all'art.
 103 della Tariffa penale approvata  con  regio  decreto  23  dicembre
 1865,  n.  2701),  in quanto la previsione ivi contenuta del compenso
 per le incombenze di custodia ha contenuti quantitativi  irrisori,  e
 pertanto  la  disposizione risulterebbe in contrasto con gli artt. 3,
 36 e 42 della Costituzione.
   Il  giudice  a  quo  premette  che, proprio per ovviare alla palese
 insufficienza dei compensi previsti nelle disposizioni impugnate,  e'
 invalsa  la  prassi di autorizzare de plano le spese di conservazione
 previste dall'art. 104 della tariffa penale, che fa richiamo agli usi
 locali, onde tentare di compensare adeguatamente il custode.
    Cio'  posto,  viene ritenuto ravvisabile un contrasto con l'art. 3
 Cost. per  essere  la  stessa  prestazione  diversamente  regolata  a
 seconda  che si tratti di sequestro amministrativo, eseguito ai sensi
 dell'art. 13 della legge n. 689 del 24 novembre 1981  e  disciplinato
 dall'art.  12,  terzo  comma,  del  d.P.R. 29 luglio 1982 n. 571, che
 prevede la liquidazione in base  alle  tariffe  vigenti  e  agli  usi
 locali,  o  di sequestro penale nel quale trova applicazione la norma
 impugnata.
    Il  contrasto con l'art. 36 Cost. si avrebbe poi in quanto l'opera
 del custode, che  si  sostanzia  in  una  vera  e  propria  attivita'
 lavorativa,  non verrebbe remunerata in proporzione alla sua qualita'
 e quantita'.
    Circa  il preteso contrasto con l'art. 42 Cost. (profilo sollevato
 solo in una delle tre ordinanze), il giudice a  quo  osserva  che  il
 provvedimento  della Polizia giudiziaria con cui e' stata disposta la
 custodia in autorimessa di un'autovettura in sequestro  penale  e  la
 contestuale   nomina   del  gestore  a  custode,  ha  determinato  un
 sacrificio parziale della utilizzazione del bene; poiche'  quindi  la
 legge  prevede  un  compenso palesemente irrisorio rispetto al valore
 effettivo che l'utilizzazione completa  del  bene  avrebbe  prodotto,
 verrebbe  meno il requisito del "serio ristoro", posto a base di piu'
 sentenze della Corte costituzionale ed in particolare della  sentenza
 n. 5 del 1980.
    2.  -  Ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del Consiglio dei
 ministri,  per  il  tramite  dell'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
 sostenendo  l'inammissibilita' della questione poiche', nella specie,
 troverebbe applicazione proprio quell'art. 104 della  Tariffa  Penale
 che il giudice a quo considera invece applicato a torto.
    In  ogni  modo,  prosegue  l'Avvocatura,  sarebbe  inconferente il
 richiamo all'art. 36 Cost. in quanto il compenso spettante al custode
 attiene  ad  un  incarico di natura pubblicistica che non puo' essere
 assimilato ad un'attivita' lavorativa in senso proprio.
    Ne'  sarebbe  fondato  il  richiamo all'art. 3 Cost., in quanto la
 misura  delle  spese  previste  dal  citato   art.   104   renderebbe
 equivalenti   i   compensi   previsti   per   il  caso  di  sequestro
 amministrativo e per quello di sequestro penale.
    Il   riferimento   all'art.   42   Cost.,   infine,   che  postula
 un'inammissibile  ricostruzione   dell'incarico   di   custode   come
 requisizione  in  uso  dei  locali  in  cui  le cose sequestrate sono
 depositate, presuppone la proprieta' in capo al  custode  dei  locali
 medesimi  e  sarebbe  comunque  da superarsi in ragione della dedotta
 applicabilita' dell'art. 104 della tariffa penale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  ordinanze  in esame sollevano questione di legittimita'
 costituzionale della  medesima  norma;  i  relativi  giudizi  possono
 pertanto essere riuniti e decisi congiuntamente.
    2.  -  Il  Tribunale  di  Bologna,  in  tre  distinti procedimenti
 camerali sorti a seguito  di  incidente  di  esecuzione  promosso  da
 custodi  di  beni  in  sequestro  penale  avverso la liquidazione del
 compenso  loro  spettante  per  l'attivita'  svolta,   ha   giudicato
 rilevante  e  non manifestamente infondata, in riferimento agli artt.
 3,  36  e  42  della  Costituzione,  la  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  5  della  legge 13 luglio 1965 n. 836, che
 determina in lire 300 l'indennita' giornaliera spettante  ai  custodi
 indicati  negli  artt.  102  e 103 della tariffa penale approvata con
 regio decreto 23 dicembre 1865 n. 2701.
    In  ordine  al  primo dei profili indicati, il giudice remittente,
 dopo aver dato atto  che  il  custode  lamenta,  oltre  alla  mancata
 liquidazione  delle  spese  di  recupero e di conservazione dei beni,
 anche  la  irrisorieta'  del  compenso  liquidato  per   la   propria
 attivita',   osserva   che   il   sequestro  penale  e',  sul  punto,
 disciplinato in maniera differente rispetto al  cosiddetto  sequestro
 amministrativo  eseguito ai sensi dell'art. 13 della legge n. 689 del
 24 novembre 1981, in relazione al quale l'art. 12, terzo  comma,  del
 d.P.R.  29  luglio  1982  n. 571 stabilisce che la liquidazione delle
 somme dovute al custode: "e'  effettuata  dalle  autorita'...  tenuto
 conto delle tariffe vigenti e degli usi locali...".
    Se   quindi,   prosegue  il  giudice  a  quo,  una  differenza  di
 trattamento fra chi esercita l'attivita' di custodia in virtu' di  un
 contratto  privato  ed  il  custode di un bene sottoposto a sequestro
 penale potrebbe giustificarsi considerando che quest'ultimo svolge un
 servizio  di  interesse preminentemente pubblico, analoga ragione non
 puo' addursi in ordine a disparita' di  trattamento  fra  custodi  di
 beni  sottoposti  a  sequestro  penale e custodi di beni sottoposti a
 sequestro  amministrativo,  entrambi  svolgendo   un   servizio   che
 interessa la comunita' intera.
    3. - Sotto questo profilo la questione e' fondata.
    Occorre  rammentare  che nella richiamata tariffa penale i custodi
 sono menzionati agli artt. 102 e 103, con riguardo rispettivamente al
 "custode  ai sigilli" ed al "custode agli oggetti" indicati nell'art.
 605 del codice di procedura penale allora vigente (ora art.  344  del
 codice  di  procedura  penale  del 1930; v. pure l'art. 259 del nuovo
 codice di procedura penale del 1988),  e  con  previsione  in  favore
 degli  stessi  di  un'indennita'  giornaliera decrescente in funzione
 della durata dell'incarico, oltre che del  rimborso  delle  spese  di
 conservazione,  da  liquidarsi in conformita' alle tariffe vigenti ed
 agli usi locali, ai sensi dell'art. 104 della citata tariffa  penale.
    Le predette voci della tariffa hanno quindi evidentemente riguardo
 ad entrambe le funzioni in cui si  sostanzia  la  custodia  in  senso
 stretto  e  cioe'  un'attivita'  di  vigilanza,  da  un  lato,  e  di
 conservazione in senso materiale, dall'altro, di stati di fatto o  di
 cose  mobili  in  sequestro  per le esigenze proprie del procedimento
 penale.
    Cio' del resto in conformita' all'art. 626 del codice di procedura
 penale (ed all'art. 48 delle relative disposizioni di attuazione) che
 testualmente  si  riferisce  a  spese  "per la conservazione e per la
 custodia" con espressione che vale ad esplicitare  i  diversi  titoli
 degli oneri relativi.
    In  altri  termini,  come  esattamente  rileva  l'Avvocatura dello
 Stato, il compenso spettante al custode ex  artt.  102  e  103  della
 tariffa  penale  va  distinto dalle spese di conservazione della cosa
 sequestrata, anch'esse da rimborsare ai  sensi  dell'art.  104  della
 tariffa medesima.
    Non  per  questo pero' viene meno la rilevanza della questione nei
 giudizi a quibus, in quanto,  una  volta  che  il  legislatore  abbia
 stabilito il riconoscimento di un'indennita' di custodia distinta dal
 rimborso  delle  spese  di  conservazione,  e  quindi  finalizzata  a
 compensare   l'attivita'   propria   del   custode  quale  incaricato
 dell'esercizio di funzioni a carattere pubblicistico ed investito  di
 responsabilita',  sia  civile  che  penale,  verso le parti private e
 sopratutto verso l'autorita' giudiziaria che lo ha  nominato,  rimane
 comunque  ferma  l'esigenza,  sotto  il  profilo della ragionevolezza
 della norma e quindi della sua legittimita'  costituzionale,  di  non
 assegnare  alla  stessa  un contenuto del tutto irrisorio e puramente
 simbolico, oltreche' ingiustificatamente diverso da altre  situazioni
 sostanzialmente analoghe.
    In  particolare, tra l'attivita' del custode di un bene sottoposto
 a sequestro penale e quella del  custode  di  un  bene  sottoposto  a
 sequestro  amministrativo  non  e' dato riscontrare alcun ragionevole
 motivo che possa  giustificare  il  diverso  regime  oggi  esistente,
 essendo  l'attivita',  in  se' e per se' considerata, ontologicamente
 identica in entrambe le ipotesi.
    Puo'  semmai ulteriormente notarsi che l'incarico in questione non
 solo  da'  luogo  a  responsabilita'  civile  e  penale,  come  prima
 ricordato,  ma  puo'  anche  essere imposto, e l'eventuale rifiuto di
 assumerne le funzioni da' luogo alle sanzioni previste dall'art.  366
 c.p.;  il che rende maggiormente irragionevole la rilevata disparita'
 di trattamento.
    4.  - Riconosciuta fondata la questione con riferimento all'art. 3
 della Costituzione diviene superfluo l'esame  degli  altri  parametri
 invocati.