ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 9 bis, comma
 terzo, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo Unico delle leggi per
 la  composizione  e  la  elezione  degli organi delle Amministrazioni
 comunali), introdotto dall'art. 5 della legge 23  dicembre  1966,  n.
 1147   (Modificazioni   alle   norme   sul   contenzioso   elettorale
 amministrativo), promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1988 dal
 Tribunale di Lecce nel procedimento civile vertente tra Viva Ubaldo e
 Rugge Liberato ed altro, iscritta al n. 729  del  registro  ordinanze
 1988  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50,
 prima serie speciale, dell'anno 1988;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8  marzo 1989 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza 10 ottobre 1988, il Tribunale di Lecce sollevava
 questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9  bis,  comma
 terzo, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo Unico delle leggi per
 la composizione e la  elezione  degli  organi  delle  Amministrazioni
 comunali) con riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, nella
 parte  in  cui,  consentendo  il  ricorso   immediato   all'Autorita'
 giudiziaria  ordinaria,  priverebbe  l'eletto  della  facolta' di far
 cessare la causa  di  decadenza  dalla  carica  elettiva,  una  volta
 decorso il termine di cui all'ultimo comma dell'art. 6 della legge 23
 aprile  1981,  n.  154  (Norme  in  materia  di  ineleggibilita'   ed
 incompatibilita'  alle cariche di consigliere regionale, provinciale,
 comunale e circoscrizionale, e in materia di  incompatibilita'  degli
 addetti al Servizio sanitario nazionale).
    Osservava,  infatti,  l'ordinanza  (in relazione ad un ricorso, ex
 art. 9 bis citato, proposto da un cittadino elettore per ottenere  la
 decadenza dalla carica di Consigliere comunale di un dipendente della
 Unita'  Sanitaria  Locale  pluricomunale),  che  tale  procedura,  di
 ricorso   diretto   all'Autorita'  giudiziaria  ordinaria,  priva  il
 cittadino eletto della possibilita' di avvalersi del maggior  termine
 della  piu'  ampia  tutela prevista nella procedura amministrativa di
 cui all'art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154.
    Va  precisato  che  il  dipendente U.S.L. era venuto a trovarsi in
 situazione di ineleggibilita' a seguito della  sentenza  17  febbraio
 1987   n.   43   di   questa   Corte,   che  aveva  esteso  la  causa
 d'ineleggibilita', prevista dall'art. 2 n. 8 della  citata  legge  n.
 154  del  1981 limitatamente a coloro che, facendo parte dell'ufficio
 di  direzione  dell'unita'  sanitaria   o   essendone   coordinatori,
 dipendevano  da  U.S.L. coincidente con il territorio del Comune o in
 esso ricomprese, anche a chi si trovava nelle  stesse  condizioni  in
 U.S.L. "pluricomunali".
    In  relazione  all'effetto retroattivo della sentenza della Corte,
 il consigliere colpito da causa d'ineleggibilita' sopravvenuta  aveva
 tempo  dieci  giorni  per  farla  cessare,  a  far  epoca  dal giorno
 successivo  alla  pubblicazione  della  sentenza;  e  cio'  a'  sensi
 dell'ultimo comma dell'art. 6 della legge n. 154 del 1981.
    Nella  specie il consigliere, probabilmente confidando nel maggior
 termine   proprio    della    procedura    amministrativa    affidata
 all'iniziativa  del  Consiglio  comunale  (peraltro  in  questo  caso
 nemmeno esercitata), aveva fatto cessare la  causa  d'ineleggibilita'
 soltanto  molti mesi dopo, quando il 1› dicembre 1987 si era dimesso,
 e quando, percio', erano scaduti i dieci giorni concessi dall'art.  6
 della legge n. 154 del 1981.
    Secondo  il  giudice  rimettente,  una siffatta situazione, da una
 parte, poneva  in  condizioni  deteriori  chi  veniva  colpito  dalla
 procedura  diretta  rispetto  a coloro che potevano fruire della piu'
 ampia  tutela  concessa  dalla  procedura  amministrativa   (art.   3
 Costituzione),  e,  dall'altra,  offendeva  anche il principio di cui
 all'art. 51 della Costituzione, dato che proprio  a  quest'ultimo  si
 sarebbe  ispirata  la  legge  n.  154  del 1981 disciplinando la piu'
 garentistica procedura di cui all'art. 7.
    2. - Interveniva nel giudizio innanzi a questa Corte il Presidente
 del Consiglio dei ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  Generale
 dello  Stato,  la  quale  presentava  innanzitutto  tre  eccezioni di
 inammissibilita' della sollevata questione.
    Secondo  la  prima,  la  questione  sarebbe  irrilevante  a  causa
 dell'efficacia  retroattiva  della  sentenza  di  questa  Corte   che
 porrebbe  il consigliere in condizioni di ineleggbbilita' originaria,
 e percio' non piu' rimediabile. Le cause d'ineleggibilita',  infatti,
 devono essere rimosse prima che la candidatura venga presentata.
    La   seconda   questione   d'inammissibilita'   si   fonda   sulla
 sopravvivenza, o meno, della  procedura  diretta  popolare,  dopo  la
 sopravvenienza della legge n. 154 del 1981. L'Avvocatura si riferisce
 a contrastante giurisprudenza in proposito della Corte di Cassazione,
 ma  mostra  di  aderire  ad  una  corrente  che  -  secondo  l'avviso
 dell'Avvocatura   -   indicherebbe   nella   pregiudizialita'   della
 contestazione  amministrativa  il  presupposto  che legittimerebbe il
 ricorso alla procedura ex art. 9 bis, comma terzo, del D.P.R. n.  570
 del 1960.
    La terza eccezione, infine, riguarda l'asserita impossibilita' per
 la Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale del  comma  in
 contestazione,  in  quanto  la Corte dovrebbe allora conseguentemente
 provvedere alla statuizione di un vero e  proprio  sistema  normativo
 per  consentire  al  consigliere  chiamato in causa di rimuovere - se
 creda - la causa d'ineleggibilita': il che e'  peculiare  prerogativa
 dei poteri del legislatore.
    Nel  merito, ritiene l'Avvocatura che i due procedimenti non sieno
 fra  loro  comparabili,  o  che,  comunque,   non   vi   sia   alcuna
 incompatibilita'  fra  art.  51  della Costituzione e procedimento ex
 art. 9 bis in esame;
    Chiedeva,   percio',  che,  in  subordine,  la  questione  venisse
 dichiarata infondata.
    3.  -  L'ordinanza  e'  stata ritualmente comunicata, notificata e
 pubblicata senza che la parte privata si sia costituita.
                         Considerato in diritto
   1.   -   L'ordinanza   di   rimessione  dubita  della  legittimita'
 costituzionale del procedimento diretto popolare previsto nell'art. 9
 bis,  comma  terzo,  del  D.P.R.  16  maggio 1960, n. 570, introdotto
 dall'art. 5 della legge 23 dicembre 1966 n. 1147,  con  il  quale  si
 consente    a   qualunque   cittadino   di   ricorrere   direttamente
 all'Autorita'   giudiziaria   ordinaria   per   far   valere    cause
 d'ineleggibilita'  o  d'incompatibilita' che viziano la permanenza in
 carica dei consiglieri comunali.
    Secondo  il  giudice rimettente l'illegittimita' di tale procedura
 deriverebbe innanzitutto  dall'art.  3  della  Costituzione,  perche'
 verrebbe  a privare il consigliere della maggiore e piu' garentistica
 tutela inerente al procedimento amministrativo ex art. 7 della  legge
 n.  154  del  1981,  di  cui  viene avvantaggiato chi a quest'ultimo,
 anziche' al primo, sia sottoposto. E, in secondo luogo,  anche  dalla
 incompatiblita'  del  procedimento  ex art. 9 bis con il principio di
 cui all'art. 51 della Costituzione che, facendo  dell'ineleggibilita'
 un'eccezione,  intende  rendere il piu' possibile rimovibili le cause
 che impediscono al cittadino  l'elettorato  passivo,  cosi'  come  e'
 nello spirito della successiva legge n. 154 del 1981.
    L'Avvocatura  generale,  come  si  e' visto, ha eccepito tre cause
 d'inammissibilita' della questione, e si e' dichiarata  comunque  per
 l'infondatezza nel merito.
    2. - Vanno esaminate innanzitutto le eccezioni d'inammissibilita'.
    Quanto   alla  prima,  va  rilevato  che  il  Consigliere  qui  in
 contestazione al momento della sua elezione  non  versava  in  alcuna
 causa  d'ineleggibilita',  in  guisa che, non solo si e' svolto senza
 difetti il  rapporto  elettorale,  ma  esso  poi  si  e'  concluso  e
 consolidato  nella  convalida  dell'elezione, pronunziata con formale
 delibera consiliare.
    Risulta, altresi', che, a seguito del ricorso di vari elettori del
 Comune, fra cui lo stesso Viva Ubaldo,  nuovamente  oggi  ricorrente,
 l'Autorita'  giudiziaria  si  era  gia'  pronunziata  sul punto della
 pretesa ineleggibilita' del dott. Rugge, rigettando  il  ricorso  con
 sentenza n. 1332 del 1985 dello stesso Tribunale di Lecce, passata in
 giudicato.
    Probabilmente proprio in considerazione del giudicato, l'ordinanza
 considera  la   sentenza   della   Corte   (estensiva   della   causa
 d'ineleggibilita'  di cui all'art. 2 n. 8 della legge n. 154 del 1981
 anche alla situazione nella quale versava il dott. Rugge) quale causa
 sopravvenuta.  Infatti,  anche  a  tenere  conto della retroattivita'
 della  sentenza,  essa  comunque  non  potrebbe  mai  distruggere  il
 giudicato,  e  percio'  potrebbe  al piu' spiegare i suoi effetti dai
 momenti successivi, allorquando il dott. Rugge, reso edotto della sua
 ineleggibilita'  dalla  sentenza della Corte, avrebbe potuto e dovuto
 rimuoverne la causa.
    Nel  caso  di  specie,  infatti,  non  e'  l'erronea  opinione del
 cittadino che considera conforme a Costituzione la legge che tale non
 era,   ma   e'  una  sentenza  passata  in  giudicato  dell'Autorita'
 giudiziaria che consolida in situazione di liceita' la posizione  del
 cittadino.
    E'  esclusa,  quindi,  l'inammissibilita'  della  questione  sotto
 questo primo profilo.
    Per  quanto  concerne  la  seconda  eccezione,  va rilevato che il
 giudice  a  quo  ha  esercitato  la  sua  scelta  nella  contrastante
 giurisprudenza relativa alla coesistenza, o non, delle due procedure,
 ed ha proposto la questione di  legittimita'  costituzionale  proprio
 sul  presupposto  dell'alternativita'  dei  due procedimenti. D'altra
 parte, non sembra che la sentenza della Corte di Cassazione riportata
 nell'atto di intervento a p. 9 (18 febbraio 1982 n. 1020) contraddica
 la tesi del Tribunale di Lecce: che', anzi, vi si dice  che  l'azione
 popolare  non  e'  incompatibile  con il procedimento amministrativo,
 riguardando l'ipotesi che quest'ultimo non vi  sia  stato  o  si  sia
 concluso con deliberazione negativa di conferma del consigliere nella
 carica.
    Nemmeno  sotto  questo  riflesso  e',  percio', ravvisabile alcuna
 causa di inammissibilita'.
    Infine,  la terza ed ultima eccezione appare priva di consistenza.
    Qualora,  infatti,  venisse  accolta  la  richiesta  di dichiarare
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9  bis,  terzo  comma,  del
 D.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570,  cui  si riferisce il dispositivo
 dell'ordinanza, il procedimento popolare giurisdizionale  cadrebbe  e
 resterebbe  in  vita  soltanto  quello  amministrativo,  disciplinato
 dall'art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154; procedimento  legato,
 peraltro,  ad  un'ulteriore  fase  giurisdizionale  eventuale qualora
 fosse dichiarata la decadenza del consigliere. La decisione di questa
 Corte,   percio',   avrebbe   carattere  meramente  ablativo,  e  non
 postulerebbe alcuna additiva sistematica: i poteri discrezionali  del
 legislatore non sarebbero, percio', messi in pericolo.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Nell'attuale  sistema della legge l'eletto non e' privato di alcun
 vantaggio, e  non  esiste,  percio',  alcuna  lesione  dei  parametri
 invocati.
    Quando  si  verifica,  infatti,  la sopravvenienza di una causa di
 ineleggibilita' o di incompatibilita', vi  sarebbe  stata  offesa  ai
 principi se il legislatore avesse previsto semplicemente l'automatica
 decadenza dell'eletto. A questi,  invece,  e'  data  possibilita'  di
 rimuovere  la  causa  inficiante,  ed entro un termine che appare del
 tutto ragionevole, attesoche' si tratta soltanto di presentare  delle
 dimissioni:  com'e'  appunto  nel  caso  di specie, dove non sussiste
 ragione  alcuna  perche'  l'eletto  debba   continuare   a   detenere
 nell'U.S.L.,  di  cui il Comune dov'egli e' consigliere e' partecipe,
 una carica direttiva. I dieci giorni concessi dall'art. 6 della legge
 n.  154  del  1981,  dal momento in cui la causa si e' concretizzata,
 sono piu' che sufficienti per compiere un atto cosi' semplice.
    Il   quale,  poi,  e'  un  atto  assolutamente  doveroso.  A  tale
 proposito, va rilevato che l'eletto, lungi dall'essere  svantaggiato,
 e'  stato  ampiamente  avvantaggiato  nei  confronti  di  coloro che,
 trovandosi in condizioni del tutto analoghe, si sono dovuti dimettere
 addirittura  prima della presentazione delle candidature nell'ipotesi
 della causa di ineleggibilita' (come nella  specie),  o  subito  dopo
 l'elezione  per  il  caso  dell'incompatibilita'.  Egli, pertanto, ha
 potuto nella specie fruire durante la campagna elettorale  di  quella
 posizione di privilegio che la legge giustamente negava agli altri, e
 che successivamente il giudice delle leggi ha  riconosciuto  che  non
 sarebbe  spettata  nemmeno  a lui. Ciononostante, per le ragioni gia'
 illustrate, gli viene consentito di  sanare  la  conseguita  elezione
 rimuovendo, entro un termine congruo, la causa inficiante, almeno dal
 momento in cui essa si e' resa ormai evidente.
    Effettivamente   c'e'   anche   il   procedimento  amministrativo,
 disciplinato dall'art. 7, che, di fatto, proroga il termine entro cui
 l'eletto   e'  tenuto  ad  eliminare  le  cause  d'ineleggibilita'  o
 d'incompatibilita'. Ma si tratta di un procedimento sicuramente utile
 per  chiarire  i  casi dubbi, dato che l'eletto ha la possibilita' di
 presentare le sue osservazioni e di  ottenere  una  finale  convalida
 dalla deliberazione del Consiglio: l'eletto, pero', lo affronta a suo
 rischio, qualora abbia ritenuto di non osservare il  termine  di  cui
 all'art.  6  della  legge,  e  potra',  comunque,  semmai provvedervi
 davanti al giudice ordinario se  il  Consiglio  pronunciasse  la  sua
 decadenza.
    In   realta',   e'   proprio   in   considerazione   di  possibili
 condiscendenze da parte di maggioranze consiliari benevole che, o non
 assumono  alcuna iniziativa o, se sollecitate a farlo, la risolvono a
 favore dell'eletto, il legislatore non  ha  abrogato  l'art.  9  bis,
 inserito  nel  D.P.R. n. 570 del 1960 dall'art. 5 della legge n. 1147
 del 1966: e cio' benche' fosse stato  prodigo  di  abrogazioni,  come
 appare  dall'art.  10 della legge n. 154 del 1981, che al n. 2 abroga
 di quel decreto ben 6 articoli, oltre ad altri dieci di leggi varie e
 a ben due intere leggi.
    Ed e' molto significativo che l'iniziativa dell'azione diretta, ex
 art. 9 bis, sia concessa non soltanto a qualsiasi cittadino  elettore
 di  quel  comune,  ma anche al Prefetto (art. 9 bis, quarto comma): a
 testimoniare quanto interest rei publicae che le elezioni si svolgano
 in  condizioni  di  parita'  per tutti, e che siano garantiti il buon
 andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione pubblica.
    Non  dunque  certo l'art. 9 bis del decreto impugnato puo' essere,
 comunque, ritenuto lesivo  dei  parametri  invocati.  D'altra  parte,
 quand'anche  fosse  stata  esatta la doglianza concernente la perdita
 del beneficio del maggior  termine,  sarebbe  semmai  l'ultimo  comma
 dell'art.  6  della legge n. 154 del 1981 a rappresentare l'autentico
 ostacolo al godimento di quel piu' ampio spazio  temporale:  articolo
 peraltro non impugnato.