ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  promosso con ricorso della Regione Toscana, notificato
 il 2 marzo 1989,  depositato  in  Cancelleria  il  9  marzo  1989  ed
 iscritto  al  n.  4  del  registro  ricorsi  1989,  per  conflitto di
 attribuzione  sorto  a  seguito   della   richiesta   per   citazione
 direttissima  del  Procuratore  della  Repubblica  di  Firenze  del 5
 gennaio 1989, per l'udienza  del  3  marzo  1989  nei  confronti  del
 Consigliere regionale prof. Rinaldo Innaco;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1989 il Giudice relatore
 Ettore Gallo;
    Uditi  l'avvocato Giuseppe Stancarelli per la Regione e l'Avvocato
 dello Stato Ivo M. Braguglia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso 27 febbraio 1989, la Regione Toscana sollevava
 conflitto di attribuzione nei confronti del  Governo  "in  relazione"
 all'attivita'  del  Procuratore  della Repubblica di Firenze. Questi,
 infatti, con decreto 5 gennaio 1989, aveva ordinato, fra  gli  altri,
 al  Consigliere  regionale  Rinaldo  Innaco di presentarsi davanti al
 Tribunale di Firenze, Sezione promiscua,  all'udienza  penale  del  3
 maggio  1989  per  essere  giudicato  in  via  direttissima.  Gli  si
 contestava il delitto di cui agli articoli 585, comma I e III  codice
 penale  e  13  legge  8  febbraio  1948 n. 47 per avere consegnato al
 giornalista Gherardeschi del quotidiano "La Nazione"  di  Firenze  il
 testo  di una interrogazione da lui presentata alla Giunta regionale:
 testo che il giornalista pubblicava il 2 agosto 1988  in  cronaca  di
 Prato del predetto giornale, e nel quale si accusava il dott. Ferone,
 reggente dell'Ufficio IVA di Prato, di condotta  immobilistica  e  di
 comportamento arbitrario, e cosi' diffamandolo.
    In  realta',  l'interrogante  chiedeva  di  conoscere se la Giunta
 regionale fosse al corrente  delle  gravi  preoccupazioni  economiche
 della  zona  del  pratese, che vedeva accresciuta la sua gia' critica
 situazione dalla lentissima gestione dei  rimborsi  I.V.A.  da  parte
 dell'Ufficio  statale competente. Infatti, delle circa 3.300 pratiche
 giacenti, fra rimborsi annuali del 1987 e trimestrali del  1988,  per
 un  complessivo importo di lire 138 miliardi, ne erano state esaurite
 appena 390 per complessive lire  13  miliardi:  sicche'  all'economia
 della  zona  mancavano  125 miliardi che avevano gettato lo sconcerto
 fra i contribuenti. Ciononostante il titolare dott. Ferone,  che  era
 stato  assegnato ad altro ufficio di Firenze, non passava le consegne
 al funzionario che doveva sostituirlo all'Ufficio I.V.A. di Prato, in
 quanto  asseriva  di  essere  ammalato  con  una prognosi di quaranta
 giorni. Chiedeva, percio', l'interrogante  se  la  Giunta  intendesse
 assumere   le   opportune   iniziative   del   caso  per  sollecitare
 provvedimenti atti ad assicurare un rapido espletamento dei rimborsi,
 anche verificando l'autenticita' della malattia.
    2. - Lamentava la Regione nel ricorso la violazione dell'art. 122,
 IV  comma,  della  Costituzione  in  quanto  il   Procuratore   della
 Repubblica  chiamava il Consigliere regionale a rispondere penalmente
 di un atto, quale l'interrogazione, che il Consigliere aveva compiuto
 nell'esercizio   della   sua  pubblica  funzione  di  componente  del
 Consiglio regionale, e percio' in condizioni di insindacabilita'. Sul
 punto  veniva richiamata nel ricorso giurisprudenza di questa Corte e
 della  Corte  di   Cassazione,   nonche'   dottrina   penalistica   e
 costituzionalistica.
    A   conclusione   del  ricorso,  chiedeva  la  Regione  che  fosse
 dichiarato il difetto di giurisdizione dell'Autorita' giudiziaria  ad
 accertare  la  penale responsabilita' del Consigliere regionale per i
 fatti di cui alla citazione del Procuratore della  Repubblica  del  5
 gennaio 1989, annullando gli atti processuali del detto procedimento.
    3.  -  Pubblicata,  comunicata  e  notificata,  secondo  il  rito,
 l'ordinanza de qua, con atto 21 marzo 1989 si costituiva nel giudizio
 innanzi  a  questa  Corte  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato.
 Nell'atto  stesso,  l'Avvocatura Generale eccepiva l'inammissibilita'
 del  ricorso  perche'  proposto  in   relazione   all'attivita'   del
 Procuratore  della Repubblica di Firenze, "che non concreta esercizio
 di potere  giurisdizionale",  trattandosi  di  semplice  promovimento
 dell'azione penale.
    Successivamente, con memoria 26 aprile 1989, l'Avvocatura Generale
 rilevava che il privilegio stabilito nell'art. 122, IV  comma,  della
 Costituzione  ha  natura  sostanziale,  come  affermato  anche  dalla
 giurisprudenza della Corte di  Cassazione:  il  che  comporta  che  i
 Consiglieri   regionali  sieno  bensi'  sottratti,  nelle  situazioni
 previste, all'esercizio del potere giurisdizionale ma non ad atti del
 processo  che non comportino ancora quell'esercizio. Tant'e' vero che
 i Consiglieri regionali non godono nemmeno della garenzia che  l'art.
 68,  II comma, prevede invece per i membri del Parlamento. Del resto,
 la sentenza di  questa  Corte,  citata  nel  ricorso  della  Regione,
 riguarda appunto - continua l'Avvocatura - un conflitto sollevato nei
 confronti del Giudice istruttore. E di cio' si sarebbe resa conto  la
 stessa  Regione  ricorrente,  che  ha,  infatti,  concluso  chiedendo
 declaratoria   di   "difetto    di    giurisdizione    dell'Autorita'
 giudiziaria":  conclusione  coerente  con  il  sistema  ma non con il
 presente conflitto sollevato nei confronti  del  pubblico  ministero,
 che  organo  giurisdizionale  non  e'. Ma - secondo l'Avvocatura - il
 ricorso e' anche infondato nel merito.
    L'imputazione,  infatti  -  si  osserva  -  non e' quella di avere
 formulato l'interrogazione, ma bensi' di essere concorso nel reato di
 diffamazione, commesso poi dal giornalista, per avergli consegnato il
 testo dell'interrogazione stessa: e quest'ultimo atto, posto  a  base
 dell'imputazione,   non   potrebbe  essere  fatto  rientrare  tra  le
 "funzioni" dei Consiglieri regionali di cui al  IV  comma,  dell'art.
 122 Costituzione.
    E'  ben  vero  -  si  soggiunge  -  che  poi un tale comportamento
 sarebbe,  comunque,   scriminato   dalla   pubblicita'   dei   lavori
 parlamentari, ma - precisa l'Avvocatura - questa sarebbe causa di non
 punibilita' diversa dalla precedente,  cosi'  come  opina  la  stessa
 dottrina  citata dalla Regione, la' dove appunto e' stato scritto che
 "...e' una scriminante che si fa risalire piu' alla  pubblicita'  dei
 lavori  parlamentari,  sancita  sin dall'Editto sulla stampa, che non
 alla funzione del parlamentare...".
    Il  che  -  dice  l'Avvocatura  -  e'  questione  di merito che va
 accertata dal giudice, senza  che  cio'  implichi  invasivita'  delle
 competenze della Regione Toscana, costituzionalmente garentite.
    All'udienza,  il  relatore  dava  atto che, con sentenza 14 aprile
 1989, il Tribunale di Firenze aveva frattanto assolto il  Consigliere
 regionale  perche'  non  punibile  avendo, mediante l'interrogazione,
 compiuto atto  insindacabile  della  sua  pubblica  funzione,  ed  il
 giornalista per avere agito nell'esercizio del diritto di cronaca. La
 sentenza e' passata in giudicato il 14 maggio 1989.
    Le parti hanno insistito nelle loro conclusioni.
                         Considerato in diritto
    1.  - Lamenta la Regione Toscana, mediante il sollevato conflitto,
 che la giurisdizione sia stata chiamata a conoscere  della  rilevanza
 penale  di  un  atto,  l'interrogazione,  che  un  suo Consigliere ha
 compiuto nell'esercizio delle  sue  funzioni  insindacabili,  coperte
 dalla  tutela costituzionale di cui all'art. 122, quarto comma, della
 Costituzione.
    Eccepisce l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del
 Presidente del Consiglio dei Ministri, l'inammissibilita' del ricorso
 perche'  proposto  in  relazione  all'attivita' del Procuratore della
 Repubblica, che non concreta  esercizio  di  potere  giurisdizionale,
 trattandosi   di   semplice   promuovimento  dell'azione  penale.  Si
 sostiene, infatti, che l'insindacabilita' sancita nel citato art. 122
 della  Costituzione  ha  natura  sostanziale,  e percio' non potrebbe
 essere sottratta ad atti  del  processo  che  non  comportino  ancora
 esercizio del potere giurisdizionale.
    In  ogni  caso, secondo l'Avvocatura, il ricorso sarebbe infondato
 anche nel merito  perche'  al  Consigliere  regionale  non  e'  stato
 contestato alcun atto delle sue funzioni come elemento del delitto di
 diffamazione.  Spetta,  quindi,  alla  giurisdizione  conoscere   del
 comportamento del Consigliere regionale.
    2.  -  Come  si e' detto, con sentenza divenuta irrevocabile il 14
 maggio 1989, il Tribunale di Firenze ha assolto il Consigliere Innaco
 dall'imputazione mossagli perche' il fatto non costituisce reato.
    Si   e'   cosi'  esaurita  l'azione  penale  intentata  contro  il
 Consigliere  regionale,  con  la  conseguenza  che  il  conflitto  di
 attribuzione   sorto  nei  confronti  dell'attivita'  inquirente,  in
 relazione ad una citazione per direttissima, non e' piu' sorretto  da
 un interesse attuale.
    Da  cio'  consegue  la  pronuncia  d'inammissibilita' del proposto
 conflitto.