ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, nn. 2, 3 e
 4, e 40 della legge 17 agosto  1942,  n.  1150  (Legge  urbanistica);
 dell'art.  2,  comma  primo,  della  legge  19 novembre 1968, n. 1187
 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica del 17 agosto 1942,
 n.  1150),  promosso  con ordinanza emessa il 26 gennaio 1989 dal TAR
 della Lombardia nel ricorso proposto dalla  S.p.a.  Magic  contro  il
 Comune  di  Busto  Arsizio  ed altra, iscritta al n. 294 del registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto l'atto di costituzione della S.p.a. Magic, nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  novembre  1989  il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi gli avvocati Carlo L. Scrosati e Annarosa Corselli per S.p.a
 Magic e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  TAR  per la Lombardia, adito in sede di ricorso avverso
 l'adozione di una variante al piano regolatore generale che reiterava
 un vincolo (a "verde quartierale urbano"), scaduto per decorrenza del
 termine quinquennale di efficacia, ha  dubitato,  in  relazione  agli
 artt.  3  e  42,  comma terzo, della Costituzione, della legittimita'
 costituzionale degli artt. 7 nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto
 1942, n. 1150 e art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n.
 1187 nella parte in cui, consentendo il potere  di  reiterazione  del
 vincolo,   renderebbero  possibile  una  limitazione  sostanzialmente
 espropriativa senza la corresponsione di alcun indennizzo.
    Il  giudice a quo ritiene di poter sollevare d'ufficio la predetta
 questione  in  quanto  le  norme  sospettate  di  incostituzionalita'
 risulterebbero   coinvolte  nelle  doglianze  che  la  ricorrente  ha
 avanzato, sia pure al diverso fine di denunciare il cattivo esercizio
 del  potere  pianificatorio  (per  sviamento dalla causa tipica e per
 difetto di motivazione).
    Ad  avviso  del tribunale rimettente la temporanea efficacia della
 limitazione   apposta    alla    proprieta',    incidendo    soltanto
 sull'esercizio  del  potere amministrativo, non potrebbe dimensionare
 la potesta' di pianificazione territoriale, in  grado  di  riprodurre
 indeterminatamente - perdurando il sottostante interesse pubblico - i
 vincoli  decaduti  e  di  creare,  pertanto,  quella  situazione   di
 incertezza  che  il  citato  art.  2  della legge n. 1187 del 1968 ha
 invece cercato di eliminare in ossequio alla sentenza n. 55 del 1968.
 La   reiterazione,   determinerebbe,   dunque,   "una  continuita'  e
 perpetuita'  di  regime  vincolistico  della  proprieta',   tale   da
 risolversi  in una limitazione sostanzialmente espropriativa senza la
 corresponsione di alcun indennizzo".
    Ne'  potrebbe ritenersi che di fronte a tale effetto espropriativo
 la  salvaguardia  delle  posizioni  dei  privati  sarebbe  egualmente
 assicurata   dal  sindacato  giurisdizionale  sulla  motivazione  del
 provvedimento che ha  reiterato  il  vincolo:  difatti,  a  parte  la
 considerazione  che  tale sindacato dovrebbe comunque arrestarsi alle
 soglie del merito urbanistico, va considerato che la motivazione puo'
 solo   legittimare   il   concreto   esercizio   del   potere  e  non
 condizionarlo, quando, come nel caso in esame, il potere  non  appaia
 conforme ai precetti costituzionali.
    Un  ulteriore  profilo  di incostituzionalita' viene poi ravvisato
 nella ingiustificata disparita' di  trattamento  che  si  verrebbe  a
 determinare  tra  il  titolare  del  bene per il quale il vincolo sia
 decaduto, che non  potra'  edificare  se  non  nei  ristretti  limiti
 individuati   dalla   giurisprudenza   amministrativa,  e  il  vicino
 proprietario di un terreno non colpito  da  vincoli  che  beneficera'
 invece  della  maggiore  volumetria  consentita  dalle  previsioni di
 piano.
    2.  - Si e' costituita la parte ricorrente nel giudizio a quo che,
 nel rilevare come nel caso di specie il  vincolo  di  destinazione  a
 "verde  quartierale urbano" era stato gia' imposto con una precedente
 variante adottata nel gennaio del 1975 ed approvata  nel  maggio  del
 1978,   ha   sostanzialmente   aderito   alle  argomentazioni  svolte
 nell'ordinanza di rimessione.
    Ha  in particolare osservato che l'equivalenza tra temporaneita' e
 costituzionalita' del vincolo e' valida a condizione che  il  vincolo
 sia   effettivamente   temporaneo.  Quando,  viceversa,  mediante  la
 reiterazione, lo stesso si protrae nel tempo,  l'equivalenza  non  e'
 piu'  sostenibile,  con  la conseguenza che se, da un lato, il potere
 pianificatorio non puo' subire limitazioni,  dall'altro,  il  vincolo
 protratto  oltre  il  suo  limite temporale deve essere indennizzato.
 Solo in tal modo, infatti, i principi posti da questa  Corte  con  la
 sentenza n. 55 del 1968 risulterebbero rispettati.
    3.  - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto per il
 tramite dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  preliminarmente
 eccepito l'inammissibilita' della questione sotto un duplice profilo.
 Il primo attinente all'irrilevanza delle censure di illegittimita' ai
 fini della pronuncia sui motivi del ricorso: la parte avrebbe infatti
 prospettato soltanto vizi attinenti al cattivo esercizio del potere e
 non   all'incostituzionalita'   della   sua   esistenza.  Il  secondo
 concernente la pronuncia additiva richiesta dal giudice a  quo,  che,
 comportando  l'introduzione di nuove regole sostanziali e procedurali
 e, quindi  di  scelte  discrezionali,  rientrerebbe  nella  sfera  di
 esclusiva competenza del legislatore.
    Nel   merito,  l'interveniente  ha  poi  sostenuto  che  non  puo'
 dubitarsi  della  legittimita'  costituzionale  di   un   potere   di
 reiterazione  del  vincolo,  dal momento che il diritto di proprieta'
 risulta subordinato a quelle esigenze di utilita' generale  che,  nel
 campo urbanistico, ben possono esprimersi attraverso l'apposizione di
 un nuovo vincolo. D'altra parte, per quanto attiene alle garanzie che
 assistono il diritto dominicale, si dovrebbe ritenere - in analogia a
 quanto gia' affermato da questa  Corte,  relativamente  alla  proroga
 legale del termine di efficacia quinquennale (sent. n. 92 del 1982) -
 che, nell'ipotesi di rinnovazione  del  vincolo,  mediante  esercizio
 della  potesta'  amministrativa, la garanzia della proprieta' risieda
 esclusivamente   nel   sindacato   di   legittimita'   del    giudice
 amministrativo.
    Per  quanto  riguarda infine l'eventuale disparita' di trattamento
 tra la ridotta edificabilita' di cui puo' godere il proprietario  del
 bene  sottoposto  a  vincolo  scaduto  ed  il proprietario del vicino
 immobile non  sottoposto  a  vincolo,  l'Avvocatura  osserva  che  la
 diversita'  dipenderebbe  dal  fatto  che, mentre nel secondo caso la
 proprieta'  risulta  gia'  conformata  dall'atto  di   pianificazione
 urbanistica,  nel  primo, tale conformazione dovra' invece rinnovarsi
 essendo i comuni obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico che
 copra l'intero territorio nazionale, e potendo il privato, in caso di
 loro inerzia, promuovere interventi sostitutivi ovvero agire in  sede
 giurisdizionale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  E' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150
 e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968 n. 1187 nella parte in
 cui,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  consentono   alla   pubblica
 amministrazione  di reiterare, senza la corresponsione di indennizzo,
 il  vincolo  urbanistico  di  natura  espropriativa  su  di  un  bene
 determinato, decaduto per l'inutile decorso del termine di efficacia.
    L'ordinanza di rinvio considera tale eventualita' in contrasto con
 l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in  quanto  sottoporrebbe
 singoli  beni,  cosi'  discriminandone  l'utilizzabilita' rispetto ad
 altri  beni  aventi  le  stesse   caratteristiche,   ad   un   regime
 vincolistico  indeterminato  nel  tempo,  tale  da  risolversi in una
 limitazione  della  proprieta'  sostanzialmente  espropriativa  senza
 indennizzo.
    Il  sistema,  inoltre,  contrasterebbe  anche  con  l'art. 3 della
 Costituzione, creando una ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 tra  il  proprietario dell'area sottoposta al vincolo ormai decaduto,
 che non potra' edificare se  non  nei  ristretti  limiti  individuati
 dalla  giurisprudenza amministrativa, ed il vicino proprietario di un
 terreno non colpito da vincoli che potra' beneficiare, invece,  della
 maggiore volumetria consentita dalle previsioni di piano.
    2.   -   Vanno   preliminarmente   disattese   le   eccezioni   di
 inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura dello Stato.
   Quanto  alla  asserita  irrilevanza delle censure di illegittimita'
 costituzionale ai fini della pronuncia sui  motivi  del  ricorso,  va
 osservato  come  non  possa dubitarsi (sent. n. 38 del 1969 e ord. n.
 780 del 1988) dell'ammissibilita' di questioni attinenti a  leggi  di
 cui il giudice a quo debba fare diretta applicazione nell'esame delle
 censure  contenute  nei  motivi  del  ricorso,  ipotesi  questa   che
 esattamente ricorre nella fattispecie.
    In  ordine  all'altra  eccezione,  secondo  cui  il  giudice a quo
 chiederebbe  una  pronunzia  comportante  l'individuazione  di  nuove
 regole  sostanziali  e  procedurali  e quindi scelte discrezionali di
 esclusiva competenza del legislatore,  va  rilevato  che  il  quesito
 posto dal giudice a quo non esige, neppure in astratto, una pronuncia
 del genere.
    3.1.  - Nel merito la questione, sollevata in riferimento all'art.
 42, comma terzo, della Costituzione, non e' fondata.
    Gli  artt. 7 nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto, n. 1150, in
 relazione al  predetto  parametro  costituzionale,  sono  stati  gia'
 esaminati  da  questa  Corte nella sentenza n. 55 del 1968. Questa li
 dichiaro'  costituzionalmente  illegittimi   nella   parte   in   cui
 escludevano  espressamente  l'indennizzabilita'  dei  vincoli su beni
 individuati che privavano il proprietario delle  utilita'  consentite
 ad  altri,  sia  pure  secondo  indici differenziati (sent. n. 38 del
 1966) in relazione a beni aventi le stesse caratteristiche.
    Tali  norme  vengono  ora  denunciate  in connessione con l'art. 2
 della legge n. 1187 del 1968, ed il giudice a quo, pur  dichiarandosi
 consapevole  della legittimita' costituzionale di leggi che prevedano
 l'imposizione a tempo indeterminato di vincoli su  beni  determinati,
 purche' subordinati alla previsione dell'indennizzo della proprieta',
 prospetta la questione in relazione alla possibilita',  insita  nelle
 norme  denunciate,  di protrarre a tempo indeterminato, come nel caso
 del giudizio a quo, vincoli  scaduti,  attraverso  l'introduzione  di
 varianti  agli  strumenti  urbanistici,  la cui adozione comporta, in
 relazione ai vincoli in esse  contenuti,  una  nuova  decorrenza  del
 termine  quinquennale  di  efficacia previsto dall'art. 2 della legge
 del 1968, n. 1187.
    3.2. - Osserva in proposito la Corte che e' propria della potesta'
 pianificatoria la possibilita' di rinnovare illimitatamente nel tempo
 i   vincoli   su  beni  individuati,  purche',  come  ritenuto  dalla
 giurisprudenza  amministrativa,  risulti  adeguatamente  motivata  in
 relazione  alle  effettive  esigenze urbanistiche. Tale possibilita',
 tuttavia, darebbe luogo  ad  un  sistema  non  conforme  ai  principi
 affermati  nella  richiamata  sentenza  n.  55  del  1968, qualora il
 vincolo venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione  di
 indennizzo.
    Come si evince dalla stessa sentenza e come e' stato ribadito piu'
 di  recente  (sent.  n.  82  del  1982),  i   due   requisiti   della
 temporaneita'   e  della  indennizzabilita'  sono  difatti  tra  loro
 alternativi, per cui l'indeterminatezza temporale dei  vincoli,  resa
 possibile  dalla  potesta'  di  reiterarli  indefinitamente nel tempo
 anche  se  con  diversa  destinazione   o   con   altri   mezzi,   e'
 costituzionalmente  legittima  a  condizione che l'esercizio di detta
 potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della
 proprieta'  secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966
 e n. 55 del 1968.
    E' proprio per questa ragione che la Corte, chiamata in precedenza
 a giudicare della legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 n. 1187 del 1968, in riferimento agli stessi parametri costituzionali
 ora invocati,  lo  ha  ritenuto,  nella  sentenza  n.  92  del  1982,
 rispondente  ai  principi  affermati  nella sentenza n. 55 del 1968 e
 cio'  in  quanto  tale  norma  era  stata  emanata  all'indomani   di
 quest'ultima  solo  per  graduarne  gli  effetti  nel tempo e non per
 reintrodurre il principio dell'esclusione dell'indennizzo dei vincoli
 urbanistici a tempo indeterminato.
    4.  -  La  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 7,
 nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge  17  agosto  1942,  n.  1150,  nonche'
 dell'art.  2,  primo  comma,  della  legge 19 novembre 1968, n. 1187,
 sollevata  in  riferimento  all'art.   3   della   Costituzione,   e'
 inammissibile.
    Irrilevante  appare  difatti, per la decisione del giudizio a quo,
 la circostanza che il proprietario allo scadere dei vincoli,  secondo
 quanto  affermato dalla giurisprudenza amministrativa, potra' solo in
 alcuni casi  edificare  e  in  limiti  estremamente  ristretti.  Tale
 situazione  si  riferisce  all'ipotesi dell'inerzia cioe' a quella in
 cui, scaduto il vincolo, l'amministrazione non  sia  intervenuta  con
 altro provvedimento, laddove il giudizio a quo concerne l'impugnativa
 di un provvedimento di variante relativo ad un vincolo gia'  scaduto.
    In  ogni  caso  sul  problema della spettanza dell'indennizzo e su
 quello relativo alle  altre  conseguenze  di  carattere  patrimoniale
 pregiudizievoli   per   il   proprietario   a   causa  del  protrarsi
 indeterminato dell'inerzia,  il  giudice  rimettente  e'  carente  di
 giurisdizione.