ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in relazione all'art. 24, secondo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Disciplina del trattamento di riversibilita' delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita' e la vecchiaia), promosso con ordinanza emessa il 24 ottobre 1988 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Anna Giulia Fedeli ved.Modolo contro il Direttore Provinciale del Tesoro di Bolzano, iscritta al n. 537 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visto l'atto di costituzione di Anna Giulia Fedeli nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 1990 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino; Uditi l'avv.Umberto Coronas per Anna Giulia Fedeli e l'Avvocato dello Stato Mario Cevaro per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 24 ottobre 1988 (R.O. n. 537 del 1989) la Corte dei conti, nel ricorso proposto da Anna Giulia Fedeli ved. Modolo contro il Direttore Provinciale del Tesoro di Bolzano, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 36 della Costituzione e del medesimo art. 81, terzo comma, in rapporto all'art.24, secondo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, in relazione all'art. 3 della Costituzione. Alla Sig.ra Anna Giulia Fedeli era stata negata la pensione di riversibilita' quale vedova dell'ex direttore della C.C.I.A. di Bolzano Alberto Modolo, per mancanza del requisito di durata biennale del matrimonio prescritto dall'art. 81 citato. Il Modolo, nato il 17 marzo 1908, aveva contratto matrimonio, infatti, il 16 aprile 1979 ed era deceduto il 14 aprile 1981 due soli giorni prima, cioe', del compimento del biennio. Premette il giudice rimettente che il menzionato art.81 richiede ancora "alla vedova del pensionato che ha contratto matrimonio dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta'" la condizione "che il matrimonio sia durato almeno due anni". La limitazione suindicata violerebbe innanzitutto il principio di uguaglianza (art. 3) in quanto discrimina le vedove (o i vedovi) il cui coniugio sia durato "almeno due anni" e le vedove (o i vedovi) con durata di matrimonio inferiore, affidando il riconoscimento del diritto a una circostanza futura, incerta ed imprevedibile. Sarebbero lesi, cosi', i fondamentali diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.), mentre resterebbe pure compresso il diritto del pensionato alla formazione della famiglia (art. 31 Cost.), incidendosi negativamente anche sulle garanzie retributive (art. 36 Cost.). 2. - Il Collegio a quo prospetta, in subordine, altro profilo di incostituzionalita' e cioe' - senza mettersi in discussione il requisito del biennio - la disparita' di trattamento con la analoga disciplina I.N.P.S. (art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153) che pone l'eta' del pensionato contraente le nozze, ai fini del diritto a pensione di riversibilita' per il coniuge superstite dopo il trascorso biennio, in anni 72, e l'art. 81 in esame, invece, che pone il limite d'eta' a 65 anni. 3. - Con memoria depositata il 13 dicembre 1989 si e' costituita la sig.ra Anna Giulia Fedeli vedova Modolo, rappresentata e difesa dall'Avv. Umberto Coronas, chiedendo che siano dichiarate fondate le sollevate questioni di costituzionalita', cosi' come contenuto nell'ordinanza di rimessione. Con atto depositato il 19 dicembre 1989 e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con richiesta di infondatezza della questione, poiche' la disposizione in argomento sarebbe posta a tutela, ragionevolmente, non solo dell'erario ma soprattutto del pensionato. Considerato in diritto 1.1. - L'art. 81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 recante le norme sul trattamento di quiescenza del personale statale subordina il diritto alla pensione di riversibilita' per il coniuge, il quale abbia contratto matrimonio dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta', alla condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni. 1.2. - Il Collegio rimettente dubita della legittimita' del disposto, assumendo discriminatorio - ex art. 3 Cost. - il mero decorso del tempo, (fissato in un biennio), per i fini del riconoscimento della riversibilita', con un irrazionale collegamento unicamente ad accadimenti futuri ed imprevedibili; talche' la negativa incidenza verrebbe, cosi', a proiettarsi sui valori costituzionali inerenti alla compagine familiare (artt. 29 e 31), nonche' sulle garanzie della conseguente tutela retributiva (art. 36). Sotto il piu' limitato profilo di un confronto con la legislazione concernente l'assicurazione obbligatoria per l'invalidita' e la vecchiaia gestita dall'I.N.P.S. (art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 39, come sostituito dall'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153) ove mai restasse ferma la legittimita' del trascorso biennio, sussisterebbe evidente disparita' con riferimento alla diversa eta' di anni 72, ivi contemplata per il decorso del detto termine. 2. - La questione e' fondata. Oppone l'Avvocatura dello Stato che la norma in esame, col prescrivere almeno un biennio nella durata del rapporto di coniugio per l'insorgere del trattamento riversibile, si prospetterebbe razionale e coerente, poiche' intesa a difendere da iniziative "maliziose e fraudolente" non soltanto l'erario, ma soprattutto il pensionato propenso alle nozze: costui, in altri termini, dall'applicazione di norma siffatta riceverebbe una certa protezione nei confronti di pretestuose iniziative ex altera parte, delle quali potrebbe altrimenti restare vittima. L'assunto riecheggia quei precedenti parlamentari che portarono all'adozione della norma nei sensi di cui in fattispecie. Tuttavia dai medesimi atti esso appare gia' vivacemente contrastato, in quanto emerge dalla discussione del tempo che la legge avrebbe meglio dovuto disciplinare, in astratto, la normalita' dei casi "rappresentati dai regolari vincoli matrimoniali contratti col consapevole assenso di entrambi i coniugi", non gia', invece, venir predisposta sol tenendosi conto di pur possibili situazioni-limite, per le quali altra dovrebbe essere la remora positiva (Atti Camera - prima Commissione - seduta del 19 luglio 1957: discussione delle proposte in origine trasfuse nella legge 15 febbraio 1958, n. 46). Queste asserzioni si pongono oggi tanto piu' valide ove si considerino talune connotazioni del rapporto coniugale che nella societa' attuale, con ovvia rilevanza sul piano giuridico, affiorano e sono vivamente avvertite: con il crescere dell'eta' media sempre piu' si manifesta propensione, da parte di soggetti in eta' meno giovanile, per un rapporto tendenziale alle dimensioni di rimedio alla solitudine individuale, fenomeno questo che maggiormente e' dato rilevare nel tempo odierno, in cui prevalgono sovente, o cercano comunque di prevalere sui singoli, interessi largamente di massa. Il rapporto di coppia e' ricercato e contratto, quindi, da persone in eta' avanzata, quale fonte di reciproco conforto nell'attuazione di una unione volta ad affrontare, nelle migliori reciproche condizioni di vita, le quotidiane esigenze. E' di chiara evidenza, dunque, come tale contesto di realta' assolutamente contraddica ad una presunta genesi del coniugio tardivo, che si vorrebbe altrimenti ristretta a fini abnormi o fraudolenti per i quali, la' dove in effetti posti in essere, diversamente dovrebbero ritrovarsi le remore opportune. 3. - La normativa qui largamente descritta nei suoi effettivi presupposti si pone, percio', irrazionale, per la generalita' dei casi, in quanto collegata alla mera durata del matrimonio. La qui affermata ingiustificata assenza di ragionevolezza nei termini suddetti comporta conseguente declaratoria di illegittimita' ex art. 3 Cost., restando assorbita ogni altra prospettazione. D'ufficio, ex art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, la declaratoria va estesa alle altre disposizioni identicamente limitative, poiche' va escluso, come dalla Corte e' gia' stato fatto recentemente, che esse possano essere variamente rapportate ad elementi specifici di questo o quel sistema pensionistico dettato per i pubblici dipendenti (cfr. sentenze n. 15 del 1980 e n. 587 del 1988): art. 6, secondo comma, legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro); art. 10, settimo comma, legge 6 agosto 1967, n. 699 (Disciplina dell'Ente "Fondo trattamento quiescenza e assegni straordinari al personale del lotto").