ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 1, comma
 secondo, 3, commi secondo, terzo e quattordicesimo,  della  legge  25
 febbraio  1987  n.  67,  (Rinnovo  della  legge 5 agosto 1981 n. 416,
 recante  disciplina  delle  imprese  editrici   e   provvidenze   per
 l'editoria),  promosso  con l'ordinanza emessa il 14 marzo 1989 dalla
 Corte d'Appello di Milano nei procedimenti  civili  riuniti  vertenti
 tra il garante pro-tempore per l'attuazione della legge sull'editoria
 prof. Giuseppe Santaniello ed altri e  la  s.p.a.  Gemina  ed  altri,
 iscritta  al  n.  384  del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  della s.p.a. Gemina, di Arvati
 Giovanni,  della  s.p.a.  Nuovo  Banco   Ambrosiano,   della   s.p.a.
 S.I.C.I.N.D.,  della  s.p.a.  Fiat,  della  s.p.a.  R.C.S. Editoriale
 Quotidiani e s.p.a. Ferruzzi Finanziaria, della Rotschild Bank  A.G.,
 di  Bassanini  Franco  ed altri nonche' l'atto di costituzione per il
 garante e l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  gennaio  1990  il  Giudice
 relatore Francesco Saja;
    Uditi gli Avv.ti Feliciano Benvenuti per la s.p.a. Gemina, Michele
 Giorgianni per Arvati Giovanni, Alberto Predieri per la s.p.a.  Nuovo
 Banco  Ambrosiano,  Paolo  Barile  per  la s.p.a S.I.C.I.N.D., Franzo
 Grande Stevens ed Edoardo Pontecorvo, Mario  Casella  per  la  s.p.a.
 R.C.S.  Editoriale  Quotidiani  e per la s.p.a. Ferruzzi Finanziaria,
 Valerio Onida per Bassanini Franco ed altri e l'Avvocato dello  Stato
 Giorgio  D'Amato  per  il  garante della legge sull'editoria e per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    Con  atto  di  citazione  in  data 8 maggio 1985 l'Onorevole prof.
 Franco  Bassanini  ed  altri  convenivano  in  giudizio  davanti   al
 Tribunale  di  Milano le societa' Meta, Gemina, Italtrust, Rothschild
 Bank, Finriz Centrale finanziaria generale,  Rizzoli  Editore,  Fidis
 Finanziaria,  Sadip  e  il  dott.  Angelo  Rizzoli, deducendo che, in
 conseguenza di alcuni atti di  acquisto  di  azioni  specificatamente
 indicati, intervenuti nell'ottobre 1984 tra le parti convenute, erano
 riscontrabili: 1) la violazione del divieto di  concentrazione  nella
 stampa  quotidiana  previsto  dall'art. 4 legge 5 agosto 1981 n. 416,
 poiche' alla percentuale  di  tiratura  dei  quotidiani  editi  dalla
 societa'  Rizzoli  (19,01 per cento della tiratura nazionale), veniva
 ad aggiungersi - per effetto dei rapporti esistenti tra la  Gemina  e
 Me.t.a.  nonche' fra queste societa', Fiat e Montedison, cui facevano
 capo rispettivamente i quotidiani "La Stampa" e "Il Messaggero" -  la
 tiratura di questi ultimi due giornali; 2) la violazione del disposto
 di  cui  all'art.  1,   tredicesimo   comma,   della   citata   legge
 sull'editoria,  essendosi  operato  un  aumento  della partecipazione
 pubblica,  attraverso  Mediobanca  (controllata   dall'I.R.I.),   nel
 capitale di societa' proprietarie di imprese editoriali.
    Con  citazione  9  aprile  1986 il garante dell'editoria conveniva
 davanti lo stesso Tribunale  le  societa'  Gemina,  Rizzoli  Editore,
 Mittel,  Nuovo  Banco  Ambrosiano,  Editoriale  Corriere  della Sera,
 N.E.S., Sadip, Fiat e Giovanni Arvati, chiedendo, a norma dell'art. 4
 legge  cit.,  la  declaratoria  di  nullita'  degli atti di acquisto,
 concluso in data 13 e 24 dicembre 1985  da  parte  della  Gemina,  di
 complessive n.  12.549.000 azioni Rizzoli editore.
    Assumeva  il  garante che con tale acquisto si era determinata una
 posizione dominante nel mercato editoriale, in quanto Gemina,  da  un
 lato,  controllava  Rizzoli Editore e, dall'altro, era controllata da
 Sadip, a sua volta controllata da Fiat, controllante  indirettamente,
 attraverso  la  Italedi,  la  soc.  editrice  La  Stampa:  di tal che
 dovevano essere attribuite ad  un  unico  centro  di  imputazione  le
 tirature  dei  quotidiani editi dalle societa' controllate da Rizzoli
 Editore e del quotidiano "La Stampa". Tutto cio' determinava, secondo
 l'attore,  una  duplice  violazione  della detta normativa antitrust,
 essendo  state  superate,  sommando  le  tirature  delle  testate  in
 questione,  le  percentuali  massime  di  concentrazione  e a livello
 nazionale (24,93 per cento rispetto al limite del 20 per cento)  e  a
 livello interregionale (54,27 per cento rispetto al limite del 50 per
 cento).
    Riunite  le due cause, il Tribunale adito con sentenza 19 dicembre
 1986 respingeva le domande  degli  attori  popolari  e  del  garante,
 rilevando  la  coesistenza,  nella  citata  legge  n.  416  del  1981
 sull'editoria, di due distinte nozioni di  "controllo",  l'una,  piu'
 ampia,   contenuta   nell'art.   1,   ottavo  comma  (settimo,  nella
 formulazione originaria della norma, poi  modificata)  e  dettata  in
 funzione  degli  obblighi  di comunicazione al Servizio dell'editoria
 ossia per la trasparenza delle societa' editoriali; l'altra,  accolta
 nell'art.  4,  secondo  comma,  e  definita  esclusivamente  in  base
 all'art. 2359 cod.civ. allo  scopo,  espressamente  perseguito  dalla
 norma,  di  impedire situazioni di concentrazione tali da determinare
 il superamento del 20 per  cento  delle  copie  tirate  dai  giornali
 quotidiani,  quando  tale  situazione fosse riconducibile ad un unico
 soggetto od alle societa' da esso controllate.  Riteneva  inoltre  il
 Tribunale che, in base alla limitata nozione di cui al cit. art. 2359
 cod. civ., non sussistesse la  situazione  di  controllo  dedotta  da
 tutti  gli attori, ne' poteva avere giuridica rilevanza la figura del
 collegamento  indiretto,  estranea  alla  previsione   dello   stesso
 ricordato art. 2359. Infine i giudici di primo grado ritenevano che i
 promotori dell'azione popolare difettassero di legittimazione  attiva
 relativamente  alla ulteriore domanda di declaratoria di nullita', ai
 sensi dell'art. 1, tredicesimo comma, degli atti di trasferimento  di
 azione   Gemina   effettuati   da  Mediobanca  (istituto  controllato
 dall'I.R.I.), stante il carattere eccezionale  ed  insuscettibile  di
 applicazione estensiva della azione di nullita' prevista dall'art. 4,
 sesto comma.
    Successivamente  alla  pubblicazione della sentenza veniva emanata
 la l. 25 febbraio 1987 n. 67 che, tra l'altro, ridefiniva le  nozioni
 di  controllo  e  di collegamento, con una disposizione espressamente
 qualificata come interpretativa dell'ottavo comma dell'art.  4  della
 l. n. 416 del 1981 (come modificato prima dalle leggi 30 aprile 1983,
 n. 137 e 10 gennaio 1985, n, 1 e poi dalla stessa l. n. 67 del 1987);
 inoltre  la  medesima legge n. 67 del 1987 stabiliva che l'elevazione
 del limite delle tirature in ambito nazionale - disposta nel suo art.
 3,  primo  comma,  al fine di determinare la "posizione dominante" di
 un'impresa editoriale - dal 20 al 30  per  cento  era  applicabile  a
 tutte  le  operazioni  compiute successivamente all'entrata in vigore
 della l. n. 416 del 1981.
    Contro  la  sentenza proponevano appello il garante per l'editoria
 con atto notificato in data  23  ottobre  1987,  e  alcuni  promotori
 dell'azione popolare con atto notificato il successivo 18 dicembre.
    Disposta  la  riunione  delle  impugnazioni, la Corte d'appello di
 Milano con  ordinanza  14  marzo  1989  sollevava  due  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,  secondo  comma,  e 3,
 secondo, terzo e quattordicesimo comma, della cit. l. n. 67 del 1987,
 dubitando   che   esse   contrastassero   con   alcune   norme  della
 Costituzione, di cui si fara' in prosieguo specifico cenno.
    Il   garante   dell'editoria  e  gli  attori  popolari  eccepivano
 l'inammissibilita' della questione relativa all'art. 3, terzo  comma,
 l.  67  del  1987, in quanto l'art. 4 della l. n. 416 del 1981 andava
 inteso nel senso ampio da loro gia' indicato negli atti del  giudizio
 di   primo   grado,  onde  era  inutile  applicare  nella  specie  la
 disposizione sopravvenuta e attualmente impugnata.
    Analoga  eccezione  veniva  sollevata dal Presidente del Consiglio
 dei ministri, che svolgeva le stesse deduzioni del  garante,  essendo
 entrambi difesi dall'Avvocatura dello Stato.
    L'ammissibilita'  della  prima  questione  veniva contestata anche
 dalla S.I.C.I.N.D. e da altri appellati sul rilievo che, in base alla
 sopravvenuta  legge (n. 67 del 1987), i presupposti di legittimazione
 del garante e degli attori popolari erano stati modificati e  quindi,
 a  loro  dire,  l'appello  dagli  stessi  proposto  non poteva essere
 proseguito.  La  soc.  Fiat  eccepiva  anche  il   suo   difetto   di
 legittimazione passiva.
    Nel  merito,  il garante e gli attori popolari, mentre sostenevano
 la legittimita' della ricordata disposizione della l. n. 67 del  1987
 relativa  alla  definizione  del  controllo  e  al  collegamento, che
 consideravano correttamente interpretativa dell'art. 4 l. n. 416  del
 1981  e  quindi  dotata  di  effetto  retroattivo,  eccepivano invece
 l'illegittimita' della stessa  retroattivita'  quanto  all'elevazione
 del    "tetto"    di   concentrazione,   definendola   arbitraria   e
 ingiustificata.
    Gli  appellati  erano  su opposte posizioni, deducendo che, mentre
 illegittima era  la  ricordata  qualifica  di  legge  interpretativa,
 nessuna  violazione  poteva  riscontrarsi rispetto alla seconda parte
 del  cit.  art.  3,  terzo  comma,  la  quale,  riservando  loro   un
 trattamento  piu'  favorevole,  non violava con la sua retroattivita'
 l'affidamento riposto nella precedente normativa.
    Queste  argomentazioni  venivano  svolte,  oltreche' negli atti di
 costituzione,   anche   in   memorie   presentate   in    prossimita'
 dell'udienza.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Osserva preliminarmente la Corte come, nonostante il tenore
 letterale, da cui potrebbe  dedursi  che  l'ordinanza  di  remissione
 impugni   gli   artt.  1,  secondo  comma,  e  3,  secondo,  terzo  e
 quattordicesimo comma, della legge 25 febbraio 1987  n.  67  (Rinnovo
 della  legge  5  agosto  1981 n. 416 recante disciplina delle imprese
 editrici  e  provvidenze  per  l'editoria),  in  effetti  la  censura
 concerna  soltanto  il cit. art. 3, terzo comma. Il giudice a quo non
 impugna  invero  la  nuova  normativa  per  quanto  riguarda  la  sua
 efficacia   futura,   ma  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'indicata disposizione riguardo ad entrambe le parti di cui  essa
 si   compone   e   precisamente:   a)   la  qualificazione  di  norma
 interpretativa - con il conseguente effetto retroattivo  -  dell'art.
 4,  secondo  e  terzo  comma,  cit.  l. n. 416 del 1981, conferita al
 disposto di cui all'art. 3, secondo comma, della stessa legge  n.  67
 del   1987,   relativo   alla   definizione  del  "controllo"  e  del
 "collegamento" tra imprese editoriali; b) l'attribuzione  diretta  di
 efficacia  in ordine a tutte le operazioni successive alla suindicata
 l. n. 416 del 1981, ossia  operativita'  retroattiva  dell'elevazione
 del  tetto dal 20 al 30 per cento, disposta dalla stessa l. n. 67 del
 1987 (art. 3, primo comma, lett. d) ai fini dell'individuazione della
 posizione  dominante  in  capo  al  soggetto titolare di rapporti con
 societa' editrici di giornali quotidiani.
    Soltanto contro la ricordata qualifica di norma interpretativa con
 l'intrinseco conseguente effetto  retroattivo  -  (sub  a)  e  contro
 l'efficacia retroattiva direttamente disposta (sub b) si appuntano le
 critiche del giudice  a  quo  e  conseguentemente  le  due  questioni
 suddette   rappresentano   l'esclusivo   oggetto   del   giudizio  di
 costituzionalita'.
    2.  -  Relativamente  alla  prima  di  esse sono state mosse varie
 eccezioni  di   inammissibilita'   per   irrilevanza   nel   giudizio
 principale.
    La  S.I.C.I.N.D.  e  altre  appellate  osservano che la disciplina
 sopravvenuta della l. n. 67 del  1987  ha  regolato  diversamente  le
 modalita' e i requisiti prescritti per la proposizione dell'azione di
 annullamento da  parte  del  garante  dell'editoria  e  degli  attori
 popolari;   da   cio'   deducono   che,  per  effetto  del  principio
 dell'immediata  applicazione  delle  norme  processuali,  i  soggetti
 suindicati  avrebbero perduto l'originaria legittimazione processuale
 e quindi non avrebbero potuto iniziare  ne'  proseguire  il  giudizio
 relativo  all'impugnazione  avverso  la  sentenza  di primo grado. In
 contrario  va  pero'  rilevato  che   il   principio   dell'immediata
 applicazione  della  sopravvenuta  legge  processuale si applica (ove
 manchi, come nella specie, una disciplina transitoria) soltanto  agli
 atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa:
 questa non retroagisce, invece, su quelli anteriormente  compiuti,  i
 quali  sono  regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit
 actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti  in  essere.
 Essendo  stata  l'azione  proposta mentre era in vigore la cit. l. n.
 416  del  1981  deve  quindi  escludersi  il   dedotto   difetto   di
 legittimazione che, tra l'altro, determinerebbe l'assurda conseguenza
 del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
   Neppure  puo' condividersi il rilievo formulato dal garante e dagli
 attori popolari, per cui il giudizio avrebbe dovuto  essere  definito
 in  base  alla  l. n. 416 del 1981, secondo l'interpretazione da loro
 sostenuta, diversa da quella accolta  dal  giudice  di  primo  grado,
 restando  quindi  estranea  al  thema decidendum la cit. l. n. 67 del
 1987, che forma oggetto delle due questioni di costituzionalita'.  Ma
 e' chiaro come in tal modo si pretenda di discutere in questa sede la
 causa di merito,  la  cui  cognizione  appartiene  esclusivamente  al
 giudice del processo principale, che deve interpretare e stabilire il
 significato normativo  della  suddetta  legge  n.  416  del  1981  (e
 precisamente  degli  artt.  1  e  4). La Corte, non puo' discostarsi,
 stante la natura  e  i  limiti  del  giudizio  di  costituzionalita',
 dall'iter  argomentativo  del  giudice  a quo, il quale, non aderendo
 intuitivamente alla tesi degli appellanti, ha ritenuto sussistere  un
 nesso di dipendenza tra la decisione della causa e la norma suddetta,
 ed  appunto  percio'  ha  sollecitato  l'accertamento  relativo  alla
 legittimita' costituzionale di essa.
    Infine,  va  pure disattesa l'eccezione della Fiat che, da una sua
 asserita  mancanza  di  legittimazione  passiva,  trae   motivo   per
 associarsi all'eccezione di inammissibilita' per irrilevanza nei suoi
 confronti delle proposte  questioni.  Trattasi  pero'  anche  qui  di
 problemi  concernenti  il  merito della controversia, in quanto viene
 dedotta l'insussistenza di rapporti idonei a  determinare  le  figure
 del  "controllo"  o  del  "collegamento",  la  cui  valutazione esula
 dall'ambito  del  giudizio  di  costituzionalita',  in  quanto  forma
 esclusivo oggetto del giudizio principale.
    3. - Nel merito, osserva la Corte che il cit. art. 3, terzo comma,
 l. n. 67  del  1987,  relativo  nella  prima  parte  alla  richiamata
 qualificazione,  attribuita al secondo comma, di norma interpretativa
 dell'art. 4 l. 416 del 1981, e' censurata da due diversi profili.
    Il  primo  di  essi  concerne  l'ammissibilita'  sotto  un aspetto
 generale delle leggi interpretative e, da questo angolo  visuale,  la
 proposta   questione  non  puo'  ritenersi  fondata,  in  conformita'
 all'ormai ultratrentennale giurisprudenza costituzionale (cfr.  sent.
 n. 118 del 1957), che e' stata ribadita anche di recente (cfr. sentt.
 nn. 123 e 233 del 1988). Nelle varie decisioni non e' mancata  invero
 qualche  lieve differenza argomentativa (cfr., ad es. la sent. n. 187
 del 1981 rispetto a quelle ora citate nn. 123 e 233/88), ma il nucleo
 centrale   dell'indicato   orientamento   e'  rimasto  essenzialmente
 immutato.
    La  legge interpretativa, per vero, non viola di per se' gli artt.
 101, 102 e 104 Cost., indicati nell'ordinanza di rimessione,  a  meno
 che   essa   non   leda   il  giudicato  gia'  formatosi  o  non  sia
 intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso. Se  queste
 circostanze, come nella specie, non ricorrono (per vero, il giudice a
 quo adombra il sospetto di una preordinata interferenza, ma esso  non
 e'  suffragato da elementi consistenti ed univoci), si deve escludere
 che le attribuzioni del potere giudiziario siano vulnerate, in quanto
 legislatore  e giudice agiscono su piani diversi: l'uno su quello suo
 proprio,  introducendo  nell'ordinamento  un  quid  novi  che   rende
 obbligatorio per tutti il significato normativo dato ad un precedente
 atto legislativo, l'altro applicando al caso concreto la legge intesa
 secondo le comuni regole d'ermeneutica.
    Ne'  le leggi interpretative sono escluse dalle disposizioni degli
 artt. 24 e 25, primo comma, Cost., alle quali fa anche riferimento il
 giudice  a  quo:  esse  invero,  operando  sul piano delle fonti, non
 escludono ne' comprimono la tutela  giurisdizionale  delle  posizioni
 giuridiche  di  cui  il  soggetto  e' titolare; ne' tantomeno sono in
 contrasto con il principio del giudice naturale, che chiaramente  non
 risulta affatto violato in relazione a quanto gia' osservato.
    Fuor   di   proposito,   appare,   infine,   il  generico  accenno
 dell'ordinanza di  remissione  all'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,
 concernente il divieto di retroattivita' delle norme penali, il quale
 conseguentemente non e' applicabile nella fattispecie,  che  riguarda
 la validita' di alcuni negozi giuridici.
    4.  -  Fondata e' invece la questione sotto il secondo dei profili
 dedotti, essendo chiaro che il legislatore, oltrepassando i limiti di
 ragionevolezza,   ha  definito  interpretativa  una  disciplina  che,
 invece, ha natura innovativa.
    In  conformita'  ad una costante giurisprudenza (cfr. da ultimo la
 sent. n. 233 del  1988),  va  riconosciuto  carattere  interpretativo
 soltanto  ad  una  legge  che,  fermo  il tenore testuale della norma
 interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia
 una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto
 precettivo e' espresso dalla  coesistenza  delle  due  norme  (quella
 precedente  e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le
 quali rimangono entrambe in vigore e  sono  quindi  anche  idonee  ad
 essere modificate separatamente.
    Ora,  ribadito che la Corte non puo' occuparsi della portata delle
 norme degli artt. 1 e 4, secondo e terzo comma, l. n. 416  del  1981,
 il   cui   esame   spetta  esclusivamente  al  giudice  del  processo
 principale, si osserva che  la  disposizione  censurata  pretende  di
 interpretare  l'art.  4  l.  n.  416  del  1981, mediante il precetto
 dell'art. 1, secondo comma, della stessa legge. Ma il  riferimento  a
 tale  norma appare operato in maniera veramente singolare perche' non
 riguarda l'originaria formulazione di essa e neppure le modificazioni
 successivamente  apportate  con  le  leggi 30 aprile 1983 n. 137 e 10
 gennaio 1985 n. 1 - il  che  gia'  farebbe  dubitare  dell'attribuito
 carattere interpretativo -, ma e' compiuto con l'espresso richiamo al
 cit. art. 1 come integralmente riscritto dalla  l.  n.  67  del  1987
 (art.  1, secondo comma) con una previsione normativa non coincidente
 affatto con quella della formulazione originaria (tra l'altro,  cfr.,
 oltre  le  numerose  sostanziali differenze, particolarmente le nuove
 disposizioni di cui alle lettere c), d) ed e)). La diversita' tra  la
 vecchia  disciplina  e  quella  sopravvenuta  e' pienamente avvertita
 dallo  stesso  legislatore,  il  quale   non   accenna   affatto   ad
 un'operazione  ermeneutica,  ma  espressamente  stabilisce all'art. 1
 della l. n. 67 del 1987 che l'art. 1 della l.  n.  416  del  1981  e'
 "sostituito"  dalla  nuova  disposizione  e  proprio  in tale ottica,
 seguendo  rigorosamente  il  suo  iter  logico,   provvede   con   il
 quattordicesimo  comma  dello  stesso  articolo all'abrogazione della
 norma anteriore: la quale, per contro, se si fosse trattato di  norma
 autenticamente  interpretata,  avrebbe dovuto rimanere in vita, quale
 componente della complessa  fattispecie  normativa  costituita  dalla
 legge interpretata e da quella interpretativa.
    Il rilevato carattere innovativo risulta peraltro anche pienamente
 confermato dai lavori preparatori  (cfr.:  1)  Camera  dei  deputati,
 Bollettino    commissioni,    1986,   547,   che   parla   di   norme
 antimonopolistiche piu' severe; 713, dove si precisa che trattasi  di
 una nuova e piu' pregnante definizione dell'influenza dominante quale
 sintomo  peculiare  del  rapporto  di  controllo;  2)  Senato   della
 Repubblica,  Bollettino  Giunte  e  Commissioni,  1987,  647 che pure
 afferma trattarsi di sostanziali modificazioni alla  l.  n.  416  del
 1981).  Ne'  va  omesso  di ricordare che la norma censurata e' stata
 introdotta dal Comitato ristretto della  Camera  dei  Deputati  senza
 alcuna   spiegazione   e   alcun   accenno  ai  ricordati  interventi
 governativi  e  parlamentari,  con  i  quali  contrasta  in   maniera
 stridente,  riferendosi  questi concordemente ad una nuova disciplina
 suggerita dall'insufficienza di quella allora vigente.
    In tale quadro e' evidente che si e' chiaramente fuori dall'ambito
 di un'interpretazione autentica: precisamente, con la l.  n.  67  del
 1987   il   legislatore  ha  notevolmente  modificato  la  disciplina
 precedente (l. n. 416 del 1981), illegittimamente disponendo peraltro
 che   quello   era   il   significato   della   suindicata  normativa
 preesistente. Cade cosi' con la qualifica arbitrariamente  attribuita
 la  conseguente efficacia retroattiva, e pertanto la nuova disciplina
 ex l. n. 67 del 1987 e' applicabile secondo  la  disciplina  generale
 della legge nel tempo.
    5.  -  Il  garante per l'editoria e gli attori popolari richiamano
 l'interesse pubblico che permea la  materia,  e  che,  a  loro  dire,
 dovrebbe  fare propendere a favore dell'interpretazione autentica, da
 loro sostenuta in via subordinata a quella principale sopra  indicata
 (risoluzione della controversia esclusivamente in base alla l. n. 416
 del 1981). Indubbiamente l'interesse pubblico  caratterizza  l'intera
 materia    e    precisamente   coinvolge   il   fondamentale   valore
 costituzionale del pluralismo dell'informazione (art. 21 Cost.);  ma,
 in  uno  Stato  di diritto, qualsiasi bene giuridico non puo' trovare
 tutela se non secondo  le  regole  obiettive  poste  dalla  normativa
 costituzionale.  Il  bene  tutelato  -  anche  se  come nella specie,
 particolarmente importante, anzi addirittura essenziale  -  non  puo'
 permettere la violazione della disciplina delle fonti legislative, la
 quale deve essere  rigorosamente  osservata  a  garanzia  dell'intera
 comunita'  nazionale  e  per  la credibilita' stessa dell'ordinamento
 democratico statuale. Per contro nella specie il legislatore, come si
 e'   detto,   ha   arbitrariamente   distorto   la   tipica  funzione
 dell'interpretazione autentica (alla quale si deve  far  ricorso  con
 attenta  e  responsabile  moderazione)  con  il  connaturato  effetto
 retroattivo.
    Ne',  intuitivamente, sarebbe possibile prendere in considerazione
 soltanto tale effetto (retroattivo) prescindendo dalla qualificazione
 della  norma,  giacche'  esso  discende  rigorosamente dalla suddetta
 qualificazione e non e'  stato  voluto  dal  legislatore  in  maniera
 autonoma,  come  invece  e' statuito nella seconda parte della stessa
 disposizione. Che', anzi,  la  comparazione  tra  le  due  previsioni
 esclude  all'evidenza  la  possibilita'  di  ritenere,  discostandosi
 dall'impianto legislativo, la sussistenza di un  effetto  retroattivo
 non  collegato  alla  natura della norma. Senza dire che l'ipotizzato
 orientamento incontrerebbe le obiezioni concernenti la  certezza  dei
 rapporti  giuridici,  di  cui  si  dira' in ordine alla seconda parte
 della stessa disposizione.
    6.  - In conclusione, stante l'inequivoca irrazionalita' in cui e'
 incorso  il  legislatore,   che   ha   utilizzato   l'interpretazione
 autentica,  al  di la' della funzione che le e' propria, va ritenuta,
 in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimita' costituzionale  del
 cit. art. 3, terzo comma, l. n. 67 del 1987, nella sua prima parte.
    Rimane  quindi  assorbito  l'esame  dell'altro  parametro (art. 41
 Cost.) indicato nell'ordinanza  di  remissione.  Esso,  peraltro,  in
 relazione  a  quanto  gia'  accennato,  non sembra utilizzabile nella
 fattispecie, non  essendo  applicabile  (il  che  e'  particolarmente
 importante   ai   fini  dell'altra  questione)  l'invocato  principio
 dell'affidamento, il quale e' connesso alla liberta'  dell'iniziativa
 economica privata, da garantire, come e' ormai ius receptum, non solo
 nel momento iniziale, ma anche durante il suo dinamico  sviluppo,  al
 quale  appunto  si  ricollega il ricordato principio. Pero' nell'area
 considerata le posizioni di autonomia privata (come  quelle  relative
 ai  negozi  intercorrenti  tra  imprese  editrici)  hanno  un rilievo
 secondario e non sono  pertanto  idonee  ad  incidere  sul  ricordato
 valore ex art. 21 Cost.
    7.  -  Il  difetto di razionalita' rilevato per la prima questione
 sussiste  anche  rispetto  all'altra  parte  contenuta  nello  stesso
 all'art.  3,  terzo  comma,  l.  n.  67  del  1987. Con essa e' stata
 direttamente disposta (senza il tramite di una norma  interpretativa)
 l'efficacia retroattiva (rendendola applicabile a tutte le operazioni
 realizzate dopo l'entrata in vigore della  legge  n.  416  del  1981)
 della   disposizione   che   ha   elevato   il   "tetto"   in  ordine
 all'individuazione   della   posizione   dominante   ai   fini    del
 "collegamento"  dal  20  al  30 per cento della tiratura dei giornali
 quotidiani.
    E'  noto  come,  al  di la' della materia penale (art. 25, secondo
 comma, Cost.), la Carta fondamentale non vieta leggi retroattive,  ma
 esse  sono soggette al generale sindacato di ragionevolezza anche per
 quanto riguarda l'effetto (retroattivo) suindicato.  Cio'  posto,  e'
 agevole  rilevare  come  nella  specie  risulti  priva  di  razionale
 fondamento l'attribuzione di un'efficacia estesa retroattivamente per
 un  periodo  di  ben  sei  anni:  con essa infatti e' stata conferita
 validita' a negozi giuridici che inizialmente erano invalidi - e tali
 sono  rimasti  per  lungo tempo - in quanto considerati contrastanti,
 secondo la ratio della legge allora in vigore, e  il  suo  inequivoco
 tenore  letterale,  con  la  tutela del valore espresso dal ricordato
 art. 21 Cost.
    Non sussiste invero alcun elemento che possa fornire un fondamento
 razionale alla disposta retroattivita', su cui tacciono del  tutto  i
 lavori  preparatori che insistentemente ripetono invece l'esigenza di
 una disciplina piu' rigorosa. In sintesi, la norma in  esame  risulta
 della  massima  incoerenza  e  deve  aggiungersi  che  tale  profonda
 incongruenza si estende all'intero  complesso  normativo,  il  quale,
 come  nota  giustamente  l'Avvocatura  dello  Stato, da un lato vuole
 penalizzare  determinate  situazioni  ricorrendo  all'interpretazione
 autentica  stabilita  nella  prima  parte  della  norma  censurata, e
 dall'altro  pretende  di  sanare  le   stesse   situazioni   mediante
 l'efficacia  retroattiva  prevista  nella  seconda parte della stessa
 norma.
    Ne'  puo' omettersi di rilevare che l'irretroattivita' costituisce
 un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se
 pur   non   elevato,   fuori   della   materia   penale,  a  dignita'
 costituzionale (art.  25,  secondo  comma,  Cost.),  rappresenta  pur
 sempre  una  regola  essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva
 causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi,
 in  quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio
 cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei  cittadini.
    Ne',  infine, puo' considerarsi esatta la deduzione avanzata dalla
 S.I.C.I.N.D.  e  da  altre  societa'  appellate,   secondo   cui   la
 retroattivita' in esame, non comprimendo una posizione soggettiva del
 privato, anzi dettando una disposizione a suo favore, non  violerebbe
 il  principio  dell'affidamento. In contrario e' sufficiente ripetere
 l'inutilizzabilita' di detto principio, in  quanto  non  trattasi  di
 materia  caratterizzata dalla liberta' all'iniziativa privata, bensi'
 - come sopra si e'  osservato  (n.  6)  -  dal  preminente  interesse
 pubblico correlato al principio dell'art. 21 Cost.; conseguentemente,
 a parte ogni altro rilievo,  la  proposta  distinzione  di  efficacia
 retroattiva in malam o in bonam partem, non puo' trovare ingresso.
    Conclusivamente  in  base  alle  suesposte  considerazioni  non e'
 dubitabile che la previsione retroattiva  in  esame  sia  viziata  da
 irrazionalita'   e   violi   pertanto   il   ricordato  principio  di
 ragionevolezza ex art. 3 Cost.
    Risultando fondate entrambe le proposte questioni, la pronuncia di
 illegittimita' deve colpire l'intero terzo comma del cit. art.  3  l.
 n. 67 del 1987 che contiene entrambe le disposizioni censurate.
    E'  appena  il  caso  di aggiungere come, caduta la suddetta norma
 transitoria, tutte le altre disposizioni della cit. l. n. 67 del 1987
 mantengano  la loro efficacia dal giorno dell'entrata in vigore della
 legge medesima.