ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 39, primo comma,
 della legge 11 febbraio 1971,  n.  50  (Norme  sulla  navigazione  da
 diporto),  modificata  dalla legge 6 marzo 1976, n. 51, e dalla legge
 26 aprile 1986, n. 193, promossi con sette  ordinanze  emesse  il  19
 ottobre  1989  dal  Pretore  di Venezia, iscritte ai numeri 665, 666,
 667, 668, 669, 670 e 671 del registro  ordinanze  1989  e  pubblicate
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale,
 dell'anno 1990.
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  21 marzo 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza 27 dicembre 1988 il Pretore di Venezia aveva
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art.39, primo
 comma, della legge 11 febbraio 1971 n. 50 (Norme sulla navigazione da
 diporto), cosi' come modificata dalle leggi 6 marzo 1976 n. 51  e  26
 aprile  1986  n.  193,  con riferimento all'art. 3, primo comma della
 Costituzione.
    Riferiva il Pretore nell'ordinanza che tale Holtkamp Hendricus era
 stato sorpreso dai carabinieri  il  12  maggio  1988  nel  Rio  della
 Misericordia  in  Venezia,  alla  guida  di  un motoscafo da diporto,
 immatricolato YM 49-61, munito di motore fuoribordo da  50  HP  senza
 essere   in   possesso   di   patente  di  abilitazione  alla  guida.
 L'infrazione, a' sensi del citato art.39,  e'  punita  con  l'arresto
 fino  a  sei mesi o con l'ammenda da lire 1 milione a 2 milioni. Tale
 sanzione - ad  avviso  del  Pretore  -  violerebbe  il  principio  di
 uguaglianza  se  messa  a  confronto con la mite pena dell'ammenda da
 lire 4 mila a lire 40 mila (peraltro oggi depenalizzata)  prevista  a
 carico  di  chi  conduce, senza abilitazione alla guida, motoscafi od
 imbarcazioni con motore entro o fuoribordo, destinati a  navigare  in
 servizio  privato,  cosi'  come previsto dal combinato disposto degli
 artt.1, secondo comma, e 20, primo comma, del regio decreto  legge  9
 maggio  1932, n. 813 (Disposizioni sulla circolazione dei motoscafi e
 delle imbarcazioni a motore).
    Rileva,  a  tale  proposito,  l'ordinanza  che, a' sensi del terzo
 comma del citato art.1, deve intendersi per uso privato qualsiasi uso
 dal  quale  esuli il fine di speculazione, cosi' come "e' navigazione
 da diporto quella effettuata a scopi sportivi o ricreativi, dai quali
 esuli il fine di lucro" (art.1, secondo comma della legge 11 febbraio
 1971 n. 50).
    E  poiche'  -  soggiungeva  l'ordinanza  -  la  qualificazione  di
 motoscafo o imbarcazione "ad uso privato" oppure "da diporto" dipende
 esclusivamente   dall'iscrizione   nell'uno  o  nell'altro  registro,
 rimessa alla libera scelta del privato  interessato,  il  trattamento
 sanzionatorio  cosi'  diverso  sarebbe  privo  di qualsiasi razionale
 giustificazione.
    Nelle  more  del giudizio costituzionale entrava, pero', in vigore
 la legge 5 maggio 1989, n. 171 (Modifiche alle leggi 11 febbraio 1971
 n.  50,  6  marzo  1976  n. 51 e 26 aprile 1986 n. 193, nonche' nuova
 disciplina sulla  nautica  da  diporto)  che  all'art.  10  disponeva
 l'equiparazione dei motoscafi ad uso privato (di cui al regio decreto
 legge 9 maggio 1932 n. 812, convertito dalla legge 20  dicembre  1932
 n. 1884) alle unita' da diporto, ai fini dell'abilitazione al comando
 e della relativa tassa sulle concessioni governative.  A  seguito  di
 cio',   questa  Corte,  con  ordinanza  n.433  del  18  luglio  1989,
 restituiva  gli  atti  al  Pretore  di  Venezia  affinche'  avesse  a
 verificare   se,   alla  stregua  della  normativa  sopravvenuta,  la
 questione conservasse ancora rilevanza.
    2.  -  Con  ordinanza  19  ottobre 1989 (n. 665 registro ordinanze
 1989) il Pretore risollevava la questione,  ritenendo  che  non  solo
 essa  non  avesse perduto la rilevanza posseduta prima della modifica
 legislativa, ma che, anzi, proprio la disposta  equiparazione  avesse
 messo in evidenza l'assurdita' del diverso regime sanzionatorio.
    Ad    avviso   del   Pretore,   infatti,   l'equiparazione   delle
 abilitazioni, prevista dalla nuova normativa fra  le  unita'  ad  uso
 privato  e  quelle  da diporto, non comporterebbe alcuna modifica nei
 rispettivi regimi sanzionatori, ma soltanto  il  diritto  di  chi  e'
 abilitato  a  condurre  motoscafi  ad  uso privato di comandare anche
 unita' da diporto senza necessita' di munirsi di altra  abilitazione.
 Nessun riferimento vi e' nella legge alle sanzioni, che rimarrebbero,
 pertanto,  immutate  secondo  le  rispettive  fattispecie  di   guida
 abusiva:  anche perche' la legge non le abroga ne' esplicitamente ne'
 implicitamente.  Non  vi  sarebbe,  infatti,  secondo   il   Pretore,
 incompatibilita'   fra   vecchie   e   nuova   disposizione,  ne'  si
 verificherebbe l'altra alternativa  ipotesi,  prevista  dall'art.  15
 delle  preleggi,  secondo  cui la nuova legge regola l'intera materia
 gia' regolata dalla legge anteriore, giacche' invece la legge recente
 integra una serie di specifiche modifiche della precedente.
    Ma  quand'anche  -  soggiunge  il  Pretore  -  si dovesse ritenere
 abrogata la disciplina  sanzionatoria  differenziata,  non  potendosi
 ritenere  applicabile il regime sanzionatorio piu' favorevole perche'
 la legge non consente una  siffatta  interpetrazione,  l'applicazione
 della  normativa penale anche alle ipotesi previste dal regio decreto
 legge   n.   83   del   1932   incontrerebbe   comunque   un   limite
 d'irretroattivita' nell'art. 2, primo comma, codice penale.
    E  allora  la  questione  conserverebbe  egualmente  rilevanza, in
 quanto, fino all'entrata in  vigore  della  nuova  legge,  il  regime
 sanzionatorio permaneva irragionevolmente differenziato.
    3.  -  Con  altre sei ordinanze di pari data (dal n. 666 al n. 671
 registro ordinanze 1989), il Pretore di  Venezia  sollevava  identica
 questione  nei  processi  penali  a  carico  rispettivamente di Zanon
 Bruno,  Zecchini  Alberto,  Betteo  Redenzio,  Beltrame   Roberto   e
 Cecchetto Francesco.
    Le  questioni  erano  riferite  allo  stesso parametro e sostenute
 dalle medesime argomentazioni.
    4.  -  Interveniva  in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato,  la
 quale chiedeva che la questione fosse dichiarata infondata.
    Secondo  l'Avvocatura  non  sarebbe  esatto  che non sia possibile
 distinguere la destinazione delle imbarcazioni a semplice uso privato
 da  quelle  da  diporto,  vale  a  dire  specificamente  destinate ad
 attivita' sportive  o  ricreative,  anche  se  si  riconosce  qualche
 difficolta'  nell'accertamento  dell'effettiva  destinazione nei casi
 concreti, a causa del fine comune dal  quale  esula  il  lucro  o  la
 speculazione.
    In realta', ad avviso dell'Avvocatura - che si richiama a dottrina
 e giurisprudenza - il concetto di "uso privato"  e'  tradizionalmente
 riferito  ai  motoscafi  adibiti ai traffici portuali, ai servizi dei
 cantieri navali, dei bacini di carenaggio, o al trasporto privato  di
 persone  e  merci  nell'ambito  della  laguna  veneta  o  delle acque
 lacunali.
    Da  tale  generico uso privato, per espressa volonta' legislativa,
 si e' differenziato l'uso privato a specifico  carattere  sportivo  e
 ricreativo,  per il quale e' stata dettata una particolare e distinta
 disciplina giuridica attraverso le leggi  susseguitesi  dal  1971  al
 1986.
    Ne  deriverebbe,  in  definitiva,  che  e'  la effettiva specifica
 destinazione a rilevare agli effetti della disciplina  sanzionatoria,
 nel  senso  che  pure  ad  una  nave da pesca o da traffico a fine di
 lucro, qualora venga adibita a diporto anche occasionale, in  ipotesi
 di  indebita  assunzione  di  comando  non  si applicherebbe la norma
 penale di cui all'art.1117  codice  navigazione  ma  soltanto  quella
 espressamente  prevista  per la navigazione da diporto: e altrettanto
 avverrebbe nel rapporto generica destinazione privata-destinazione da
 diporto, indipendentemente dal registro in cui l'unita' e' inscritta.
    Non  vi  sarebbe,  pertanto,  alcuna  irrazionalita'  nel  diverso
 trattamento sanzionatorio trattandosi di situazioni diverse.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Poiche'  tutte  le  ordinanze sollevano la stessa questione
 rispetto allo stesso parametro, possono  essere  riunite  per  essere
 decise con unica sentenza.
    2.  - Secondo il Pretore di Venezia la qualificazione di motoscafo
 o imbarcazione "ad uso  privato"  oppure  "da  diporto"  dipenderebbe
 esclusivamente  dalla  iscrizione  dell'unita'  nell'uno o nell'altro
 registro: iscrizione che  la  legge,  peraltro,  lascia  alla  libera
 disponibilita'  del  proprietario,  comune essendo per ambo le specie
 l'esclusione del fine di  lucro.  Sulla  base  di  tali  premesse  il
 giudice  rimettente trova senza razionale giustificazione che diverso
 sia il trattamento sanzionatorio per chi si ponga  alla  guida  o  al
 comando  dell'una o dell'altra imbarcazione senza avere conseguito la
 prescritta abilitazione.
    Mentre,  infatti (fino all'intervento della legge 5 maggio 1989 n.
 171) la guida senza patente  del  motoscafo  ad  uso  privato,  prima
 punita  con  lieve  ammenda,  risulta  addirittura  depenalizzata (e,
 percio', colpita da semplice sanzione amministrativa),  la  guida  di
 unita'  da  diporto senza abilitazione comporta alternativamente pena
 detentiva contravvenzionale o ammenda.
    Ne'  la  sopravvenienza  della nuova legge n. 171 del 1989, che ha
 equiparato le due specie agli effetti dell'abilitazione  e  a  quelli
 fiscali,  toglierebbe rilevanza alla sollevata questione, perche' per
 i fatti precedentemente compiuti resterebbe pur sempre applicabile la
 norma  piu' favorevole concernente la guida abusiva dei motoscafi "ad
 uso privato", lasciando cosi' immutato il discrimine irrazionale  del
 regime sanzionatorio fra le due sostanzialmente identiche situazioni:
 anche il diporto essendo sempre un "uso privato" dell'imbarcazione.
    Diverso  e', invece, l'avviso dell'Avvocatura Generale dello Stato
 che,  affidandosi  a  recente  dottrina  ma  a  molto  meno   recente
 giurisprudenza,  ritiene  che  il  diporto  sia  un settore specifico
 dell'uso  privato,  per  il  quale  il   legislatore   ha   elaborato
 particolare   disciplina   normativa   proprio  in  vista  della  sua
 peculiarita', sicche' a caratteri  diversi  delle  singole  attivita'
 nautiche   corrisponde   trattamento  ragionevolmente  differenziato.
 Secondo     l'Avvocatura,     nonostante     qualche      difficolta'
 nell'accertamento  concreto, cio' che conta ai fini della sanzione e'
 l'effettiva destinazione d'uso dell'unita' in quel certo  particolare
 caso, e non l'iscrizione nell'uno o nell'altro registro.
    Infondata, quindi, sarebbe la sollevata questione.
    3.  -  Ne' l'una ne' l'altra contrapposta tesi e' convincente, ne'
 trova nella legge adeguato supporto.
    Non  e'  esatto,  intanto,  che  alcuna  differenza obbiettiva non
 esista fra le imbarcazioni delle  due  specie,  si'  da  giustificare
 l'iscrizione  in  distinti  registri. Il regio decreto legge 9 maggio
 1932 n. 813, definisce  "motoscafo"  all'art.1,  primo  comma,  "ogni
 imbarcazione  di  stazza  lorda  uguale od inferiore a 25 tonnellate,
 provvista di motore a  scoppio  od  a  combustione  interna";  e  nel
 secondo comma dichiara soggetti alle norme del decreto "i motoscafi e
 le imbarcazioni, con motore entro o fuori bordo, destinati a navigare
 per  uso privato", escludendone soltanto le imbarcazioni per motori a
 scoppio fuori bordo di cilindrata non superiore a 500 cc., oppure  di
 potenza non superiore ad 11 HP qualora si tratti di altri motori.
    Diversamente, l'art.1 della legge 11 febbraio 1971 n. 50 definisce
 "imbarcazione da diporto" ogni  costruzione  a  vela,  anche  se  con
 motore ausiliario, o a motore, destinata alla navigazione da diporto,
 e di stazza  lorda  fino  a  50  tonnellate.  Restano  escluse  dalla
 disciplina  soltanto le piccole unita', definite "natanti", esenti da
 ogni obbligo di iscrizione nei registri.
    Ne  consegue che mai una unita' da diporto a vela, anche se munita
 di motore ausiliario,  potrebbe  essere  iscritta  nel  registro  dei
 motoscafi  ad uso privato: e nemmeno l'imbarcazione a solo motore, se
 di stazza superiore a 25 tonnellate.
    Inoltre,  mentre  nelle  unita' da diporto e' prevista dalla legge
 anche la categoria delle "navi" quando la stazza lorda superi  le  50
 tonnellate,  altrettanto  non e' per i motoscafi ad uso privato che -
 secondo la legge del 1932 - non potevano - come detto -  superare  le
 25 tonnellate.
    Soltanto  limitatamente  alle  imbarcazioni a solo motore, che non
 superino le 25 tonnellate di stazza,  potrebbe  percio'  teoricamente
 sussistere   un'alternativa   fra   i  due  registri,  per  la  quale
 rileverebbe o la  destinazione  concreta  al  semplice  uso  privato,
 oppure la destinazione all'uso da "diporto".
    A  tale  proposito, deve riconoscersi che il tradizionale concetto
 di "motoscafo  ad  uso  privato",  richiamato  dall'Avvocatura  dello
 Stato,  trova fondamento proprio nelle situazioni da cui storicamente
 trasse origine la legge del 1932.
    In  realta'  e'  vero che nei primissimi anni '30 (la legge e' del
 maggio 1932) la destinazione ad  uso  privato  delle  imbarcazioni  a
 motore  era  limitata  ai  traffici portuali, ai servizi dei cantieri
 navali e dei bacini di carenaggio, o al trasporto privato di  persone
 e  di  merci  nell'ambito della laguna veneta o delle acque lacunali:
 piu' raramente nelle acque  marittime.   Inoltre,  benche'  la  prima
 guerra  mondiale  avesse  sviluppato gli studi per la costruzione dei
 famosi MAS,  la  relativamente  pionieristica  tecnologia  dell'epoca
 produceva  mezzi di non grande velocita' (salvo i prototipi sportivi)
 e di scarsa diffusione, atteso il loro costo sopratutto in  relazione
 alla  poca clientela disponibile: talche' non furono mai costruiti in
 serie proprio per la scarsa richiesta.
    Si   spiega   allora   come   la  poca  diffusione  e  la  ridotta
 pericolosita'  delle  imbarcazioni  consentissero  la  previsione  di
 un'abilitazione  alla  guida  di  un  unico  tipo,  che permetteva la
 circolazione in acque interne, o in acque marittime,  a  seconda  del
 soggetto  pubblico che la rilasciava: rispettivamente, capitaneria di
 porto  o  ispettorato  compartimentale  della  motorizzazione  civile
 (art.16, terzo comma, legge n. 813 del 1932).
    Ma col trascorrere degli anni la tecnologia si andava affinando, e
 particolarmente si andavano evolvendo e specializzando le costruzioni
 nautiche  destinate  alle  attivita'  sportive  e ricreative, anche a
 vela: le quali assumevano  spesso  stazzamenti  notevoli  ed  elevate
 velocita', percorrendo acque marittime anche di altura. A quel punto,
 parve necessario al  legislatore  emanare  una  specifica  disciplina
 organica per le imbarcazioni da diporto, sia a vela che a motore, che
 si concreto'  nella  legge  11  febbraio  1971  n.  50  e  successive
 modificazioni.
    Si ebbero cosi' tre distinte specie di unita' da diporto, e cioe':
 1) le navi, a vela o a  motore,  con  stazza  lorda  superiore  a  50
 tonnellate;  2)  le  imbarcazioni, a vela o a motore, di stazza lorda
 fino a 50 tonnellate; 3) i natanti: vale  a  dire  piccole  unita'  a
 remi,  oppure  di  lunghezza non superiore a sei metri, di stazza non
 superiore a tre tonnellate, e con motore  eventuale  di  potenza  non
 superiore a 25 cavalli (artt.1 e 13).
    Le  specie  di  cui  alla  terza  categoria  furono  escluse dalla
 iscrizione in registri ed esentate da abilitazione alla  guida:  esse
 possono in genere navigare entro sei miglia dalla costa, salvo i piu'
 piccoli (jole, pattini, mosconi, scooters acquatici etc. ...) che non
 possono superare il miglio (art.13).
    Le  altre  due  categorie, invece, non solo furono assoggettate ad
 iscrizione in registri distinti, ma per esse la legge ha previsto ben
 cinque  diverse abilitazioni al comando (art. 20): due sono riservate
 alle imbarcazioni a vela (con  o  senza  motore  ausiliario)  per  la
 navigazione  entro sei miglia dalla costa, oppure senza alcun limite;
 altre due riguardano, invece, le imbarcazioni soltanto  a  motore  di
 potenza  superiore  a  25  cavalli,  a  seconda che siano abilitate a
 navigare entro od oltre le sei  miglia  dalla  costa;  vi  e'  infine
 l'abilitazione al comando delle navi da diporto e per la condotta dei
 motori delle imbarcazioni a vela.
    4.   -  Sembra  evidente  a  questo  punto  che  la  divaricazione
 verificatasi nel corso degli anni fra lo specifico uso privato per il
 diporto  e  quello tradizionale dei motoscafi in semplice uso privato
 aveva trovato nella normativa del 1971  una  significativa  conferma.
 Anche se, infatti, la tecnologia costruttiva, meccanica e motoristica
 delle industrie motoscafistiche aveva a sua  volta  subi'to  notevoli
 evoluzioni,  per  lungo  tempo, tuttavia, il divario normativo ebbe a
 trovare rispondenza in  una  ben  diversa  situazione  tecnica  e  di
 concreto  impiego  delle  due  specie d'imbarcazione, essendo di gran
 lunga piu' vasta la richiesta delle imbarcazioni da diporto, e  molto
 piu'  modesto l'impiego dei motoscafi nel tradizionale uso privato di
 cui s'e' detto.
    A  parte  la  gia'  vista  inesattezza,  almeno per alcune unita',
 dell'asserita  possibilita'  di  iscriverle   indifferentemente,   ad
 libitum  dell'interessato, nell'uno o nell'altro registro, fra le due
 specie esisteva la possibilita' di notevoli differenze di stazza e di
 potenza  motoristica,  cui  ovviamente non potevano non corrispondere
 differenze  di  accorgimenti  costruttivi.  Lo  stesso   impiego   si
 differenziava  non  soltanto  sul  piano  dell'uso tradizionale, come
 rilevato dall'Avvocatura,  ma  anche  nella  destinazione  sul  piano
 normativo,  visto  che  il motoscafo ad uso privato non poteva essere
 impiegato in competizioni sportive (art.1 legge n. 50 del 1971).
    Esistevano,  dunque,  fino  al  1989,  rigorosi divieti per taluni
 impieghi, che configuravano, per i  motoscafi  ad  uso  privato,  una
 particolare  situazione  di  fatto e di diritto ben diversa da quella
 piu' varia e piu' ampia delle imbarcazioni da  diporto:  sicche'  per
 nulla  irrazionale  appariva  la  differente disciplina sanzionatoria
 che, tenendo conto di tali differenze, comminava per la guida abusiva
 dei  motoscafi  in  semplice  servizio  privato  una  pena pecuniaria
 contravvenzionale e, da ultimo,  una  mera  sanzione  amministrativa,
 mentre  puniva  alternativamente  anche con l'arresto, e comunque con
 piu' grave ammenda, la guida, senza patente  di  abilitazione,  delle
 unita'  da  diporto. E si noti che l'ampio spazio di discrezionalita'
 consentito  al  giudice  fra  minimi  e  massimi  delle  due   specie
 alternative  di  pena  consente  la graduazione alla diversa gravita'
 dell'abuso,  dalla  guida  di  un'imbarcazione  a  vela  abilitata  a
 navigare  entro  le  sei  miglia  dalla  costa  fino al comando senza
 patente di una nave da diporto.
    La  questione,  pertanto,  sollevata dal Pretore di Venezia non ha
 fondamento.
    Ne'  e' esatto che la modifica intervenuta nel 1989 abbia messo in
 ancora maggiore evidenza  la  pretesa  illegittimita'  costituzionale
 della precedente situazione.
    E'  ben  vero, infatti, che, a un certo punto, si e' avuto un tale
 sviluppo tecnologico anche nella motoscafistica  a  tradizionale  uso
 privato,  sia  per  il  crescere  delle  stazze,  sia per l'aumentata
 potenza  dei  motori,  sia  per  le  sofisticazioni   meccaniche   ed
 elettroniche,  il  tutto dovuto ad un notevole aumento della domanda,
 da consentire in realta' al privato un uso promiscuo del mezzo  anche
 per  impieghi da diporto di altura, con l'unico limite che la licenza
 del motoscafo fosse stata rilasciata dall'Ispettorato compartimentale
 della motorizzazione (art.16, terzo comma, legge n. 813 del 1932).
    Ed  e'  proprio  perche'  il  legislatore  si  e' reso conto della
 possibilita' di un uso fraudolento di questi mezzi, tanto  sul  piano
 fiscale quanto su quello delle sanzioni in caso di guida abusiva, che
 alla fine si e' risolto ad assorbire totalmente la disciplina fiscale
 e  sanzionatoria  dei  motoscafi  ad  uso  privato  in  quella per le
 imbarcazioni da diporto.
    Non  e'  esatto,  percio', che l'art. 10 della legge 5 maggio 1989
 n.171 si sia limitato - come scrive il pretore nell'ordinanza  -  "ad
 equiparare le abilitazioni al comando previste rispettivamente per le
 unita' ad uso privato e per le unita' da diporto,  senza  minimamente
 modificare  il regime sanzionatorio relativo all'abusiva condotta dei
 due tipi di unita'". Si tratta di un'interpetrazione che  contraddice
 sia  la  lettera che lo spirito della norma, in quanto fa credere che
 il legislatore abbia inteso attribuire vicendevole  valore  giuridico
 alle  due  specie  di  abilitazione, consentendo indifferentemente la
 guida  dell'una  o  dell'altra  specie  con  l'una  o  l'altra  delle
 abilitazioni,  e  per di piu' tenendo ferme le rispettive ben diverse
 conseguenze sanzionatorie in caso di guida abusiva.
    Al   contrario,  l'art.  10  citato  recita  testualmente  che  "I
 motoscafi ad uso privato, di cui al regio decreto legge 9 maggio 1932
 n.  813...,  sono  equiparati, ai fini dell'abilitazione al comando e
 della relativa tassa sulle concessioni governative,  alle  unita'  da
 diporto".  Il  che  chiaramente  significa  che  l'equiparazione  non
 riguarda le patenti fra di loro ma bensi' i motoscafi della legge del
 '32  alle  imbarcazioni  da  diporto  per  tutto cio' che riguarda il
 regime delle patenti di abilitazione alla guida e quello fiscale.  In
 altri   termini,   e'   proprio   tutta   la   normativa  concernente
 l'abilitazione alla guida dei motoscafi in uso privato (e il relativo
 regime  fiscale)  che viene a cessare con la legge del 1989, giacche'
 queste  imbarcazioni  vengono  assoggettate  interamente,  per   tale
 riguardo,  alla  disciplina delle imbarcazioni da diporto. Si avranno
 cosi', anche per i motoscafi, abilitazioni alla guida  entro  le  sei
 miglia  dalla costa oppure senza limiti, cosi' come occorreranno vere
 e proprie abilitazioni al comando quando la stazza lorda superi le 50
 tonnellate  (combinato  disposto  degli  artt.1,  quarto comma, primo
 inciso, e 20, secondo comma, della legge n. 50 del 1971).
    Ed  e'  appena  il  caso  di  rilevare  che  la  violazione  della
 disciplina,  ora  applicabile  anche  ai  motoscafi,  non  puo'   che
 comportare le stesse conseguenze sanzionatorie gia' per essa previste
 dalla legge.
    Ebbene  tutto questo comprova che ogni possibile sperequazione fra
 le due situazioni  che  di  fatto  si  fosse  verificata  negli  anni
 intercorrenti  fra  il  1971  e  il 1989 era semmai a tutto favore di
 coloro che guidavano abusivamente  motoscafi  destinati  al  servizio
 privato tradizionale; sopratutto negli anni vicini al 1989, quando il
 progresso  tecnologico  dell'industria  motoscafistica   aveva   gia'
 raggiunto  quel  livello  che  equiparava  di  fatto le due specie di
 unita' gia' prima del riconoscimento giuridico contenuto nella  nuova
 legge. Non e' per nulla irrazionale, pertanto, che non sia sottoposta
 alla piu' mite disciplina della mera sanzione amministrativa anche la
 ben piu' grave violazione della guida senza abilitazione di unita' da
 diporto, quali sono quelle descritte nell'art. 20 della legge  n.  50
 del 1971 e successive modificazioni.