ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei   giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma
 dodicesimo, della legge 1Πdicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi
 di  scioglimento  del  matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della
 legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei  casi  di
 scioglimento  del  matrimonio),  nonche' dell'art. 23 di quest'ultima
 legge, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il  17
 ottobre  1989 dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento civile
 vertente tra Puecher Ermanno e Nindl Anna Maria in Puecher,  iscritta
 al  n.  695  del  registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 21,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1990;  2)  ordinanza emessa il 21 novembre 1989 dalla Corte d'appello
 di Trento nel procedimento civile vertente tra Miori  Romeo  e  Kusar
 Antonia,  iscritta  al n. 21 del registro ordinanze 1990 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale,
 dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 minsitri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  21 marzo 1990 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che  con  due ordinanze di analogo contenuto, emesse, in
 due distinti giudizi, il 17 ottobre (reg. ord. n. 695 del 1989) e  il
 21  novembre  1989  (reg. ord. n. 21 del 1990), la Corte d'appello di
 Trento  ha  sollevato  questioni   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  4,  comma dodicesimo, della legge 1Πdicembre 1970, n. 898
 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito
 dall'art.  8  della  legge  6  marzo  1987,  n. 74 (Nuove norme sulla
 disciplina  dei  casi  di  scioglimento  del   matrimonio),   nonche'
 dell'art.  23  di  quest'ultima  legge,  a tenore dei quali l'appello
 avverso le sentenze pronunziate nei giudizi di separazione  personale
 tra coniugi "e' deciso in camera di consiglio";
      che ad avviso del giudice a quo le norme impugnate, introducendo
 il c.d. rito camerale in un  grado  di  giudizio,  si  porrebbero  in
 contrasto,  in  primo  luogo,  con l'art. 101 della Costituzione, dal
 momento che, pur se il principio di pubblicita'  delle  udienze  puo'
 essere   derogato,  cio'  deve  avvenire  per  esigenze  obiettive  e
 razionali, che non sembrano  sussistere  in  materia  di  separazione
 personale,  nella  quale  le ragioni di celerita' dei giudizi possono
 essere diversamente soddisfatte;
      che,  inoltre,  sempre  secondo il giudice rimettente, la scelta
 del rito camerale in luogo di quello ordinario contenzioso in un solo
 grado  di  giudizio  e  la mancata previsione delle norme procedurali
 applicabili,  specie  in  materia   probatoria,   produrrebbero   una
 limitazione  del  diritto di difesa irragionevole rispetto agli altri
 gradi di  giudizio  che  si  svolgono  con  il  rito  ordinario,  con
 conseguente violazione degli artt. 24 e 3 della Costituzione;
      che non si sono costituite le parti private;
      che  e'  invece  intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente
 del Consiglio dei ministri, concludendo  per  la  infondatezza  delle
 questioni;
    Considerato  che  i  giudizi  riguardano  le  medesime questioni e
 pertanto possono essere riuniti;
      che   questioni   sostanzialmente   identiche  sono  state  gia'
 dichiarate non fondate con sentenza n. 543 del 1989 e  manifestamente
 infondate con ordinanze nn. 587 del 1989 e 120 del 1990;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 la Corte costituzionale;