ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 1, primo
 comma, 3 e 7 della legge 10 ottobre 1989, n. 349 (Delega  legislativa
 al  Governo  in  materia di legislazione doganale, di amministrazione
 delle dogane e imposte indirette, di contrabbando, di ordinamento  ed
 esercizio di magazzini generali e delega ad adottare un testo unico),
 promosso con ricorso della Provincia autonoma di Bolzano,  notificato
 il  24  novembre  1989, depositato in cancelleria il 30 successivo ed
 iscritto al n. 100 del registro ricorsi 1989;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  20  febbraio  1990  il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  gli  avvocati Sergio Panunzio e Roland Riz per la Provincia
 autonoma di Bolzano e l'avvocato dello Stato  Antonio  Bruno  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ricorso ritualmente notificato e depositato la Provincia
 autonoma  di  Bolzano  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  nei confronti degli artt. 1, primo comma, 3 e 7 della
 legge 10 ottobre 1989, n. 349, ritenendoli contrari  agli  artt.  52,
 ultimo  comma, 89, 100 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (testo
 unico delle leggi  costituzionali  sullo  statuto  del  Trentino-Alto
 Adige),  e  alle relative norme di attuazione contenute nel d.P.R. 26
 luglio 1976, n. 752.
    Nel  prevedere  all'art. 1, primo comma, una delega al Governo "ad
 adottare  uno  o  piu'  decreti   legislativi   recanti   norme   per
 l'aggiornamento,  la  modifica  e  l'integrazione  delle disposizioni
 legislative  in  materia   doganale   (...)   e   di   quelle   sulla
 organizzazione   centrale  e  periferica  dell'amministrazione  delle
 dogane e imposte indirette e sull'ordinamento del relativo personale"
 secondo  i  principi  e  i criteri direttivi rispettivamente indicati
 negli artt. 2 e 3, la legge impugnata, a giudizio  della  ricorrente,
 pur   esercitando  un  potere  di  indubbia  spettanza  dello  Stato,
 ignorerebbe del tutto la speciale disciplina posta dallo statuto  per
 il   Trentino-Alto   Adige  a  tutela  delle  minoranze  linguistiche
 esistenti nella Provincia.
    In  particolare,  una  prima  violazione  concernerebbe l'art. 107
 dello statuto, il quale esige che le norme di attuazione dello stesso
 statuto  siano  emanate o modificate con decreti legislativi dopo che
 sia stato espresso il parere obbligatorio, ma non  vincolante,  della
 speciale "Commissione paritetica".
    Inoltre,  sempre  secondo  la  ricorrente, lo statuto risulterebbe
 violato dagli artt. 1, primo comma, 3 e 7, secondo comma, della legge
 n.  349  del 1989, che, nel prevedere l'eliminazione del ruolo locale
 attualmente stabilito dalla tabella n. 5, allegata al d.P.R.  n.  752
 del    1976,    in    ordine    alla    determinazione    dei   posti
 dell'amministrazione periferica del Ministero delle  finanze,  e,  in
 particolare,    nel    prevedere   la   riduzione   delle   direzioni
 compartimentali da 45 a 15 violerebbe gli  obblighi  stabiliti  dagli
 artt.  89  e  100  dello statuto e dalle connesse norme di attuazione
 (d.P.R. n. 752 del 1976), relativi alla c.d. proporzionale  etnica  e
 alla   conoscenza  delle  lingue  italiana  e  tedesca  negli  uffici
 pubblici.
    Un'ulteriore violazione statutaria e' individuata dalla ricorrente
 nell'art. 3, primo comma, lett. b), n. 6, che prevede la possibilita'
 di  deroghe ai vincoli di permanenza minima degli impiegati in alcune
 zone del territorio al fine di favorire la mobilita'  del  personale.
 Tale  disposizione,  ad  avviso  della ricorrente, contrasterebbe con
 l'art. 89, quinto comma, dello statuto (che garantisce la  stabilita'
 di  sede  nella  provincia  del  personale),  nonche' con le norme di
 attuazione contenute degli artt. 1, primo comma  (che  stabilisce  un
 vincolo  decennale  per i trasferimenti a domanda dai ruoli locali al
 ruolo generale), 11, secondo comma (che prevede il  divieto  assoluto
 di  trasferimenti  dal  ruolo  generale  a  quello locale), e 15 (che
 ammette la possibilita' di deroga al principio della stabilita' della
 sede  solo sulla base di "gravi e motivate esigenze di servizio" e al
 fine di consentire una "destinazione temporanea"  del  personale  dei
 ruoli   locali   fuori   dalla  Provincia  di  Bolzano,  e  non  gia'
 trasferimenti) del d.P.R. n. 752 del 1976.
    Infine,  l'art.  3,  primo comma, lett. h), della legge impugnata,
 nel prevedere che per la copertura dei posti vacanti saranno adottate
 "procedure   rapide   (...)  anche  mediante  concorsi  basati  sulla
 valutazione dei titoli professionali e di cultura, salvi  i  casi  di
 procedure  ulteriormente  semplificate  previste  dalle  disposizioni
 generali sul pubblico impiego", contrasterebbe con  l'art.  89  dello
 statuto,  come  attuato  dagli artt. 12 e segg. del d.P.R. n. 752 del
 1976, che, nel disciplinare le procedure concorsuali per la copertura
 dei  posti dei ruoli locali nel rispetto dei principi statutari della
 proporzionale etnica e del bilinguismo, non prevede semplificazioni o
 abbreviazioni  delle procedure concorsuali, ma consente espressamente
 soltanto che nelle more dell'espletamento dei concorsi  possa  essere
 temporaneamente  "comandato"  presso  gli  uffici  della Provincia di
 Bolzano personale dei ruoli generali.
    2.  -  Si e' regolarmente costituito in giudizio il Presidente del
 Consiglio   dei   Ministri,   il   quale   eccepisce,   innanzitutto,
 l'inammissibilita' del ricorso.
    A  sostegno  della propria richiesta, il resistente osserva che il
 carattere non-astratto del giudizio di costituzionalita' comporta che
 il  ricorso  alla  Corte  possa  ammettersi  soltanto  in presenza di
 lesioni concrete  e  attuali,  lesioni  che  potrebbero  riscontrarsi
 unicamente a seguito dell'emanazione dei decreti delegati, e non gia'
 di fronte a leggi di delega che  si  limitano  a  indicare  le  linee
 generali  per  la  futura  normazione  che  il  Governo  e' tenuto ad
 adottare. Inoltre, un secondo motivo di inammissibilita'  deriverebbe
 dal  fatto  che  il legislatore delegante non potrebbe indicare tra i
 principi e i criteri direttivi della  delega  anche  norme  di  rango
 costituzionale,  sicche'  la  mancata  previsione  del  rispetto  dei
 principi della  c.d.  proporzionale  etnica  e  del  bilinguismo  non
 pregiudicherebbe l'applicabilita' dei medesimi.
    In ogni caso, ad avviso del Presidente del Consiglio dei Ministri,
 le questioni sollevate sarebbero infondate.
    Innanzitutto,  nulla  autorizzerebbe  a ritenere, sulla base delle
 disposizioni impugnate, che la modifica delle  piante  organiche  dei
 singoli uffici, da attuarsi con decreti ministeriali secondo le norme
 generali sul pubblico impiego, possa contrastare con lo  statuto  per
 il  Trentino-Alto  Adige, considerato che la stessa legge delega, con
 il limitare il  numero  dei  compartimenti  doganali  a  15,  non  ne
 implicherebbe  la  riduzione  del numero, poiche' attualmente esso e'
 fissato a 13 (e non a 45) in base al d.m. 18 dicembre 1972.
    Inoltre,  l'insussistenza  di  qualsiasi  violazione  dell'art. 89
 dello statuto deriverebbe, secondo l'Avvocatura Generale dello Stato,
 dalla errata contrapposizione tra "ruolo unico" e "ruoli locali", nel
 senso che questi ultimi dovrebbero essere piu' correttamente definiti
 come   "piante  organiche  locali",  poiche'  gli  impiegati  statali
 insediati in  Alto  Adige  continuano  ad  appartenere  ai  ruoli  di
 inquadramento  in  base al testo unico del pubblico impiego. In altri
 termini, l'accezione del termine "ruolo" data dalla  legge  impugnata
 sarebbe  quella  di  inquadramento  giuridico-funzionale, non gia' di
 collocazione nella sede di servizio.
    Anche   la   censura   relativa   alla   mobilita'  del  personale
 presupporrebbe, ad avviso del resistente, una lettura scorretta della
 norma,  in  quanto  la  possibilita' di deroga alla permanenza minima
 prevista dall'art. 3, primo comma, lett. b), n.  6,  si  riferirebbe,
 non  gia'  alla  situazione alto-atesina, ma ai casi per i quali vale
 l'obbligo di prestare servizio per almeno  tre  anni  nella  sede  di
 prima immissione (art. 12, terzo comma, del t.u. del 23 gennaio 1973,
 n. 43).
    Infine, quanto alle censure sulle modalita' di copertura dei posti
 vacanti,  l'Avvocatura  dello   Stato   osserva   che,   secondo   la
 giurisprudenza   di   questa   Corte,  la  mancata  previsione  della
 proporzionale etnica e del bilinguismo non  impedisce  l'applicazione
 di tali principi.
    3.  -  In prossimita' dell'udienza hanno presentato memorie sia la
 Provincia autonoma di Bolzano, sia il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
    La  ricorrente,  nel contestare l'eccezione d'inammissibilita' del
 resistente, concorda con quest'ultimo che alla  Corte  costituzionale
 non  possono essere poste questioni astratte, ma, nello stesso tempo,
 nega che non possa configurarsi  una  lesione  concreta  e  immediata
 delle   competenze   costituzionalmente   garantite   alla  Provincia
 nell'ipotesi di una legge che  delega  al  Governo  l'istituzione  di
 nuovi  uffici  periferici,  la  revisione  dell'ordinamento  e  della
 ripartizione territoriale degli uffici esistenti,  l'introduzione  di
 un  ruolo  unico  e  una  disciplina  unitaria  sulla  mobilita'  del
 personale. In altre parole, la mancata salvezza nella legge di delega
 delle  competenze della Provincia costituirebbe di per se' stessa una
 violazione  dello  statuto  speciale  del   Trentino-Alto   Adige   e
 vincolerebbe  il Governo a una legislazione delegata per tale aspetto
 incostituzionale. Il carattere dell'immediatezza e della  concretezza
 della  lesione  sarebbe, poi, evidente nel caso di vizi formali della
 legge  delega  e,  in  particolare,  in  relazione  alla   violazione
 dell'art.  52, u.c. (obbligo del Consiglio dei Ministri di sentire il
 Presidente della Giunta  provinciale  quando  si  trattino  questioni
 riguardanti  la Provincia), e dell'art. 107 (obbligo di richiedere il
 parere della Commissione paritetica per l'emanazione  o  la  modifica
 delle  norme di attuazione) dello statuto per il Trentino-Alto Adige.
    Nella sua memoria il Presidente del Consiglio dei Ministri insiste
 sull'eccezione di inammissibilita'  del  ricorso,  adducendo  che  il
 giudizio di costituzionalita' non puo' concernere atti, come la legge
 di delega, che sono ritenuti  insuscettibili  di  produrre  immediati
 effetti  innovativi  sull'ordinamento  prima  che  sia  esercitata la
 funzione delegata. Cosi' ha, del resto, gia'  ritenuto  questa  Corte
 nelle sentenze nn. 111 del 1972 e 91 del 1974, con le quali, partendo
 dalla premessa che la legge  di  delegazione  abbia  un  valore  solo
 "preliminare" e sia una fonte unicamente per il potere governativo di
 normazione, ha affermato che il controllo di legittimita' sulla legge
 delega e' strumentale a quello sul decreto delegato e non puo' essere
 pertanto promosso come fine a se' stante, tanto piu' che non si  puo'
 escludere  che il termine della delegazione trascorra inutilmente. In
 altre parole, i principi e i criteri direttivi contenuti nella  legge
 delega  sarebbero  precetti  "per"  una  legislazione statale, ma non
 principi "della" stessa legislazione.  Queste  affermazioni,  secondo
 l'Avvocatura  dello  Stato,  sarebbero  in sintonia con la prevalente
 dottrina, per la quale la legge di delegazione nasce con i  caratteri
 di  mera  legge  formale  sulla  produzione,  i  cui effetti ricadono
 soltanto all'interno del rapporto tra  Parlamento  e  Governo,  e  si
 trasforma  in legge sostanziale di produzione allorche' venga emanata
 la legge delegata.
    Per  quanto  attiene  al  merito,  il Presidente del Consiglio dei
 Ministri osserva, in ordine alla  pretesa  violazione  dell'art.  107
 dello   statuto,  che  la  determinazione  dei  "principi  e  criteri
 direttivi" lascerebbe al Governo un'ampia discrezionalita' di  scelta
 sia  sul  piano  normativo  che su quello procedimentale, sicche' ben
 potrebbe il  Governo  avvalersi,  nell'esercizio  della  delega,  del
 parere  della  "Commissione  paritetica".  Del  resto,  come  ha gia'
 affermato questa Corte (v. ad es. sent. n. 156 del 1987), la  mancata
 previsione  di  quel  parere nella legge di delega non esclude che il
 delegato sia, comunque, tenuto al rispetto di procedure e di garanzie
 previste  da  altre  fonti,  specie  se  di  rango costituzionale. In
 secondo luogo, il resistente, oltre a insistere sul  rilievo  che  il
 "ruolo unico" potrebbe coesistere con il "ruolo locale" (istituito ai
 soli fini dell'art. 89 dello statuto), osserva che quest'ultimo e' di
 tipo "derivato" e, percio', modificabile per effetto di una revisione
 dell'ordinamento  e  della  ripartizione  territoriale  degli  uffici
 statali,  previa  richiesta  del  parere  di  cui  all'art. 107 dello
 statuto, allorche' saranno stabilite  le  piante  organiche.  Infine,
 quanto  al  rispetto  della c.d. proporzionale etnica, il resistente,
 oltre a ribadire che questa si  applica  anche  in  mancanza  di  una
 espressa  previsione  legislativa,  ricorda  che questa Corte ha gia'
 affermato che quel principio debba essere  applicato  con  la  dovuta
 "progressivita'".
    4.  - Nel corso della pubblica udienza le parti hanno approfondito
 ulteriormente il punto dell'ammissibilita'. Mentre  la  difesa  della
 Provincia   ha   affermato   che  la  ricostruzione  della  legge  di
 delegazione operata dalla Avvocatura generale dello Stato,  oltre  ad
 essere contestata dalla piu' recente dottrina, porterebbe all'assurdo
 di ritenere che  una  stessa  legge  si  trasformi,  per  effetto  di
 accadimenti  ad  essa esterni (approvazione del decreto delegato), da
 legge meramente formale a legge materiale, la difesa  del  Presidente
 del Consiglio dei Ministri, invece, ha insistito sulla configurazione
 della legge di delegazione come atto produttivo di effetti riferibili
 unicamente   alla   sfera  dell'organizzazione  e  dei  rapporti  tra
 delegante e delegato e, pertanto, ha rinnovato la  richiesta  di  una
 dichiarazione   d'inammissibilita'   del   ricorso  per  mancanza  di
 interesse attuale della Provincia ricorrente.
                         Considerato in diritto
    1.  - La Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in
 epigrafe, ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  nei
 confronti  degli  artt.  1, primo comma, 3 e 7 della legge 10 ottobre
 1989, n. 349, contenente una delega  al  Governo  ad  adottare  norme
 volte,  fra l'altro, alla riorganizzazione dell'amministrazione delle
 dogane e delle imposte indirette. I predetti articoli sono  impugnati
 per violazione degli artt. 52, ultimo comma, 89, 100 e 107 del d.P.R.
 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico delle leggi costituzionali  sullo
 statuto del Trentino Alto-Adige), e, in connessione con questi, degli
 artt. 11, primo e secondo comma, e 15 del d.P.R. 26 luglio  1976,  n.
 752  (Norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale  della  Regione
 Trentino-Alto Adige in materia di proporzione  negli  uffici  statali
 siti  nella Provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel
 pubblico impiego).
    Contro  il  ricorso  della Provincia di Bolzano ha preliminarmente
 proposto un'eccezione d'inammissibilita' il Presidente del  Consiglio
 dei  Ministri,  il quale, sul presupposto che la legge di delegazione
 debba esser configurata come un atto preliminare o preparatorio della
 concreta  disciplina  legislativa  successivamente  posta dal decreto
 delegato e debba essere  quindi  concepita  come  un  atto  regolante
 esclusivamente  i  rapporti  ("interni")  tra  Parlamento  e Governo,
 contesta che la ricorrente possa fondatamente lamentare  una  lesione
 concreta  ed  attuale  delle  sue  competenze  costituzionali e possa
 quindi avere un interesse al giudizio di legittimita'  costituzionale
 prima dell'adozione dei decreti delegati.
    2. - Va, innanzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilita'.
    In  base  agli  artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, la
 delegazione al Governo della funzione legislativa puo' avvenire,  per
 oggetti definiti e per tempo limitato, attraverso una legge ordinaria
 contenente i "principi" e i "criteri direttivi" cui dovra'  attenersi
 lo  stesso  Governo nell'esercizio della funzione delegata. Tuttavia,
 mentre nell'ordinamento  anteriore  alla  Costituzione  la  legge  di
 delegazione,   in   coerenza   con  la  "flessibilita'"  della  Carta
 costituzionale allora vigente e con il conseguente ordine delle fonti
 normative  basato  sulla  legge  (ordinaria), costituiva la fonte del
 potere di legislazione delegata del Governo (per la  qual  cosa  essa
 era definita dalla dottrina come legge meramente "formale", diretta a
 regolare  esclusivamente  i  rapporti  "interni"  fra   delegante   e
 delegato),   nell'ordinamento   costituzionale  attuale,  invece,  in
 armonia con la "rigidita'" della Costituzione e  con  il  conseguente
 principio  che  ogni atto normativo con valore di legge puo' avere la
 propria fonte soltanto in norme di rango costituzionale, costituisce,
 piu'  semplicemente,  il  presupposto  che condiziona l'esercizio dei
 poteri delegati del  Governo  e  ne  delimita  lo  svolgimento  della
 relativa funzione, come riconosciuta e determinata dalla Costituzione
 stessa.
    In  conseguenza di cio' la legge di delega, pur se rappresenta una
 deroga costituzionalmente stabilita al principio  per  il  quale  "la
 funzione  legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere"
 (art. 70) e pur se e'  attribuita  alla  competenza  riservata  delle
 assemblee  parlamentari  (art.  72,  u.c.),  non  contiene, nella sua
 qualita' di atto-fonte, caratteri differenziali tali da comportare un
 regime  d'impugnazione  diverso  da quello proprio delle altre leggi.
 Sotto il profilo formale, infatti, la legge delega e' il prodotto  di
 un  procedimento  di  legiferazione  ordinaria  a se' stante e in se'
 compiuto e, pertanto, non e' legata  ai  decreti  legislativi  da  un
 vincolo strutturale che possa indurre a collocarla, rispetto a questi
 ultimi, entro una medesima  e  unitaria  fattispecie  procedimentale.
 Sotto  il  profilo  del  contenuto,  essa  e'  un vero e proprio atto
 normativo, nel senso che e' un atto diretto a  porre,  con  efficacia
 erga   omnes,   norme   (legislative)   costitutive  dell'ordinamento
 giuridico: norme che hanno la  particolare  struttura  e  l'efficacia
 proprie  dei  "principi"  e dei "criteri direttivi", ma che, per cio'
 stesso, non cessano di possedere tutte le valenze tipiche delle norme
 legislative  (come,  ad esempio, quella di poter essere utilizzate, a
 fini interpretativi, da qualsiasi organo o soggetto chiamato  a  dare
 applicazione  alle  leggi). Pertanto, come non puo' essere contestata
 l'idoneita'  delle  disposizioni  contenute  nella  legge  delega   a
 concorrere  a  formare,  quali  norme  interposte,  il  parametro  di
 costituzionalita' dei decreti legislativi delegati (v.,  ad  esempio,
 sentt.  nn. 243 del 1976, 158 del 1985, 48 e 128 del 1986), cosi' non
 puo' essere negata, in linea di  principio,  l'impugnabilita'  ex  se
 della legge di delegazione.
    Piu'  in  particolare, occorre precisare che i "principi e criteri
 direttivi" presentano nella  prassi  una  fenomenologia  estremamente
 variegata,  che  oscilla  da  ipotesi  in  cui  la  legge delega pone
 finalita' dai confini molto  ampi  e  sostanzialmente  lasciate  alla
 determinazione  del  legislatore  delegato a ipotesi in cui la stessa
 legge fissa "principi" a  basso  livello  di  astrattezza,  finalita'
 specifiche,  indirizzi determinati e misure di coordinamento definite
 o, addirittura, pone principi inestricabilmente frammisti a norme  di
 dettaglio  disciplinatrici  della  materia  o  a  norme concretamente
 attributive di precise competenze. Nelle ipotesi da ultimo menzionate
 non  si  puo'  negare  che la legge di delegazione possa contenere un
 principio   di   disciplina   sostanziale   della   materia   o   una
 regolamentazione  parziale  della stessa ovvero possa stabilire norme
 attributive di competenza, da cui potrebbe  derivare  una  diretta  e
 immediata  incidenza  sulle attribuzioni costituzionalmente garantite
 alle regioni o alle province autonome. In altre parole, ai fini della
 valutazione della ricorrenza dell'interesse ad agire delle regioni (o
 delle province autonome) nei  giudizi  di  costituzionalita'  in  via
 principale,  decisivo  e'  il  particolare  contenuto  normativo  dei
 "principi e criteri direttivi" di volta  in  volta  considerati,  nel
 senso  che  non  puo'  escludersi  che,  in ragione del loro grado di
 determinatezza  e  di  inequivocita',  ricorrano  ipotesi   normative
 sufficientemente  precise  e  tali  da  poter  dar luogo ad effettive
 lesioni delle competenze  regionali  (o  provinciali).  In  casi  del
 genere,  come  non  si  puo' contestare che le regioni (o le province
 autonome) abbiano interesse a ottenere una pronuncia d'illegittimita'
 costituzionale  delle  norme di delegazione e a impedire, quindi, che
 siano adottati
 decreti  legislativi conseguentemente invalidi e ulteriormente lesivi
 delle proprie competenze, cosi' non  si  puo'  non  sottolineare  che
 sarebbe  profondamente  irragionevole  ritenere  che questa Corte non
 possa    eliminare    tempestivamente    eventuali     illegittimita'
 costituzionali,   ma  debba  attendere  che  i  relativi  vizi  siano
 riprodotti o, addirittura, ampliati nei successivi decreti  delegati.
    Pur  se  questa conclusione non collima con le motivazioni addotte
 in alcuni lontani precedenti di questa Corte (v.  sentt.  nn.  3  del
 1957,  13  del  1964,  11  del  1972,  91 del 1974), non di meno essa
 risponde all'orientamento complessivo risultante  dall'insieme  delle
 decisioni  della  stessa  Corte,  la quale, mentre in alcuni casi, in
 conseguenza della precisione e univocita' dei principi e dei  criteri
 in  esse  contenuti,  non  ha  esitato a giudicare direttamente della
 legittimita' costituzionale delle norme di delegazione (v. sentt. nn.
 37 del 1966, 39 del 1971 e 242 del 1989), in altre occasioni, invece,
 ha ritenuto che non vi fosse nella legge delega una manifestazione di
 volonta'  sufficientemente  determinata  o definitiva e, pertanto, ha
 dichiarato inammissibili le relative questioni (v. sent. n.  111  del
 1972).  In altri termini, i limiti di ammissibilita' di un ricorso di
 costituzionalita' proposto dalle regioni (o dalle province  autonome)
 avverso disposizioni di delegazione legislativa coincidono con i piu'
 generali limiti posti a garanzia della "non-astrattezza" del giudizio
 di  legittimita' costituzionale. Di modo che, ove il ricorso riguardi
 una certa disposizione di legge ordinaria esistente nell'ordinamento,
 il  cui  significato sia sufficientemente determinato e plausibile in
 ordine alla prospettazione di un  puntuale  contrasto  con  parametri
 costituzionali precisamente indicati, non si dovrebbe dubitare, sotto
 il  profilo  considerato,   della   ricorrenza   dei   requisiti   di
 ammissibilita' del giudizio.
    Del  resto,  in  senso  contrario  non si potrebbe affermare che i
 principi, gli indirizzi, i criteri e le disposizioni di cui consta la
 legge  di  delegazione,  essendo principalmente diretti a orientare e
 delimitare l'attivita' decisionale del legislatore delegato,  debbano
 essere configurati come norme ad efficacia differita, dalle quali, si
 asserisce, non potrebbero derivare lesioni attuali  delle  competenze
 costituzionalmente   attribuite   alle   regioni   (o  alle  province
 autonome). In realta', diversamente da quanto accade nei  giudizi  di
 legittimita'  sui  provvedimenti  amministrativi  o  nei conflitti di
 attribuzione   aventi   per   oggetto   i   medesimi,    l'attualita'
 dell'interesse a ricorrere nei giudizi di legittimita' costituzionale
 sulle leggi dev'esser valutata, non gia' in relazione alla  effettiva
 producibilita'  di  effetti  delle singole disposizioni e, tantomeno,
 alla concreta applicabilita' delle stesse nei  rapporti  della  vita,
 ma,   piuttosto,   in   relazione   all'esistenza   giuridica   delle
 disposizioni impugnate nell'ordinamento giuridico. Ed e' percio'  che
 l'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.
 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e sulle  garanzie
 d'indipendenza  della Corte), e l'art. 32, secondo comma, della legge
 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
 della   Corte),   fanno   decorrere  il  termine  per  la  promozione
 dell'azione di legittimita' costituzionale "dalla pubblicazione della
 legge  o  dell'atto avente forza di legge", e non gia' dal momento in
 cui  le  disposizioni  in  esse  contenute  diventano   concretamente
 efficaci  nei rapporti della vita (v. in tal senso, in relazione alla
 legge delega, sentt. nn. 75 del 1957, 37  del  1966,  242  del  1989,
 nonche', a contrario, sent. n. 39 del 1971).
    3.  -  Sulla  base  dei  principi  enunciati  non si puo' dubitare
 dell'ammissibilita' del ricorso della Provincia autonoma  di  Bolzano
 nei  confronti  della  legge  di  delega  n.  349  del 1989. Tutte le
 disposizioni impugnate contengono principi e criteri direttivi dotati
 di  un  grado  di  determinatezza  tale da non poter escludere, a una
 valutazione ex-ante operata in limine litis, la  prefigurabilita'  di
 un  possibile  contrasto  con  le  norme statutarie invocate e con le
 relative norme di attuazione (v. sent. n. 1012 del 1988).
    Non  v'e'  dubbio,  infatti,  che il principio della proporzionale
 etnica   (art.   89   dello   statuto   speciale)   potrebbe   essere
 plausibilmente  ritenuto  violato  dalla  norma  di  delegazione  che
 demanda al Governo la riduzione su scala  nazionale  delle  direzioni
 compartimentali  delle  dogane da 45 a 15 (art. 3, primo comma, lett.
 b, n. 1), allo stesso modo in cui potrebbero contrastare con le norme
 di  attuazione esistenti in materia sia le deroghe che il legislatore
 delegato dovra'  disporre  ai  vincoli  di  permanenza  minima  degli
 impiegati in determinate zone del territorio nazionale (art. 3, primo
 comma, lett. b, n. 6), sia  la  previsione  di  un  ruolo  unico  del
 personale  addetto  ai servizi centrali e periferici dei dipartimenti
 da istituire con i decreti delegati (art. 3, primo comma,  lett.  f),
 sia,  infine,  la  previsione che i posti vacanti saranno coperti con
 procedure rapide "anche mediante concorsi  basati  sulla  valutazione
 dei  titoli  professionali  e di cultura" (art. 3, primo comma, lett.
 h). A fortiori,  poi,  e',  ipotizzabile  un  contrasto  della  legge
 impugnata  con le disposizioni statutarie e di attuazione che esigono
 la richiesta del parere della c.d. Commissione paritetica nel caso di
 modificazione  delle norme di attuazione e che impongono l'obbligo di
 sentire il presidente provinciale in  occasione  delle  deliberazioni
 del  Consiglio dei Ministri relative ad atti riguardanti la Provincia
 di Bolzano.
    4. - Non fondata, nei sensi di cui in motivazione, e' la questione
 di legittimita' costituzionale concernente  l'art.  3,  primo  comma,
 lett.  b),  n.  1,  nella parte in cui vincola il Governo a istituire
 "non piu' di quindici direzioni compartimentali".
    Secondo  la  ricorrente,  la  predetta riduzione dei compartimenti
 doganali a non piu' di quindici, dai quarantacinque  oggi  esistenti,
 comporterebbe  la  eliminazione  del  compartimento  di  Bolzano, con
 conseguente lesione dell'art. 89 dello statuto, relativo al principio
 della  proporzionale  etnica, nell'attuazione datane dalla tabella n.
 5, allegata al d.P.R. 26 luglio 1976,  n.  752.  In  realta',  questa
 interpretazione  non  puo'  essere  condivisa,  poiche'  il principio
 costituzionale  della  proporzionale  etnica,  come  ha  piu'   volte
 affermato  questa  Corte (sentt. nn. 571, 768 e 1145 del 1988, 85 del
 1990),  trova  applicazione  indipendentemente  dal  fatto  che   sia
 richiamato  dalle  singole leggi che regolano un certo settore, tanto
 piu' se si tratta di leggi che stabiliscono una disciplina  generale.
 La stessa Corte, anzi, in un caso che presenta significative analogie
 con  quello  esaminato,  ha  ammessa  l'applicabilita'  del  medesimo
 principio  anche in relazione a leggi di riorganizzazione generale di
 un certo settore che comportano una ridefinizione sul piano nazionale
 del  numero  degli uffici e, quindi, una potenziale alterazione della
 ripartizione dei posti stabilita nelle tabelle  annesse  alle  citate
 "norme di attuazione" (v. sent. n. 585 del 1989). In altre parole, in
 mancanza di una chiara manifestazione di volonta' diretta a escludere
 l'applicazione  del principio della proporzionale etnica, non si puo'
 interpretare una norma volta a stabilire una disciplina generale come
 se  fosse  rivolta  a  derogare a quel principio. L'applicabilita' di
 quest'ultimo s'impone da se', mentre le modalita' e  l'estensione  di
 tale  applicazione sono stabilite, finche' non sono modificate con il
 procedimento costituzionalmente  richiesto,  dalle  tabelle  allegate
 alle  ricordate  "norme  di attuazione" e, in particolare, per quanto
 riguarda gli uffici doganali, dalla tabella n. 5. E,  poiche'  questa
 prevede  tuttora  che  vi  sia  un ufficio compartimentale doganale a
 Bolzano, la norma impugnata, finche' la tabella restera' in vigore in
 tali  termini,  dovra'  essere  interpretata  e  attuata  in  modo da
 escludere che Bolzano resti priva di un ufficio di quel tipo.
    Questa   interpretazione,  proprio  perche'  non  e'  direttamente
 contraddetta  dalla  legge  delega  impugnata,  si  impone  anche  al
 legislatore  delegato,  dal  momento  che  non  e'  ipotizzabile  che
 quest'ultimo possa validamente derogare a norme di  attuazione  dello
 statuto  speciale,  espressione di una competenza legislativa atipica
 il cui ambito e' precluso alle comuni leggi ordinarie e agli  atti  a
 queste equiparati.
    5. - Non fondata, nei sensi di cui in motivazione, e', inoltre, la
 questione di legittimita' costituzionale sollevata, per contrasto con
 l'art. 89, quinto comma, dello statuto, con gli artt. 11, 14 e 15 del
 d.P.R. n. 752 del 1976 e con la tabella n.  5  allegata  allo  stesso
 decreto,  nei  confronti  dell'art.  3,  primo comma, lett. b), n. 6,
 nella parte in cui prevede procedure di trasferimento necessarie  per
 la copertura delle nuove piante organiche "anche in deroga ai vincoli
 di  permanenza  minima  degli  impiegati  in  determinate  zone   del
 territorio nazionale".
    Ad    avviso   della   ricorrente,   la   disposizione   impugnata
 contrasterebbe con una serie di norme statutarie e di attuazione  che
 stabiliscono,  a  favore  dei  dipendenti  statali nella Provincia di
 Bolzano, garanzie particolari concernenti la stabilita' di sede  e  i
 limiti  al  trasferimento. In realta' le disposizioni impugnate, come
 ha correttamente affermato l'Avvocatura dello Stato, si riferiscono a
 ipotesi  diverse  da  quelle  disciplinate  dalle norme invocate come
 parametro di questo giudizio e, in particolare, riguardano i casi per
 i quali vale l'obbligo di prestare servizio per almeno tre anni nella
 sede di prima immissione (v. art. 12,  terzo  comma,  del  d.P.R.  23
 gennaio  1973,  n.  43,  contenente il testo unico delle disposizioni
 legislative in materia doganale). Pertanto, la questione va rigettata
 in  quanto  le  norme  impugnate  non  si applicano alla Provincia di
 Bolzano.
    6.  -  Non  fondata e' la questione di legittimita' costituzionale
 sollevata, per  contrasto  con  gli  stessi  parametri  indicati  nel
 paragrafo  n.  4,  nei  confronti dell'art. 3, primo comma, lett. f),
 nella parte in cui dispone che "sara' previsto  un  ruolo  unico  del
 personale addetto ai servizi centrali e periferici del dipartimento".
    Secondo  la  ricorrente, tale disposizione violerebbe il principio
 della proporzionale etnica (art.  89  dello  statuto),  come  attuato
 dalla  citata  tabella  n.  5,  in  quanto  quest'ultima risulterebbe
 illegittimamente derogata dall'istituzione del ruolo unico  nazionale
 e   dalla   conseguente   eliminazione  del  ruolo  locale  stabilito
 dall'anzidetta   tabella.   In   realta',   come   ha   correttamente
 sottolineato  l'Avvocatura  Generale dello Stato, le tabelle allegate
 al d.P.R. n. 752 del 1976 non  prevedono  un  vero  e  proprio  ruolo
 locale,  cioe'  un particolare inquadramento giuridico-funzionale del
 personale  addetto  agli  uffici  statali  siti  nella  Provincia  di
 Bolzano, ma, seppure quel termine sia contenuto nel d.P.R. n. 752 del
 1976, con esso si  vuol  indicare,  piuttosto,  le  piante  organiche
 locali,  vale a dire la distribuzione dei posti di ruolo negli uffici
 statali della dogana localizzati a Bolzano. Da cio' risulta con tutta
 evidenza  che  l'istituzione  di  un  ruolo  unico nazionale non puo'
 collidere in alcun modo con i parametri invocati.
    7.   -   Parimenti  infondata  e'  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata nei  confronti  dell'art.  3,  primo  comma,
 lett.  h), nella parte in cui dispone che "saranno previste procedure
 rapide di copertura dei posti vacanti, anche mediante concorsi basati
 sulla  valutazione di titoli professionali e di cultura, salvi i casi
 di procedure ulteriormente semplificate previste  dalle  disposizioni
 generali sul pubblico impiego".
    Ad  avviso  della ricorrente, tale disposizione contrasterebbe con
 l'art. 89 dello statuto, come attuato dagli  artt.  12  e  segg.  del
 d.P.R.  n. 752 del 1976, i quali, nello stabilire la disciplina delle
 procedure concorsuali  per  la  copertura  dei  posti  vacanti  nella
 provincia   di   Bolzano,   non   prevederebbero   semplificazioni  o
 abbreviazioni delle procedure stesse. Anche  in  tal  caso  non  puo'
 condividersi   l'interpretazione  che  delle  "norme  di  attuazione"
 fornisce  la  ricorrente,   poiche'   tali   norme   pongono   alcune
 prescrizioni  a  salvaguardia  della  proporzionale  etnica  e  della
 peculiarita'   dell'autonomia    di    Bolzano    senza    precludere
 l'applicabilita'  nella  stessa  provincia  di  procedure concorsuali
 semplificate o abbreviate. Naturalmente resta fermo, come ha  ammesso
 la stessa Avvocatura dello Stato, che anche a queste ultime procedure
 si  applicano  le  norme  particolari  predisposte,  a  tutela  della
 proporzionale  etnica,  dagli  artt. 12 e segg. del d.P.R. n. 752 del
 1976.
    8.  -  Non  fondata  e',  altresi',  la  questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 1,  primo  comma,  3  (nelle  disposizioni
 indicate  nelle  censure  esaminate  nei paragrafi precedenti) e 7, i
 quali mirerebbero ad arrecare  modifiche  o  deroghe  alle  norme  di
 attuazione  dello  statuto  precedentemente  ricordate  senza che sia
 stata sentita, in occasione  della  loro  approvazione,  la  speciale
 commissione  paritetica prevista dall'art. 107 dello statuto speciale
 per il Trentino-Alto  Adige.  Come  si  e'  precisato  nei  paragrafi
 precedenti,   nessuna  delle  disposizioni  impugnate  e'  diretta  a
 modificare  le  citate  norme   di   attuazione   o   ad   apportarvi
 implicitamente   deroghe.   Sicche'   non   puo'  riconoscersi  alcun
 fondamento alla richiesta della ricorrente.
    9.  -  Non  fondata  e',  infine,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale relativa agli articoli della legge  n.  349  del  1989
 citati  nel numero immediatamente precedente per violazione dell'art.
 52, ultimo comma, dello statuto, il quale dispone che  il  Presidente
 della  Giunta  provinciale  "interviene alle sedute del Consiglio dei
 Ministri, quando si trattano questioni che riguardano la  provincia".
    Come  questa Corte ha affermato (v. sentt. nn. 544 e 545 del 1989,
 ma anche sentt. nn. 34 e 166 del 1976, 627 del  1988),  la  ricordata
 partecipazione  del  Presidente provinciale alle sedute del Consiglio
 dei Ministri, anche in occasione della deliberazione  di  disegni  di
 legge, si rende necessaria soltanto nelle ipotesi in cui "l'interesse
 regionale sul  quale  viene  a  incidere  la  disciplina  statale  in
 discussione  sia qualificato come un interesse differenziato e dotato
 di una particolare rilevanza  o  intensita'".  Poiche'  nel  caso  si
 tratta  di  una  legge che mira a una riorganizzazione generale degli
 uffici doganali su tutto il territorio nazionale, manca evidentemente
 il    presupposto    principale    (interesse    differenziato)   per
 l'applicazione al caso di specie della norma statutaria invocata.