ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 180 della legge
 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore  e  di  altri
 diritti  connessi al suo esercizio), promosso con ordinanza emessa il
 24 gennaio 1989 dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili riuniti
 vertenti tra la S.p.a. Telemilano ed altri e la S.I.A.E., iscritta al
 n. 316 del  registro  ordinanze  1989  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  26, prima serie speciale, dell'anno
 1989;
    Visti  gli atti di costituzione della S.p.a. Telemilano ed altri e
 della S.I.A.E.  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  gennaio  1990  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli  avv.ti  Aldo Bonomo e Francesco Vassalli per la S.p.a.
 Telemilano ed altri, Amedeo Nicolai, Paolo Picozza e Astolfo Di Amato
 per  la  S.I.A.E.  e  l'Avvocato  dello  Stato  Sergio Laporta per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  atto  di  citazione  del 14 dicembre 1987 una serie di
 societa' (Telemilano S.p.a. ed altre 40) esercenti imprese televisive
 aderenti  ai  circuiti  Canale  Cinque,  Italia  Uno, e Rete Quattro,
 facenti capo al gruppo Fininvest, convenivano innanzi al Tribunale di
 Roma  la  S.I.A.E.  -  Societa'  Italiana  degli  Autori  ed Editori,
 chiedendo che venisse accertata  l'illegittimita'  della  pretesa  di
 quest'ultima  di  imporre,  ai  fini  del  rinnovo  dei  contratti di
 utilizzazione delle opere tutelate,  condizioni  identiche  a  quelle
 praticate  alla  R.A.I.  e  di determinare il compenso in base ad una
 percentuale  degli  introiti  per  pubblicita'  conseguiti  dai   tre
 circuiti e raccolti dalla Publitalia S.p.a. A tal fine, chiedevano in
 via pregiudiziale che venisse  sollevata  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 180 della legge 22 aprile 1941, n. 633, per
 contrasto con gli artt. 23, 41, 53 e 97 Cost.
    Nel  corso  dell'istruttoria,  le attrici venivano autorizzate dal
 G.I., in via provvisoria e cautelare, a continuare ad  utilizzare  il
 repertorio  S.I.A.E.  alle  stesse condizioni convenute nei contratti
 scaduti, con corrispettivi rivalutati secondo gli  indici  I.S.T.A.T.
 Esse  inoltre  proponevano  un  ulteriore  giudizio,  poi  riunito al
 precedente, nel quale chiedevano che venisse statuita la prosecuzione
 a   tempo  indeterminato  del  rapporto  contrattuale  alle  medesime
 condizioni o che venisse comunque determinato, in via  costitutiva  e
 sostitutiva, un equo aggiornamento dei corrispettivi medesimi.
    2.  -  Pervenute  le  cause al collegio, il Tribunale di Roma, con
 ordinanza del 24 gennaio 1989, ha sollevato in riferimento agli artt.
 41,  3  e  23 Cost., una questione di legittimita' costituzionale del
 citato art. 180 della legge 22 aprile 1941, n.  633  (Protezione  del
 diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), nella
 parte  in  cui  (primo  e  secondo  comma)  "attribuisce  alla   SIAE
 un'esclusiva,  frangibile  solo  dagli autori o dai loro eredi, nella
 gestione  dei  diritti  di  utilizzazione   economica   delle   opere
 tutelate".
    Il  Tribunale, ricorda, innanzitutto, che nella sentenza n. 65 del
 1972 questa Corte ha ritenuto che la posizione di preminenza con  cui
 la  S.I.A.E.  opera  sul  mercato  -  giustificata  dall'esigenza  di
 interesse generale di adeguata protezione del diritto d'autore -  non
 comporta  l'esercizio  di poteri arbitrari o comunque incontrollabili
 in materia di determinazione dei compensi: e cio' sia perche',  quale
 ente  pubblico,  la  S.I.A.E. e' soggetta a vigilanza governativa - e
 quindi ai gravami previsti in via amministrativa - sia  perche'  sono
 esperibili  contro i suoi atti i ricorsi giurisdizionali ove l'utente
 si ritenga leso nei suoi diritti o interessi legittimi.
    Il  giudice  a  quo  esclude,  invece,  che  ove  la  potesta'  di
 determinare  i  compensi  sia  dalla  S.I.A.E.  esercitata  in   modo
 arbitrario, l'utente disponga di rimedi giuridici adeguati.
    La  possibilita'  di  praticare condizioni contrattuali sperequate
 non  sarebbe  invero  esclusa  dalla  sua  natura  di  ente  pubblico
 economico;  ne'  tale  condotta  potrebbe  essere  censurata mediante
 un'applicazione analogica delle norme (artt. 2597 e 1679  cod.  civ.)
 che  impongono  al  monopolista l'obbligo di contrattare con chiunque
 gliene faccia richiesta e di osservare la parita' di trattamento.  La
 S.I.A.E.,  infatti,  non  opera in condizioni di monopolio ne' legale
 ne' di fatto (sentenza n. 65 del 1972 cit.), ma opera iure privatorum
 ed in piena autonomia, sicche' non sarebbe configurabile un controllo
 preventivo sulle condizioni di contratto da essa praticate  ed  anche
 un suo rifiuto di contrattare sarebbe lecito.
    Inoltre,  essendo tassative, nel nostro ordinamento, le ipotesi in
 cui sono ammesse pronuncie determinative del contenuto di un obbligo,
 non sarebbe consentito al giudice, in mancanza di espressa previsione
 normativa,  emettere   sentenze   costitutive   che   determinino   o
 modifichino  il contenuto del contratto che detto soggetto rifiuti di
 concludere o pretenda di stipulare a condizioni esorbitanti.  Nemmeno
 sarebbe  possibile,  poi,  dichiarare  l'illegittimita' di condizioni
 contrattuali ritenute discriminatorie, non essendo  individuabile  un
 principio normativo che imponga alla S.I.A.E. di osservare la parita'
 di trattamento tra gli utenti del  repertorio.  Quindi,  pur  essendo
 conferita  alla  S.I.A.E.  una  posizione  di assoluta preminenza sul
 mercato, non vi sarebbero nell'ordinamento italiano -  privo  di  una
 legislazione   antitrust   -  strumenti  di  controllo  preventivo  o
 successivo  (obbligo  a  contrattare,  imposizione  di   parita'   di
 trattamento,   predisposizione  di  tariffe  inderogabili)  idonei  a
 contrastare eventuali tendenze all'abuso di tale posizione dominante.
 Nel  caso  di specie, uno strumento di intervento giurisdizionale non
 sarebbe ricavabile dagli artt.  52  e  56  legge  n.  633  cit.,  che
 prevedono  il  diritto  dell'ente  statale  esercente  il servizio di
 radiodiffusione di  utilizzare  -  entro  certi  limiti  -  le  opere
 dell'ingegno  dietro  pagamento  di  un  compenso  che,  in  caso  di
 disaccordo,  e'  liquidato  dall'autorita'   giudiziaria.   Trattasi,
 infatti, di previsione non estensibile a favore di altri soggetti.
    Ne' potrebbe, ritenersi adeguata la sola tutela amministrativa, in
 quanto in concreto utilizzabile piu' nella  fase  di  concessione  di
 licenze  o autorizzazioni che nella vera e propria fase contrattuale.
    In  questa  -  osserva  il  giudice  a quo in punto di rilevanza -
 dovrebbero valere criteri di ragionevolezza ed equita', specie in  un
 mercato in cui sia impossibile rifornirsi altrove dello stesso bene o
 servizio; criteri che non sarebbero stati nella specie osservati, non
 essendo  a  suo  avviso giustificata ne' la pretesa della S.I.A.E. di
 equiparare RAI ed emittenti private,  ne'  quella  di  esigere  quale
 compenso  una  percentuale parametrata non sui bilanci delle societa'
 attrici, bensi' sugli introiti della societa' (Publitalia) che svolge
 per esse la raccolta della pubblicita'.
    In  ragione,  percio',  della  mancanza  di  criteri  generali  ed
 uniformi di determinazione dei compensi e di specifiche  ed  adeguate
 forme  di  tutela  giudiziaria,  il  giudice  a quo ritiene che siano
 violati gli artt. 3 e 41  Cost.,  rispettivamente  sotto  il  profilo
 della   disparita'   di   trattamento   e   del   non   coordinamento
 dell'attivita' economica pubblica a fini  sociali.  Sarebbe  altresi'
 violato  l'art.  23 Cost., in quanto la posizione di preminenza della
 S.I.A.E. e la necessita' per le emittenti private  di  utilizzare  le
 opere  tutelate renderebbero il corrispettivo determinato dalla prima
 "molto  simile  ad  una  prestazione   patrimoniale   con   carattere
 pressoche' impositivo".
    3.  - Le societa' attrici nel giudizio a quo, costituitesi a mezzo
 degli avv.ti F. Vassalli e A. Bonomo, aderiscono alla  prospettazione
 del  Tribunale.  In  punto  di  rilevanza  osservano che, vertendo il
 giudizio a  quo  essenzialmente  sulla  facolta'  della  S.I.A.E.  di
 determinare  secondo  merum arbitrium il compenso per l'utilizzazione
 da parte loro  del  repertorio  tutelato,  l'esito  di  esso  dipende
 dall'ampiezza  delle  facolta'  che  possono  ritenersi  insite nella
 posizione di detto  ente,  cui  la  norma  impugnata  conferisce  una
 posizione  di preminenza sul mercato, senza peraltro stabilire limiti
 procedimentali o sostanziali per la determinazione dei corrispettivi.
    Nel  merito, la difesa osserva che il giudizio principale e' stato
 promosso sulla scorta delle indicazioni contenute nella  sentenza  n.
 65  del  1972,  circa  i  mezzi  di  tutela  giurisdizionale idonei a
 controllare l'esercizio dei poteri conferiti alla S.I.A.E. Avendo  il
 Tribunale  ritenuto  di  non  disporre  di  strumenti  giuridici  per
 censurarne il comportamento, l'accoglimento della  questione  sarebbe
 necessario  per  consentire all'utilizzatore di far valere le proprie
 ragioni.
    4.  -  La S.I.A.E., costituitasi a mezzo degli avv.ti A. Nicolai e
 P. Picozza, contesta innanzitutto il  presupposto  di  fatto  su  cui
 l'ordinanza  di rimessione si fonda, che cioe' sia stato nella specie
 arbitrario  pretendere  un  compenso   parametrato   sugli   introiti
 complessivi  del  gruppo  Fininvest.  Di  fronte agli attuali modi di
 utilizzo di massa di talune categorie di opere da parte delle imprese
 radiotelevisive,  e'  ormai  da tempo invalsa la prassi - non solo in
 Italia - di stipulare contratti che conferiscono  una  autorizzazione
 generale   allo   sfruttamento  del  repertorio  tutelato,  verso  un
 corrispettivo rapportato agli introiti  complessivi  ed  aggirantesi,
 come nel caso della R.A.I., sul 4/5%.
    Il   riferimento   agli  introiti  complessivi  del  gruppo,  gia'
 praticato  nel  precedente  contratto,  dipenderebbe  dall'essere  le
 societa'   emittenti   locali   mere  appaltatrici  del  servizio  di
 diffusione dei programmi, nei cui bilanci non figurano  introiti  per
 la  raccolta  di pubblicita', che per l'emittenza privata costituisce
 la risorsa essenziale. La pretesa del suddetto gruppo  di  fruire  di
 condizioni  contrattuali piu' favorevoli di quelle praticate alla RAI
 sarebbe d'altra parte infondata, data la posizione dominante -  e  di
 polo concorrenziale rispetto al servizio pubblico - da esso acquisita
 nell'ambito dell'emittenza privata (cfr. sentenza n. 826 del 1988).
    Cio'    premesso,    la    difesa    della    S.I.A.E.   eccepisce
 l'inammissibilita' della questione.  Ammesso  infatti  che  la  norma
 impugnata  conferisca  alla  S.I.A.E.  una  posizione  dominante  sul
 mercato, non e' da essa che  puo'  farsi  automaticamente  discendere
 l'abuso  concretamente lamentato dal giudice a quo: abuso che infatti
 e' represso dall'art. 86 del Trattato C.E.E.  nel  presupposto  della
 liceita'  della  posizione  dominante,  la quale puo' peraltro essere
 acquisita anche in assenza di un'esclusiva legale.
    D'altra  parte,  sostiene la difesa, l'attribuzione ex lege di una
 posizione dominante non comporta sottrazione al regime ordinario  dei
 controlli  sugli  atti  di  privata autonomia (artt. 1337, 1341, 1343
 cod. civ., etc.) ne' presuppone  la  necessaria  introduzione  di  un
 regime  di  controlli  speciale. Inoltre, anche se la Corte ritenesse
 nella specie applicabile, in via  interpretativa,  l'art.  2597  cod.
 civ.,   l'effetto   sul  giudizio  a  quo  potrebbe  essere  solo  la
 declaratoria  di  illegittimita'  delle  clausole  che  si   assumono
 discriminatorie,  ma  non  anche  la possibilita' di quella pronuncia
 determinativa del contenuto del contratto che  costituisce  l'oggetto
 della domanda: sicche' la questione dovrebbe ritenersi irrilevante.
    Siffatta  pronuncia e' effettivamente non consentita, come ritiene
 il giudice a quo, dato che  nel  nostro  ordinamento  -  ispirato  al
 principio  di  autonomia  delle  parti  -  la  tutela  costitutiva ha
 carattere eccezionale, sicche' l'intervento sostitutivo  del  giudice
 puo'  ammettersi solo nei casi espressamente previsti. Cio' pero' non
 significa - secondo la difesa della S.I.A.E. -  che  il  privato  non
 disponga  di  strumenti  di  tutela  adeguati. Al riguardo, dopo aver
 richiamato la disciplina per il  controllo  dell'abuso  di  posizione
 dominante  contenuta  nell'art.  86  del Trattato C.E.E., essa rileva
 che, stante la larga discrezionalita' di cui gode la S.I.A.E.,  nella
 specie si versa nella tematica del controllo dei c.d. poteri privati,
 ed in specie di quei poteri di cui godono taluni soggetti titolari di
 posizioni  "forti"  sul  terreno  della  conclusione  dei  contratti.
 Rispetto a questi, la tutela del singolo si  realizza  attraverso  il
 necessario  rispetto,  da  parte  del titolare del potere, dei doveri
 generali di buona fede e di  correttezza  (artt.  1175  e  1375  cod.
 civ.),  sui  quali  si  innesta  lo  stesso  dovere  di imparzialita'
 gravante sulla P.A. ex art. 97 Cost. e dai quali deriva l'obbligo  di
 parita'  di trattamento dell'utenza in presenza di situazioni che sia
 irragionevole trattare diversamente. In caso di inosservanza di  tali
 parametri,  e' dato all'utente di agire per il risarcimento del danno
 eventualmente subito. Tali strumenti di tutela - osserva la difesa  -
 possono  anche apparire inadeguati e di non agevole impiego; ma cio',
 seppure pone un problema di riforma del sistema vigente, non  vale  a
 legittimare la tesi del giudice a quo secondo cui di fronte all'abuso
 della posizione dominante da parte della S.I.A.E. il soggetto privato
 sarebbe sprovvisto di qualsivoglia tutela.
    Sotto  questo profilo, quindi, la questione sarebbe manifestamente
 infondata.
    5.  - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto per il
 tramite dell'Avvocatura dello Stato, rileva innanzitutto  che,  nella
 prospettazione  del  giudice  a  quo,  il controllo contro l'abuso di
 posizione dominante che  la  norma  impugnata  non  prevede  dovrebbe
 realizzarsi  mediante  l'imposizione  di  un  obbligo  a contrattare,
 ovvero della parita' di trattamento, ovvero mediante  predisposizione
 di tariffe inderogabili.
    A   questa   stregua,  la  questione  dovrebbe  essere  dichiarata
 inammissibile,  in  quanto  con  essa  si  richiede   un   intervento
 manipolativo  per  addizione,  la  quale  non troverebbe la sua fonte
 nell'ordinamento - cioe' nei principi generali o in specifiche  norme
 di legge - ma sarebbe frutto di scelta politica.
    La  questione sarebbe inoltre inammissibile per omessa motivazione
 sulla  rilevanza,  dato  che  l'arbitrarieta'  della  condotta  della
 S.I.A.E.  e'  prospettata  solo  come  mera  eventualita' e non viene
 chiarito in che modo la  denunciata  incostituzionalita'  rileverebbe
 nel   giudizio  di  monito.  L'accenno  alla  pretesa  irrazionalita'
 dell'equiparazione R.A.I. - emittenza privata sarebbe  d'altra  parte
 incongruo  rispetto alla fattispecie contrattuale esaminata ed al suo
 reale svolgimento.
    La   questione   e'   poi   manifestamente   infondata  -  secondo
 l'Avvocatura - in quanto ripropone sostanzialmente quella gia' decisa
 con  la  sentenza  n.  65 del 1972 senza prospettare argomenti nuovi.
 Tale non  sarebbe,  in  particolare,  quello  relativo  alla  pretesa
 arbitrarieta'   del   comportamento   della   S.I.A.E.,  che  non  e'
 suscettibile di assurgere a motivo  d'incostituzionalita'  in  quanto
 con  esso  si  confonde  tra  "potere  arbitrario"  -  che renderebbe
 illegittima la norma che lo conferisce,  ma  la  cui  sussistenza  e'
 stata  esclusa  dalla  Corte  -  ed esercizio arbitrario di un potere
 legittimo, che non crea problemi di costituzionalita' della norma che
 lo  conferisce ma solo di responsabilita' da fatto illecito in capo a
 chi ne fa abuso.
    D'altra  parte - osserva l'Avvocatura - le finalita' eminentemente
 pubblicistiche assegnate alla  S.I.A.E.  -  di  tutela  giuridica  ed
 economica  delle  opere dell'ingegno e di promozione dello sviluppo e
 diffusione del patrimonio letterario e  artistico  italiano  -  fanno
 escludere  che  sia  nei  suoi  confronti  configurabile  un abuso di
 posizione dominante. La tutela associata dei  diritti  degli  autori,
 infatti,  non creerebbe "alcun potere contrattuale aggiuntivo" se non
 in termini di ampliamento del mercato e, quindi in  termini  soltanto
 favorevoli  agli  utilizzatori".  Inoltre,  poiche'  il  concetto  di
 posizione dominante dovrebbe essere considerato in  riferimento  alla
 controparte  contrattuale,  una  posizione  di  soggezione  di questa
 sarebbe nella specie da escludere, trattandosi del "piu' forte gruppo
 che   opera  nel  settore  dell'emittenza  privata  italiana  in  una
 posizione di oligopolio, con  un  indice  di  ascolto  equivalente  a
 quello  della  RAI  e  con  un  fatturato  pubblicitario  addirittura
 superiore".
    Ma  anche  ad  ammettere - conclude l'Avvocatura - che la S.I.A.E.
 tenga un comportamento "arbitrario", questo sarebbe sanzionato  dalle
 clausole  generali  dell'illecito.  Essa, infatti, violerebbe sia gli
 obblighi assunti nei confronti degli autori, sia  i  doveri  pubblici
 che  su  di  essa  incombono,  e che a suo avviso escludono che possa
 rifiutarsi di contrattare  o  di  tentare  di  imporre  prezzi  fuori
 mercato:  sicche'  si  esporrebbe  "a  tutte  le  possibili  sanzioni
 irrogabili  dal  potere  di  vigilanza  governativa".   Incorrerebbe,
 inoltre, in una responsabilita' extracontrattuale (o precontrattuale)
 nei  confronti  del  mancato  contraente,  ed   i   suoi   funzionari
 risponderebbero penalmente ex art. 323 cod. pen. La questione sarebbe
 quindi infondata sotto tutti i profili; ivi compreso quello  riferito
 all'art. 23 Cost., dato che la S.I.A.E. manca di poteri impositivi.
    6.  -  Nell'imminenza  dell'udienza  la  difesa  della S.I.A.E. ha
 presentato due  memorie  aggiunte,  nelle  quali  sono  ulteriormente
 illustrate e specificate le tesi svolte nell'atto di costituzione.
    In  punto  di  fatto  la difesa sostiene che la lunga e perdurante
 carenza di disciplina dell'attivita' radiotelevisiva privata ha  reso
 possibile  l'acquisizione  di una posizione dominante in tale settore
 da parte del gruppo Fininvest, posizione della quale  questo  avrebbe
 abusato  in  danno  della  S.I.A.E.  rifiutando  la  stipula di nuovi
 accordi ed intentando il giudizio  principale.  A  tale  riguardo  la
 difesa  precisa  che nei contratti stipulati nel 1985 con tale gruppo
 si  stabili'  la  percentuale  del  solo  2,50%  dei  suoi   introiti
 pubblicitari   complessivi   in   quanto   nel   periodo  1983/84  la
 programmazione dei circuiti facenti capo ad esso era  prevalentemente
 costituita da films e simili, e quindi l'utilizzazione del repertorio
 S.I.A.E. era molto limitata. Poiche' lo sfruttamento  del  repertorio
 nel periodo successivo e' cresciuto si' da diventare analogo a quello
 della R.A.I., il mantenimento  delle  condizioni  precedenti  sarebbe
 stato  iniquo: tant'e' che la R.A.I. - che versava su un'aliquota del
 4,75% (pari a  87  miliardi  di  lire)  -  lamento'  la  macroscopica
 disparita'  di  trattamento,  fino  a  sospendere  i  pagamenti  ed a
 riprenderli  solo  dietro  impegno   della   S.I.A.E.   ad   ottenere
 corrispettivi  congrui  dal  gruppo  concorrente.  Percio'  e'  stata
 proprio l'esigenza di pari trattamento invocata dal giudice a quo  ad
 imporre alla S.I.A.E. di considerare il gruppo Fininvest in base alla
 sua effettiva consistenza ed alla posizione di oligopolio  acquisita,
 e  di  richiedere  corrispettivi  adeguati  al reale sfruttamento del
 repertorio. Questo, d'altra parte, sarebbe riferibile al gruppo e non
 alle societa' attrici, mere appaltatrici di servizi prive di autonoma
 capacita' di  determinazione  e  gestione:  sicche'  esso,  delegando
 queste  ultime  alla contrattazione con la S.I.A.E. ed intentando per
 loro  tramite  un  giudizio  con  cui   pretende   di   corrispondere
 corrispettivi  irrisori,  avrebbe  posto  in  essere  in  danno della
 S.I.A.E. atti di abuso della propria posizione dominante,  in  quanto
 preordinati  a  praticare  trattamenti  per  effetto dei quali questa
 verrebbe discriminata rispetto alle altre societa' di autori operanti
 nell'ambito della C.E.E.
    Cio'  premesso,  la  difesa della S.I.A.E. rileva che a precludere
 comportamenti arbitrari contribuisce la natura pubblica dell'ente, la
 quale  comporta, oltre alla vigilanza governativa, un ampliamento dei
 doveri  di  correttezza  apprezzabili  alla  stregua  della  clausola
 generale  della correttezza professionale (art. 2598 cod. civ.) anche
 per la diretta rilevanza, nei rapporti  interprivati,  dal  principio
 dell'utilita'  sociale  di  cui  all'art.  41 Cost.: sicche' dovrebbe
 ritenersi illecito ex art. 2598 cod.  civ.  il  rifiuto  semplice  di
 contrattare di un'impresa in posizione dominante sul mercato.
    Un  giudizio  di disvalore nei confronti dei comportamenti abusivi
 da parte di chi ottenga tale posizione dovrebbe poi essere  possibile
 mediante  l'applicazione  indiretta  del principio di cui all'art. 86
 del Trattato C.E.E., che il  giudice  italiano  dovrebbe  considerare
 come  riferimento privilegiato per precisare il contenuto di clausole
 generali interne, quale quella di cui all'art. 2598  cod.  civ.  Alla
 tutela  risarcitoria  specificamente  prevista  al riguardo dall'art.
 2600 cod. civ. potrebbe poi accompagnarsi quella generale  apprestata
 dall'art. 2043 cod. civ.
    Rilevato, poi, che nell'ordinanza di rimessione non sono enunciate
 le specifiche ragioni dell'assunto contrasto con gli  artt.  3  e  41
 Cost.,   la   difesa   della   S.I.A.E.   osserva  che,  non  essendo
 dall'ordinamento vietato il raggiungimento in via  di  fatto  di  una
 posizione  di preminenza sul mercato, non dovrebbe essere censurabile
 l'attribuzione ex lege di tale posizione. D'altra parte, di fronte al
 rifiuto  della  S.I.A.E.  l'utente  potrebbe  sempre procurarsi dagli
 autori  l'assenso  allo  sfruttamento  delle  opere.   Ne'   potrebbe
 condividersi  l'assunto  del  giudice  a  quo  secondo  cui  la norma
 impugnata sarebbe irrazionale in quanto non  prevede  una  tutela  di
 tipo  costitutivo:  sia  perche'  anche  l'obbligo di contrattare del
 monopolista  legale  e',   salvo   i   casi   di   tariffe   imposte,
 giuridicamente  incoercibile,  non  esistendo,  nella generalita' dei
 casi, un'obbligazione a contenuto determinato suscettibile di  essere
 eseguita  coattivamente  ex  art.  2932  cod.  civ.;  sia  perche' la
 pronunzia di sentenze  costitutivo-determinative  e'  consentita  nel
 nostro  ordinamento  solo  nei casi espressamente previsti. Peraltro,
 per reprimere gli abusi  di  posizione  dominante  sarebbe  possibile
 affiancare   alla   tutela   risarcitoria  la  piu'  incisiva  tutela
 inibitoria.
     Infondata  e'  infine,  ad  avviso  della  S.I.A.E.,  la  censura
 riferita all'art.  23  Cost.,  dato  che  il  compenso  corrispostole
 dall'utente  non puo' essere qualificato come tributo, derivando esso
 da un'attivita' svolta sul piano privatistico e non da  una  potesta'
 di imperio.
    La  difesa della S.I.A.E. sostiene poi - in altra memoria - che la
 questione sarebbe inammissibile, dato che non spetta alla  Corte  ne'
 la qualificazione giuridica della posizione dell'utente nei confronti
 della S.I.A.E. - come diritto soggettivo o interesse legittimo -  ne'
 l'elaborazione di una normativa antitrust, ne' la scelta in ordine ai
 controlli amministrativi da esercitare su tale ente.
    7.  - Anche la difesa delle societa' attrici nel giudizio a quo ha
 presentato  un  memoria  aggiunta.  La  questione  sollevata  sarebbe
 rilevante  dato  che  con  essa  si  chiede  alla Corte una pronuncia
 additiva che precisi quali sono gli specifici diritti delle  societa'
 emittenti  ed  i  mezzi  di  una  loro  effettiva  ed adeguata tutela
 giurisdizionale, con evidenti effetti sulla risoluzione del  giudizio
 a  quo. La tutela costitutiva dovrebbe essere riconosciuta in ragione
 del rilievo fondamentale che ha nel nostro ordinamento - pur  se  non
 e'  direttamente  applicabile - l'art. 86 del Trattato C.E.E., che in
 sede comunitaria consente  tale  tipo  di  tutela.  Forme  di  tutela
 costitutiva  sono  del resto previste dall'art. 56 e dalla sez. I del
 capo III della legge sul diritto di autore;  e  la  tutela  meramente
 risarcitoria    sarebbe    inidonea   a   salvaguardare   i   diritti
 dell'utilizzatore.
    D'altra  parte,  non  dovrebbe  neanche  escludersi l'applicazione
 analogica all'impresa in  posizione  dominante  dell'art.  2597  cod.
 civ.: nel qual caso la sentenza che stabilisse d'imperio il contenuto
 del  contratto  sarebbe  non  costitutiva,   ma   determinativa   del
 regolamento  d'interessi  non  attuato in via convenzionale, dato che
 integrerebbe un'applicazione del principio di parita' di  trattamento
 non  comportante  valutazioni discrezionali da parte del giudice. Ne'
 potrebbe dirsi che con cio' la Corte sarebbe chiamata - come sostiene
 l'Avvocatura  -  ad  una  scelta  politica. Una sentenza che sancisse
 l'applicabilita'  dell'art.   2597   cod.   civ.   e   della   tutela
 determinativa  non  comporterebbe  infatti  la creazione di una norma
 bensi' l'individuazione di quella -  gia'  implicata  nel  sistema  -
 mediante  la  quale  riempire immediatamente la lacuna che altrimenti
 resterebbe aperta nella disciplina della materia: sarebbe, cioe', una
 legislazione  "a rime obbligate" che troverebbe fondamento, oltre che
 nell'art. 41, anche nell'art. 21 Cost.
    A  sostegno  della  fondatezza  della  questione  la difesa assume
 ancora che l'utilizzatore del repertorio S.I.A.E. funge da veicolo di
 promozione  culturale  delle opere dell'ingegno e di diffusione della
 cultura (art. 21 e 33 Cost.). La  sua  posizione  giuridica  dovrebbe
 percio'  qualificarsi  come  diritto  soggettivo e non come interesse
 legittimo,  non  potendosi  riconoscere  alla  S.I.A.E.  la  potesta'
 discrezionale  di incidere su interessi di livello costituzionale. Il
 diritto alla stipulazione del contratto  andrebbe  poi  affermato  in
 quanto nella specie si sarebbe in presenza di una potesta' arbitraria
 e non dell'esercizio arbitrario di un potere legittimo;  e  la  norma
 impugnata   dovrebbe   essere   dichiarata  incostituzionale  perche'
 conferisce   alla   S.I.A.E.   la   piu'   ampia   e    incontrollata
 discrezionalita' quanto alla scelta del contraente ed alle condizioni
 del contratto.
    D'altra  parte,  in  un  ordinamento  dominato  dal  principio  di
 liberta'  contrattuale,  sarebbe  inconferente  -   a   dimostrazione
 dell'esistenza  di  strumenti  giuridici contro l'abuso - il richiamo
 tanto ai principi di buona fede  e  correttezza,  dato  che  la  loro
 operativita' presuppone che il soggetto decida di contrattare; quanto
 all'art. 86 del Trattato C.E.E.,  che  e'  applicabile  solo  laddove
 l'instaurando rapporto interessi il "commercio tra gli Stati membri".
    Inconferente  sarebbe anche il richiamo al dovere di imparzialita'
 di cui all'art. 97 Cost., almeno fino a che non si  sancisca  che  da
 esso  deriva  il  diritto  soggettivo  del  privato  a  non subire un
 trattamento discriminatorio.
    Non potrebbe avere ingresso, poi, neanche la tutela risarcitoria -
 non richiesta dalle attrici nel giudizio principale - dato  che  essa
 presuppone   che  si  riconosca  l'illiceita'  della  condotta  della
 S.I.A.E.  e  quindi  il  diritto  soggettivo  dell'utilizzatore.  Non
 potendo   aversi  azione  senza  diritto,  la  norma  quindi  sarebbe
 censurabile  anche  in  riferimento  all'art.  24   Cost..   Peraltro
 l'effettiva  difesa  degli  interessi coinvolti potrebbe conseguirsi,
 secondo la difesa,  solo  con  un'azione  di  tipo  determinativo,  e
 percio'   quella  meramente  risarcitoria  lascerebbe  sussistere  la
 denunciata incostituzionalita'.
    Sotto altro profilo, il compenso richiesto dalla S.I.A.E. andrebbe
 qualificato come "prestazione imposta" ex art. 23  Cost.,  in  quanto
 tale  carattere non e' escluso per il solo fatto che la richiesta del
 servizio  dipenda  dalla  volonta'  del  privato,  qualora  esso  sia
 riservato  alla  mano  pubblica  ed  il  suo  uso  sia da considerare
 essenziale ai bisogni della vita (sentenza n. 72 del 1969). Nel  caso
 di  specie, quest'ultimo requisito sussisterebbe perche' le attivita'
 in  questione  sono  destinate   a   soddisfare   l'interesse   della
 collettivita'  alla  diffusione  della  cultura  e perche' la mancata
 accettazione del  compenso  "imposto"  dalla  S.I.A.E.   comporta  il
 sacrificio delle liberta' di cui agli artt. 21 e 41 Cost.
    La  carenza  di  tutela  giuridica  dell'utilizzatore  emergerebbe
 anche, secondo la difesa, dalla mancanza di una norma di  azione  che
 disciplini  l'attivita' della S.I.A.E. e consideri qualificato, e non
 di  mero  fatto,  l'interesse  di  costui.   Non   potrebbe   percio'
 riconoscersi   in   capo  al  medesimo  una  posizione  di  interesse
 legittimo; e d'altra parte una tutela di tipo  pubblicistico  sarebbe
 da  escludere  in  quanto  la S.I.A.E. opera con strumenti di diritto
 privato e non con provvedimenti amministrativi.
     La  difesa  chiede infine, in via subordinata, l'emissione di una
 sentenza interpretativa di rigetto,  che  alla  stregua  della  norma
 impugnata  - correlata con altre disposizioni - individui e riconosca
 l'esistenza nell'ordinamento dell'obbligo della S.I.A.E. di contrarre
 e  di  osservare  la  parita'  di trattamento e dell'esperibilita' da
 parte del privato di rimedi giurisdizionali costitutivi.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  l'ordinanza  indicata in epigrafe il Tribunale di Roma
 dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 180 della legge 22
 aprile  1941,  n.  633  ("Protezione  del diritto d'autore e di altri
 diritti connessi al  suo  esercizio"),  in  quanto  attribuisce  alla
 Societa'  Italiana  Autori  ed  Editori  (S.I.A.E.) l'esclusiva nella
 gestione dei diritti di utilizzazione economica delle opere  tutelate
 da  detta  legge  -  e le assegna percio' una posizione dominante sul
 mercato - ma non  prevede  adeguati  strumenti  giuridici  di  tutela
 contro  l'abuso  di  tale  posizione,  atti  ad  assicurare l'obbligo
 dell'ente di contrarre e di osservare la parita' di  trattamento  fra
 gli  utenti  ed  a  consentire  a  questi di reagire contro eventuali
 discriminazioni. La  norma,  percio',  in  quanto  non  consente,  in
 particolare,  di  dichiarare  illecita  l'imposizione  di  condizioni
 contrattuali inique e di porvi rimedio, confliggerebbe col  principio
 di  parita'  di  trattamento  sancito  dall'art. 3 Cost., nonche' con
 l'esigenza di coordinamento dell'attivita' economica pubblica a  fini
 sociali  di  cui  all'art.  41,  terzo  comma,  Cost. Sarebbe inoltre
 ravvisabile  un  contrasto  con  l'art.  23  Cost.,   dato   che   il
 corrispettivo determinato dalla S.I.A.E. sarebbe "molto simile ad una
 prestazione patrimoniale con carattere pressoche' impositivo".
    2.  - Rispetto alla questione cosi' prospettata l'Avvocatura dello
 Stato e la  difesa  della  S.I.A.E.  propongono  varie  eccezioni  di
 inammissibilita': ma nessuna di esse puo' essere condivisa.
    Non  puo'  accogliersi,  in  primo  luogo,  la  tesi  secondo  cui
 l'impugnativa avrebbe dovuto essere rivolta nei  confronti  di  norme
 diverse dall'art. 180 legge cit., in quanto dalla posizione conferita
 da tale disposizione non potrebbe  farsi  automaticamente  discendere
 l'abuso  concretamente  ipotizzato dal giudice a quo. Questi, invero,
 presuppone  l'inapplicabilita'  dei  rimedi  contro  siffatti   abusi
 previsti  in  altre  norme;  ed  e' logico percio' che la censura sia
 rivolta nei confronti di quella che tale posizione conferisce.
    Non  puo'  poi  essere  dedotta come motivo di inammissibilita' la
 circostanza  che  nell'ordinanza  di  rimessione   non   risulterebbe
 chiarita  la  rilevanza  nel  giudizio  principale della pronuncia di
 incostituzionalita'.
    Nel  valutare  la  rilevanza,  invero,  il  giudice a quo non deve
 percorrere l'itinerario dell'esame del merito della causa  principale
 -  itinerario  sul quale questa Corte non puo' entrare con le proprie
 valutazioni, a  pena  di  trasfigurare  il  significato  del  proprio
 giudizio   -   essendo  necessario  e  sufficiente  che  ricorra  una
 situazione tale, valutata a  priori  in  limine  litis,  per  cui  la
 disposizione  contestata  sia applicabile ai fini della decisione del
 giudizio a quo (cfr. da ultimo, in questi  termini,  la  sentenza  n.
 1012 del 1988).
    A   maggior   ragione   non   puo'   valutarsi   in   questa  sede
 l'ipotizzabilita' o meno della discriminazione lamentata nel giudizio
 principale,  che  S.I.A.E.  e  Avvocatura contestano in ragione della
 posizione acquisita nell'emittenza televisiva privata dal gruppo  cui
 fanno  capo le societa' attrici, la quale a loro avviso giustifica un
 trattamento paritario rispetto alla RAI quanto al  corrispettivo  per
 l'utilizzazione  del repertorio S.I.A.E.. Tale questione infatti, pur
 se concretamente incidente nel giudizio di merito, esula non solo dal
 giudizio  di  costituzionalita',  ma  anche  dalle  valutazioni sulla
 rilevanza che il giudice a quo e' chiamato ad esprimere.
    Le  anzidette  precisazioni  inducono altresi' ad escludere che in
 senso contrario alla rilevanza della questione  valga  l'argomento  -
 prospettato  dalla  S.I.A.E.  -  secondo  cui,  anche  ove  la  Corte
 ritenesse, in via  interpretativa,  l'applicabilita',  rispetto  alla
 fattispecie di cui al citato art. 180, dell'obbligo di contrarre e di
 osservare la parita' di trattamento sancito per il monopolista legale
 dall'art.  2597  cod. civ., cio' non comporterebbe la possibilita' da
 parte del giudice a quo di emettere una  sentenza  determinativa  del
 contenuto del contratto, che forma oggetto della domanda nel giudizio
 principale. Si tratta invero di un problema attinente al giudizio  di
 merito  e  concernente l'individuazione degli effetti delle pronunzie
 della Corte: pertanto esso non incide sulla rilevanza della  proposta
 questione.
    3.  -  L'ordinanza  del  Tribunale  di  Roma  prende le mosse, nel
 merito, dalla sentenza di questa Corte n. 65 del 1972 ed  assume:  da
 un  lato,  che  la  qualificazione, ivi riconosciuta, della posizione
 della S.I.A.E.  come  di  supremazia  e  non  di  monopolio  comporta
 l'inapplicabilita' nei suoi confronti di disposizioni quali quelle di
 cui agli artt. 2597 e 1679 cod. civ., con la conseguenza che essa non
 puo'  ritenersi  legalmente  tenuta ne' a contrarre e ad osservare la
 parita' di trattamento fra gli  utilizzatori  del  repertorio  ne'  a
 praticare   condizioni  contrattuali  prestabilite;  dall'altro,  che
 l'affermazione secondo cui esistono rimedi  giurisdizionali  atti  ad
 impedire  l'esercizio,  da  parte  dell'ente,  di  poteri arbitrari o
 comunque incontrollabili in sede di determinazione dei compensi,  non
 troverebbe  riscontro  nel  vigente  ordinamento;  sicche',  data  la
 carenza di  una  legislazione  anti-trust,  dovrebbero  applicarsi  i
 comuni principi dell'autonomia contrattuale.
    La  censura s'incentra quindi essenzialmente sulla dedotta carenza
 di rimedi specifici ed adeguati rispetto alla posizione di supremazia
 attribuita  alla  S.I.A.E. dalla norma impugnata. Di conseguenza, non
 puo' ritenersi risposta appropriata al quesito cosi' posto  quella  -
 prospettata  dall'Avvocatura dello Stato e dalla S.I.A.E. consistente
 nell'evidenziare l'applicabilita' dei comuni principi che regolano il
 corretto esercizio dell'autonomia privata.
    I  principi  di  correttezza e buona fede nelle trattative e nella
 formazione ed esecuzione del contratto (artt. 1175, 1337, 1366,  1375
 cod.  civ.), le regole della correttezza professionale (art. 2598, n.
 3,  cod.  civ.)  ed   i   doveri   correlati   alla   responsabilita'
 extracontrattuale  (art.  2043 cod. civ.) non costituiscono un argine
 sufficiente  alla  liberta'   di   scelta   del   contraente   e   di
 determinazione   del   contenuto   del   contratto  che  nel  vigente
 ordinamento  caratterizzano  l'autonomia  contrattuale,  e  non  sono
 percio'  idonei  a  sopperire  all'alterazione dell'equilibrio tra le
 parti che consegue all'essere una di esse in posizione di supremazia.
 Ne'  e'  al riguardo sufficiente antidoto la natura e le finalita' di
 ente  pubblico  della  S.I.A.E.  e  la  conseguente  soggezione  alla
 vigilanza  governativa,  ai  doveri  di  correttezza ed imparzialita'
 amministrativa  (art.  97  Cost.)  ed  ai  comuni  gravami   in   via
 amministrativa, giacche' cio' puo' indurre a ritenere improbabile, ma
 non ad escludere che l'esercizio dei poteri di supremazia conferitile
 trasmodi in arbitrarieta'.
    Neppure  sufficiente appare il rilievo della difesa della S.I.A.E.
 circa la possibilita' di applicare l'art. 86 del Trattato  istitutivo
 della  C.E.E.,  che  - a tutela della concorrenza e dei consumatori -
 vieta lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante  e,  tra  le
 altre,  le  pratiche  consistenti  (lettera  c)  "nell'applicare  nei
 rapporti commerciali con gli altri  contraenti  condizioni  dissimili
 per prestazioni equivalenti, determinando cosi' per questi ultimi uno
 svantaggio per la concorrenza". Anche ad  ammettere  che  in  singoli
 casi   di   negoziazione   nell'   ambito   nazionale   aventi   tali
 caratteristiche (e magari nel caso oggetto del  giudizio  principale)
 possano  ritenersi  sussistenti  quei  requisiti  -  di  sfruttamento
 abusivo di posizioni dominanti in una "parte sostanziale" del mercato
 comune,  atto  a pregiudicare il commercio tra gli Stati membri - che
 circoscrivono l'applicabilita' di tale disposizione, e' evidente  che
 cio'   non  potrebbe  avvenire  in  tutte  le  ipotesi  concretamente
 configurabili  di  abuso  da  parte  della  S.I.A.E.  della   propria
 posizione  di supremazia sugli utilizzatori del repertorio. E poiche'
 il giudizio di costituzionalita' investe la norma in  riferimento  ai
 vari  modi  in cui essa opera nell'ordinamento, l'applicabilita' solo
 sporadica di una disposizione di salvaguardia non puo' comportare  un
 apprezzamento di validita' generale.
    Del  resto,  l'eventuale applicazione nei confronti della S.I.A.E.
 del  citato  art.  86   potrebbe   subire   dei   limiti   funzionali
 all'adempimento  della  "specifica missione" affidatale qualora la si
 inquadrasse tra le imprese incaricate di gestire servizi di interesse
 economico  generale  considerate  nell'art.  90 dello stesso trattato
 C.E.E.
    4.   -   Salvo  quanto  si  dira'  in  appresso,  dalle  suesposte
 considerazioni emerge che la questione  sollevata  dal  Tribunale  di
 Roma  non  puo'  trovare  adeguata  soluzione  con i comuni strumenti
 previsti  dal  vigente  ordinamento  civilistico:  e  cio'   -   dato
 l'indubbio  rilievo  costituzionale del quesito che con essa e' stato
 posto - evidenzia la grave carenza del suddetto ordinamento  rispetto
 alle esigenze di adeguamento ai valori costituzionali.
    Questa  Corte ha gia' piu' volte sottolineato la necessita' di una
 efficace  normativa  anticoncentrazione   nel   complessivo   settore
 dell'informazione  (cfr., da ultimo, sent. 826 del 1988): ma essa non
 e' meno necessaria - come si e' avvertito nella sentenza n.  223  del
 1982  -  nel  piu'  vasto settore dell'attivita' economica, pur se in
 questo assume connotati in buona parte diversi, per la diversita' dei
 valori  tutelati. Il principio dell'autonomia contrattuale - che come
 si e' detto comporta, tra l'altro, liberta' di scelta del  contraente
 e   del  contenuto  del  contratto  -  se  ha  rilievo  assolutamente
 preminente nel sistema del codice civile del 1942, non  lo  ha  negli
 stessi termini nel sistema delineato dalla Costituzione, che non solo
 lo tutela in via meramente indiretta, come strumento  della  liberta'
 di  iniziativa  economica  (sentenza n. 159 del 1988), ma pone limiti
 rilevanti a tale liberta'. Questa,  invero,  non  puo'  svolgersi  in
 contrasto  con  l'utilita'  sociale,  e  deve soggiacere ai controlli
 necessari perche'  possa  essere  indirizzata  e  coordinata  a  fini
 sociali  (art.  41,  secondo  e  terzo  comma):  e  tali vincoli sono
 fatalmente  scavalcati  o  elusi  in  un  ordinamento  che   consente
 l'acquisizione   di   posizioni  di  supremazia  senza  nel  contempo
 prevedere strumenti  atti  ad  evitare  un  loro  esercizio  abusivo.
 L'utilita'  ed  i fini sociali sono in tal modo pretermessi, giacche'
 non solo puo' essere vanificata o distorta la liberta' di concorrenza
 - che pure e' valore basilare della liberta' di iniziativa economica,
 ed e' funzionale alla protezione degli interessi della  collettivita'
 dei  consumatori  (sentenza  n.  223 del 1982 cit.) - ma rischiano di
 essere pregiudicate le esigenze di  costoro  e  dei  contraenti  piu'
 deboli,  che  di  quei  fini  sono  parte  essenziale. Cio' ostacola,
 inoltre, il programma di eliminazione delle diseguaglianze  di  fatto
 additato  dall'art. 3, secondo comma, Cost., che va attuato anche nei
 confronti  dei  poteri  privati  e  richiede  tra  l'altro  controlli
 sull'autonomia   privata   finalizzati   ad  evitare  discriminazioni
 arbitrarie.
    Di   tali   pressanti   esigenze,   nonche'  della  gia'  rilevata
 insufficienza della sola normativa comunitaria, vi e'  una  crescente
 presa  di  coscienza  -  pur se con ritardo rispetto agli altri Paesi
 economicamente avanzati - tanto che sono  stati  apprestati  progetti
 contenenti norme per la tutela della concorrenza e del mercato (cfr.,
 in  particolare,  il  disegno  di  legge  n.  3755  atti  Camera,   X
 Legislatura,  gia' approvato dal Senato), dei quali e' auspicabile la
 definitiva approvazione, in quanto necessaria ai  fini  del  rispetto
 dei suddetti principi costituzionali.
    5.  -  Una  moderna  disciplina  sull'abuso di posizione dominante
 sarebbe  certamente  la  piu'  idonea  a   risolvere   la   complessa
 problematica   qui   esaminata,   anche   perche'   comporterebbe  la
 possibilita' di interventi di una  apposita  Autorita'  pubblica  non
 concepiti  in  chiave meramente risarcitoria ma idonei a soddisfare i
 bisogni della parte che subisce l'abuso.
    Tuttavia,   la   questione   di  costituzionalita'  sollevata  dal
 Tribunale di Roma deve ritenersi infondata, non potendosi condividere
 le  conclusioni  che  il  giudice  a  quo  formula  a proposito della
 inapplicabilita' alla fattispecie in esame della disposizione di  cui
 all'art. 2597 cod. civ.
    E'  vero  infatti  che  la  sentenza  n.  65  del  1972, pur senza
 occuparsi di tale disposizione, esclude che la S.I.A.E.  agisca  come
 monopolista  nel complesso della sua attivita', in quanto ogni autore
 potrebbe provvedere in modo diretto all'esercizio dei propri  diritti
 e   quindi   alla   cessione   degli  stessi,  senza  ricorrere  alla
 intermediazione. Tuttavia tale possibilita' di esercizio  diretto  si
 e'  progressivamente  ridotta  sino  a  trasformarsi  in mera ipotesi
 astratta. Infatti l'enorme diffusione delle opere dell'ingegno  rende
 in    concreto    quasi    sempre   indispensabile   l'attivita'   di
 intermediazione e di protezione da parte della S.I.A.E. Cio' vale  in
 particolare  anche  per  le  opere  straniere,  rispetto  alle  quali
 l'accesso all'utilizzazione puo' avvenire in generale solo attraverso
 il  detto ente, legato alle societa' di autori estere da contratti di
 reciproca   rappresentanza.    La    sostanziale    insostituibilita'
 dell'attivita' di intermediazione comporta che l'ente che e' titolare
 in esclusiva di quest'ultima eserciti in  condizioni  di  sostanziale
 monopolio  la  gestione  dei diritti di utilizzazione economica delle
 opere  tutelate,   in   quanto   gli   attribuisce   il   potere   di
 condizionamento  degli  utenti  e  del  mercato  che  e'  proprio del
 monopolista.  Questa  qualificazione  del  fenomeno,  del  resto,  e'
 omogenea  alla  nozione  di  monopolio elaborata, proprio a proposito
 dell'art. 2597  cod.  civ.,  dalla  piu'  moderna  dottrina,  che  lo
 definisce   secondo   un'ottica   funzionale,  cioe'  come  esclusiva
 nell'offerta di beni e servizi non facilmente sostituibili  da  parte
 dell'utente medio.
    Pertanto,  poiche',  nel  caso,  si tratta di un'esclusiva legale,
 derivante dall'impugnato art. 180 della legge n. 633 del  1941,  deve
 ritenersi  applicabile  nei  confronti  della  S.I.A.E.  l'obbligo di
 contrattare con il  divieto  di  discriminazioni  arbitrarie  sancito
 dall'art.    2597    cod.   civ.,   con   le   conseguenze   previste
 dall'ordinamento.
    Questa  conclusione  e'  coerente con l'interpretazione, alla luce
 dell'art. 41, secondo comma, Cost., di tale disposizione come  intesa
 alla   tutela   dell'utente   e   del   consumatore   nei   confronti
 dell'esercizio abusivo del  proprio  potere  da  parte  del  soggetto
 monopolista.
    D'altra  parte,  poiche'  la  ratio dell'esclusiva in favore della
 S.I.A.E. sta, oltre che nella protezione dei diritti dei loro autori,
 nella  funzione  di promozione della cultura e nella diffusione delle
 opere dell'ingegno di carattere creativo, non vi  e'  dubbio  che  il
 pieno  dispiegarsi  di  tale  compito  potrebbe risultare menomato se
 l'ente non fosse tenuto a contrattare con tutti gli utilizzatori e ad
 assicurare  loro  parita'  di  trattamento  a  parita'  di condizioni
 oggettive, escludendo posizioni di privilegio  o  di  svantaggio.  In
 tali sensi la questione deve essere dichiarata non fondata.