ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del r.d. 12
 luglio 1934, n. 1214 ("Approvazione del testo unico delle leggi sulla
 Corte  dei  conti"),  e  dell'art. 4 del d.lgs. 5 maggio 1948, n. 589
 ("Riassetto dei servizi e revisione dei ruoli  organici  della  Corte
 dei  conti"),  promosso  con  ordinanza  emessa  il 7 giugno 1989 dal
 T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Sepe Onorato ed altri contro
 la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  iscritta al n. 31 del
 registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Sepe Onorato ed altri e di
 Casaccia Mario  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 20 marzo 1990 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi  gli  avv.ti  Giulio  Correale  per  Sepe Onorato ed altri e
 Filippo Satta per Casaccia Mario e  l'Avvocato  dello  Stato  Giorgio
 Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio instaurato dal dott. Onorato Sepe ed
 altri  presidenti  di  sezione  della  Corte  dei  conti  contro   la
 Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  e  nei confronti del dott.
 Emidio Di Giambattista per ottenere l'annullamento del  provvedimento
 di  nomina  di  quest'ultimo a Procuratore generale della detta Corte
 (d.P.R. 31 dicembre 1987), il T.A.R. del Lazio, con "decisione" del 7
 giugno  1989, pervenuta alla Corte costituzionale il 17 gennaio 1990,
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  7
 del  r.d.  12  luglio 1934, n. 1214, e 4 del d.lgs. 5 maggio 1948, n.
 589, nella parte  in  cui  disciplinano  la  nomina  del  procuratore
 generale della Corte dei conti.
    Secondo  il  giudice remittente tale disciplina, in quanto riserva
 al Governo, con piena discrezionalita',  la  nomina  del  procuratore
 generale, contrasta con l'art. 100, terzo comma, Cost., che impone di
 assicurare l'indipendenza del Consiglio di Stato e  della  Corte  dei
 conti,  e  dei  loro componenti, e con l'art. 108, secondo comma, che
 vuole assicurata dalla legge l'indipendenza  del  pubblico  ministero
 presso  le  giurisdizioni  speciali. Il contrasto e' accentuato dalla
 considerazione  delle  particolari   attribuzioni   del   procuratore
 generale,  chiamato a promuovere e sostenere, anche nei confronti dei
 membri del Governo, i giudizi  di  responsabilita'  amministrativa  e
 contabile.
    Sarebbe  violato  pure l'art. 3 Cost., attesa la diseguaglianza di
 trattamento risultante dal confronto con la  disciplina  delle  altre
 magistrature speciali, le quali sono state in epoca recente dotate di
 forme di autogoverno con riconoscimento agli organi interni di poteri
 determinanti  anche  ai  fini  delle  assegnazioni e dei mutamenti di
 funzioni.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  si  sono  costituiti i
 ricorrenti riprendendo e sviluppando le  argomentazioni  del  giudice
 remittente, e concludendo per l'accoglimento della questione.
    Con  atto  separato,  in  cui si espongono rilievi analoghi, si e'
 pure costituito il dott. Mario Casaccia,  vice  procuratore  generale
 della  Corte dei conti, intervenuto nel giudizio principale, al quale
 il provvedimento di rimessione, che  dichiara  inammissibile  il  suo
 intervento, e' stato tuttavia notificato dallo stesso Tribunale.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,   domandando   che   la
 questione sia dichiarata infondata.
    Dopo avere premesso di rimettersi alla Corte per "ogni valutazione
 circa l'ammissibilita' della questione proposta in  relazione  a  una
 certa   atipicita'  del  provvedimento  di  rimessione",  nel  merito
 l'Avvocatura richiama specialmente la  sentenza  n.  1  del  1967  di
 questa  Corte, la quale, da un lato, ha affermato che "l'indipendenza
 dell'istituto deve ricercarsi nei modi con cui  esso  svolge  le  sue
 funzioni  e  non  gia'  in  quelli  con cui si provvede a regolare la
 nomina dei suoi membri", dall'altro ha negato che il potere di scelta
 del titolare di un ufficio sia ex se idoneo a condizionarne l'azione.
 Sotto  il  primo  profilo  si  osserva  anzitutto  che   "la   scelta
 governativa   deve   avvenire   nell'ambito   di  rigorose  categorie
 all'interno  della   Corte   dovendo   cadere   su   qualificatissimi
 magistrati",  in  secondo luogo che l'attivita' della Corte dei conti
 si svolge libera da ogni intervento estraneo e senza possibilita'  di
 ingerenze  esterne,  contro  le quali le attribuzioni del procuratore
 generale sono presidiate  da  una  forte  processualizzazione.  Sotto
 l'altro   profilo   si   richiama   l'attenzione  sulle  garanzie  di
 inamovibilita' previste dall'art. 8 del t.u. n. 1214 del 1934, esteso
 al procuratore generale dall'art. 4 del d.lgs. n. 589 del 1948.
    L'Avvocatura  ricorda  altresi'  che  l'invito formulato da questa
 Corte nella sentenza n. 230 del 1987 a una piena conformazione  della
 disciplina  delle nomine e delle promozioni presso la Corte dei conti
 alle direttive costituzionali e' stato gia' in  parte  accolto  dalla
 legge  13  aprile  1988,  n.  117,  peraltro posteriore alla data del
 decreto impugnato.
    Quanto  alla  pretesa violazione dell'art. 3 Cost., si obietta che
 le difformita' tra le funzioni  e  i  modi  operativi  delle  diverse
 magistrature  e  dei  loro  organi  escludono  che  le  differenze di
 disciplina   possano   costituire   violazioni   del   principio   di
 eguaglianza,  il  quale  presuppone una sostanziale omogeneita' delle
 situazioni da comparare.
    All'udienza  pubblica  l'Avvocatura ha eccepito l'inammissibilita'
 della  costituzione  in  giudizio  del  dott.  Casaccia.  La   Corte,
 ritiratasi  in  camera  di  consiglio,  ha  respinto  l'eccezione con
 ordinanza, inserita a verbale, di cui  e'  stata  data  lettura  alla
 ripresa dell'udienza.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  T.A.R.  del  Lazio  ritiene  contrastante con la tutela
 costituzionale dell'indipendenza della Corte dei  conti  e  dei  suoi
 componenti  (art.  100,  terzo  comma,  Cost.),  e in particolare del
 procuratore generale in qualita' di  pubblico  ministero  (art.  108,
 secondo  comma), la disciplina degli artt. 7 del r.d. 12 luglio 1934,
 n. 1214, e 4 del d. lgs. 5 maggio 1948, n. 589, la quale "riserva  la
 nomina del procuratore generale proprio al Governo, nei cui confronti
 e' proclamata la garanzia dell'indipendenza". Sarebbe  violato  anche
 l'art.  3  Cost. a causa dell'irragionevole disparita' di trattamento
 rispetto alle altre magistrature speciali per le  quali  "sono  state
 realizzate negli ultimi anni forme di autogoverno con riconoscimento,
 tra l'altro, agli organi interni di poteri determinanti anche ai fini
 delle assegnazioni e dei mutamenti di funzioni".
    2.  - La questione, sollevata con un provvedimento inserito in una
 "decisione", e' inammissibile per difetto di pregiudizialita'.
    Secondo  quanto risulta dall'esposizione in fatto e in diritto del
 giudice a quo, il  decreto  di  nomina,  della  cui  legittimita'  si
 controverte  nel  giudizio  principale,  e'  stato  impugnato per tre
 motivi:
       a)   violazione   di   legge  per  mancata  conformazione  alla
 designazione vincolante espressa dal Consiglio  di  presidenza  della
 Corte  dei  conti,  la  quale escludeva ogni potere discrezionale del
 Governo. Il carattere vincolante della designazione e' sostenuto  dai
 ricorrenti  in  base a una prassi, che si asserisce sempre seguita in
 passato, "divenuta, ormai, vera e propria consuetudine";
       b)  eccesso  di  potere  sotto  specie  di  difetto assoluto di
 motivazione sul punto della  preferenza  accordata  a  un  nominativo
 diverso  da  quello  indicato  dalla  Corte. Il carattere quanto meno
 obbligatorio del parere della Corte,  e  il  conseguente  obbligo  di
 motivazione   in   caso   di   decisione   difforme,  sono  affermati
 argomentando dai principi generali e, in  particolare,  dall'art.  13
 della legge n. 1345 del 1961;
       c)  in  via subordinata, carenza o, rispettivamente, eccesso di
 potere in conseguenza dell'illegittimita' costituzionale delle  norme
 che  disciplinano  la  nomina  del  procuratore  generale,  in quanto
 attribuiscono il relativo potere al Governo anziche' al Consiglio  di
 presidenza della Corte dei conti, o almeno in quanto attribuiscono al
 Governo un potere assolutamente discrezionale escludendo  ogni  forma
 di partecipazione della Corte al procedimento di nomina.
    3.  - In conformita' di questo ordine logico il Tribunale ha preso
 in esame anzitutto il motivo sub a) e lo ha dichiarato infondato  sul
 riflesso che l'art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934, il quale attribuisce
 al Governo il potere di nomina, non puo' ritenersi  modificato  dalla
 prassi  "che  si  asserisce  sempre seguita nel passato (acquisizione
 della proposta del Consiglio di presidenza con riconoscimento ad essa
 di  forza  vincolante)",  perche'  altrimenti  si  finirebbe col dare
 efficacia a una consuetudine contra legem.
    Con  la  pronuncia negativa in merito al primo motivo il giudice a
 quo ha implicitamente deciso anche in ordine a un profilo del  terzo,
 escludendo  che la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 7 possa essere ritenuta  non  manifestamente  infondata  nei  termini
 della  prima  della due prospettazioni alternativamente enunciate sub
 c),  ma  lasciando   aperta   la   possibilita'   dell'incidente   di
 costituzionalita' nei termini dell'altra.
    4.  -  Riconosciuto  che  il potere di nomina spetta al Governo, e
 quindi che non spetta alla Corte dei conti un potere di  designazione
 vincolante, si poneva al Tribunale il problema interpretativo sotteso
 al secondo motivo  di  ricorso:  se,  come  sostengono  i  ricorrenti
 "sviluppando  una  argomentazione alternativa", il potere del Governo
 sia  limitato  dal  requisito  di  previa  acquisizione  del   parere
 (obbligatorio)  della  Corte  dei conti, donde l'illegittimita' di un
 provvedimento difforme che non fosse adeguatamente  motivato,  oppure
 si  tratti  di  un potere insindacabile, al cui esercizio e' estraneo
 ogni intervento di carattere procedimentale di organi della Corte.
    Avendo  scelto  la  seconda interpretazione - la quale, in stretta
 aderenza alla lettera della legge, riconosce  al  Governo  una  "lata
 discrezionalita'"  -,  il  Tribunale  avrebbe  dovuto  sospendere  il
 giudizio in merito  al  motivo  sub  b)  e  sollevare  senz'altro  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del r.d. n. 1214
 del 1934 (e dell'art. 4 del d.lgs.  n. 589 del 1948) nella  parte  in
 cui non prevede il parere obbligatorio della Corte. Invero, una volta
 respinto il motivo di ricorso sub a), il motivo sub c)  si  restringe
 alla  censura  di  eccesso  di  potere  per  difetto  di motivazione,
 riformulata, anziche' sulla base  dell'interpretazione  "adeguatrice"
 dell'art.   7   proposta   sub  b),  in  ragione  dell'illegittimita'
 costituzionale   della   norma,    se    interpretata    nel    senso
 dell'attribuzione  al  Governo  di  un potere di nomina assolutamente
 discrezionale.
    Il  giudice  a  quo  si  e'  invece pronunciato anche in merito al
 secondo motivo dichiarandolo, al pari del primo,  infondato,  e  solo
 dopo  avere "definito in senso negativo" entrambe le censure sub a) e
 sub b), ha disposto "la sospensione del giudizio con riserva di  ogni
 ulteriore  pronunzia  all'esito dell'incidente di costituzionalita'".
 In tal modo,  avendo  affermato  "la  lata  discrezionalita'  di  cui
 dispone  il  Governo  nella  nomina  del  procuratore  generale",  il
 Tribunale si e' precluso la possibilita' di rimetterla in discussione
 sollevando  la  questione  di  costituzionalita' della legge che tale
 potere  conferisce.  La  pregiudizialita'  della  questione   risulta
 tardiva perche' la legge e' gia' stata applicata, e non si vede quale
 ulteriore  decisione  sul  merito   della   causa   potrebbe   essere
 pronunciata dal Tribunale in esito alla definizione dell'incidente di
 costituzionalita'.
    5.  -  Ne'  varrebbe  obiettare  che  la  censura  sub b) e' stata
 dichiarata infondata "allo stato", senza pregiudizio della  questione
 di legittimita' costituzionale delle norme regolatrici della nomina e
 con riserva di pronunzia  definitiva  dopo  che  la  questione  sara'
 risolta.  Un  giudizio  "allo  stato"  sul  merito  del ricorso e' un
 giudizio ipotetico ("se  si  applicasse  la  disciplina  vigente,  il
 ricorso   non   sarebbe  fondato")  finalizzato  esclusivamente  alla
 valutazione di rilevanza della questione di costituzionalita' di tale
 disciplina, e quindi non puo' essere pronunziato con una decisione di
 infondatezza della censura. Espresso in questa forma, esso  perde  il
 carattere  di  ipoteticita'  e  diventa  un giudizio immediatamente e
 definitivamente applicativo della legge, con conseguente  irrilevanza
 della  sollevata questione di legittimita' costituzionale per difetto
 di pregiudizialita'.