ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
    Nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2 della
 legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica  dell'articolo
 24  e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980,
 n.  576,  concernente   la   riforma   della   previdenza   forense),
 modificativo  dell'art.  10  della  legge  20  settembre 1980, n. 576
 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso  con  ordinanza
 emessa  il  22 settembre 1989 dal Pretore di Firenze nel procedimento
 civile vertente tra Torricelli Raffaello  ed  altri  e  la  Cassa  di
 Previdenza  ed  Assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 664
 del registro ordinanze 1989 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Sig. Raffaello Torricelli ed
 altri, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 20 marzo 1990 il Giudice relatore
 Giuseppe Borzellino;
    Uditi  gli  avvocati  Fulvio  Ferlito  e  Paolo  Soldani Benzi per
 Torricelli  Raffaello  ed  altri  e  l'Avvocato  dello  Stato   Luigi
 Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                            Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza  emessa il 22 settembre 1989 il Pretore di Firenze,
 nel procedimento civile vertente tra Raffaello Torricelli ed altri  e
 la  Cassa  di  Previdenza  ed  Assistenza  Avvocati e Procuratori, ha
 sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
 agli  artt.  3  e  38  della  Costituzione, dell'art. 2 della legge 2
 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione  autentica  dell'articolo  24  e
 integrazione  e  modifica  di norme della legge 20 settembre 1980, n.
 576, concernente la riforma della previdenza  forense),  modificativo
 dell'art.  10  della  legge  20  settembre  1980, n. 576 (Riforma del
 sistema previdenziale forense), nella parte in cui non  fa  decorrere
 la  ridotta  aliquota  del  3% del contributo soggettivo obbligatorio
 dalla data di entrata in vigore della predetta legge n. 576 del 1980.
    Secondo  il  giudice  a  quo,  stante  il  carattere  "unitario ed
 organico" della riforma previdenziale forense  dell'80,  non  sarebbe
 razionalmente  giustificato  il  fatto  che  la legge n. 175 del 1983
 stabilisca termini di decorrenza diversi da quelli (anteriori)  della
 riforma.
    La  maggiore  aliquota  del 10% (per gli anni 1980-82) verrebbe ad
 assumere nei  loro  confronti,  d'altronde,  una  funzione  meramente
 solidaristica.  Con  memoria  depositata  il  27 gennaio 1990 si sono
 costituiti   i   ricorrenti,   sollecitando   una   declaratoria   di
 illegittimita' nei sensi di cui all'ordinanza di rimessione.
    Con   atto  depositato  il  25  gennaio  1990  e'  intervenuto  il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  rappresentato   e   difeso
 dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    che   ha   eccepito
 l'inammissibilita' della questione, per errata  individuazione  -  si
 assume  -  dell'oggetto  della  censura,  che resterebbe circoscritto
 all'art. 10 della legge n. 576 del 1980 e  non  relativo  all'art.  2
 della   successiva   legge   n.   175   del   1983;  ed  inoltre,  la
 discrezionalita' legislativa non avrebbe comportato violazione  degli
 invocati parametri costituzionali. In subordine, l'Avvocatura ravvisa
 infondata, comunque, la questione.
    In  prossimita'  dell'udienza  le  parti  private hanno presentato
 ulteriore memoria di conferma di quanto in precedenza osservato.
                         Considerato in diritto
    1.1.  -  La  legge  20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema
 previdenziale  forense)  stabili'  all'art.  10  che  il   contributo
 soggettivo   a   carico  di  ciascun  professionista  iscritto  fosse
 commisurato, secondo le  risultanze  delle  rispettive  dichiarazioni
 dell'IRPEF,  al  10%  del reddito prodotto nell'anno per i cespiti di
 piu' modeste entita' (fino a quaranta milioni) e al 3% per  la  parte
 eccedente.
    La  contribuzione,  dovuta  anche  dai  pensionati  che proseguono
 nell'esercizio della professione, era  oggetto  per  costoro  di  una
 successiva  modifica  (art.  2  della  legge  2 maggio 1983, n. 175),
 determinandosi, al compimento  di  cinque  anni  dalla  continuazione
 dell'attivita', la relativa aliquota nella misura unitaria del 3%.
    1.2. - Il giudice a quo ritiene che tale ultima disposizione, piu'
 favorevole, dovrebbe aver decorrenza sin dall'entrata in vigore della
 legge  di  riforma  (n.  576  del  1980).  In  difetto,  essa sarebbe
 irrazionale, ex art. 3 Cost., rispetto alle organiche finalita' della
 riforma  medesima,  con  riflessi  negativi  anche  sulle garanzie di
 adeguatezza previdenziale di cui al successivo art. 38.
    2.1.  -  L'Avvocatura  dello Stato eccepisce che la censura andava
 rivolta all'art. 10 della legge di riforma (n.576/1980)  e  non  gia'
 alle  modifiche  intervenute  con  l'art. 2 della successiva legge n.
 175/1983: da qui l'inammissibilita' dell'incidente.
    L'assunto  non ha pregio: la doglianza, oggetto della fattispecie,
 concerne proprio la norma modificativa del 1983, nel senso  che  essa
 non e' stata resa operante retroattivamente, con una saldatura assume
 il remittente - indispensabile,  invece,  per  i  contenuti  organici
 della riforma.
    2.2. - La questione non e' fondata.
    La  Corte ha piu' volte sottolineato, anche di recente (da ultimo,
 ordinanze  nn.  441   del   1989,   120   del   1989),   come   nella
 regolamentazione  dei  trattamenti pensionistici vada riconosciuto al
 legislatore il potere di  determinare  nel  tempo  i  benefici  e  le
 relative   condizioni   di  accesso:  situazione  questa  tanto  piu'
 manifesta nel caso odierno, limitato, nel riferimento  generale  alla
 attuazione della riforma in discorso, ad un assai breve periodo.
    Piu' concretamente si e' voluto evitare, nel rispetto delle regole
 concernenti  l'irretroattivita'  della  legge  e   proprio   per   la
 compiutezza  organica  che  alla  riforma  stessa  si  riconosce,  la
 fissazione di differenti momenti temporali di decorrenza a seconda di
 questo  o  quello  degli interessi particolaristici in gioco (in tali
 sensi, sent. n. 171 del 1987).
    Non   risulta   violato,   conclusivamente,   alcun  principio  di
 proporzionalita', meramente incentrata com'e' la questione sui limiti
 temporali  d'una norma della cui validita', nell'ambito dei parametri
 costituzionali proposti, non e', pertanto, a dubitarsi.