ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 365 del codice
 di procedura penale del 1988, promosso con  ordinanza  emessa  il  28
 novembre  1989  dal  Tribunale  di  Bologna nel procedimento penale a
 carico di Candelori Marina, iscritta al n. 42 del registro  ordinanze
 1990  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  4 aprile 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
    Ritenuto   che  il  Tribunale  di  Bologna,  chiamato  a  decidere
 sull'"istanza di riesame" avverso un  "decreto  di  perquisizione  (e
 successivo   sequestro)"  emesso  dal  Pubblico  ministero,  ha,  con
 ordinanza del 28 novembre 1989, sollevato, in riferimento agli  artt.
 3  e  24  della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 365
 del codice di procedura penale del 1988,  "nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  il  P.M.,  durante  la  perquisizione svolta in assenza
 dell'indagato, dia avviso delle operazioni al difensore di fiducia  o
 d'ufficio, previa nomina di quest'ultimo ove occorra";
      e  che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente dei Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato,  chiedendo che la questione sia dichiarata, in via principale,
 inammissibile - "posto  che  la  devoluzione  operata  attraverso  il
 riesame  non  attiene  alla  perquisizione  ma  al sequestro" - e, in
 subordine, non fondata;
    Considerato    che    l'eccezione    d'inammissibilita'   avanzata
 dall'Avvocatura Generale dello Stato deve essere disattesa, in quanto
 la  piu' recente giurisprudenza della Corte di cassazione e' costante
 nel senso che il decreto di perquisizione, quando le cose siano state
 sottoposte  a  sequestro,  puo'  essere  assoggettato  al riesame del
 tribunale;
      che,  peraltro,  la questione, cosi' come proposta dal giudice a
 quo, risulta manifestamente infondata,  perche',  con  riguardo  alle
 perquisizioni  locali, nessun avviso al difensore e' prescritto dalla
 legge in ordine al compimento delle operazioni, sia o no presente  ad
 esse   la   persona   sottoposta   alle  indagini  ed  a  prescindere
 dall'avvenuta nomina di  un  difensore  di  fiducia  o  dall'avvenuta
 designazione   di  un  difensore  d'ufficio  da  parte  del  pubblico
 ministero (la stessa rubrica dell'art.  365  parla,  chiaramente,  di
 "Atti  ai  quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso"),
 dato che la perquisizione e' "atto, per sua natura, sempre urgente  e
 riservato,  perche' ha come presupposto, ai fini della sua efficacia,
 l'elemento sorpresa" (cfr. sentenza n. 123 del 1974),  caratteristica
 propria  anche  della  fattispecie  delineata dal codice di procedura
 penale del 1988 (v., oltre alla norma qui denunciata, gli artt. 249 e
 250).
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.