ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 157 del
 codice penale e 152, secondo comma, del codice di  procedura  penale,
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  31  luglio  1989 dal Pretore di
 Macerata - Sezione distaccata di Civitanova Marche, nel  procedimento
 penale  a  carico  di  Senesi  Mario, iscritta al n. 636 del registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7  marzo 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ordinanza 31 luglio 1989, il Pretore di Macerata Sezione
 distaccata di Civitanova Marche, sollevava questione di  legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  157 codice penale e 152, secondo comma,
 codice procedura penale del 1930, in riferimento agli artt. 3,  24  e
 27 secondo comma della Costituzione.
    Si  apprende dall'ordinanza che, a seguito di numerosi rapporti da
 parte di Ufficiali della polizia giudiziaria, della U.S.L. n.  15  di
 Macerata  e  dell'Amministrazione  provinciale, nonche' di esposti da
 parte di privati cittadini, veniva  aperta  dal  Pretore  un'indagine
 sulla gestione della discarica privata di rifiuti solidi urbani, sita
 in contrada Asola del Comune di Morrovalle.
    Sottoposto a sequestro l'impianto, e avviato procedimento penale a
 carico di tale Mario Senesi, titolare  della  discarica,  il  Pretore
 disponeva   accertamenti   peritali   chimico-geologici,   dai  quali
 risultava che nella discarica sarebbe stato consentito lo smaltimento
 di rifiuti tossici nocivi, provenienti sopratutto dalla coibentazione
 di carrozze ferroviarie:  rifiuti  quest'ultimi  contenenti  il  noto
 "amianto  blu", pericolosissimo per la salute umana e per l'ambiente.
 In relazione a tale fatto,  al  Senesi  veniva,  fra  l'altro,  mossa
 imputazione  in  ordine  al  reato  di  cui all'art. 26 del d.P.R. 10
 settembre 1982 n. 915.
    Negli  atti  preliminari  al  dibattimento  la  difesa  del Senesi
 presentava  istanza  di  prova  testimoniale  difensiva  proprio   in
 relazione  ai  fatti  di  cui  alla detta imputazione. Si opponevano,
 pero', alla prova le  parti  civili,  costituitesi  gia'  nella  fase
 istruttoria,   e   rappresentate   dal   Sindaco  di  Morrovalle  per
 l'amministrazione  comunale,  e  dalla  Lega   Ambiente   -   Sezione
 Regionale,  per  la  collettivita'  comunale: si opponeva altresi' il
 pubblico  ministero  che  eccepiva,  assieme   alle   parti   civili,
 l'avvenuta  prescrizione  del  reato  e  l'obbligo  per il giudice di
 immediata declaratoria a' sensi dell'art. 152 codice penale,  essendo
 esclusa  l'esistenza  agli  atti  di  prove  che  rendessero evidente
 l'insussistenza  del  fatto   o   la   non   commissione   da   parte
 dell'imputato.
    Insisteva   reiteratamente  la  difesa  nella  richiesta  avanzata
 sostenendo che il Senesi, proprio a causa di  quell'imputazione,  era
 stato  vittima  di  una clamorosa campagna di stampa sviluppatasi fin
 dal 1984, sicche'  non  gli  si  poteva  ora  negare  il  diritto  di
 dimostrare la sua innocenza attraverso prove rigorose.
    L'imputato,  espressamente  interpellato in proposito dal Pretore,
 dichiarava di volere rinunziare - se possibile -  alla  prescrizione,
 avendo  il  massimo  interesse  all'accertamento  della verita': e il
 Pretore, constatato che agli atti non esisteva  effettivamente  prova
 che  consentisse il proscioglimento, e che, d'altra parte, i fatti di
 reato essendo stati  commessi  alla  fine  del  1984,  si  era  ormai
 maturata  la  prescrizione  della  contravvenzione di cui all'art. 26
 citato, sollevava la questione di legittimita' in esame.
    2.  -  Sul  punto,  com'e'  noto, esiste una pronunzia della Corte
 Costituzionale (sentenza 16 dicembre 1971 n.  202),  che  il  Pretore
 ricorda  e  che  sommariamente  riporta  nella  parte conclusiva: una
 sentenza, pero', che - secondo l'ordinanza - non solo avrebbe a torto
 influenzato  la  giurisprudenza della Corte di Cassazione, ma avrebbe
 anche congelato lo  stato  della  dottrina.  Il  principio  affermato
 sarebbe  il  seguente:  e'  vero che esiste un fondamentale interesse
 dell'imputato   ad   ottenere   una   sentenza   che   riconosca    o
 l'insussistenza del reato o che egli non lo ha commesso, ma su questo
 prevale l'interesse generale di non piu' perseguire reati  in  ordine
 ai quali il lungo tempo decorso ha fatto cessare l'allarme sociale, e
 spesso reso difficile l'acquisizione delle fonti di prova.
    Secondo  il  Pretore, pero', l'attuale linea evolutiva del sistema
 giuridico  suggerisce  che  i  tempi  sono  maturi  per  una   svolta
 costituzionale.
    Conseguentemente,  ritiene  il Pretore che gli articoli denunziati
 contrastino:
      1)  con  l'art.  3  della Costituzione in quanto determinano una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  rispetto  a  coloro  che
 possono   invece   beneficiare  della  rinunzia  ad  altre  cause  di
 estinzione (amnistia; non accettazione della remissione di querela);
      2)  con  l'art.  24  della  Costituzione  perche'  ambo le norme
 violano il diritto di difesa, e, in particolare quello di ottenere il
 riconoscimento dell'innocenza;
      3)  con  l'art.  27,  secondo  comma, della Costituzione perche'
 l'impossibilita' di provare l'effettiva innocenza  ne  violerebbe  il
 principio di presunzione.
    3.  - E' intervenuto nel giudizio innanzi alla Corte il Presidente
 del Consiglio dei ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  Generale
 dello  Stato,  che  ha  chiesto  declaratoria di non fondatezza della
 questione sollevata.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Come ricorda anche l'ordinanza di rimessione, questa Corte,
 con la sentenza n. 202 del 1971, ha ritenuto infondata  la  questione
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 152, comma secondo, codice
 di procedura penale allora vigente, nella parte in cui  impedisce  al
 giudice,   una  volta  intervenuta  la  prescrizione  del  reato,  di
 prosciogliere l'imputato perche' il fatto non sussiste o perche' egli
 non  l'ha  commesso o perche' non e' previsto dalla legge come reato,
 se di cio'  non  e'  stata  gia'  acquisita  la  prova  evidente,  in
 riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    La  Corte  era  pervenuta  a  tale conclusione, argomentando dalla
 prevalenza dell'interesse generale di non piu' perseguire  reati,  il
 cui ricordo insieme all'allarme sociale erano cessati, sull'interesse
 del prevenuto di ottenere una sentenza di piena assoluzione. Ne' cio'
 si  poneva  in  contrasto con la precedente pronunzia della Corte (n.
 175 del 1971) con cui era stato ritenuto costituzionalmente garantito
 il  diritto  a  rinunciare all'amnistia, perche' questa discendeva da
 statuizioni di volta in volta emesse dal legislatore sotto l'influsso
 di  considerazioni politiche, mentre la prescrizione doveva ritenersi
 istituto sottratto ad ogni discrezionalita', in quanto legato  ad  un
 evento oggettivo quale il decorso del tempo.
    2. - Ferma restando la validita' generale di queste considerazioni
 (e quindi l'erroneita' del ritenere  la  prescrizione  un  espediente
 processuale),  stima questa Corte opportuno rimeditare l'ultima parte
 dell'assunto  riferito.  Quella  cioe'  secondo   cui   il   fenomeno
 prescrittivo si sottrae ad ogni intervento discrezionale.
    E'  ben vero ed evidente che tale discrezionalita' difetta in sede
 normativa (o meglio si esaurisce nella valutazione astratta del tempo
 necessario  a  prescrivere  a  seconda  del  tipo  di  reato), ma non
 altrettanto evidente e'  invece  escluderne  la  ricorrenza  in  sede
 applicativa.  Questa,  infatti,  per  giustificare  il sacrificio del
 diritto del prevenuto,  dovrebbe  sempre  essere  improntata  ad  una
 solerte  attivazione degli istituti processuali diretti ad attuare la
 potesta' punitiva dello Stato,  in  una  con  le  garanzie  difensive
 dell'imputato.
    Ora,  se  si  considera  che  le  cause che portano nel tempo alla
 prescrizione raramente sono ascrivibili all'imputato, (e, se lo sono,
 egli non ha evidentemente alcun interesse alla rinunzia, ed allora il
 problema non si pone), ci si rende conto che in  concreto  l'istituto
 si presenta con caratteri non dissimili, per quanto qui interessa, da
 quelli dell'amnistia. Specie quando la sua  applicazione,  improvvisa
 ed  inaspettata,  dipenda  dal  riconoscimento  di attenuanti o da un
 giudizio di bilanciamento  sicuramente  discrezionali,  non  meno  di
 quanto lo sia, sul piano normativo, la concessione dell'amnistia.
    Ne' potrebbe opporsi che simili inconvenienti sono di mero fatto e
 che - in quanto tali -  ad  essi  e'  estranea  la  disciplina  della
 prescrizione. Al riguardo, e' costante giurisprudenza di questa Corte
 quella per cui e' compito del legislatore approntare i mezzi  diretti
 ad   impedire   che   nel   momento  applicativo  si  vanifichi  quel
 bilanciamento di interessi idoneo, in  astratto,  a  giustificare  la
 previsione  normativa. E cio' tanto piu' quando in tale bilanciamento
 venga a posporsi un diritto inviolabile dell'uomo.
    3.  -  Dinanzi  a questa realta', il legislatore, nel disciplinare
 l'istituto sostanziale della  prescrizione,  non  poteva  dunque  non
 tener conto del carattere inviolabile del diritto alla difesa, inteso
 come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova.
    E'  insomma  privo  di  ragionevolezza  rispetto ad una situazione
 processuale improntata a discrezionalita', che quell'interesse a  non
 piu'  perseguire  (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque
 non dominabili dalle parti) debba prevalere su quello  dell'imputato,
 con la conseguenza di privarlo di un diritto fondamentale.
    Dev'essere,  pertanto,  affermata  la  rinunciabilita' anche della
 prescrizione dichiarando la parziale illegittimita' dell'art. 157 del
 codice penale che non la prevede.
    4.  -  Una volta soddisfatto l'interesse sostanziale dell'imputato
 ad una sentenza di merito, resta assorbita ogni  altra  richiesta  di
 intervento  sull'art.  152, secondo comma, codice di procedura penale
 del 1930 (art. 129, codice procedura penale vigente),  essendo  ovvio
 che,  in  presenza  della  rinuncia  alla  estinzione, il giudice non
 potra' dare ad essa immediata applicazione perche' il  reato  non  e'
 estinto,  e  dovra',  percio',  dare  ingresso alle prove richieste e
 pronunciarsi sulla imputazione. Mentre, in  ogni  altro  caso,  resta
 piena  la  validita'  della  disposizione  processuale  anche nel suo
 secondo comma, cosi' come delineata dal legislatore.