ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3 della legge
 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in  materia  di  raccolta,
 coltivazione  e  commercio dei tartufi freschi o conservati destinati
 al consumo) e 2 e 6 della  legge  regionale  dell'Umbria  3  novembre
 1987,   n.  47  (Norme  concernenti  la  disciplina  della  raccolta,
 coltivazione, conservazione e commercio dei  tartufi),  promosso  con
 ordinanza  emessa il 7 giugno 1989 dal T.A.R. dell'Umbria sui ricorsi
 riuniti proposti da Torlonia Annamaria contro la  Regione  Umbria  ed
 altri,  iscritta  al  n.  68 del registro ordinanze 1990 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie  speciale
 dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri e della Regione Umbria;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 23 maggio 1990 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   La   concessionaria   dell'azienda   faunistico-venatoria
 "Schifanoia" instaurava dinanzi al T.A.R.  dell'Umbria  tre  giudizi,
 poi  riuniti,  nei  confronti  della Regione Umbria e della Comunita'
 Montana dell'Alto Chiascio, di impugnazione del provvedimento con cui
 si  era  rigettata  la  sua  richiesta  di tabellamento del fondo per
 escludervi la raccolta di tartufi, nonche' di  alcune  autorizzazioni
 per  la  raccolta  rilasciate  dalla  detta Comunita' Montana e della
 delibera della Giunta Regionale umbra relativa a termini e  modalita'
 di  presentazione  di  richieste di rilascio di autorizzazioni per la
 ricerca di tartufi nella suddetta azienda.
    Il  T.A.R.  sollevava  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 3 della legge statale 16 dicembre 1985,  n.  752,  e  degli
 artt. 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47,
 in riferimento agli artt. 42, secondo e  terzo  comma,  e  117  della
 Costituzione.
    1.2  -  Secondo  il giudice remittente l'art. 3 della legge n. 752
 del 1985 e l'art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987, di identico
 contenuto,  i quali sanciscono la liberta' della raccolta dei tartufi
 nei boschi e nei terreni incolti e la possibilita' di  riservarsi  la
 proprieta'   dei  tartufi  raccolti  solo  per  i  proprietari  delle
 tartufaie coltivate o  controllate,  prevederebbero  una  sottrazione
 originaria   del   bene   al   legittimo   proprietario   del   tutto
 sproporzionata rispetto all'interesse generale perseguito, posto  che
 sarebbe  stato  piu'  ragionevole ed equo prevedere la libera ricerca
 solo nel caso di inerzia del proprietario del terreno nella raccolta.
    Invece,  le disposizioni censurate consentirebbero al proprietario
 di riservarsi la raccolta dei tartufi solo se sopportasse il  gravoso
 onere  di  apportare  miglioramenti ed incrementi della coltivazione,
 mentre nessun onere sarebbe imposto ai terzi.
    La  menomazione  del  diritto  di  proprieta'  urterebbe contro il
 precetto costituzionale citato perche'  non  sarebbe  previsto  alcun
 indennizzo  o  compenso  che,  invece,  si  sarebbe  dovuto prevedere
 vertendosi in una situazione di vero e proprio trasferimento  forzoso
 di beni ed utilita' a vantaggio di terzi.
    1.3 - L'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, il quale reca
 una disciplina particolare per la ricerca dei tartufi  nelle  aziende
 faunistico-venatorie,   violerebbe   gli   artt.   117   e  42  della
 Costituzione, in quanto estenderebbe il regime della libera  raccolta
 anche  nei  terreni  delle  dette aziende, limitando ulteriormente il
 diritto di proprieta'  e  venendo  cosi'  ad  incidere  nei  rapporti
 intersoggettivi,  la  cui regolamentazione e' preclusa al legislatore
 regionale.
    2.  -  Il  giudice  a  quo  ha  ritenuto  le  questioni  sollevate
 rilevanti, in quanto  la  eventuale  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale   delle   disposizioni   censurate   condurrebbe  alla
 caducazione delle autorizzazioni di raccolta dei  tartufi  rilasciate
 dalla  Comunita'  Montana e alla impossibilita' di rilasciarne altre,
 oltre che al  riconoscimento  a  favore  della  parte  privata  della
 facolta' di tabellazione del fondo.
    3.  -  L'ordinanza,  ritualmente comunicata e notificata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    4. - Nel giudizio sono intervenuti sia il Presidente del Consiglio
 dei  ministri  che  il  Presidente  della  Giunta  Regionale   umbra,
 rappresentati entrambi dall'Avvocatura Generale dello Stato.
    Essa   ha   preliminarmente   eccepito   la  inammissibilita'  per
 irrilevanza della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
 3  della  legge  n.  752  del 1985, posto che solo la legge regionale
 (art. 6) estende il regime della libera raccolta  dei  tartufi  anche
 alle aziende faunistico-venatorie, ponendosi in contrasto, secondo il
 giudice a quo, con gli artt. 117 e 42 della Costituzione.
    La  censura sarebbe, inoltre, affetta da contraddittorieta' stante
 la inconciliabilita' della denuncia della  norma  statale,  sotto  il
 profilo  dell'art.  42  della Costituzione, con quella concernente la
 norma regionale, sotto il profilo dell'art. 117  della  Costituzione,
 norme   separatamente   individuate   come   fonte   esclusiva  della
 regolamentazione    lesiva.    La    contraddittorieta'    renderebbe
 inammissibili le questioni nei termini in cui sono state prospettate.
    Secondo  la  difesa delle interventrici, l'interpretazione fornita
 dal  giudice  a  quo  sarebbe  errata  in  quanto  anche  dai  lavori
 preparatori risulta che il regime della libera raccolta si era voluto
 anche per le aziende faunistico-venatorie,  le  quali  non  implicano
 alcuna   coltivazione   dei  fondi,  ma  postulano  la  conservazione
 dell'ambiente naturale ivi esistente.
    Sarebbe  inconferente  la  censura  che  attiene  al profilo della
 mancata previsione di un indennizzo o della facolta' del proprietario
 dei  fondi  sui  quali  insistono  le aziende faunistico-venatorie di
 riservarsi la raccolta dei tartufi,  in  considerazione  dell'oggetto
 dei  giudizi  a  quibus,  concernenti  l'esclusione  dei  terzi dalla
 ricerca e raccolta.
    La  ricerca  nei terreni non coltivati costituisce l'oggetto di un
 uso civico a favore di una  determinata  collettivita',  mentre,  nel
 caso  di  gestione  di una tartufaia coltivata o controllata, occorre
 tenere conto degli oneri che sopporta il proprietario onde,  rispetto
 all'altra ipotesi, risulta giustificata la riserva a suo favore della
 raccolta  dei  tartufi.  Pertanto,  la  scelta  del  legislatore   e'
 pienamente  ragionevole,  in  conformita'  alla tradizione vigente in
 materia ed agli interessi generali perseguiti, coerentemente  con  il
 disposto dell'art. 44 della Costituzione.
                         Considerato in diritto
    1.   -   Il   T.A.R.   dell'Umbria   dubita   della   legittimita'
 costituzionale:
      a) degli artt. 3 della legge statale 16 dicembre 1985, n. 752, e
 2 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre  1987,  n.  47,  nella
 parte  in  cui sanciscono la libera raccolta dei tartufi nei boschi e
 nei  terreni  non  coltivati  e  la  possibilita'  di  riserva  della
 proprieta'  degli  stessi  solo  in  favore di chi gestisce tartufaie
 coltivate o controllate, in quanto risulterebbe  violato  l'art.  42,
 secondo   e   terzo  comma,  della  Costituzione,  perche'  le  dette
 disposizioni, a fronte di una  sottrazione  originaria  del  bene  al
 legittimo  proprietario, non prevedono alcuna forma di indennizzo, e,
 irrazionalmente,  consentono   al   proprietario   dei   terreni   la
 possibilita'   della   riserva  della  raccolta  solo  sopportando  i
 rilevanti oneri economici per la coltivazione e  il  controllo  delle
 tartufaie,  oneri  che,  invece,  non incontrano i terzi ammessi alla
 libera raccolta;
      b)  dell'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto,
 estendendo il regime della  libera  raccolta  dei  tartufi  anche  ai
 terreni in cui si trovano le aziende faunistico-venatorie, violerebbe
 gli artt. 117 e 42 della Costituzione, perche' attua  una  disciplina
 di rapporti interprivati sottratti alla potesta' normativa regionale.
    2. - Le questioni non sono fondate per quanto si dira'.
    La  legge  quadro  n. 752 del 1985 detta nuove norme in materia di
 raccolta, coltivazione e commercio di tartufi  freschi  o  conservati
 destinati  al  commercio.  Essa,  ovviando  alla insufficienza e alla
 inadeguatezza della precedente legge n. 568  del  1970,  persegue  la
 finalita' di salvaguardare un patrimonio ambientale di grande valore,
 specie a favore di quella parte della popolazione che nella ricerca e
 raccolta  dei  tartufi  trova  un  motivo  di distensione ed anche di
 integrazione del proprio reddito.
    La  nuova  disciplina  e'  piu'  adeguata alla rilevanza economica
 della  attivita'  che  si  protegge  ed   evita   che   la   raccolta
 indisciplinata   produca   l'estinzione   delle   tartufaie  e  danni
 irreparabili al patrimonio ambientale.
    Inoltre,  si  sono  tutelati anche gli interessi delle popolazioni
 che ne traggono vantaggio, le loro consuetudini e gli  eventuali  usi
 civici.
    La  normativa  statale  fornisce  i  principi  ed i criteri per la
 disciplina di dettaglio che spetta alle Regioni nell'esercizio  della
 potesta'  legislativa  in  materia  di  conservazione  del patrimonio
 naturale e dell'assetto ambientale.
    La  detta legge quadro sancisce la libera raccolta dei tartufi nei
 boschi e nei terreni non coltivati;  riconosce  a  tutti  coloro  che
 hanno  diritti  di  godimento sul fondo o che vi conducono tartufaie,
 coltivate o controllate, il diritto di  proprieta'  sui  tartufi  ivi
 prodotti, autorizzandoli ad apporre apposite tabelle.
    La  raccolta  non  e' consentita, quindi, nei terreni coltivati e,
 anche in base alle norme contenute nel codice  civile  (artt.  841  e
 842),  nei  fondi chiusi, specie nei modi stabiliti dalla legge sulla
 caccia.
    Non  sussiste  la  dedotta  lesione  dell'art. 42, secondo e terzo
 comma, della Costituzione, per la mancata  previsione  da  parte  del
 legislatore  statale  di  un indennizzo o di un compenso a favore del
 proprietario di terreni non coltivati o di boschi.
    Si   e',  invero,  piu'  volte  affermato  (sentenza  della  Corte
 costituzionale nn. 6 del 1966, 55 e 56 del 1968, 245 del 1976) che la
 detta violazione non si verifica allorquando, come nella fattispecie,
 i limiti posti alla proprieta' privata  si  riferiscano  ai  modi  di
 godimento  di  intere  categorie  di  beni,  specie nell'ambito della
 attuazione della funzione sociale che deve  svolgere  il  diritto  di
 proprieta'  per  la  tutela  accordata  ad interessi sociali e quindi
 pubblici che fanno capo alla generalita' dei cittadini.
    Per  quanto  riguarda la illegittimita' costituzionale dell'art. 6
 della legge n. 47 del 1987, si osserva che con detta disposizione  si
 e'  inteso  disciplinare, nell'ambito della legislazione di dettaglio
 che compete  alla  Regione,  la  raccolta  dei  tartufi  nei  terreni
 soggetti  anche  a  uso  civico,  al  vincolo connesso alla attivita'
 venatoria nonche'  nelle  aziende  faunistico-venatorie.  Per  queste
 ultime  si  sono  previsti  dei  limiti  alla libera raccolta e cioe'
 l'autorizzazione della Comunita' Montana competente  per  territorio,
 l'audizione  del  legale  rappresentante  della  concessionaria o del
 proprietario, l'ammissione di un numero limitato di raccoglitori  con
 due  soli  cani,  i turni della raccolta, le modalita' di accesso nei
 soli giorni di silenzio venatorio.
    La   disciplina  in  esame  va  anzitutto  coordinata  con  quella
 specifica delle aziende  faunistico-venatorie  rientrante  in  quella
 piu' ampia della caccia dettata con la legge statale n. 968 del 1977,
 la legge regionale dell'Umbria n. 21  del  1986,  ed  il  regolamento
 regionale 7 agosto 1986, n. 2.
    L'art.   36   della   legge  statale  stabilisce  che  le  aziende
 faunistico-venatorie, o derivate dalle riserve di caccia o  di  nuova
 costituzione, hanno come scopo il mantenimento, l'organizzazione e il
 miglioramento degli ambienti naturali anche ai  fini  dell'incremento
 della fauna selvatica.
    La   disciplina   riguarda   le  aziende  di  rilevante  interesse
 naturalistico e faunistico con particolare  riferimento  alla  tipica
 fauna  alpina, alla grossa selvaggina europea e alla fauna acquatica.
    Si  demanda  alle  Regioni  il  coordinamento e l'approvazione dei
 piani annuali di ripopolamento e  di  abbattimento  della  selvaggina
 compatibili  con  le  finalita'  naturalistiche e faunistiche nonche'
 l'indicazione dei criteri di gestione.
    La  Regione  Umbria ha, da ultimo, emanato la legge n. 21 del 1986
 ed il regolamento n. 2 del 1986.
    Si sono previste tre categorie di aziende venatorie (art. 25 della
 legge n. 21 del 1986 e  art.  2  del  regolamento)  a  seconda  della
 proprieta' dei terreni e delle specie degli animali.
    Si  e'  specificamente  sancito (art. 25, sesto comma, della legge
 regionale) che la concessione per l'allevamento del cinghiale e degli
 ungulati  e'  rilasciata  a condizione che i terreni a cio' destinati
 siano delimitati da  barriere  naturali  o  artificiali  insuperabili
 dalla  selvaggina  allevata  e  tabellati  (art. 11 del regolamento),
 mentre l'art. 6 del regolamento regola la idoneita' del territorio.
    Ora,  la  disciplina  della raccolta dei tartufi di cui all'art. 6
 della legge regionale deve  essere  anzitutto  ispirata  ai  principi
 della  legge  quadro, peraltro, ripetuti nella stessa legge regionale
 (art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987) secondo cui la raccolta
 e'  libera  nei  boschi  e nei terreni non coltivati e, limitatamente
 alle aziende faunistico-venatorie esistenti nei detti luoghi, con  le
 modalita'  di  cui  all'art.  6  della stessa legge regionale innanzi
 richiamata; mentre e' vietata  nei  terreni  coltivati  e  nei  fondi
 chiusi  e  recintati  e, comunque, nelle aziende faunistico-venatorie
 che ivi insistono e  che  sono  chiuse  con  recinzioni,  barriere  o
 palizzate  secondo le previsioni della legge regionale sulla caccia e
 pedissequo regolamento ribadite nella concessione.
    Pertanto, le concessionarie di aziende faunistico-venatorie che si
 trovano in terreni coltivati o che, ovunque site, hanno un  perimetro
 chiuso  con  recinzioni  o  barriere  o  palizzate  non  hanno  alcun
 interesse alla apposizione di tabelle recanti il divieto di  raccolta
 di tartufi, non essendo in esse consentita, secondo l'interpretazione
 che si e' data delle norme applicabili, la libera raccolta.
    Non  sono  fondate  le  censure  sollevate dell'art. 6 della legge
 regionale n. 47  del  1987,  in  quanto  la  Regione  ha  emanato  la
 legislazione  di dettaglio secondo i principi e i criteri della legge
 quadro statale, nell'esercizio di  una  competenza  propria.  Ha  poi
 correttamente  coordinato  la  disciplina  della raccolta dei tartufi
 nelle aziende faunistico-venatorie con la disciplina specifica  delle
 stesse  dettata  dalla  legge  quadro statale e dalla legge regionale
 sulla caccia e dal regolamento  delle  aziende  faunistico-venatorie.
 Non  ha  regolato affatto rapporti intersoggettivi di diritto privato
 ne', in particolare,  ha  emanato  norme  incidenti  sul  diritto  di
 proprieta' di dette aziende.