ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 273 e 274 del
 codice civile in relazione all'art. 316 dello stesso codice, promosso
 con  ordinanza  emessa  il  30  novembre  1989  dal  Tribunale  per i
 minorenni di Ancona nel procedimento per dichiarazione di  paternita'
 naturale  instaurato  da Michelangeli Laura nell'interesse del figlio
 minore Michelangeli Flavio, iscritta al n. 165 del registro ordinanza
 1990  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 26 giugno 1990 il Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
                           Ritenuto in fatto
    Nel  corso  di  un  procedimento  instaurato  da  L.M., per essere
 ammessa, ai sensi dell'art. 274 cod. civ., a promuovere l'azione  per
 la  dichiarazione  giudiziale di paternita' nell'interesse del figlio
 minore, il Tribunale per i minorenni di Ancona, con ordinanza del  30
 novembre   1989,  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  degli  artt.
 273  e  274 cod.  civ. "nella parte in cui non prevedono, nel caso di
 azione proposta  dal  genitore  che  esercita  la  potesta'  prevista
 dall'art.  316  cod.   civ. nell'interesse del figlio infrasedicenne,
 che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di
 paternita' o maternita'".
    Premesso  che il significato dell'attribuzione della competenza al
 Tribunale dei minorenni, disposta dall'art. 68 della legge  4  maggio
 1983,  n.  184,  quando  l'azione  di  cui  all'art. 269 cod. civ. e'
 esercitata per conto di minori, non si  esaurisce  in  quello  di  un
 semplice  spostamento  di competenza, il giudice a quo lamenta che la
 funzione di  tutela  dell'interesse  dei  minori,  caratteristica  di
 questo giudice specializzato, non possa esplicarsi nel caso di cui si
 controverte, a differenza di altri casi concernenti  la  costituzione
 tardiva  o la modificazione dello status del minore, quali il caso di
 opposizione del genitore, che per primo ha riconosciuto il figlio, al
 riconoscimento  da parte dell'altro (art. 250, quarto comma), il caso
 di  esercizio  dell'azione  di  dichiarazione  della   paternita'   o
 maternita'  naturale da parte del tutore (art. 273, primo comma) e il
 caso di domanda di legittimazione (art. 284).
    Tale  disparita'  di disciplina e' ritenuta contraria al principio
 di eguaglianza.
                         Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale dei minorenni di Ancona ritiene contrastanti con
 l'art. 3 della Costituzione gli artt. 273 e 274 cod. civ. nella parte
 in  cui  non  prevedono, nel caso di azione proposta dal genitore che
 esercita la potesta' prevista dall'art.  316  per  conto  del  figlio
 infrasedicenne,  che  il  giudice  valuti l'interesse del minore alla
 dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale.
    2.  -  Diversamente da quanto sembra ritenere il giudice a quo, la
 questione non puo' investire congiuntamente gli artt.  273  e  274  a
 guisa  di  "combinato  disposto".  In realta' l'ordinanza propone due
 questioni, una principale, l'altra subordinata.  La  prima  prospetta
 l'estensione   al  genitore  del  requisito  dell'autorizzazione  del
 giudice, previsto dall'art. 273 nel caso di esercizio dell'azione  da
 parte  del tutore. La seconda prospetta la valutazione dell'interesse
 del minore, quando l'azione sia promossa dal  genitore  esercente  la
 potesta'  di  cui  all'art.  316,  come  un  elemento del giudizio di
 delibazione previsto dall'art. 274,  impugnando  il  primo  comma  di
 questo articolo in quanto non subordina l'ammissibilita' dell'azione,
 oltre che  al  concorso  di  specifiche  circostanze  tali  da  farla
 apparire  giustificata,  anche alla condizione che ne sia valutata la
 rispondenza all'interesse del minore.
    L'articolazione  nelle  due  questioni  ora distinte risulta dalla
 motivazione dell'ordinanza, la' dove, dopo avere  osservato  che  nel
 caso   del   tutore   la   legge  ritiene  necessario  un  preventivo
 apprezzamento dell'interesse del minore da parte dell'organo statuale
 nella  forma  dell'autorizzazione,  il giudice a quo afferma: "Orbene
 non si  comprende  perche'  il  genitore  che  esercita  la  potesta'
 prevista  dall'art.  316 possa invece liberamente agire in giudizio e
 la  sua  richiesta,  neppure  nella  successiva  fase  di  esame   di
 ammissibilita'   dell'azione,   non   debba   essere  valutata  quale
 corrispondente o meno all'interesse del minore".
    3.  -  In  ordine all'art. 273 la questione non e' fondata. Che il
 tutore  soltanto,  e   non   pure   il   genitore,   debba   chiedere
 l'autorizzazione  del  giudice  si  giustifica  in  base  alla regola
 generale dell'art. 374 n. 5 cod. civ., secondo cui il tutore non puo'
 promuovere  giudizi senza l'autorizzazione del giudice, tranne quelli
 espressamente indicati, mentre il genitore e' in generale legittimato
 ad  agire  senza  bisogno di autorizzazione, tranne che per i giudizi
 relativi  agli  atti  per  i  quali  e'  richiesta   l'autorizzazione
 dall'art. 320, terzo comma.
    Nei  confronti  del  genitore  la  valutazione  dell'interesse del
 minore da parte del giudice non puo' essere prospettata  nella  forma
 di  un  atto  (autorizzazione)  integrativo  della  legittimazione ad
 agire.
    4. - La questione e' fondata in ordine all'art. 274.
    Dei  vari  termini  di  comparazione proposti dal giudice a quo la
 Corte ritiene idoneo quello indicato  nell'art.  250,  quarto  comma,
 cod.  civ.  Da  questa norma si argomenta che, se si tratta di minore
 infrasedicenne, per il quale l'efficacia del  riconoscimento  non  e'
 subordinata  al  suo assenso, la legge attribuisce un valore assoluto
 all'interesse di accertamento dello stato  di  filiazione  quando  il
 minore  sia  privo  di  status  o  il  genitore  che  per primo lo ha
 riconosciuto  consenta  al   riconoscimento   successivo   da   parte
 dell'altro.  In  questi  due  casi,  con  una  valutazione tipica, il
 riconoscimento e'  reputato  senz'altro  conforme  all'interesse  del
 minore.  Quando invece insorga conflitto tra i genitori, in quanto il
 genitore  che  ha  gia'  riconosciuto  il   figlio   si   oppone   al
 riconoscimento   tardivo   dell'altro  giudicandolo  non  conveniente
 all'interesse  del  minore,  tale  valutazione  e'  assoggettata   al
 controllo  del  tribunale  per  i  minorenni mediante un procedimento
 contenzioso promosso dal genitore che a sua volta intende  effettuare
 il riconoscimento.
   Analogo  controllo  non  e'  previsto  nell'ipotesi  in certo senso
 inversa di conflitto, in cui il genitore esercente  la  potesta'  sul
 figlio  ritiene  conveniente al suo interesse anche il riconoscimento
 dell'altro e, di fronte all'atteggiamento  recalcitrante  di  questi,
 decide di promuovere, per conto del minore, l'azione di reclamo della
 paternita' o maternita' naturale.  Fino  al  1983  la  diversita'  di
 disciplina  si  poteva  spiegare  in  considerazione della competenza
 esclusiva del tribunale ordinario per l'azione di  cui  all'art.  269
 cod.  civ.,  cioe' di un giudice inadatto a esprimere valutazioni del
 tipo di quella in discorso. Ma, una volta trasferita la competenza al
 tribunale per i minorenni quando l'azione sia proposta nell'interesse
 di minori di eta' (art. 38 disp. att., modificato dall'art. 68  della
 legge  4  maggio  1983,  n.  184),  non  e' piu' giustificabile, alla
 stregua  del  principio  di  pari  trattamento  di  casi  simili,  la
 preclusione a questo giudice, specializzato per la tutela dei minori,
 della possibilita' di  esplicare  anche  in  questa  ipotesi  la  sua
 funzione   istituzionale  valutando,  ove  sia  in  causa  un  minore
 infrasedicenne, se l'azione intentata dal genitore che per  primo  lo
 ha  riconosciuto,  al  fine di imporre all'altro una paternita' o una
 maternita' che quegli  rifiuta  di  riconoscere,  sia  effettivamente
 rispondente  all'interesse  del  figlio  o  non  rischi  piuttosto di
 pregiudicarne gli equilibri affettivi, l'educazione e la collocazione
 sociale.  Siffatti inconvenienti non sempre e non interamente possono
 essere evitati, dopo la costituzione dello status di filiazione,  con
 i provvedimenti previsti dall'art. 277, secondo comma, cod. civ.
    Indipendentemente  dal  confronto con l'art. 250, quarto comma, la
 norma  impugnata  appare  contrastante   anche   col   principio   di
 razionalita', essendo incoerente col rilievo sistematico centrale che
 nell'ordinamento dei rapporti di  filiazione,  fondato  sull'art.  30
 Cost., assume l'esigenza di protezione dell'interesse dei minori.
    5.  -  Non  varrebbe  obiettare che il procedimento preliminare di
 delibazione sull'ammissibilita' dell'azione e' organizzato  dall'art.
 274 a tutela del convenuto contro azioni temerarie o ricattatorie. La
 veridicita' del preteso rapporto di  filiazione  col  convenuto,  del
 quale  il  giudice deve in questa prima fase del giudizio controllare
 l'esistenza di seri indizi, e' pure un  elemento  dell'interesse  del
 minore.  Non  vi  e'  quindi alcun ostacolo di ordine logico, e tanto
 meno tecnico,  ad  allargare  il  giudizio  al  controllo  dell'altro
 aspetto   di   tale   interesse,   cioe'  la  convenienza  al  minore
 dell'accertamento formale del rapporto di filiazione.
    Del resto, questa integrazione del giudizio previsto dall'art. 274
 si e' gia' prodotta in pratica nel  caso  di  azione  esercitata  dal
 tutore.  E'  da  ritenere,  infatti, che in virtu' del citato art. 68
 della legge n. 184 del 1983 il tribunale per i minorenni (e non  piu'
 il  giudice  tutelare)  sia  competente  anche  per  l'autorizzazione
 richiesta dall'art. 273, primo  comma,  con  la  conseguenza  che  il
 procedimento   autorizzativo   viene   assorbito   nel   giudizio  di
 delibazione di cui all'art. 274.