ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Piemonte riapprovata il 21 marzo 1990 dal Consiglio regionale, avente
 per  oggetto:  "Interpretazione autentica del nono comma dell'art. 34
 della L.R. n. 40/1984 e disposizioni in merito al  personale  docente
 dei  centri  di  formazione  professionale", promosso con ricorso del
 Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 10 aprile  1990,
 depositato  in  cancelleria il 20 successivo ed iscritto al n. 34 del
 registro ricorsi 1990;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte;
    Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi   l'Avvocato   dello   Stato  Pier  Giorgio  Ferri,  per  il
 ricorrente, e l'avv. Enrico Romanelli per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  in  data  8  aprile  1990,  il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  ha impugnato la legge della Regione Piemonte
 recante "Interpretazione autentica del nono comma dell'art. 34,  L.R.
 n.  40  del  1984,  e disposizioni in merito al personale docente dei
 centri di formazione professionale".
    La legge e' composta di due articoli.
    Con  l'art.  1,  essa  si  qualifica come norma di interpretazione
 autentica del nono comma dell'art. 34 della legge regionale 16 agosto
 1984, n. 40, con cui era stato recepito l'accordo nazionale di lavoro
 per il personale delle Regioni per il periodo 1982-84.
    La  norma, resa oggetto di interpretazione autentica, disponeva la
 abrogazione  con  effetto  dall'1  gennaio  1983  (data  iniziale  di
 applicazione  del succitato accordo nazionale) delle precedenti norme
 regionali concernenti la progressione economica  stipendiale  fondata
 sul  meccanismo  delle classi e degli scatti (art. 14 legge reg. n. 5
 del 1981).
    La  succitata  legge regionale n. 40 del 1984 e' entrata in vigore
 il 6 settembre 1984; pertanto, fino  a  quest'ultima  data  le  norme
 contenute  nell'art.  14 della legge n. 4 del 1981 hanno continuato a
 trovare applicazione.
    Con  il  testo ora approvato il legislatore regionale vorrebbe far
 si' che la abrogazione gia' disposta con decorrenza 1Π gennaio  1983
 faccia comunque salvi gli effetti risultanti dalla applicazione delle
 norme  abrogate  nel  periodo  1Π gennaio  1983  (decorrenza   della
 abrogazione)  -  6  settembre  1984 (entrata in vigore della norma di
 abrogazione).
    Cosi' disponendo, - osserva l'Avvocatura generale dello Stato - la
 Regione Piemonte non ha in  realta'  effettuato  una  interpretazione
 autentica;  la  norma  ora impugnata ha piuttosto modificato la norma
 "interpretata" per quanto concerne la portata dell'effetto abrogativo
 fissato alla data dell'1 gennaio 1983.
    Attraverso  questa  modifica,  impropriamente  espressa  in  forma
 interpretativa,  si  perviene   al   risultato   di   consentire   la
 conservazione  dei benefici derivanti dalla progressione economica di
 cui all'abrogato art. 14 l.r. n. 5 del  1981  e  conseguentemente  il
 cumulo  dei  medesimi con i benefici di natura analoga previsti dalla
 successiva l.r. n. 40 del 1984 di recepimento dell'accordo  nazionale
 1982-84  che,  con  la  surricordata abrogazione dall'1 gennaio 1983,
 aveva coerentemente ristabilito una  situazione  di  uguaglianza  per
 tutto il personale.
    Se  ne  deduce  che  la  disposizione  in  esame,  oltre a violare
 principi generali dell'ordinamento  giuridico  in  tema  di  uso  del
 potere  legislativo in funzione di interpretazione autentica, si pone
 in contrasto con la legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del  1983
 e  con la normativa contrattuale; in particolare risulta vulnerato il
 principio  di  omogeneizzazione  e   perequazione   dei   trattamenti
 economici.
    Sarebbero    altresi'    violati    i   canoni   fondamentali   di
 ragionevolezza, imparzialita' e buon  andamento  della  P.A.  di  cui
 all'art. 97 della Costituzione.
    Con i medesimi principi contrasta l'art. 2 della legge oggetto del
 ricorso; mediante questa norma la Regione Piemonte intende provvedere
 al  riconoscimento  per  intero  dell'anzianita'  pregressa anche nei
 confronti del personale docente gia' in servizio a tempo  determinato
 presso i Centri di formazione professionale alla data del 31 dicembre
 1982, successivamente inquadrato nei ruoli regionali.
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato chiede quindi che la proposta
 questione di legittimita' costituzionale della  legge  regionale  del
 Piemonte,  indicata  in  epigrafe,  sia  dichiarata  fondata con ogni
 statuizione conseguenziale.
    2.  -  La Regione Piemonte si e' costituita in giudizio, chiedendo
 che il ricorso venga respinto  in  quanto  inammissibile  e  comunque
 infondato nel merito.
    Nella  memoria  si precisa anzitutto che con la legge impugnata si
 e' inteso disciplinare le situazioni createsi  nel  periodo  compreso
 tra  l'1  gennaio  1983,  data  iniziale  di applicazione della nuova
 progressione degli stipendi del personale regionale, e il 6 settembre
 1984,  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  abrogatrice della
 precedente disciplina. Un ampio contenzioso  in  materia  aveva  dato
 luogo  a  decisioni  giurisprudenziali  spesso  contraddittorie,  con
 conseguente disparita' di trattamento tra i dipendenti.
    Cio'  premesso,  sarebbero  inammissibili le censure relative alla
 presunta violazione dei principi generali in tema di  interpretazione
 autentica  e  al  contrasto con la legge quadro sul pubblico impiego.
 Tali  censure  atterrebbero  ad  una  sorta  di  eccesso  di   potere
 legislativo,  la  cui  configurabilita'  non  e'  concepibile  in  un
 giudizio di costituzionalita'.In ogni caso  sarebbero  destituite  di
 fondamento,   perche'  lo  scopo  dell'interpretazione  autentica  e'
 proprio quello di superare, sulla  base  della  forza  normativa,  le
 incongruenze determinatesi nell'applicazione della legge.
    Del  tutto privo di fondamento sarebbe poi l'addotto contrasto con
 l'art. 97 della Costituzione.  Con  la  legge  interpretativa  si  e'
 proprio   dato   attuazione   a   detta   previsione  costituzionale,
 provvedendo  a  rimuovere  confusioni,  incongruenze,  ingiustizie  e
 disparita' di trattamento che la precedente normativa aveva generato.
                         Considerato in diritto
    1.  - L'art. 1 della legge della Regione Piemonte, impugnata dalla
 Presidenza   del   Consiglio   dei   ministri,   reca   per    titolo
 "Interpretazione   autentica   dell'art.  34,  nono  comma,  L.R.  n.
 40/1984";  il  suo  contesto  normativo  si  enuncia  conforme   alla
 intitolazione.  Esso  dispone infatti che "il nono comma dell'art. 34
 della L.R. n. 40 del 1984..... deve  essere  interpretato  nel  senso
 che....".
    Alla  indicata  enunciazione non corrisponde peraltro il contenuto
 della norma. Il nono comma dell'art. 34  legge  Regione  Piemonte  16
 agosto  1984, n. 40, stabilisce infatti - in modo del tutto esplicito
 e inequivoco - che gli artt. 13 e 14 della legge Regione Piemonte  27
 gennaio  1981,  n.  5, sono abrogati a decorrere dal 1Πgennaio 1983.
 Rispetto  a  tale  previsione,  non  puo'  non   assumere   carattere
 innovativo il contenuto dell'art. 1 della legge impugnata, per cui la
 disposizione precedente va interpretata  nel  senso  che  l'efficacia
 retroattiva dell'abrogazione deve in ogni caso fare salvi gli effetti
 gia' prodotti, fino alla data di entrata in vigore della legge n.  40
 del 1984, dall'art. 14 della legge Regione Piemonte n. 5 del 1981.
    Esattamente  rileva l'Avvocatura generale dello Stato che la norma
 impugnata ha in realta'  modificato  la  norma  "interpretata";  essa
 opera,    infatti,    sulla    portata    dell'effetto    abrogativo,
 disciplinandolo in via autonoma  e  non  limitandosi  invece  -  come
 sarebbe   stato   conforme  alla  natura  dichiarata  dell'intervento
 legislativo - a definire un  qualche  significato  di  per  se'  gia'
 insito nella disposizione originaria.
    Nel caso in esame si e' dunque certamente fuori dell'ipotesi della
 legge interpretativa. Tale qualificazione va infatti  riconosciuta  -
 secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  (da ultimo,
 sentenze n. 155 del 1990 e n. 233 del 1988)  -  soltanto  alla  legge
 che,  fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce
 il contenuto, ovvero privilegia una sola tra le varie interpretazioni
 possibili,  con  la  conseguenza che la disciplina della specie e' il
 prodotto delle due norme successive, le quali rimangono  entrambe  in
 vigore e sono anche idonee ad essere separatamente modificate.
    2.  -  La  considerazione  degli  effetti  sostanziali della norma
 impugnata chiarisce il carattere innovativo di  essa  e  ne  lumeggia
 l'incoerenza,  l'irrazionalita'  e  il contrasto con il principio del
 buon andamento della pubblica amministrazione.
    La  legge  della  Regione  Piemonte  n. 40 del 1984, in attuazione
 dell'accordo nazionale stipulato il  29  aprile  1983,  di  cui  alla
 deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri  del  16 giugno 1983, ha
 completamente riformulato la disciplina dello stato giuridico  e  del
 trattamento  economico  dei  dipendenti  regionali.  Nell'eseguire la
 complessa  operazione,  essa  ha  avuto  come  costante   riferimento
 temporale  l'1  gennaio  1983.  Il  primo  comma dell'art. 47 dispone
 infatti che  da  questa  data  decorrono  gli  effetti  giuridici  ed
 economici  della nuova normativa. A sua volta, il secondo comma dello
 stesso  articolo  prevede  che  i  benefici   economici   conseguenti
 all'applicazione  della  legge  vengano  attribuiti in tre successive
 rate, la prima delle quali decorrente dal 1Πgennaio 1983.
    E'  del tutto giustificato e coerente, dunque, che l'art. 14 della
 legge n. 5 del 1981, il quale disciplinava la progressione  economica
 degli  appartenenti  a  ciascun  livello  funzionale, nell'ambito del
 diverso  sistema  giuridico  e  retributivo   proprio   della   legge
 menzionata,  sia stato abrogato con effetto dal 1Πgennaio 1983, data
 in cui e' divenuto operativo il nuovo sistema.
    L'art.  1  della  legge  impugnata, altera invece, la razionalita'
 complessiva dell'operazione di riordinamento dello stato giuridico  e
 del trattamento economico dei dipendenti regionali, riordinamento che
 include  anche  riconoscimenti  di  anzianita'  pregresse   e   nuovi
 inquadramenti. Per il periodo intercorrente tra l'1 gennaio 1983 e la
 data di entrata in vigore della legge  16  agosto  1984,  i  benefici
 connessi  alla  precedente  disciplina si cumulerebbero, infatti, con
 quelli propri alla nuova.
    L'incoerenza di questo risultato con l'assetto operato dalla legge
 n. 40 del 1984 conferma il carattere  innovativo  dell'art.  1  della
 legge  impugnata  e  comprova  l'irrazionalita'  in cui e' incorso il
 legislatore regionale, il quale ha violato altresi' le  regole  della
 buona  amministrazione.  L'anomala  disciplina posta in essere non si
 adegua, infatti, ai  principi  di  omogeneizzazione  delle  posizioni
 giuridiche,   della   perequazione   e  trasparenza  dei  trattamenti
 economici e dell'efficienza amministrativa che, per  l'art.  4  della
 legge quadro sul pubblico impiego, devono ispirare la legislazione in
 materia.
    L'art.    1   della   legge   impugnata   va   dunque   dichiarato
 costituzionalmente illegittimo.
    3.  -  L'art. 2 della stessa legge dispone, poi, che nei confronti
 del personale docente dei centri di formazione professionale, assunto
 a  tempo  determinato ai sensi dell'art. 13 della legge della Regione
 Piemonte 20 agosto 1974, n. 22, trovano applicazione gli artt.  33  e
 34  della  legge  n. 40 del 1984, nonche' l'art. 33 della legge n. 34
 del 1989.
    Senonche'  le  norme, di cui si estende l'applicazione, consentono
 la valutazione per intero del periodo di  effettivo  servizio  svolto
 dal  dipendente,  incluso  quello  prestato presso lo Stato, gli enti
 pubblici, gli enti locali e le Regioni.
    Orbene, risulta del tutto irragionevole - come si e' gia' statuito
 nell'analogo caso considerato con sentenza n. 233 del 1988 - che  una
 norma,  la  quale  riconosce  al  personale di ruolo della Regione il
 computo integrale, ai fini del trattamento economico, del periodo  di
 servizio  prestato  anteriormente  in  una  posizione  di  ruolo  non
 corrispondente a quella ricoperta al momento dell'entrata  in  vigore
 della  legge,  venga  automaticamente  estesa a chi era in precedenza
 legato all'amministrazione regionale da rapporto del  tutto  diverso,
 derivante da un contratto di lavoro a tempo determinato.
    Anche  tale  previsione  va  dunque  dichiarata costituzionalmente
 illegittima.