ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilita', modifiche ed integrazioni alle l. 17 agosto 1942, n. 1150, l. 18 aprile 1962, n. 167, l. 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia, agevolata e convenzionata), come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli), promosso con ordinanza emessa il 5 aprile 1990 dal Tribunale di Pavia nel procedimento civile vertente tra Giuliana Tavazzani e il Comune di Pavia, iscritta al n. 381 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1990; Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 1990 il Giudice relatore Gabriele Pescatore. Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale di Pavia, con ordinanza 5 aprile 1990 - emessa nel corso di un giudizio promosso per la determinazione e la liquidazione dell'indennita' di occupazione di un immobile, ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come mod. dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 - ha sollevato, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 20, quarto comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennita' di occupazione, finche' manchi la valutazione della commissione prevista dall'art. 16 della medesima legge n. 865 del 1971. Il giudice a quo, premesso che, nel caso di specie, era mancata la su detta valutazione, con la conseguenza che, secondo la norma impugnata, l'azione non poteva essere proposta, ha dedotto il contrasto con l'art. 24, primo comma, della Costituzione dell'art. 20, quarto comma della legge n. 865 del 1971, come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, in quanto impedisce agl'interessati di agire in giudizio a tutela di un proprio diritto. Nell'ordinanza di rimessione si rammenta che, in un caso analogo, relativo alla liquidazione dell'indennita' di espropriazione, la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata, con la sentenza n. 67 del 1990, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971, come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, "nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennita', finche' manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge". Nell'ordinanza di rimessione si prospetta la declaratoria d'illegittimita' costituzionale della norma impugnata nei seguenti termini: "nella parte in cui, dopo la scadenza del termine di occupazione legittima, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la liquidazione dell'indennita' di occupazione, finche' manchi la determinazione dell'indennita' medesima da parte della commissione". 2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte non e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, ne' si sono costituite le parti private. Considerato in diritto 1. - Questa Corte e' chiamata a decidere se l'art. 20, quarto comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 - nella parte in cui non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennita' di occupazione, finche' manchi la valutazione della commissione prevista dall'art. 16 della medesima legge - violi l'art. 24, primo comma, della Costituzione. Secondo il giudice a quo, la norma si pone in contrasto col precetto fissato dall'art. 24, primo comma, della Costituzione, in base al quale "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti". La questione e' fondata. 2. - Va osservato preliminarmente che, secondo la disciplina dettata dall'articolo 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosi' come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, in caso di occupazione di urgenza delle aree da espropriare, l'indennita' di occupazione e' determinata da un'apposita commissione, istituita a norma dell'art. 16. Piu' precisamente l'art. 20, al terzo comma, stabiliva che detta commissione provvedesse "alla determinazione dell'indennita' di occupazione in una somma pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell'indennita' che sarebbe dovuta per l'espropriazione dell'area da occupare, calcolata a norma dell'art. 16 ovvero, per ciascun mese, o frazione di mese di occupazione, ad un dodicesimo dell'indennita' annua". Su tale disposizione ha inciso la declaratoria d'illegittimita' costituzionale pronunciata con la sentenza n. 5 del 1980, con la quale sono stati dichiarati illegittimi l'art. 16, commi cinque, sei e sette della legge n. 865 del 1971, come modificati dalla legge n. 10 del 1977 (relativi alla misura dell'indennita' di espropriazione) e l'art. 20, terzo comma, relativo alla misura dell'indennita' di occupazione. In relazione a dette declaratorie d'illegittimita' costituzionale, va precisato, peraltro, che costituisce ius receptum secondo quanto emerge dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 216 del 1990; n. 1022 del 1988; n. 355 del 1985; n. 231 del 1984) e dal costante indirizzo della Corte di cassazione - che esse non hanno inciso sulla competenza delle Commissioni previste dall'art. 16 e sulla devoluzione ad esse della determinazione delle indennita' di espropriazione e di occupazione, ma hanno toccato soltanto i criteri relativi alle indennita' per le aree con destinazione edificatoria. Ne deriva la permanente operativita' del disposto dell'impugnato art. 20, quarto comma, della legge n. 865 del 1971, come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, secondo il quale, contro la determinazione dell'indennita' di occupazione, gli interessati possono "proporre opposizione davanti alla corte d'appello competente per territorio, con atto di citazione notificato all'occupante entro trenta giorni dalla comunicazione dell'indennita' stessa a cura del sindaco, nelle forme prescritte per la notificazione degli atti processuali civili". 3. - Come ha osservato il giudice a quo nell'ordinanza di rimessione, la disposizione e' analoga a quella - dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 67 del 1990 contenuta nel precedente art. 19, a norma della quale ai proprietari e agli altri interessati al pagamento dell'indennita' di espropriazione era attribuita la facolta' di proporre opposizione alla stima compiuta dalla commissione prevista dall'art. 16, entro trenta giorni dall'inserzione dell'avviso del deposito della relazione nel Foglio degli annunzi legali della provincia. Questa Corte, con la citata sentenza, ha dichiarato illegittimo l'art. 19 nella parte in cui, pur dopo che fosse avvenuta l'espropriazione, non consentiva agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennita', finche' mancasse la relazione di stima. In tale decisione e' stato ribadito il principio, gia' costantemente affermato, secondo il quale la tutela giurisdizionale, pur potendo essere disciplinata dal legislatore con modalita' particolari in relazione alle situazioni giuridiche alle quali si riferisce, deve sempre essere effettiva e la sua disciplina non puo' risolversi in un differimento di essa sine die o, comunque, in un suo sostanziale svuotamento. L'art. 19 della legge n. 865 del 1971 consentiva, invece, alla pubblica amministrazione, omettendo l'adempimento relativo alla relazione di stima, non solo di differire senza limiti di tempo la corresponsione dell'indennita' di espropriazione, ma anche d'impedire indefinitamente l'esperibilita' dell'azione per ottenerne la liquidazione in sede giudiziaria. 4. - Nel procedere all'esame della questione prospettata dal giudice a quo, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. le sentenze n. 47 del 1964; n. 87 del 1969; n. 130 del 1970; n. 57 del 1972; nn. 24 e 97 del 1973 e, da ultimo, anche la sentenza n. 530 del 1989), l'art. 24, primo comma, della Costituzione non impone una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilita', quando ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalita' di giustizia. E, anche se sussistono queste circostanze, il legislatore e' sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa ovvero di non differirla irrazionalmente o sine die. L'art. 20, quarto comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosi' come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977 - nel regolare la tutela giurisdizionale del proprietario e degli altri soggetti interessati al conseguimento dell'indennita' di occupazione - opera una scissione tra l'insorgenza del diritto a tale indennita' e l'azionabilita' di esso. Il diritto all'indennita' nasce, infatti, con l'occupazione dell'area, mentre l'esperibilita' dell'azione e' differita alla determinazione dell'indennita' in sede amministrativa ed alla sua comunicazione all'interessato, senza che sia stabilito alcun termine entro il quale tali adempimenti debbono essere compiuti. Ne deriva che l'esperibilita' dell'azione, pur dopo la nascita del diritto all'indennita', a seguito della privazione del possesso del bene, puo' essere paralizzata ad libitum dalla pubblica amministrazione, attraverso l'omessa determinazione dell'indennita', ovvero attraverso l'omessa comunicazione della determinazione stessa. E' evidente che l'art. 20 della legge n. 865 del 1971, cosi' disponendo, disattende completamente la ratio dell'art. 24, primo comma, della Costituzione, il quale non consente al legislatore di rimettere all'arbitrio della pubblica amministrazione l'esperibilita' della tutela giurisdizionale della pretesa all'indennizzo dell'occupazione. 5. - Il giudice remittente prospetta la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 20 anzidetto, rapportandola alla "parte in cui, dopo la scadenza del termine di occupazione legittima, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la liquidazione dell'indennita' di occupazione, finche' manchi la determinazione dell'indennita' medesima da parte della commissione". Accertato - come sopra si e' visto - che il contrasto con l'art. 24 sussiste, deve ritenersi che la soluzione prospettata dal giudice remittente e' inidonea a risolverlo, ricollegando l'azionabilita' del diritto alla corresponsione dell'indennita' di occupazione alla scadenza del termine di occupazione legittima, che e' di ben cinque anni dall'immissione nel possesso: termine durante il quale, senza alcuna valida ragione, il titolare del diritto resterebbe privo di tutela giurisdizionale. Ritiene, invece, la Corte che, una volta accertata l'illegittimita' del differimento dell'esercizio giurisdizionale del diritto in questione operato dalla norma impugnata, sia soluzione conforme alla Costituzione, in aderenza al contenuto ed ai limiti del presente giudizio, quella di collegare l'esercizio della pretesa indennitaria al momento in cui, con l'occupazione, si determina la limitazione della posizione del soggetto interessato. Pertanto, l'art. 20, quarto comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, in mancanza della determinazione, ad opera della commissione prevista dall'art. 16, dell'indennita' o della sua comunicazione agli interessati, non consente ai medesimi di agire in giudizio per ottenere la liquidazione dell'indennita' stessa a decorrere dall'occupazione del bene che ne e' oggetto.