ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato
 il 25 maggio 1990, depositato in Cancelleria il 6 giugno  successivo,
 per  conflitto di attribuzione sorto a seguito 1) nota Provveditorato
 regionale alle opere pubbliche -  Sezione  territoriale  di  Pavia  -
 prot.  n.  2729  in  data 13 marzo 1990 (pervenuta alla Regione il 28
 marzo 1990) avente ad oggetto "Dighe sul  Rio  Boatti  in  Comune  di
 Borgo   Priolo,  prov.  Pavia,  oggetto  di  utilizzazione  da  parte
 dell'Azienda Agricola  S.  Andrea,  via  S.  Martino,  3  -  Monza  -
 Ordinanza  di  demolizione  da  parte  del  Sindaco di Borgo Priolo -
 Parere   dell'Avvocatura   distrettuale   dello   Stato;   2)    nota
 dell'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Milano n. 3296 CS n.
 161/90 del 22 febbraio 1990, avente il medesimo oggetto, ed  iscritto
 al n. 17 del registro conflitti 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 9 ottobre 1990 il Giudice relatore
 Aldo Corasaniti;
    Udito l'avv. Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso notificato il 25 maggio 1990, la Regione Lombardia
 ha sollevato  conflitto  di  attribuzione  contro  lo  Stato:  a)  in
 relazione alla nota del Provveditorato regionale alle opere pubbliche
 di Milano, Sez. terr. Pavia -  presumibilmente  Sezione  delle  opere
 idrauliche  - in data 13 marzo 1990, con la quale le si attribuiva la
 competenza a "regolarizzare" la situazione abnorme, sotto il  profilo
 amministrativo  ed  in  particolare  sotto  quello della tutela della
 incolumita' pubblica, di due dighe poste a sbarramento del corso  del
 Rio  Boatti,  in localita' Borgo Priolo, e delle relative derivazioni
 mediante  una  concessione,  o  meglio,  in  relazione  al  segnalato
 pericolo per l'incolumita' pubblica, mediante l'ordine di demolizione
 dei  manufatti;  b)  in  relazione  all'allegato,   conforme   parere
 dell'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Milano  in  data  22
 febbraio 1990.
    La  Regione  ricorrente  premette che con nota in data 12 febbraio
 1990 - non prodotta in atti - il detto  Provveditorato  (da  ritenere
 organo statale), nel chiedere il parere ora impugnato alla Avvocatura
 distrettuale dello Stato, aveva precisato:
       a)  che le dighe avevano un'altezza superiore a m. 10; che esse
 non risultavano  autorizzate,  malgrado  che  l'Azienda  agricola  S.
 Andrea,   utente   delle   derivazioni,  invocasse  disposizioni  del
 Ministero  dell'agricoltura  e  foreste  tendenti   a   favorire   la
 formazione  di  laghetti collinari; che le dighe stesse non offrivano
 le garanzie volute dalla legge ne' in  ordine  alla  costruzione  ne'
 alla gestione, ed anzi, per le condizioni in cui si trovavano a causa
 dell'accumulo di detriti, erano esposte a pericolo di cedimento; che,
 pertanto si poneva la necessita' di eliminare i due manufatti.
    Ad avviso della Regione, trattandosi di pericolo per l'incolumita'
 pubblica, la competenza a provvedere alla  verifica  del  pericolo  e
 all'adozione delle conseguenti misure, anche eliminative, spetta allo
 Stato, e non gia' ad  essa  Regione,  come  affermato  con  gli  atti
 impugnati.
    Al riguardo la ricorrente si richiama:
       a) al d.P.R. 1Πnovembre 1959, n. 1363, recante disposizioni in
 materia di dighe di ritenuta, applicabile alle dighe alte piu' di  10
 metri  ed  a  quelle  che comunque determinino un invaso superiore ai
 centomila metri cubi, ma anche, a giudizio della  competente  Sezione
 del  Consiglio  superiore  dei  lavori pubblici, a dighe minori: tale
 normativa attribuirebbe la competenza  in  materia  agli  uffici  del
 Genio  civile  (in allora non trasferiti dallo Stato alla Regione e -
 sembra sostenere la Regione - non trasferiti neppure  con  l'art.  12
 del d.P.R. n. 8 del 1972, ne' con il d.P.R. n. 616 del 1977, allegata
 Tabella A, almeno per quel che  concerne  le  Sezioni  preposte  alle
 opere idrauliche). In particolare, la Regione si richiama all'art. 18
 del detto d.P.R. n. 1363 del 1959, che  demanda  i  provvedimenti  di
 urgenza, conseguenti al dubbio sulla stabilita' dello sbarramento, il
 Genio civile, salvo, come disposto al secondo comma,  il  ricorso  al
 Ministero  dei  lavori  pubblici  sentita  la  competente sezione del
 Consiglio superiore dei lavori bubblici;
       b)  al  d.P.R. n. 616 del 1977, che pur delegando, all'art. 90,
 alle Regioni anche le funzioni di polizia delle acque,  riserva  allo
 Stato,  all'art.  91,  comma  primo,  n. 2, la materia delle dighe di
 ritenuta (per le quali sara' provveduto  in  sede  di  riforma  della
 disciplina delle acque);
       c)  alla  legge  18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto
 organizzativo e funzionale della difesa del suolo) che, all'art.  10,
 comma  quarto,  assegna alle regioni le attribuzioni di cui al d.P.R.
 n. 1363 del 1959 relativamente ai soli sbarramenti che non superano i
 10  metri  di altezza e che determinano un invaso inferiore a 100.000
 metri cubi (salvi, anche in tal caso, gli sbarramenti al servizio  di
 grandi derivazioni di acqua di competenza statale);
       d)  all'art.  4  del  d.P.R.  n. 616 del 1977, che riserva allo
 Stato, anche nelle  materie  di  competenza  regionale,  le  funzioni
 concernenti la sicurezza pubblica;
       e) all'implicito riferimento, operato dallo stesso Provveditore
 regionale nel sollecitare piu' volte in passato la demolizione di due
 manufatti,  ai  poteri  di ordinanza del Sindaco ex art. 3 T.U. legge
 com. e  prov.,  poteri  attribuiti  al  Sindaco  come  Ufficiale  del
 Governo;
       f)  al  riferimento,  fatto dalla stessa Avvocatura dello Stato
 con l'atto impugnato, all'art. 2 del r.d.  25  luglio  1904,  n.  523
 (Testo   unico   delle  disposizioni  di  legge  intorno  alle  opere
 idrauliche delle diverse categorie).
    2.  -  La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri rappresentata
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  nel  costituirsi,  peraltro
 tardivamente,  ha  eccepito  l'inammissibilita' del conflitto perche'
 proposto contro atti non  invasivi  (della  competenza  regionale)  e
 comunque costituenti mere manifestazioni di opinione.
    In prossimita' dell'udienza ha tuttavia depositato ampio carteggio
 contenente gli atti impugnati, nonche' comunicazioni intervenute  fra
 il Provveditorato regionale, la Regione, e la stessa azienda agricola
 utente delle derivazioni, ed in particolare:
    1)  la  nota  del Provveditorato regionale alle opere pubbliche di
 Milano, Sez. Pavia-Cremona, al Ministero dei lavori pubblici  del  12
 giugno 1990, ove si legge che "questa Sezione (presumibilmente quella
 preposta  alle  opere  idrauliche)  riconosce  la  propria  esclusiva
 competenza  sulla sorveglianza delle opere in argomento e precisa che
 la nota  n.  2729  del  13  marzo  1990  diretta  all'Amministrazione
 regionale  non  era  tesa  a  'sollevare  (sic:  si vuole intendere a
 determinare)  conflitto  di  attribuzione,  bensi'  a  segnalare   la
 costruzione  (delle  opere), ritenuta abusiva, alla Regione', al fine
 dell'eventuale esercizio da parte di questa delle sue  competenze  in
 materia ambientale e/o urbanistica";
    2)  la nota del detto Provveditorato all'Avvocatura generale dello
 Stato del 26 luglio 1990, con la quale si da'  atto  che,  secondo  i
 dati  trasmessi  dallo  stesso  utente,  almeno  uno dei manufatti ha
 un'altezza superiore a 10 metri, sicche' lo sbarramento rientra nelle
 competenze statali.
    3.   -   All'udienza  pubblica  del  9  ottobre  1990  la  Regione
 ricorrente, fatta propria la documentazione prodotta  dall'Avvocatura
 e  richiestane  l'acquisizione  agli  atti,  ha  concluso perche' sia
 dichiarata cessata la materia del contendere.
                         Considerato in diritto
   L'atto  che  ha  dato  luogo  al  conflitto sollevato dalla Regione
 Lombardia va individuato nella nota 13 marzo 1990 del  Provveditorato
 regionale  alle  opere  pubbliche  (presumibilmente la sezione per le
 opere idrauliche, rimasta organo statale pur  dopo  il  trasferimento
 degli  uffici  operato  con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 - si veda
 l'art. 12 - e con il d.P.R. n. 616 del 1977, Tabella A, n. 3) con  la
 quale  tale  autorita' ha negato la propria competenza in ordine alla
 vigilanza sulle dighe poste a sbarramento del Rio Boatti  per  quanto
 concerne  la  valutazione  della  loro  stabilita'  e  dell'eventuale
 connessa ricorrenza di un pericolo per l'incolumita' pubblica, ed  ha
 affermato la competenza regionale al riguardo.
    In  tale  atto  infatti  la  Regione  ha  propriamente mostrato di
 ravvisare il momento centrale e rilevante di un comportamento statale
 volto  a ledere la sua autonomia per le conseguenze negative quanto a
 responsabilita' e a spese, che l'affermazione della sua competenza in
 ordine  alle  opere  e  sotto  i  profili  anzidetti  avrebbe  potuto
 importare a suo carico. La lettera dell'Avvocatura distrettuale dello
 Stato  22  febbraio  1990  al  Provveditorato  regionale,  da  questo
 trasmessa  alla  Regione  insieme  alla  nota  13  marzo  suindicata,
 racchiude  un  mero parere, posto dal Provveditorato a sostegno della
 determinazione  adottata,  ed  e'  stata   anch'essa   congiuntamente
 impugnata   in   quanto   rappresenta  un  elemento  funzionale  alla
 determinazione in parola.
    Orbene,  con  successiva nota 26 luglio 1990 la stessa Sezione del
 Provveditorato alle opere pubbliche ha riconosciuto come  propria  in
 via  esclusiva  la  competenza gia' negata con la nota 13 marzo 1990,
 facendo espresso riferimento ad essa e chiarendone il significato nel
 senso di una segnalazione alla Regione circa l'abusivita' delle opere
 in argomento anche sotto il profilo ambientale e urbanistico, ai fini
 dell'eventuale  esercizio,  da  parte  della  Regione  stessa,  delle
 proprie competenze  in  tali  materie.  L'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  a sua volta, nel produrre la detta nota del Provveditorato 13
 marzo 1990, ha esibito anche la nota del Provveditorato del 26 luglio
 1990.
    Il  diniego della competenza propria e la correlativa affermazione
 di quella regionale, come sopra espressi dallo Stato,  devono  dunque
 intendersi revocati mediante l'univoco riconoscimento, da parte dello
 Stato stesso, della propria esclusiva competenza per quanto  concerne
 la  valutazione  della  stabilita'  delle  opere  e dei provvedimenti
 necessari a tutela della incolumita'  pubblica,  con  il  conseguente
 venir meno della materia del contendere.