ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 243 c.p.v. del
 decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Revoca delle sentenze  di
 proscioglimento),  promosso con ordinanza emessa il 3 luglio 1990 dal
 Tribunale di Lecce nel procedimento penale a carico di  Puce  Sergio,
 iscritta  al  n.  542  del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di un processo penale, il Tribunale di
 Lecce, dovendo decidere in ordine alla richiesta di  acquisizione  al
 fascicolo  per  il  dibattimento di una perizia disposta dal pubblico
 ministero nella vigenza del precedente codice di procedura penale, ha
 sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 243, comma 2,  del
 testo  delle  norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
 codice  di  procedura  penale  (testo  approvato   con   il   decreto
 legislativo  28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui, riferendosi
 "agli atti istruttori", per equipararli "ad ogni  effetto"  a  quelli
 delle  indagini preliminari, adopera l'espressione "gia' compiuti" in
 luogo dell'espressione "gia' disposti";
      che,  ad  avviso  del giudice a quo, in base all'interpretazione
 della norma impugnata la  perizia,  disposta  prima  dell'entrata  in
 vigore  del  nuovo  codice ma terminata e depositata successivamente,
 risulterebbe inutilizzabile "in  conseguenza  di  un  dato  meramente
 estrinseco e casuale costituito non dallo scorrere del tempo... e dal
 conseguente succedersi di  normative  diverse,  ma  dalla  perfezione
 dell'atto prima o dopo un certo termine";
      che,    pertanto,    la    disposizione    censurata,   rendendo
 inutilizzabili gli atti istruttori disposti ma  non  ancora  compiuti
 alla  data  di  entrata  in  vigore  del nuovo codice, opererebbe, in
 violazione  dell'art.   3   della   Costituzione,   un'ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  rispetto  agli  atti disposti e compiuti
 entro tale data, ponendosi altresi' in contrasto con l'art. 97  della
 Costituzione,  in  quanto la funzionalita' dell'amministrazione della
 giustizia verrebbe impedita non a garanzia dei diritti della  difesa,
 ma per circostanze meramente casuali;
      che  la  norma  impugnata  violerebbe  anche  l'art.  112  della
 Costituzione, in quanto,  inducendo  il  P.M.,  al  fine  di  rendere
 utilizzabili  i  propri  atti,  a non disporre perizia in prossimita'
 della data di entrata in vigore del nuovo codice, ma ad attendere  il
 decorso   di   tale   termine   per   compiere   l'atto  istruttorio,
 determinerebbe  una  sospensione  "di   fatto"   dell'obbligatorieta'
 dell'azione penale;
      che  nel  giudizio  e'  intervenuta  l'Avvocatura Generale dello
 Stato, sostenendo che il comma in questione, contrariamente a  quanto
 ritiene il giudice a quo, non distinguerebbe affatto, sul piano della
 utilizzabilita' processuale, gli atti "disposti" da quelli "compiuti"
 sotto la vigenza del codice abrogato, stabilendo, invece, un generale
 principio di equipollenza tra gli atti di polizia giudiziaria  e  gli
 atti  istruttori  alla  omologa  attivita'  compiuta  nel corso delle
 indagini preliminari;
      che,  pertanto,  in relazione all'utilizzabilita' della perizia,
 le conseguenze sarebbero state identiche anche  nell'ipotesi  in  cui
 l'atto  istruttorio  fosse  stato  non  solo  disposto,  ma  si fosse
 integralmente esaurito prima della data  di  entrata  in  vigore  del
 nuovo codice di rito;
      che   l'interveniente   ha  quindi  concluso  chiedendo  che  la
 questione venga dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza  e,
 in  subordine, non fondata nel merito, non potendosi comunque esigere
 dal legislatore un regime transitorio che realizzi una commistione di
 discipline  processuali  fra  loro cosi' profondamente diverse, quali
 sono quelle che caratterizzano il vecchio ed il nuovo codice;
    Considerato  che, da quanto risulta, la fase processuale in cui la
 questione e' stata sollevata cade sotto il regime dell'attuale codice
 di  procedura  penale  e  che la norma impugnata assume rilevanza nel
 giudizio a quo perche' richiamata  dal  terzo  comma,  ultima  parte,
 dell'art.  258  delle  disposizioni  transitorie,  di  cui deve farsi
 diretta applicazione in detto giudizio;
      che,   cio'  premesso,  deve  essere  disattesa  l'eccezione  di
 inammissibilita' per irrilevanza - formulata dall'  Avvocatura  dello
 Stato nell'assunto che la norma impugnata non porrebbe una differenza
 tra atti "disposti" ed atti "compiuti" perche' il giudice a quo muove
 proprio  dall'opposta  interpretazione  ritenuta  con  sufficiente  e
 persuasiva motivazione come l'unica possibile - secondo cui la  norma
 impugnata  discrimina  gli  atti semplicemente disposti, escludendone
 qualsivoglia utilizzabilita' per i processi  da  compiersi  sotto  il
 nuovo regime;
      che,   appunto  sul  presupposto  di  tale  interpretazione,  la
 questione sollevata in riferimento all'art. 3 della  Costituzione  e'
 manifestamente  infondata,  in  quanto  la  scelta del legislatore di
 attribuire rilevanza, nel passaggio dal vecchio al nuovo  rito,  solo
 agli  atti  istruttori  gia'  compiutamente formatisi sotto il regime
 precedente non puo' dirsi irragionevole;
      che,  difatti,  fra  i  possibili  criteri  da  adottare  per la
 disciplina dei rapporti di diritto transitorio, rientra anche  quello
 di  attribuire rilievo ai soli fatti gia' completamente verificatisi,
 escludendo le fattispecie ancora in via di formazione;
      che,  quanto  alla possibilita' del prodursi degli inconvenienti
 indicati nell'ordinanza di rimessione -  da  quello  secondo  cui  la
 conservazione  degli effetti relativamente ai soli atti gia' compiuti
 verrebbe cosi' fatta discendere da circostanze meramente  casuali,  a
 quello secondo cui l'organo giudiziario potrebbe essere indotto a non
 disporre nuovi atti istruttori in prossimita'  del  sopravvenire  del
 nuovo rito - va osservato che trattasi di evenienze di mero fatto che
 non possono comunque mettere in discussione la  ragionevolezza  della
 scelta  di  fondo  adottata  dal legislatore nel senso di tener conto
 solo delle situazioni  processuali  gia'  perfezionatesi  al  momento
 dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale;
      che   queste   ultime   considerazioni   denotano  la  manifesta
 infondatezza della questione, anche in riferimento agli  artt.  97  e
 112 della Costituzione;
    Visti  gli  artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, comma secondo, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 la Corte costituzionale;