ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 567, terzo
 comma, del codice di procedura penale in relazione  agli  artt.  134,
 terzo  comma,  e  140, primo e secondo comma, stesso codice, promosso
 con ordinanza emessa il 13 aprile 1990  dal  Pretore  di  Nardo'  nel
 procedimento penale a carico di Patera Salvatore, iscritta al n.  502
 del registro ordinanze 1990 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 gennaio 1991 il giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  processo penale, il Pretore di
 Nardo', con ordinanza in data 13 aprile 1990 (r.o. n. 502 del  1990),
 ha  sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt.
 134, secondo comma, e 140,  primo  comma,  del  codice  di  procedura
 penale, in riferimento all'art. 76 della Costituzione;
      che  la prima disposizione impugnata e' censurata nella parte in
 cui, prevedendo, per  la  documentazione  degli  atti,  la  scrittura
 manuale  e  la  forma  riassuntiva,  si  porrebbe  in contrasto con i
 criteri di cui all'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81,
 che  impongono:  a)  la massima semplificazione nello svolgimento del
 processo  (n.  1);  b)  l'adozione  del  metodo  orale  (n.  2);   c)
 l'immediatezza e concentrazione del dibattimento (n. 66); d) l' esame
 diretto dell'imputato, dei  testimoni  e  dei  periti  da  parte  del
 pubblico ministero e dei difensori, con garanzie idonee ad assicurare
 la lealta' dell'esame, la genuinita' della risposte, la pertinenza al
 giudizio  e  il  rispetto  della persona (n. 73); e) l'adeguamento di
 tutti gli istituti processuali ai princi'pi  ed  ai  criteri  innanzi
 determinati (n. 104);
      che  l'art.  140, primo comma, del codice di procedura penale e'
 sottoposto a censura - nella parte in cui prescrive che  il  giudice,
 in deroga a quanto prevede il precedente art. 134, terzo comma, possa
 disporre la redazione  del  verbale  in  forma  soltanto  riassuntiva
 nell'ipotesi  in  cui  gli  atti  da  documentare  siano di contenuto
 semplice o di limitata rilevanza - per violazione dei principi  della
 legge-delega,  di  cui  all'art.  2,  nn.  1,  66 e 104, in quanto si
 potrebbe  determinare  un'alternarsi  di  forme  di   verbalizzazione
 diverse;
      che  la  stessa  disposizione, sotto altro profilo, in relazione
 all'ipotesi della sussistenza di una contingente indisponibilita'  di
 strumenti  di  riproduzione  o  di  ausiliari tecnici, e' ritenuta in
 contrasto con il principio di cui all'art.  2,  n.  8,  perche',  non
 menzionando  in alcun modo i limiti utili ad accertare la sussistenza
 o meno della "contingente indisponibilita'",  farebbe  si'  che  tale
 contingenza  si  traduca di fatto in una persistente ed indeterminata
 indisponibilita';
      che viene, inoltre,impugnato l'art. 567, terzo comma, del codice
 di procedura penale, nella parte in cui  prevede  che,  anche  al  di
 fuori delle ipotesi di cui all'art. 140, il verbale di udienza, se le
 parti vi consentono, sia redatto soltanto  in  forma  riassuntiva  e,
 cioe',  senza  la  riproduzione  fonografica, assumendosi che esso si
 porrebbe in tal modo in contrasto:
        a)  con  l'art.  76  della Costituzione, violando il principio
 contenuto  nell'art.  2,  n.  8,  della  legge-delega,   che   affida
 esclusivamente  al giudice, senza alcun condizionamento, la scelta di
 una  documentazione  degli  atti  processuali   diversa   da   quella
 normalmente  prevista (e cio', sia nel caso si ritenga che il pretore
 sia vincolato dall'accordo delle parti, sia  nel  caso  si  consideri
 invece l'accordo stesso come un semplice presupposto per la decisione
 del pretore);
        b)  con  l'art.  3  della  Costituzione,  per l'ingiustificata
 disparita' di trattamento che si verrebbe a determinare  rispetto  ai
 procedimenti  di  competenza  del  tribunale, la cui verbalizzazione,
 anche in relazione a reati meno gravi quoad poenam, avviene in  forma
 integrale,  nonche'  rispetto  a  quei  procedimenti  per i quali, in
 futuro,  si  potranno   di   fatto   utilizzare   le   strutture   di
 documentazione degli atti previste dal nuovo codice;
        c)  con  l'art.  24 della Costituzione in relazione agli artt.
 134, terzo comma, e  140,  primo  e  secondo  comma,  del  codice  di
 procedura  penale,  in  quanto il ricorso alla scrittura manuale e la
 scelta della forma riassuntiva ostacolerebbero  la  realizzazione  di
 un'effettiva  dialettica  processuale,  incidendo negativamente sulla
 garanzia del contradditorio;
        d)  con  "gli artt. 101 e seguenti" della Costituzione, sempre
 in relazione agli artt. 134, secondo comma, e 140, primo  comma,  del
 codice  di  procedura  penale, in quanto la mancata predeterminazione
 legislativa dell'impossibilita' di ricorso al mezzo della  stenotipia
 o  di  altro  strumento  meccanico, nonche' la mancata apposizione di
 limiti al concetto di contingente indisponibilita'  di  strumenti  di
 riproduzione  o  di ausiliari tecnici, determinerebbe la scelta della
 forma riassuntiva con la scrittura manuale, in base a circostanze che
 operano al di fuori del principio di esclusiva soggezione del giudice
 alla legge;
        e) ancora, con gli artt. 101 e seguenti della Costituzione, in
 quanto il giudice nell'esercizio della sua  funzione  giurisdizionale
 penale  non  sarebbe  soggetto  soltanto  alla  legge,  ma  vincolato
 dall'accordo delle parti;
      che e' intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo
 che "le questioni che il Pretore solleva con un contorto  argomentare
 sono tutte palesemente infondate";
      che,  difatti,  per quanto attiene ai pretesi profili di eccesso
 di delega, le tesi del giudice remittente si fondano piu' su  aspetti
 di  contingenti  difficolta'  pratiche,  che non su argomentazioni di
 contrasto normativo, mentre completamente in linea con  la  direttiva
 di  massima  semplificazione  del procedimento pretorile risulterebbe
 l'impugnata disposizione di cui all'art. 567, terzo comma, del codice
 di procedura penale;
      che   la   censura  secondo  la  quale  l'accordo  delle  parti,
 vincolando il pretore all'adozione  della  verbalizzazione  in  forma
 riassuntiva  contrasterebbe  con  il  principio per cui il giudice e'
 soggetto soltanto alla legge, sarebbe priva di fondamento, in  quanto
 e'  pur sempre la legge - e non l'accordo come tale - a costituire la
 fonte di quella soggezione.
    Considerato  che  la  questione riguardante gli artt. 134, secondo
 comma, e 140, primo comma, del codice di procedura penale e  tendente
 a   contestare   in   radice,   in   riferimento  all'art.  76  della
 Costituzione,  il   procedimento   di   documentazione   degli   atti
 dibattimentali  mediante  la verbalizzazione in forma riassuntiva, e'
 manifestamente infondata, in quanto la legge di delega, come e' stato
 gia' ritenuto dalla Corte (sent. n. 529 del 1990), prevede come forme
 fra loro alternative di verbalizzazione  quella  integrale  e  quella
 riassuntiva;
      che,  in  presenza  di questa espressa previsione della legge di
 delega, e' ininfluente che le norme del codice  di  procedura  penale
 che consentono la forma riassuntiva possano eventualmente contrastare
 con altri criteri e principi della stessa legge, che, ad  avviso  del
 giudice  a  quo, osterebbero a tale forma di verbalizzazione, essendo
 evidente che i criteri e i principi della delega  devono  essere  fra
 loro   armonizzati,   dando   prevalenza   a  quelli  che  riguardano
 specificamente le parti della disciplina presa in considerazione;
      che,  per quel che riguarda la questione diretta a censurare, in
 riferimento  agli  artt.  3,  76,  24,   "101   e   seguenti"   della
 Costituzione,  l'art. 567, terzo comma, anche in relazione agli artt.
 134, secondo e terzo comma, e 140, primo e secondo comma,  i  quesiti
 appaiono  contraddittori, in quanto la censura di incostituzionalita'
 che investe il solo art. 567, terzo comma, e'  incompatibile  con  le
 censure  che  investono  la  stessa  disposizione in riferimento agli
 artt. 134, secondo e terzo comma, e 140, primo e secondo comma;
      che,  difatti, non avendo il giudice a quo preso posizione sulla
 revocabilita'  o   irrevocabilita'   dell'accordo,   che   gia'   era
 intervenuto  fra  le  parti,  ai  fini della verbalizzazione in forma
 riassuntiva,  non  e'  possibile  stabilire  se  a  questa  forma  di
 verbalizzazione egli fosse o meno tenuto in base all'accordo;
      che,  conseguentemente, solo nell'ipotesi che l'accordo fosse da
 ritenersi non revocabile, potrebbero essere prese  in  considerazione
 le  censure  che  investono  esclusivamente  l'art. 567, terzo comma,
 perche'  solo  la  perdurante  vincolativita'  dell'accordo   stesso,
 nonostante   la   sua   eventuale   revoca  da  parte  dell'imputato,
 attribuirebbe rilievo alla doglianza secondo  cui,  in  questo  modo,
 verrebbe  sottratta  al  giudice  -  in contrasto con l'art. 2, n. 8,
 della legge di delega - la possibilita'  di  scegliere  la  forma  di
 verbalizzazione da attuare;
      che,  in  tale ipotesi, una volta cioe' che la forma riassuntiva
 fosse imposta dall'accordo delle parti e non dalla determinazione del
 giudice,   diverrebbero   pero'  irrilevanti  le  censure  che  fanno
 riferimento agli artt. 134, secondo e terzo comma,  e  140,  primo  e
 secondo comma, riguardanti la mancanza di indicazione di criteri e di
 limiti condizionanti la scelta del giudice per l'una  o  per  l'altra
 forma di verbalizzazione;
      che,  qualora  l'accordo  dovesse  invece  ritenersi revocabile,
 risulterebbe irrilevante la censura che investe  il  solo  art.  567,
 terzo  comma,  attinente  alla  vincolativita'  dell'accordo  ed alla
 conseguente sottrazione al giudice di ogni potere discrezionale circa
 la  forma  di verbalizzazione da attuare, perche', in questa ipotesi,
 il giudice, essendo stato revocato l'accordo, non dovrebbe piu'  fare
 applicazione dell'art. 567, terzo comma;
      che,  stante  la contraddittorieta' dei quesiti, la questione e'
 manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.