ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439,440 e
442 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il
3 gennaio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Rieti, il 17 aprile 1990 dal Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Roma, il 10 aprile
1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Torino, l'8 maggio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Treviso, il 19 luglio 1990 dal Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia, il-25 luglio
1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Torino e il 19 luglio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Termini Imerese, ordinanze iscritte ai nn.
145, 379, 421, 531, 592, 603, 661 del registro ordinanze 1990 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, n. 25, n.
27, n. 36, n. 39 e n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
relatore Giovanni Conso.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso dell'udienza preliminare instaurata davanti al
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Rieti nei
confronti di Marzola Giancarlo, Impeciati Ivetta e Bonfante Gaetano,
due degli imputati, il Marzola e il Bonfante, richiedevano la
definizione del processo con rito abbreviato: su tali richieste
il pubblico ministero esprimeva un <>.
Con ordinanza del 3 gennaio 1990 (n. 145 del 1990), il
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Rieti,
dopo aver separato gli atti relativi alla Impeciati, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, questione
di legittimita' degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di
procedura penale, nelle parti in cui: subordinano al consenso
non motivato ed insindacabile del pubblico ministero l'adozione
del giudizio abbreviato richiesto dall'imputato; non consentono
al giudice di valutare le ragioni addotte dal pubblico ministero
a giustificazione del <>; non attribuiscono al giudice,
una volta ritenuto ingiustificato <>, il
potere di applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442,
secondo comma, dello stesso codice.
Il giudice a quo osserva, in punto di rilevanza, che, per un
verso, il processo sarebbe definibile allo stato degli atti
nell'udienza preliminare, <> e,
per un altro verso, che la risoluzione della questione incide non
soltanto sulla scelta del rito, ma anche <> sulla misura della pena ove venisse affermata la
responsabilita' degli imputati, <>; e, in punto di manifesta infondatezza, che la
normativa denunciata determina sotto diversi profili un'irragio-
nevole disparita' di trattamento (ed una conseguente violazione,
oltre che dell'art. 3, anche dell'art. 25 della Costituzione): in
primo luogo fra accusa e difesa; in secondo luogo fra piu'
imputati, <>; infine, rispetto alla disciplina dettata per il
<>, dove l'esercizio della funzione giurisdizio-
nale, riservata al giudice, non e' menomato, a differenza di quanto
avviene per la disciplina dettata per il rito abbreviato, dalla
scelta insindacabile del pubblico ministero.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 14, prima serie speciale,
del 4 aprile 1990.
2. - Nel corso dell'udienza preliminare a carico di Uldanh
Massimiliano e La Forgia Roberto per violazioni alla legge sugli
stupefacenti e sulle sostanze psicotrope, gli imputati formulavano
tempestivamente richiesta di giudizio abbreviato, richiesta cui
il pubblico ministero si opponeva <>.
Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Torino, con ordinanza del 10 aprile 1990 (n. 421 del 1990), ha
sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3,
primo comma, 25, primo e secondo comma, 101, secondo comma, e 111,
primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' degli
artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale, <>.
Sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza,
il giudice a quo rileva che da situazioni identiche, sia sotto
l'aspetto sostanziale sia sotto l'aspetto processuale, possono
derivare conseguenze diverse sul piano sanzionatorio (la riduzione
di un terzo della pena) <>.
Quanto alla violazione del principio di legalita' della pena,
l'ordinanza osserva che la disciplina predisposta dagli artt. 438
e seguenti del codice di procedura penale, oltre a conferire al
pubblico ministero un potere discrezionale in grado di vincolare
il giudice nella commisurazione della sanzione, pone il singolo
nell'impossibilita' di conoscere previamente quale pena debba
essergli irrogata. L'art. 25 sarebbe, poi, vulnerato pure nel primo
comma, giacche' il negato consenso al giudizio abbreviato sottrae
l'imputato alla decisione del giudice dell'udienza preliminare,
<>.
Risulterebbero altresi' violati: l'art. 101, secondo comma, della
Costituzione, perche', incidendo il dissenso del pubblico ministero
anche sulla determinazione della pena, si realizzerebbe <>; l'art. 24 della
Costituzione, perche' sarebbe preclusa ogni difesa dall'imputato;
l'art. 111, primo comma, della Costituzione, perche' la motivazione
dell'ordinanza di rigetto della richiesta di abbreviazione del rito
adottata dal giudice si esaurisce <>.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 27, prima serie speciale,
del 4 luglio 1990.
3. - Con ordinanza dell'8 maggio del 1990 (n. 531 del 1990),
emessa nell'udienza preliminare a carico di Merlo Maria Elena, il
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Treviso
ha sollevato, su eccezione della difesa dell'imputata, questione di
legittimita', in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art.
438, primo comma, del codice di procedura penale, <> e,
d'ufficio, questione di legittimita', in riferimento agli artt. 24
e 101 della Costituzione, dell'art. 438, primo comma, e 440, primo
comma, dello stesso codice, nella parte in cui non vi si <>.
Le censure prospettate dal giudice a quo si porrebbero come
conseguenziali alla sentenza n. 66 del 1990, che, <>, avrebbe delineato un
regime contrastante con l'art. 3 della Costituzione anche per il
rito abbreviato avente sede, per il caso di specie, nell'udienza
preliminare.
Sussisterebbe pure la sottrazione al giudice di ogni <>, con conseguente violazione degli
artt. 24 e 101 della Costituzione.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata pubbli-
cata nella Gazzetta Ufficiale n. 36, prima serie speciale, del 12
settembre 1990.
4. - Con ordinanza emessa il 19 luglio 1990 (n. 592 del 1990),
il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Brescia nell'udienza preliminare a carico di Scotuzzi Simone -
premesso che l'imputato, a mezzo del suo procuratore speciale,
aveva tempestivamente avanzato richiesta di giudizio abbreviato e che
a tale richiesta si era opposto il pubblico ministero <> - ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 25, primo e
secondo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimita' degli artt. 438, 439,
440 e 442 del codice di procedura penale, <>.
Sarebbe, in primo luogo, violato il <> espresso dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione,
condizionandosi la misura della pena stessa alla condotta del
pubblico ministero e, quindi, di una parte (v. sentenza n. 249
del 1990) - senza predeterminazione dei criteri (v. sentenza n. 66
del 1990) e, percio', con il rischio di arbitri - e conseguente
impossibilita' per il singolo di conoscere <>.
Sussisterebbe, inoltre, contrasto con gli artt. 101, secondo
comma, e 102, primo comma, della Costituzione, incidendo il dissenso
del pubblico ministero dalla richiesta di giudizio abbreviato
avanzata dall'imputato non soltanto sul rito, ma anche <>.
Risulterebbe, poi, vulnerato il principio di eguaglianza per
l'irragionevole disparita' di trattamento tra accusa e difesa:
infatti, <>, nonostante il dissenso del pubblico
ministero coinvolga non soltanto il rito, ma pure il merito.
Anche il <> resterebbe compromesso:
e cio' in conseguenza della definitiva sottrazione della richiesta
dell'imputato - qualificata dalla Corte (v. sentenza n. 277
del 1990) <> - alla
valutazione del giudice.
Si deduce, infine, contrasto con l'art. 25, secondo comma,
e, 111, secondo comma, della Costituzione.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata
pubblica nella Gazzetta Ufficiale n. 39, prima serie speciale, del
3 ottobre 1990.
5. - Albigiani Giuseppe formulava davanti al Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Termini Imerese richiesta
di giudizio abbreviato, richiesta non condivisa dal Pubblico
ministero per <>. Il detto giudice,
rilevato che la motivazione <>, con ordinanza del 19 luglio 1990 (n. 661 del 1990), ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 101, secondo comma,
della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 438 del
codice di procedura penale, <>.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata pubbli-
cata nella Gazzetta Ufficiale n. 43, prima serie speciale, del 31
ottobre 1990.
6. - Guida Piero, imputato di omicidio colposo, formulava,
all'apertura dell'udienza preliminare, richiesta di giudizio abbre-
viato, in ordine alla quale il Pubblico ministero negava il suo
assenso, occorrendo <>.
Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Torino, con ordinanza del 25 luglio 1990 (n. 603 del 1990), ha
sollevato, su eccezione della difesa dell'imputato, in riferimento
agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, e 101, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 438 del codice
di procedura penale, <>.
Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che e' all'udienza
preliminare che si consuma il potere dell'imputato di formulare la
richiesta <>; quanto alla
non manifesta infondatezza, richiama le sentenze costituzionali
n. 66 del 1990 e n. 183 del 1990, deducendo che la norma censurata
contrasterebbe con il principio di legalita' della pena e con il
principio di eguaglianza, lederebbe il <>, comporterebbe uno sconfinamento del pubblico ministero
nell'attivita' decisoria riservata al giudice.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39, prima serie speciale,
del 3 ottobre 1990.
7. - In tutti i suddetti giudizi - ad eccezione di quello
instaurato dal Giudice per le indagini preliminari di Torino con
ordinanza del 10 aprile 1990 (n. 421 del 1990) - e' intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile e comunque non fondata.
L'inammissibilita' deriverebbe dal restare <>, nonche', quel che piu'
conta, dall'impossibilita' di identificare una <>.
La non fondatezza deriverebbe dal rilievo che l'accordo tra
pubblico ministero ed imputato, necessario presupposto del giudizio
abbreviato, non puo' essere suscettibile di sindacato esterno.
8. - Con ordinanza del 17 aprile 1990 (n. 379 del 1990), il
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i
minorenni di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25,
27 e 101 della Costituzione, questione di legittimita' degli
artt. 438, primo comma, e 442 del codice di procedura penale, <>.
La violazione dell'art. 3 della Costituzione viene addebitata alla
disparita' di trattamento rispetto all'<> istituto
dell'applicazione della pena su richiesta, una disparita' <> per gli imputati minorenni, cui non e' permesso
accedere al procedimento <>, nonche', in
combinato disposto con l'art. 24 della Costituzione, alla vulne-
razione della <>.
Quanto agli altri parametri invocati, il giudice a quo ravvisa
un contrasto con gli artt. 25 e 101 della Costituzione per il
vincolo imposto al giudice ad opera di una parte processuale, un
vincolo che non incide solo sulla scelta del rito, ma anche sulla
commisurazione della pena; ritiene, altresi', violati gli artt. 3
e 27 della Costituzione per lesione dei principi di legalita' e
di colpevolezza, in quanto, da un lato, la riduzione di un terzo
della pena resta vincolata alla mera scelta dell'accusa, sottraendosi
all'imputato la certezza delle conseguenze dei suoi comportamenti,
mentre, dall'altro lato, e' latente il pericolo dell'irrogazione
di pene sproporzionate tra chi fruisca e chi non fruisca nella
medesima situazione del consenso immotivato del pubblico ministero,
in contrasto con <>.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25, prima serie speciale,
del 20 giugno 1990.
Anche in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del Consi-
glio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non
fondata. Richiamate le sentenze n. 66 del 1990, n. 183 del 1990 e
n. 313 del 1990, l'Avvocatura rileva come non possa ravvisarsi
nelle peculiarita' del rito minorile alcun ulteriore contrasto con
l'art. 3 Cost. Il fatto che l'imputato minorenne non possa accedere
all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta - peraltro,
compensato dalla previsione di analoghi vantaggi ex art. 32,
secondo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 - si spiega
in quanto <>.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze in epigrafe, anche se non sempre coincidenti
nell'individuazione delle norme denunciate e dei parametri
costituzionali invocati, mettono tutte in discussione la legittimita'
costituzionale della disciplina che il titolo I del libro VI del
codice di procedura penale dedica al giudizio abbreviato ordinario,
tutte muovendo dalla considerazione che il dissenso non motivato
del pubblico ministero toglie al giudice ogni possibilita' di
valutare la richiesta avanzata dall'imputato sia prima sia nel
corso dell'udienza preliminare.
I relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con
un 'unica sentenza.
2. - Ai fini di una migliore puntualizzazione, quanto a norme
denunciate, delle questioni di volta in volta proposte, occorre
precisare che ad essere oggetto di censura sono ora il combinato
disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura
penale, ora il combinato disposto degli artt. 438, primo comma, e
440, primo comma, ora gli artt. 438 e 442 singolarmente considerati
(con limitazione, in un caso, al primo comma dell'art. 438 e al
secondo comma dell'art. 442), ora il solo art. 438, sempre in parti
di mancate previsioni variamente individuate. Piu' in particolare,
mentre quasi tutte le ordinanze (n. 145 del l990, n. 379 del 1990, n.
421 del 1990, n. 531 del 1990, n. 592 del 1990) lamentano tanto che
il pubblico ministero non sia tenuto a motivare il suo dissenso alla
definizione del processo con il rito abbreviato, quanto che tale
dissenso non sia passibile di controllo giurisdizionale, due di esse
(n. 603 del 1990, n. 661 del 1990)-entrambe emanate nel corso di
processi in cui, pur non obbligato dalla legge, il pubblico ministero
aveva motivato il suo dissenso (un evento, peraltro, verificatosi
anche nel corso del processo sfociato nell'ordinanza n. 421 del
1990)-si dolgono unicamente del fatto che il giudice non possa
sindacarlo.
Ulteriormente distinguendo, non si puo' non rilevare come, accanto ad
un'ordinanza (n. S31 del 1990) che vorrebbe il controllo al termine
del dibattimento, cosi da consentire al giudice di quest'ultimo, in
caso di dissenso ritenuto ingiustificato, di applicare la riduzione
di pena, ve ne siano tre (n. 421 del 1990, n. 592 del 1990, n. 661
del 1990), che, perseguendo la finalita' di un controllo esteso anche
alla possibilita di dare egualmente corso al giudizio abbreviato,
rivendicano il controllo sul dissenso del pubblico ministero allo
stesso giudice dell'udienza preliminare, mentre altre due ordinanze
(n. 145 del 1990, n. 603 del 1990) chiedono l'affidamento del
controllo allo stesso giudice dell'udienza preliminare e, in
subordine, al giudice del dibattimento.
Poiche' la disciplina oggetto di censura si impernia tutta sul
dissenso immotivato del pubblico ministero, l'ordine logico dei
quesiti variamente proposti viene a tradursi in una serie di momenti
successivi, strettamente conseguenziali l'uno all'altro: se sia
costituzionalmente legittimo che il pubblico ministero possa opporsi
senza motivazione di sorta alla richiesta di giudizio abbreviato; se,
nel caso di risposta in senso negativo, sia costituzionalmente
legittimo che tale motivazione vada esente da ogni controllo
giurisdizionale; infine, anche qui a seguito di una risposta
negativa, a quale giudice debba essere demandato il controllo ed in
quale ambito questo debba estrinsecarsi, con una duplice alternativa:
o il giudice dell'udienza preliminare, nella quale evenienza
resterebbe intatta la possibilita di far luogo al giudizio
abbreviato, con conseguente automatica applicazione, ove venisse
pronunciata condanna, della riduzione di pena, oppure il giudice del
dibattimento, nella quale evenienza, preclusa l'instaurabilita' del
giudizio abbreviato, il controllo sul dissenso del pubblico
ministero, collocandosi dopo la conclusione del dibattimento, darebbe
luogo, ove venisse pronunciata condanna, alla sola riduzione di pena.
La complessita' della situazione richiede di muovere dalla
prospettazione piu ampia, relativa al combinato disposto degli artt.
438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale.
3. - Quanto ai parametri costituzionali invocati, uno solo e
riscontrabile in tutte le ordinanze, grazie al concorde riferimento
all'art. 3 della Costituzione, di volta in volta affiancato agli
artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo e secondo comma, 27, 101,
secondo comma, 102, primo comma, e 111, primo comma, della
Costituzione.
Diversi sono, pero', i profili sotto cui il parametro comune risulta
invocato: si lamenta, infatti, un'irragionevole disparita di
trattamento, da un lato, fra accusa e difesa e, dall'altro, fra piu
imputati dello stesso reato coinvolti in ipotesi nell'ambito di uno
stesso processo, nonche la diversita di disciplina rispetto all'altro
rito speciale rappresentato dall'applicazione della pena su
richiesta. Quest'ultimo profilo, presente fin dalla prima delle
ordinanze in epigrafe (n. 145 del 1990; v. anche n. 379 del 1990),
pur anteriore alla sentenza n. 66 del 1990 di questa Corte, si
ritrova con espresso rinvio a tale sentenza in due ordinanze
successive (n. 531 del 1990 e n. 661 del 1990, ove si parla di
).
4. - La questione prospettata nell'ottica dei rapporti con il rito
dell'applicazione della pena su richiesta-argomento che in un caso
(ordinanza n. 379 del 1990, relativa al processo minorile) neppure si
appalesa praticabile, data l'inoperativita di tale rito speciale nel
processo a carico di imputati minorenni - non e' fondata.
A scanso di equivoci, va su'bito detto che l'autonomia della
disciplina del giudizio abbreviato, quale configurata dall'art. 247
del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie
(testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271),
rispetto alla disciplina del giudizio abbreviato ordinario dettata
dal codice di procedura penale, impedisce di considerare la presente
questione "analoga" a quella oggetto della sentenza n. 66 del 1990. E
lo stesso si dica per i suoi rapporti con la questione oggetto della
sentenza n. 183 del 1990, in ordine alla richiesta di trasformazione
del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato.
Le differenze che intercorrono fra la disciplina ordinaria, da un
lato, e la disciplina transitoria, dall'altro, come pure le
differenze che intercorrono fra la disciplina ordinaria, da un lato,
e la disciplina prevista per il passaggio dal rito direttissimo al
rito abbreviato, dall'altro, sono di portata fondamentale, trovando
il giudizio abbreviato ordinario collocazione all'interno
dell'udienza preliminare, davanti al giudice preposto ad essa, mentre
tanto il giudizio abbreviato previsto dalle norme transitorie quanto
il giudizio abbreviato per conversione del giudizio direttissimo
trovano posto nella fase predibattimentale, davanti al giudice del
dibattimento. Cosicche', non potendosi qui dire che "il rito viene
sostanzialmente a corrispondere per quel che concerne giudice,
momento e sede della decisione finale", risulta del tutto inadeguato
il richiamo alla statuizione contenuta nella sentenza n. 66 del 1990
(e ribadita nella sentenza n. 183 del 1990), in base alla quale "non
si giustifica che il pubblico ministero, di fronte ad una richiesta
di giudizio abbreviato, possa sacrificare, oltre al rito, anche
l'effetto sulla pena, senza neppure dover enunciare le ragioni del
proprio dissenso, a differenza di quanto avviene di fronte ad una
richiesta di applicazione della pena, dove un rito sostanzialmente
corrispondente puo' essere sacrificato dal pubblico ministero solo
enunciando le ragioni del dissenso e l'effetto sulla pena puo' essere
sacrificato solo con un dissenso non ritenuto ingiustificato dal
giudice".
In particolare, le notevoli analogie riscontrabili fra giudizio
abbreviato ed applicazione della pena su richiesta, quali configurati
sia dalle norme transitorie sia dalle norme del codice relative alla
trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, si
stemperano cosi' fortemente nella configurazione dei rispettivi
regimi ordinari da passare in seconda linea di fronte alle rilevanti
differenze che reciprocamente ne caratterizzano la fisionomia.
5. - E', invece, fondata la questione proposta in riferimento
all'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'irrazionale
disparita' cui la normativa impugnata, vista all'interno della sua
applicazione, darebbe luogo tanto nei rapporti fra pubblico ministero
ed imputato, quanto nei rapporti fra imputato ed imputato.
Non risponde, infatti, alle esigenze di coerenza e ragionevolezza
una disciplina che autorizza il pubblico ministero ad opporsi non
soltanto a una "determinata scelta del rito processuale", la qual
cosa sarebbe pienamente "in armonia con le normali prerogative del
pubblico ministero" (v. sentenza n. 120 del 1984), ma anche a una
consistente riduzione della pena da infliggere all'imputato in caso
di condanna, senza neppure dover esternare le ragioni di tale
opposizione, cosi' sottraendola all'"obiettiva ed imparziale
valutazione" del giudice (v., ancora, sentenza n. 120 del 1984). Per
giunta, in un sistema, come quello del nuovo codice, imperniato sul
princi'pio di "partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di
parita' in ogni stato e grado del procedimento" (v. art. 2, n. 3,
della legge 16 febbraio 1987, n. 81), non dovrebbe essere consentito
che i rapporti fra pubblico ministero ed imputato si sbilancino al
punto che il primo, con un semplice atto di volonta' immotivato e,
percio', incontrollabile, si trovi in grado di privare il secondo di
un rilevante vantaggio sostanziale. Con la possibilita' di un
ulteriore squilibrio nel trattamento fra due imputati destinatari di
un'identica imputazione e portatori di un'analoga capacita' a
delinquere, qualora il pubblico ministero adotti un atteggiamento
consenziente nei confronti dell'uno e dissenziente nei confronti
dell'altro, senza nemmeno dover esternarne le ragioni e vederle
sottoposte ad un qualsiasi controllo giurisdizionale.
6. - Quanto ai parametri cui la motivazione del pubblico ministero
dovrebbe rapportarsi nel manifestare la sua opposizione, la Corte ha
gia' avuto modo di prendere in esame (v. sentenza n. 66 del 1990,
nonche' sentenza n. 183 del 1990) quel passo della Relazione al
progetto preliminare dove si sostiene che tali parametri non
sarebbero "ne' tipizzati ne' tipizzabili dalla legge". Ma - pur
riconoscendo che, data la collocazione del rito abbreviato ordinario
"nell'udienza preliminare", fase "destinata in via primaria al
controllo della richiesta di rinvio a giudizio", si "renderebbe
difficilmente ipotizzabile l'esternazione delle ragioni del dissenso
del pubblico ministero o, piu' precisamente, della mancata
prestazione del suo consenso alla richiesta di giudizio abbreviato
formulata dall'imputato" - la Corte non ha mancato di rilevare come
"le argomentazioni della Relazione in tanto sono condivisibili in
quanto il pubblico ministero, non tenuto a motivare, possa
liberamente determinarsi a dissentire". Ne consegue che, una volta
ritenuta illegittima la mancata previsione per il pubblico ministero
del dovere di motivare il proprio eventuale dissenso dalla richiesta
di giudizio abbreviato ordinario, il problema dei parametri implica
la soluzione di altri due problemi, concernenti l'uno la sede ove il
controllo su tale motivazione deve esplicarsi e l'altro il giudice al
quale affidare tale controllo.
Poiche', con il negare il proprio consenso all'adozione del rito
abbreviato, il pubblico ministero esprime la volonta' che il processo
sia definito in quella fase cruciale del sistema accusatorio che e'
il dibattimento, il controllo sulla motivazione del diniego non puo'
trovar posto all'interno dell'udienza preliminare e, quindi, non puo'
venir affidato al giudice preposto ad essa, perche' cio'
significherebbe adottare un rito speciale contro le determinazioni
del pubblico ministero. Solo al termine del dibattimento il giudice
di quest'ultimo sara' in grado di verificare se il dissenso del
pubblico ministero sia da ritenere giustificato e - qualora la
verifica si risolva negativamente - di riconoscere all'imputato la
riduzione della pena prevista dall'art. 442, secondo comma.
Una volta escluso che il giudizio abbreviato sia instaurabile
senza il consenso del pubblico ministero ed individuata la funzione
della motivazione del suo eventuale dissenso e del susseguente
controllo di essa nel dare al giudice del dibattimento la
possibilita' di far luogo alla riduzione della pena allorquando il
dissenso del pubblico ministero gli risulti ingiustificato, l'unico
criterio idoneo a rendere concreto l'esercizio della suddetta
funzione deve considerarsi, al momento, quello imperniato
sull'effettiva utilita' del passaggio al dibattimento: criterio che,
alla stregua della normativa in vigore, non puo' che identificarsi in
quello - ricavabile dal confronto con i poteri conferiti al giudice
dall'art. 440, primo comma - consistente nel ritenere il processo non
definibile allo stato degli atti. Vedra' il legislatore, se del caso
utilizzando lo strumento predisposto dall'art. 7 della legge delega,
se siano enucleabili criteri ulteriori.
7. - La questione proposta nei confronti del combinato disposto
degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale va,
quindi, accolta, tanto nella parte in cui non vi si prevede che il
pubblico ministero, in caso di dissenso dalla richiesta di giudizio
abbreviato avanzata dall'imputato, sia tenuto ad enunciarne le
ragioni, quanto nella parte in cui non vi si prevede che il giudice,
qualora, a dibattimento concluso, ritenga ingiustificato il dissenso
del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di
pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, dello stesso codice,
restando con cio' assorbita ogni altra censura proposta in
riferimento agli ulteriori parametri costituzionali dai giudici a
quibus.
9. - Alla stregua dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la declaratoria di illegittimita' costituzionale va estesa, in
termini analoghi, sia all'art. 458, primo e secondo comma, con
riguardo alla richiesta di trasformazione del giudizio immediato in
giudizio abbreviato, sia all'art. 464, primo comma, con riguardo alla
richiesta di giudizio abbreviato da parte dell'opponente a decreto
penale.