ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 151 del codice
 penale militare di pace, promossi con  tre  ordinanze  emesse  il  25
 maggio  1990  (una)  e  il  29  maggio  1990 (due) dal Giudice per le
 indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  militare  di   Palermo,
 iscritte rispettivamente ai nn. 430, 441 e 442 del registro ordinanze
 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27  e
 28, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 28 novembre 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
    Ritenuto  che,  con  le  ordinanze  in epigrafe, il Giudice per le
 indagini preliminari presso  il  Tribunale  militare  di  Palermo  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 27, terzo comma, della
 Costituzione, questione di  legittimita'  dell'art.  151  del  codice
 penale  militare di pace, "nella parte in cui non prevede la medesima
 disciplina di cui ai commi quinto e settimo dell'art. 8  della  legge
 n.  772/1972  come  sostituito  dall'art. 2 della legge n. 695/1974 e
 cioe' l'estinzione del reato o la  cessazione  degli  effetti  penali
 della  condanna  qualora  l'imputato  o  il  condannato  risulti gia'
 incorporato per prestare il servizio militare di leva";
      considerato  che  il giudice a quo si basa su due assunti tratti
 dalla sentenza n. 409 del 1989, di questa Corte:  quello  secondo  il
 quale " i comportamenti previsti dalle due ipotesi criminose" di cui,
 rispettivamente, alla norma impugnata ed all'art. 8,  secondo  comma,
 della  legge  15  dicembre  1972, n. 772, come sostituito dall'art. 2
 della  legge  24  dicembre  1975,  n.  695,  "ledono,  con  modalita'
 analoghe,  lo stesso bene giuridico... e... identico e' il rimprovero
 di colpevolezza che si muove ai soggetti attivi dei due  delitti";  e
 quello  secondo il quale "anche nella situazione prevista dal secondo
 comma  dell'art.  8  della  legge  in  discussione,  la   pena   deve
 perseguire,  come di regola, il recupero alla comunita' del deviante:
 anzi, il fatto che ai sensi del  precitato  art.  8  quarto,  quinto,
 sesto e settimo comma, il condannato possa anche durante l'esecuzione
 della pena detentiva proporre domanda di essere arruolato nelle Forze
 Armate  o  di  essere ammesso al servizio militare non armato o ad un
 servizio sostitutivo  civile  e  che  l'accoglimento  delle  predette
 domande,  nell'estinguere  il  reato,  fa  cessare,  se  vi  e' stata
 condanna, l'esecuzione della pena,  dimostra  che  l'interesse  dello
 Stato  al  'recupero'  ed  alla  'rieducazione  del  reo'  e',  nella
 situazione in esame, realmente ed intensamente perseguito";
      che,   peraltro,   nella   sentenza  n.  409  del  1989,  si  e'
 sottolineato come "chi rifiuta di adempiere a doveri di  solidarieta'
 sociale costituzionalmente sanciti non e' equiparabile a chi, invece,
 nell'atto in cui dichiara d'essere contrario all'uso personale  delle
 armi  per  imprescindibili,  giuridicamente  controllati,  motivi  di
 coscienza, quei doveri di solidarieta' puntualmente adempie chiedendo
 (ed  ottenendo,  essendo  fondati  e  sinceri  gli  addotti motivi di
 coscienza) d'essere ammesso al servizio militare  non  armato  od  al
 servizio civile alternativo";
      che  l'ipotesi  di  cui  alla  norma  impugnata  si  differenzia
 notevolmente da quella di cui alla  normativa  dedotta  come  tertium
 comparationis,  proprio  perche'  la  fattispecie  di  mancanza  alla
 chiamata si realizza quando l'autore non versi nella  "situazione  di
 chi  e'  contrario  all'uso  personale delle armi per imprescindibili
 motivi di coscienza";
      che tale situazione rende non irrazionale la diversificazione di
 trattamento della  prima  rispetto  all'ipotesi  di  cui  all'art.  8
 secondo  comma  della legge 15 dicembre 1972, n. 772, come sostituito
 dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1975, n. 695;
      che,    conseguentemente,    la   sollevata   questione   appare
 manifestamente infondata;
     Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.