ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 19  febbraio  1981,  n.  27  (Provvidenze   per   il   personale   di
 magistratura),  promosso con ordinanza emessa il 21 maggio 1990 dalla
 Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, sul ricorso  proposto
 da  Rossi  Manlio ed altri, iscritta al n. 687 del registro ordinanze
 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  45,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di Rossi Manlio ed altri, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 30 gennaio 1991 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un  giudizio  in  cui i ricorrenti,
 magistrati, avvocati e procuratori dello Stato cessati  dal  servizio
 anteriormente  al  1› luglio 1983 avevano richiesto l'applicazione ai
 trattamenti pensionistici del meccanismo d'incremento previsto per il
 personale  in  servizio  dall'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n.
 27, la Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ha  sollevato,
 con  ordinanza  emessa  il  21 maggio 1990, questione di legittimita'
 costituzionale di quest'ultima norma, per il dubbio che, nella  parte
 in  cui  non prevede anche per le pensioni tale sistema di incremento
 triennale, essa vulneri gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione;
      che  la  Corte remittente, premesso di aver positivamente deciso
 con sentenza parziale il problema della riliquidazione delle pensioni
 dei ricorrenti sulla base dei miglioramenti economici maturati per il
 personale  in  servizio,   secondo   quanto   sancito   dalla   Corte
 costituzionale  con  la  sentenza n. 501 del 1988, osserva come altre
 decisioni, rispettivamente delle  sezioni  riunite  e  della  sezione
 giurisdizionale  per  la Sardegna, abbiano senz'altro ritenuto che il
 meccanismo d'incremento di cui e' causa dovesse estendersi anche alla
 pensione, in quanto retribuzione differita;
      che   tale   orientamento   non   pare   tuttavia  condivisibile
 integralmente al giudice a quo,  attesa  l'esistenza  di  un'evidente
 lacuna   normativa  a  riguardo  e  considerata  l'impossibilita'  di
 provvedere per il futuro;
      che  l'esistenza  di  un  sistema  d'adeguamento periodico degli
 stipendi alla media  dei  miglioramenti  retributivi  realizzati  nel
 triennio  da  altri  settori,  in  quanto  ritenuto  inapplicabile ai
 pensionati,   costituirebbe   la   premessa   per   una   progressiva
 divaricazione  dei  due  trattamenti, di servizio e di quiescenza (in
 danno di quest'ultimo), cosi' producendosi una situazione  analoga  a
 quella sanzionata con la sentenza n. 501 del 1988;
      che  cio'  concreterebbe  un  vulnus  degli  artt. 36 e 38 della
 Costituzione per  la  riduzione  della  piena  remunerativita'  della
 pensione  rispetto  alla  quantita'  e  qualita' del lavoro prestato,
 nonche'  della  proporzionalita'  ed  adeguatezza  della  stessa   in
 relazione  ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta ricorrendo
 altresi' lesione del principio  della  parita'  del  trattamento  tra
 personale in servizio e pensionati;
      che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso  per  la
 declaratoria  d'infondatezza  della  questione  sulla base del valore
 meramente tendenziale del principio della coincidenza tra pensione  e
 retribuzione goduta all'atto della cessazione dal servizio.
    Considerato   che   le   sezioni   riunite   ed   alcune   sezioni
 giurisdizionali della Corte dei conti, hanno inteso la previsione  di
 cui  alla  norma  impugnata, relativa al sistema di adeguamento, come
 non scindibile diacronicamente e ne hanno fatto applicazione sia  per
 il  passato  che  per  il  futuro  in  sede  di  riliquidazione delle
 pensioni;
      che  tale  tesi si fonda su un'estensiva lettura del dispositivo
 della sentenza n. 501 del  1988  di  questa  Corte,  con  riferimento
 all'espressione  "trattamento  economico  derivante dall'applicazione
 degli artt. 3 e 4 della  legge  6  agosto  1984,  n.  425"  (ritenuto
 comprensivo dell'anzidetto adeguamento), ed e' non soltanto condivisa
 dal giudice a quo "in linea  di  principio",  ma  anche  parzialmente
 seguita  nel  provvedimento  concessivo della completa riliquidazione
 sino al 1› gennaio 1988;
      che  e'  stato anche recentemente sottolineato come il controllo
 di questa Corte, riguardando la compatibilita' delle leggi denunziate
 con  i  principi'  della  Costituzione,  non puo' sostanziarsi in una
 revisione, in grado ulteriore, delle  interpretazioni  offerte  dagli
 organi  giurisdizionali  cui tale attivita' compete (cfr. sentenza n.
 456 del 1989);
      che  tale  affermazione risulta a fortiori appropriata allorche'
 venga prospettata una questione a contrario  volta  ad  ottenere  una
 pronuncia ripetitiva del precedente decisum costituzionale;
      che,  inoltre, la Corte remittente richiede una sentenza atta ad
 innestare nella normativa pensionistica un  meccanismo  d'adeguamento
 periodico  concepito per il personale in servizio, attivita' questa -
 per la varieta' delle  scelte  possibili  e  la  molteplicita'  delle
 implicazioni - certamente estranea al sindacato di costituzionalita'e
 viceversa propria del legislatore;
      che   pertanto,  anche  sotto  tale  profilo,  la  questione  e'
 manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;