ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso dalla Regione Toscana notificato il
 2 agosto 1990, depositato in Cancelleria  l'8  agosto  successivo  ed
 iscritto  al  n.  31  del  registro  ricorsi  1990,  per conflitto di
 attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio
 dei  ministri  30  aprile  1990,  n.  150  recante  "Regolamento  per
 l'organizzazione   del   Dipartimento   per  il  coordinamento  delle
 politiche comunitarie nell'ambito della Presidenza del Consiglio  dei
 ministri";
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi l'avv. Mario Chiti per la Regione Toscana e l'Avvocato dello
 Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Con ricorso, notificato il 2 agosto 1990 e depositato l'8
 agosto  successivo,  la  Regione   Toscana   solleva   conflitto   di
 attribuzione,  nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del
 Presidente del Consiglio dei ministri 30 aprile 1990, n. 150, recante
 il  regolamento  per  l'organizzazione  del   dipartimento   per   il
 coordinamento   delle   politiche   comunitarie   nell'ambito   della
 Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  quanto   emanato   in
 violazione di legge ed invasivo della sfera di competenze regionali.
    La  Regione  ricorrente - premesso che la legge 16 aprile 1987, n.
 183  (Coordinamento  delle   politiche   riguardanti   l'appartenenza
 dell'Italia  alle  Comunita'  europee ed adeguamento dell'ordinamento
 interno agli atti normativi comunitari), all'art. 1, ha istituito  il
 dipartimento   per  il  coordinamento  delle  politiche  comunitarie,
 rinviandone  l'organizzazione  ad  un   successivo   regolamento   da
 adottarsi  con  decreto  del  Presidente della Repubblica, sentite le
 competenti commissioni parlamentari, e che la legge 9 marzo 1989,  n.
 86  (Norme  generali  sulla  partecipazione  dell'Italia  al processo
 normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli  obblighi
 comunitari)  ha  ampliato  le competenze del dipartimento ed il ruolo
 del Ministro senza portafoglio ad esso preposto - rileva che l'art.21
 della  successiva  legge  23  agosto   1988,   n.   400   (Disciplina
 dell'attivita'   di   Governo  e  ordinamento  della  Presidenza  del
 Consiglio  dei  ministri),  ha  previsto,  piu'   in   generale,   la
 costituzione di dipartimenti, quali strutture interne alla Presidenza
 del  Consiglio,  di  ausilio  e  di carattere strumentale rispetto ai
 compiti del Presidente, mediante l'adozione di decreti  dello  stesso
 Presidente  del Consiglio, d'intesa con il Ministro senza portafoglio
 competente.
    A causa della successione di tali leggi nel tempo, ad avviso della
 ricorrente,  il  Governo  ha  ritenuto,  per  presunte   ragioni   di
 uniformita'   rispetto   ad   altri  dipartimenti,  di  seguire,  per
 l'organizzazione  del  dipartimento  in  questione,   una   procedura
 equivoca, mutuando la disciplina applicabile in parte dalla normativa
 precedente  (parere  delle Commissioni parlamentari) e in parte dalla
 normativa sopravvenuta (forma del D.P.C.M., invece che del d.P.R.).
    Precisato  che  i dipartimenti ipotizzati dall'art. 21 della legge
 n. 400 del 1988 riguardano le  sole  strutture  interne  e  meramente
 strumentali  rispetto  ai compiti del Presidente del Consiglio, cosi'
 differenziandosi da altri dipartimenti a carattere  "esterno",  quale
 il  dipartimento  delle politiche comunitarie, la ricorrente sostiene
 che, per  la  organizzazione  di  quest'ultimo,  si  e'  erroneamente
 utilizzato  uno  strumento  normativo  inidoneo e quindi illegittimo,
 specie in considerazione del fatto che le competenze del dipartimento
 sono  dal  provvedimento  impugnato  addirittura  dilatate,tanto   da
 violare  le  competenze  regionali.  In  altre  parole,  con la forma
 utilizzata, meno garantistica di quella imposta dalla  legge  n.  183
 del  1987,  verrebbero  introdotte nuove competenze dipartimentali in
 violazione delle attribuzioni regionali.
    1.2.  -  Con  altra  censura   la   ricorrente   denuncia   alcune
 disposizioni   dell'art.   2   del   provvedimento   impugnato,   che
 concretizzerebbero vere ingerenze negli affari  regionali  a  rilievo
 comunitario,  eliminando  addirittura spazi riconosciuti alle regioni
 dalla normativa comunitaria.
    Si tratterebbe in particolare della previsione del generico potere
 di promozione e di coordinamento dell'attivita' di tutte le pubbliche
 amministrazioni   (lett.   a),   del   coordinamento   delle   stesse
 amministrazioni  pubbliche  ai  fini  della  formulazione  degli atti
 comunitari (lett. c), del coordinamento delle attivita' delle regioni
 in sede comunitaria (lett. d), dello sviluppo dei  rapporti  con  gli
 organi  comunitari  per  la  trattazione  degli  affari comunitari di
 interesse dell'Italia (lett. g), della vigilanza per  la  corretta  e
 tempestiva  attuazione  delle  disposizioni comunitarie (lett. i), e,
 soprattutto, delle attivita' connesse all'attuazione dei  regolamenti
 comunitari  in tema di programmi integrati mediterranei (P.I.M.) e di
 fondi comunitari a finalita' strutturali (lett. n).
    A sostegno della censura la ricorrente ricorda che la possibilita'
 per le regioni di svolgere attivita' di rilievo internazionale e,  in
 particolare,  di instaurare rapporti diretti con le Comunita' europee
 e' riconosciuta sia in sede legislativa (art. 4  d.P.R.  n.  616  del
 1977,  circa l'attivita' promozionale all'estero), sia da una copiosa
 giurisprudenza  costituzionale,  alla  luce   della   quale   possono
 ritenersi  ammissibili  i contatti diretti tra organismi comunitari e
 regioni,  contatti  che  illegittimamente  l'impugnato  provvedimento
 tenterebbe  di  impedire  mediante  forme  di  coordinamento  che  si
 traducono in un esproprio delle competenze regionali.
    1.3. - Infine, la ricorrente denuncia il provvedimento nella parte
 in cui (art. 1, lett. o) prevede, tra le competenze del dipartimento,
 "la formazione di personale e di operatori  pubblici  e  privati  con
 riferimento  a temi e problemi comunitari", cosi' interferendo con le
 attribuzioni regionali in tema di formazione professionale.
    2. - Si e' costituito nel  presente  giudizio  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri,  precisando  che  l'adempimento  in  ordine
 all'organizzazione   del   dipartimento,   originariamente   previsto
 dall'art.  1  della legge n.183 del 1987 con la forma del decreto del
 Presidente della Repubblica e secondo una particolare  procedura,  si
 e'  in  seguito  inserito nel quadro normativo dettato dalla legge n.
 400 del 1988 (art. 21), posto che il predetto dipartimento,  chiamato
 ad  operare  in  un'area  di  competenza del Presidente del Consiglio
 (art.  5,  comma  3,  lett.  a),  della  legge  400  del  1988), deve
 necessariamente inquadrarsi  nella  organizzazione  della  Presidenza
 come un dipartimento di questa. Lo stretto legame e la strumentalita'
 con  le  funzioni  del  Presidente del Consiglio sono, d'altra parte,
 testimoniati dalla originaria previsione legislativa  (art.  1  della
 legge n. 183 del 1987), secondo cui per la provvista di personale del
 dipartimento  si  sarebbe  dovuto  attingere  alla dotazione organica
 della Presidenza del Consiglio, dotazione assicurata poi in  concreto
 dalla legge n. 400 del 1988.
    Inoltre  alla  determinazione di provvedere, a termini dell'art.21
 della legge n. 400 richiamata, appunto con decreto del Presidente del
 Consiglio dei ministri, si e' pervenuti anche a  seguito  del  parere
 del  Consiglio  di Stato, il quale, precisata la natura regolamentare
 dell'adottando  decreto,  ha  richiamato  anche  la  possibilita'  di
 sentire  preventivamente  le  commissioni  parlamentari,  cosi'  come
 richiesto dall'art. 1 della legge n. 183 del 1987.
    Cio' premesso, e con riferimento alla prima  censura,  che  ha  ad
 oggetto   la   forma  utilizzata  per  l'adozione  del  provvedimento
 impugnato,  l'Avvocatura  generale   dello   Stato   ne   rileva   la
 inammissibilita',  in  quanto inconferente rispetto alla tutela delle
 attribuzioni regionali, costituzionalmente garantite.
    Riguardo alla seconda doglianza,  che  si  appunta  contro  talune
 disposizioni dell'art. 2 del provvedimento impugnato, la difesa dello
 Stato    ribadisce   il   carattere   strumentale   della   struttura
 organizzativa per  lo  svolgimento  di  compiti  che  fanno  capo  al
 Presidente  del  Consiglio  o  al  Ministro  senza portafoglio da lui
 delegato,  e  contesta  la  denunciata  invasivita'   di   competenze
 regionali.  Infatti,  gli  adempimenti  affidati  al  dipartimento  o
 attengono ad una  fase  preparatoria  ed  istruttoria  di  competenze
 presidenziali  (art.  2,  lettere  a),  c),  g),  i),  in vista della
 necessaria promozione delle  iniziative  e  del  coordinamento  delle
 stesse   nell'arco   della   politica  comunitaria  nazionale  -  sia
 nell'azione diretta alla partecipazione  degli  organi  statali  alla
 formazione  degli atti comunitari, sia nella attuazione interna della
 normativa comunitaria - ovvero (art. 2, lett. d) sono finalizzati  al
 coordinamento delle azioni regionali che possono svilupparsi in vista
 della   partecipazione   alla   elaborazione  della  normativa  delle
 comunita' europee, o ancora (art.2, lett. n) assicurano il necessario
 rapporto di collaborazione e concertazione (c.d.  partenariato),  cui
 partecipano  gli  organi comunitari, nazionali e regionali secondo le
 stesse previsioni comunitarie.
   Quanto, infine, alla doglianza relativa alla lett. o)  dell'art.  2
 piu'   volte  richiamato,  si  esclude  la  ipotizzata  invasione  di
 competenze regionali in materia di "formazione  professionale",  alla
 luce  di una corretta lettura del disposto dell'art. 13 della legge 9
 marzo 1989, n.86, che presuppone la necessita' di  una  attivita'  di
 informazione  a  favore  dei cittadini nelle tematiche comunitarie in
 relazione al progredire della integrazione europea e alla conseguente
 proliferazione  della  normativa  comunitaria  in  tutti  i   settori
 economici.   E   cio'  consente  di  affermare  che  l'attivita'  del
 dipartimento  in  questo  settore,  lungi  dall'interferire  con   la
 funzione  della  formazione  professionale  propria delle Regioni, si
 affianca ad essa, per il  carattere  di  ausilio  ed  il  compito  di
 informazione  che  la  legge  n. 86 del 1989 ha voluto riconoscere al
 dipartimento in questione.
                        Considerato in diritto
    1.   -   La  Regione  Toscana  ha  impugnato  il  regolamento  per
 l'organizzazione  del  dipartimento  per   il   coordinamento   delle
 politiche  comunitarie  della  Presidenza  del Consiglio dei ministri
 emanato con D.P.C.M. 30 aprile 1990, n. 150, ritenendolo invasivo  di
 proprie competenze.
    Si  sostiene  nel  ricorso  che  la  forma  adottata non e' quella
 prevista dalla legge (n. 183 del 1977) istitutiva  del  dipartimento,
 che  aveva  rinviato  ad  un decreto del Presidente della Repubblica,
 sentito il parere delle  commissioni  parlamentari,  l'organizzazione
 del  dipartimento;  sarebbe,  percio',  violata  la  legge anzidetta,
 poiche' la forma prescelta,  cioe'  il  decreto  del  Presidente  del
 Consiglio,  sia pure previo parere delle commissioni parlamentari, e'
 meno garantistica, ben potendo tale  forma  di  provvedimento  essere
 modificata  secondo il procedimento previsto dall'art. 21 della legge
 n. 400  del  1988,  che  regola  l'organizzazione  dei  dipartimenti:
 procedimento  che  e' meno complesso ed articolato di quello previsto
 per  i  regolamenti  approvati  con  decreto  del  Presidente   della
 Repubblica.
    Inoltre,  secondo la ricorrente, molte delle attribuzioni elencate
 nell'art. 2 sarebbero invasive di competenze  regionali  in  tema  di
 rapporti  con  gli  organi comunitari e di attuazione della normativa
 comunitaria, privando la Regione di attribuzioni  riconosciutele  dai
 regolamenti   comunitari.   Infine,   la   prevista   competenza  del
 dipartimento in ordine alla "formazione di personale e  di  operatori
 pubblici  e  privati"  realizzerebbe  un'invasione  delle  competenze
 regionali in materia di formazione professionale.
    2. - Il ricorso e' inammissibile.
    Il regolamento impugnato non  attribuisce  al  dipartimento  delle
 politiche  comunitarie nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei
 ministri funzioni nuove e  diverse  da  quelle  gia'  spettanti  alla
 stessa  Presidenza.  Esso  si  limita  ad  organizzare, nel quadro di
 questa, il dipartimento attribuendogli soltanto quelle funzioni  gia'
 esercitate   da  detta  Presidenza  e,  in  qualche  caso,  da  altri
 ministeri,  come  risulta  dall'elenco  delle   competenze   indicate
 nell'art. 2.
    Trattasi,  dunque, di un atto di autorganizzazione del Governo che
 in  nessun  modo  limita  le  competenze   delle   regioni,   dovendo
 evidentemente  le  previsioni contenute nell'atto impugnato, ove esse
 possano avere qualche riflesso in ordine a  tali  competenze,  essere
 coordinate   con  le  norme  vigenti  che  le  riguardano,  destinate
 certamente   a   prevalere   sulla   fonte   secondaria,    meramente
 organizzativa  di  funzioni gia' spettanti allo Stato. Ne' d'altronde
 viene meno la possibilita' per le regioni di promuovere,  secondo  le
 regole  generali,  il  sindacato  su atti che, in concreto, dovessero
 risultare invasivi di loro attribuzioni.
    Il  regolamento  impugnato  non  e'  pertanto  lesivo  sotto  ogni
 profilo,  anche  solo potenziale, delle competenze regionali, per cui
 manca il presupposto  per  l'ammissibilita'  del  conflitto,  sia  in
 ordine agli aspetti formali censurati nel primo motivo, sia in ordine
 a quelli sostanziali oggetto degli altri due motivi.