ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  195,  secondo
 comma,  ultimo  periodo, del codice penale militare di pace, promosso
 con ordinanza emessa il 26 settembre 1990 dal Tribunale  militare  di
 Padova  nel  procedimento penale a carico di Mossi Bruno, iscritta al
 n. 713 del  registro  ordinanze  1990  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  48, prima serie speciale, dell'anno
 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio  1991  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso di un procedimento penale avente ad oggetto, tra
 l'altro, il reato di violenza ad un inferiore (art.  195,  cod.  pen.
 mil.  di  pace),  che aveva nella specie comportato lesioni gravi, il
 Tribunale militare di Padova, su eccezione del pubblico ministero, ha
 sollevato una questione di legittimita' dell'ultima parte del secondo
 comma di tale articolo, assumendone il contrasto con  gli  artt.  24,
 secondo comma, 25, secondo comma e 27, primo comma, Cost.
    L'articolo  195  cod. pen. mil. di pace come novellato dall'art. 5
 della legge 26 novembre 1985, n.  689  (Modifiche  al  codice  penale
 militare di pace), stabilisce:
      "1. Il militare, che usa violenza contro un inferiore, e' punito
 con la reclusione militare da uno a tre anni.
      2. Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o
 tentato,  nell'omicidio  preterintenzionale,  ovvero  in  una lesione
 personale grave o gravissima, si  applicano  le  corrispondenti  pene
 stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea puo' essere
 aumentata".
    Premesso,  in  punto  di  rilevanza,  che nella specie trattasi di
 reato commesso in luogo militare per cause attinenti al  servizio  ed
 alla  disciplina militare, il Tribunale afferma, innanzitutto, che la
 disposizione di  cui  all'ultima  parte  del  secondo  comma,  teste'
 citato,  configura  una vera e propria circostanza aggravante - e non
 il limite superiore di una pena edittalmente complessa - dato che non
 prevede un preciso limite edittale dell'aumento di pena (cfr. art. 64
 cod. pen.); e che tale natura mantiene anche se l'ipotesi di  cui  al
 secondo comma viene qualificata come reato autonomo rispetto a quella
 di cui al primo comma.
    Essa  va  inquadrata,  in particolare, tra le circostanze "indefi-
 nite" (o "indeterminate"), e piu' precisamente tra quelle  indefinite
 "facoltative"   (o   "a   discrezionalita'  bifasica"),  nelle  quali
 all'indeterminatezza dei contenuti e dei valori  tutelati  -  la  cui
 individuazione   e'   rimessa   al   giudice   -   si  accompagna  la
 facoltativita' della relativa applicazione da parte di costui.
    In cio' il Tribunale  rimettente  ravvisa,  in  primo  luogo,  una
 violazione  del principio di tassativita' - e, quindi, di legalita' -
 fissato  nell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.:   sia   perche'   le
 circostanze aggravanti, incrementando la sanzione penale, non possono
 sfuggire   al   principio   di  tipicizzazione;  sia  perche'  spetta
 esclusivamente alla legge di stabilire il trattamento  sanzionatorio.
 Ne'  potrebbe  sostenersi  che  il giudice, una volta riconosciuto il
 valore non tipicizzato, sarebbe obbligato ad applicare la circostanza
 e che la riserva di legge sarebbe rispettata attraverso l'obbligo  di
 motivazione.  Il  controllo  sul  corretto esercizio del potere cosi'
 "impropriamente" delegatogli sarebbe pur sempre rimesso,  invero,  ad
 un  giudice  dell'impugnazione anch'esso privo di specifici parametri
 normativi.
    Il principio di legalita' sarebbe violato, in particolare, per  la
 mancanza  di  ogni  indicazione,  sia  pur generica (come, ad es., il
 riferimento alla "gravita'" del caso),  dei  valori  protetti.  Cio',
 infatti,  renderebbe  ineliminabile  il  dubbio  se l'aggravante vada
 riconosciuta  solo  in  relazione  alla  plurioffensivita'  del reato
 rispetto alle corrispondenti figure di diritto penale comune;  ovvero
 anche   per   elementi  intrinseci  al  fatto  che  ne  denotino  una
 particolare gravita';  o  anche  per  fattori  estrinseci  al  fatto,
 concernenti l'elemento soggettivo e la personalita' del reo.
    Rilevato, poi, che la tendenza evolutiva del sistema penale e' nel
 senso   di   estendere   anche   alle   aggravanti  la  regola  della
 rimproverabilita' (cfr. art. 59 cod. pen.,  come  modificato  con  la
 legge  n.  19  del  1990),  il Tribunale rimettente fonda l'ulteriore
 censura  di  violazione   del   principio   di   personalita'   della
 responsabilita'  penale (art. 27, primo comma, Cost.) sul rilievo che
 non puo' essere rimproverabile chi, per la genericita'  della  norma,
 non e' in grado di conoscerne il preciso contenuto.
    Sarebbe  violato,  infine,  anche  il  diritto di difesa (art. 24,
 secondo  comma,  Cost.),  dato  che  la  genericita'  dell'aggravante
 comporta, necessariamente, che generica - e non precisa e dettagliata
 -  sia la contestazione di essa, sicche' l'imputato non sarebbe posto
 in condizione di discolparsi.
    2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
 l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione sia  dichiarata
 non  fondata,  in quanto la disposizione impugnata non configurerebbe
 una circostanza aggravante, ma avrebbe la funzione di determinare  la
 pena  edittale  per i vari casi di violenza contemplati dal precetto.
 La questione, cioe', concernerebbe la misura  della  pena,  e  quindi
 materia rientrante nella discrezionalita' del legislatore.
                        Considerato in diritto
    1.  -  L'articolo  195  cod.  pen.  mil.  di  pace, come novellato
 dall'art. 5 della legge 26 novembre 1985, n. 689 (Modifiche al codice
 penale militare di pace), stabilisce:
      "1. Il militare, che usa violenza contro un inferiore, e' punito
 con la reclusione militare da uno a tre anni.
      2. Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o
 tentato, nell'omicidio  preterintenzionale,  ovvero  in  una  lesione
 personale  grave  o  gravissima,  si applicano le corrispondenti pene
 stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea puo' essere
 aumentata".
    Il Tribunale militare di Padova  assume  che,  quale  che  sia  la
 configurazione  da  dare alla fattispecie descritta nel secondo comma
 (ipotesi aggravata rispetto a quella di cui al  primo  comma,  ovvero
 reato   autonomo),   la   disposizione  contenuta  nell'ultima  parte
 costituisca una circostanza aggravante; e che, in  particolare,  essa
 andrebbe  classificata  come aggravante "indefinita" e "facoltativa",
 dato che lascia indeterminati i valori  con  essa  tutelati  e  rende
 facoltativa la sua applicazione.
    Su  tale  premessa,  il  Tribunale sostiene che detta disposizione
 (secondo comma, ultima parte) contrasterebbe:
      - con il principio di legalita' (art. 25, secondo comma, Cost.),
 dato che sarebbe  violata  la  riserva  alla  legge  del  trattamento
 sanzionatorio  e  non  sarebbe  possibile stabilire se l'aggravamento
 consegua alla sola plurioffensivita' del reato o anche alla  gravita'
 del fatto o, ancora, a circostanze soggettive;
      -  con  l'art.  27, primo comma, Cost., non potendo considerarsi
 rimproverabile chi non sia  posto  in  grado  di  conoscere  l'esatto
 contenuto della norma;
      -  con  l'art.  24,  secondo comma, Cost., perche' la necessaria
 genericita' della contestazione non consentirebbe un'adeguata difesa.
    2. - Premesso che non  appare  controvertibile  la  qualificazione
 della   disposizione   impugnata  come  vera  e  propria  circostanza
 aggravante, occorre verificare se effettivamente risulti  rimessa  al
 giudice  l'individuazione  del  valore  con  essa  tutelato, cio' che
 sostanzierebbe la dedotta violazione  dell'art.  25,  secondo  comma,
 Cost.
    Il  giudice rimettente inquadra l'aggravante nella categoria delle
 circostanze "indefinite", che peraltro designa solitamente,  come  e'
 noto, quelle proposizioni normative - particolarmente frequenti nella
 legislazione  speciale  -  nelle  quali  l'aggravamento  di  pena  e'
 collegato alla "maggiore" o "particolare"  gravita'  del  "caso".  In
 esse   l'individuazione  degli  elementi  di  disvalore  -  ulteriori
 rispetto alla fattispecie base  -  che  legittimano  l'aumento  o  la
 modificazione  della  specie di pena e' lasciata al giudice, dato che
 essi sono dal legislatore ritenuti insuscettibili di tipizzazione  ed
 enucleabili   solo  avendo  riguardo  alle  particolarita'  del  caso
 concreto.
    Gia' in prima approssimazione, quindi, vi e' ragione  di  dubitare
 dell'inquadramento  dell'aggravante  in  esame tra quelle indefinite,
 dato che trattasi di proposizione normativa  strutturalmente  diversa
 da  quelle  tipiche  di tale categoria: sicche' occorre verificare se
 l'apparente indeterminatezza dei  contenuti  di  disvalore  che  essa
 esprime non sia colmabile con i comuni strumenti di interpretazione.
    3.  - Occorre considerare, al riguardo, che il testo del novellato
 art. 195 (violenza contro un  inferiore)  si  differenzia  da  quello
 originario  -  oltre  che per un'attenuazione della pena prevista per
 l'ipotesi base - proprio per la diversa formulazione  dell'aggravante
 in  questione. Anche li', cioe', si stabiliva che ai casi di violenza
 consistiti in  omicidio  (nelle  sue  varie  ipotesi)  o  in  lesioni
 (almeno)  gravi si applicassero "le corrispondenti pene stabilite dal
 codice penale": ma si  statuiva  che  "Tuttavia,  la  pena  detentiva
 temporanea e' aumentata".
    La  differenza  tra  l'aggravante  originaria  e  quella del testo
 novellato sta dunque solo in cio', che essa e' stata  trasformata  da
 obbligatoria in facoltativa.
    Tale  modifica  e'  frutto  di un'elaborazione che, muovendo da un
 testo del disegno di legge governativo di riforma (n. 1152 Atti  Cam-
 era,  IX  legislatura) che nel secondo comma stabiliva, per i casi di
 omicidio  o  lesioni,   pene   autonome   rispetto   a   quelle   dei
 corrispondenti  delitti  comuni,  approdo',  in sede di prima lettura
 alla  Camera,  ad  una  formulazione  del  tutto  identica  a  quella
 originaria,    con    il    mantenimento,   quindi,   dell'aggravante
 obbligatoria.
    Al Senato (cfr. Seduta del 25  settembre  1985  delle  Commissioni
 Giustizia  e  Difesa  riunite, in sede deliberante) nel contrasto tra
 chi  voleva  il  mantenimento  dell'aggravante  obbligatoria  e   chi
 sosteneva  che essa andasse integralmente eliminata, prevalse la tesi
 della trasformazione dell'aggravante da obbligatoria in  facoltativa,
 alla cui stregua fu approvato il testo definitivo.
    In  relazione  al  testo  originario  del codice, era pacifico, in
 dottrina e giurisprudenza, che  l'aggravamento  trova  ragione  nella
 tipica  plurioffensivita'  del reato di violenza contro un inferiore,
 nel fatto cioe' che con esso, ove  consista  in  omicidio  o  lesioni
 (almeno)  gravi,  si  offende  non solo la vita o l'integrita' fisica
 dell'inferiore,  ma  anche  l'interesse  alla  coesione  delle  forze
 armate,  e  specificamente  quello  attinente  al  servizio  ed  alla
 disciplina militare, che costituisce il peculiare oggetto  di  tutela
 dei reati speciali di insubordinazione ed abuso di autorita'.
    Non  vi  e'  ragione  di  ritenere  -  ne'  il giudice a quo offre
 elementi in contrario -  che  la  trasformazione  dell'aggravante  da
 obbligatoria  in  facoltativa  abbia  comportato un mutamento del suo
 oggetto, che cioe' essa vada riferita a  qualcosa  di  diverso  o  di
 ulteriore  rispetto  alle  esigenze  di  tutela  del servizio e della
 disciplina militare.
    La modifica si inserisce, invece, nel  quadro  di  un  piu'  vasto
 orientamento   tendente  ad  accentuare,  nella  prospettiva  segnata
 dall'art. 52 Cost., l'ispirazione democratica dell'ordinamento penale
 militare  e  ad  attenuarne,  percio',  i  caratteri  di  specialita'
 rispetto  a  quello  comune. In tale orientamento si iscrivono, da un
 lato, la totale  equiparazione  quoad  poenam  delle  fattispecie  di
 insubordinazione  con  violenza  e  di  violenza  contro un inferiore
 (artt. 186 e 195, nel testo novellato), e cioe' la parificazione  dei
 soggetti  del  rapporto  gerarchico  quanto  ai  rispettivi doveri di
 autocontrollo; dall'altro, la restrizione  dell'area  degli  speciali
 reati  di  insubordinazione  ed  abuso di autorita' realizzata con la
 trasformazione da attenuante in causa di inapplicabita'  ai  medesimi
 della  previsione  sull'estraneita'  al  servizio  od alla disciplina
 militare delle cause dell'episodio criminoso (art. 199).
    Nel  medesimo  senso,  inoltre,  si  e'  indirizzata  l'opera   di
 conformazione ai valori costituzionali svolta da questa Corte, che si
 e'  manifestata  non  solo  con  le  note  pronuncie  che  hanno reso
 ineludibile la riforma del 1985,  ma  anche,  piu'  di  recente,  con
 l'ulteriore  delimitazione  (mediante  ablazione  di parte del citato
 art. 199) dei comportamenti riconducibili ai predetti reati speciali,
 resa necessaria da un piu' appropriato "bilanciamento tra le esigenze
 di coesione dei  corpi  militari  e  quelle  di  tutela  dei  diritti
 individuali  che  sono  postulate  dallo  spirito  democratico cui va
 informato l'ordinamento delle  forze  armate"  (sentenza  n.  22  del
 1991).
    Di  analogo segno e' la modifica realizzata con la disposizione in
 esame. Il legislatore ha, cioe', considerato che  non  ogni  atto  di
 violenza,  sfociato  in  omicidio  od  in lesioni gravissime o gravi,
 perpetrato contro  l'inferiore  (ovvero  contro  il  superiore:  cfr.
 l'art.  186,  secondo  comma)  ha  connotati  tali  da comportare una
 significativa aggressione  (anche)  ai  beni  del  servizio  e  della
 disciplina   militare:   ed  ha  ritenuto,  in  base  ad  una  scelta
 discrezionale  coerente  al  suddetto   indirizzo,   che   solo   una
 consistente  incisione  di  tali  beni  fosse  meritevole di sanzione
 aggiuntiva.  Data  l'impossibilita'  di  tipizzare  i  casi  in   cui
 l'aggressione  assurga,  in base a tale criterio, ad autonoma ragione
 di aggravamento delle pene  previste  per  i  corrispondenti  delitti
 comuni, la legge ha cosi' demandato al giudice l'individuazione della
 soglia   della   lesione   rilevante,   da   effettuarsi  secondo  le
 particolarita'  del  caso  concreto  attinenti,  sotto   il   profilo
 oggettivo e/o soggettivo, alle violazioni delle regole del servizio e
 della disciplina.
    4.  -  Cosi'  interpretata  in  base  ai criteri storico e logico-
 sistematico, la norma impugnata risulta immune dalle censure  mossele
 dal giudice a quo.
    Non   e'   leso,   innanzitutto,  il  principio  di  (sufficiente)
 determinazione della fattispecie (art.  25,  secondo  comma,  Cost.),
 dato  che nella disposizione e' chiaramente individuato - pur se solo
 per implicito - il disvalore da considerare ai fini dell'aggravamento
 di  pena  e  quindi  l'ambito  entro  il  quale  puo'  esplicarsi  la
 discrezionalita'    giudiziale;   e   questa   e',   d'altra   parte,
 ulteriormente  limitata,  anche  sul  piano  quantitativo,  dal  gia'
 illustrato criterio della "rilevanza" della lesione.
    Ne'  a  sostegno  della  pretesa  violazione dell'art. 25, secondo
 comma, Cost. puo' addursi il (solo) carattere facoltativo,  e  quindi
 discrezionale, dell'aggravante: sia perche' la facoltativita' attiene
 solo  all'individuazione  della  rilevanza della lesione dato che una
 volta che  la  si  sia  riconosciuta  l'applicazione  dell'aggravante
 diviene  doverosa;  sia  perche'  la  discrezionalita', cosi' intesa,
 risulta coerente al principio di  "individualizzazione"  delle  pene,
 con  il  quale  quello  della  loro  "legalita'"  va  contemperato ed
 armonizzato (cfr. sentenza n. 131 del 1970).
    Invero, come questa Corte ha chiarito nella  sentenza  n.  50  del
 1980,  il  primo  principio  e'  "naturale  attuazione  e sviluppo di
 principi costituzionali,  tanto  di  ordine  generale  (principio  di
 uguaglianza)  quanto  attinenti direttamente alla materia penale"; ed
 il  secondo  "da'  forma  ad  un  sistema  che  trae   contenuti   ed
 orientamenti  da  altri  principi  sostanziali - come quelli indicati
 dall'art. 27, primo e terzo comma, Cost. - ed in cui 'l'attuazione di
 una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione piu'
 che l'uniformita''". Cio' rende ragione, sia, in generale, del "ruolo
 centrale,  che  nei  sistemi  penali   moderni   e'   proprio   della
 discrezionalita'  giudiziale, nell'ambito e secondo i criteri segnati
 dalla  legge";  sia,  in  particolare,   della   piena   legittimita'
 costituzionale di aggravanti del tipo di quella qui esaminata.
    Tanto  meno,  poi,  possono  dirsi  violati i precetti di cui agli
 artt. 27, primo comma e 24, secondo comma, Cost. Invero, l'univocita'
 del disvalore considerato  dalla  norma  impugnata,  da  un  lato  ne
 permette la conoscibilita', rendendo cosi' rimproverabile la condotta
 inosservante;   dall'altro,  consente  all'accusa  di  enucleare  gli
 elementi  di  fatto  reputati  idonei  a   concretare   una   lesione
 "rilevante"   dei  beni  dell'ordine  e  della  disciplina  militare:
 addossandole, per cio' stesso,  l'onere  di  una  loro  contestazione
 specifica,  in  mancanza della quale l'aggravante non potrebbe essere
 riconosciuta che a pena di violazione  del  diritto  di  difesa,  del
 quale quello alla contestazione e' naturale proiezione.