ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, sesto comma,
 del  decreto  legge  10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione
 della evasione in  materia  di  imposte  sui  redditi  e  sul  valore
 aggiunto  e  per  agevolare  la definizione delle pendenze in materia
 tributaria), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  7  agosto
 1982,  n. 516, promosso con ordinanza emessa il 27 settembre 1990 dal
 giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trani  nel
 procedimento penale a carico di Guastamacchia Damiano, iscritta al n.
 91  del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 aprile 1991, il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto che il giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Trani,  con  ordinanza  emessa  il  27 settembre 1990,
 facendo propria l'eccezione proposta dal P.M. (ed anzi riproducendola
 negli stessi termini), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25,
 secondo comma, e 53, primo comma, della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  sesto comma, del decreto
 legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione
 in materia di imposte  sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto  e  per
 agevolare  la  definizione  delle  pendenze  in  materia tributaria),
 convertito, con modificazioni, nella legge 7  agosto  1982,  n.  516,
 nella parte in cui assoggetta a sanzione penale anche l'omessa tenuta
 e  conservazione del registro sostitutivo degli apparecchi misuratori
 fiscali, per il caso di mancato o irregolare funzionamento di  questi
 ultimi,  previsto dall'art. 11 del decreto del Ministro delle finanze
 23 marzo 1983, recante le norme di attuazione della legge 26  gennaio
 1983,   n.   18   (Obbligo  da  parte  di  determinate  categorie  di
 contribuenti dell'imposta  sul  valore  aggiunto  di  rilasciare  uno
 scontrino fiscale mediante l'uso di speciali registratori di cassa);
      che   nell'ordinanza   di   rimessione   -   sulla   base  della
 interpretazione fornita dalla Corte di cassazione, nella sentenza  25
 gennaio  1988, n. 121, della norma incriminatrice quale "norma penale
 in bianco", nella quale andrebbe ricompresa anche l'omessa tenuta del
 registro sostitutivo previsto nel decreto ministeriale  richiamato  -
 si  censura  in  primo luogo la disposizione impugnata per la grave e
 irrazionale disparita' di trattamento sanzionatorio che  si  verrebbe
 cosi'  a  determinare  tra  comportamenti  tra  di loro equipollenti,
 quali, da un canto, la  mancata  emissione  dello  scontrino  fiscale
 ovvero  la mancata emissione di fattura (documento, quest'ultimo, cui
 il legislatore ha sostituito  lo  scontrino  fiscale  allo  scopo  di
 evitare,   per   determinate   operazioni   di   vendita  al  minuto,
 procedimenti  inutilmente  macchinosi)  e  la   conseguente   mancata
 annotazione  dei  corrispettivi nelle scritture contabili per importi
 non particolarmente rilevanti o ancora la  omessa  installazione  del
 registratore  di  cassa,  per  le quali ipotesi e' sempre prevista la
 sola  sanzione  amministrativa,  e  dall'altra   parte   la   mancata
 istituzione  del  registro di cui all'art. 11 del D.M. 23 marzo 1983,
 che verrebbe punita con la piu' grave sanzione penale prevista  dalla
 norma denunciata, e che si risolve non nella mancata registrazione di
 incassi  anche  di importo irrisorio, comunque causativa di danno per
 l'erario, bensi' nel mero pericolo  che  un'eventualita'  del  genere
 possa verificarsi;
      che   nella   stessa  ordinanza  di  rimessione  si  lamenta  la
 violazione del parametro di  cui  all'art.  53,  primo  comma,  della
 Costituzione,  sotto il profilo del "pericolo del doloso occultamente
 di capacita'  contributiva",  che  sarebbe  di  gran  lunga  maggiore
 nell'ipotesi  di  mancata  installazione  degli apparecchi misuratori
 rispetto a quella della mancata istituzione del registro sostitutivo,
 il cui uso, per di piu', e' soltanto eventuale;
      che, infine, la questione viene proposta in riferimento all'art.
 25, secondo comma, della Costituzione,  denunciandosi  la  violazione
 del  principio  di  riserva  assoluta di legge in materia penale, per
 effetto  dell'inclusione,  tra  le   scritture   contabili   ritenute
 obbligatorie,  del  registro  previsto da una norma regolamentare, ad
 opera della  quale  viene  ad  essere  attribuita  valenza  penale  a
 comportamenti  che  la  stessa  legge  -  dalla  quale trae origine e
 fondamento il provvedimento ministeriale di attuazione  -  mostra  di
 considerare meri illeciti amministrativi;
      che non si e' costituita la parte privata, mentre e' intervenuto
 il Presidente del Consiglio dei ministri ipotizzando, in primo luogo,
 la  restituzione  degli  atti  al giudice a quo per effetto dello jus
 superveniens (D.L. 14 gennaio 1991, n. 7, rectius: D.L. 16 marzo 1991
 n. 83, che ha  sostituito  il  primo,  decaduto  per  decorrenza  dei
 termini  costituzionali  di  conversione  in legge), il quale avrebbe
 modificato la norma denunciata e,  in  deroga  al  principio  di  cui
 all'art.  20  della  legge 7 gennaio 1929, n. 4 (c.d. "ultrattivita'"
 della norma penale tributaria), avrebbe previsto una regolarizzazione
 in via amministrativa per le ipotesi disciplinate dalla stessa norma;
      che nel merito,  comunque,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
 contesta  la fondatezza dell'incidente di costituzionalita', sotto il
 profilo che, nel quadro di una normativa penale  tributaria  ispirata
 alla  repressione di illeciti anche strumentali o prodromici rispetto
 all'evasione sostanziale, la omessa tenuta di una scrittura contabile
 non puo' essere qualificato illecito minore.
    Considerato,  in  ordine  alla  rilevanza  della  questione,   che
 nell'ordinanza  di  rimessione  il giudice a quo ha omesso di fare il
 benche' minimo riferimento alla concreta  fattispecie  sottoposta  al
 suo  esame,  in  modo  da  far risultare per quali ragioni e in quali
 termini la norma impugnata debba trovare  applicazione  nel  giudizio
 innanzi a lui pendente (sentenza n. 158 del 1982);
      che   l'onere   della   motivazione   sul  punto  trova  la  sua
 giustificazione logica nell'esigenza di  documentare  il  presupposto
 della  impugnazione,  onde  consentire alla Corte il vaglio in limine
 litis della sussistenza in concreto dell'interesse  all'incidente  di
 costituzionalita'  in relazione alla disposizione impugnata (sentenza
 n. 517 del 1987);
     che, per di piu', il giudice a quo ha testualmente riprodotto  il
 tenore  della  eccezione  di costituzionalita' formulata dal p.m. sul
 presupposto della interpretazione della norma denunciata  desunta  da
 una  sentenza  della  Corte di cassazione, senza formulare il proprio
 personale  convincimento  su  quella  interpretazione,  non  fornendo
 cosi',  in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  una  propria
 motivazione;
      che,  quindi,  per  entrambi   i   profili   la   questione   e'
 manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, comma secondo, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 la Corte costituzionale;