ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  15
 settembre  1990,  n. 262, e relativa legge di conversione 19 novembre
 1990, n. 334 (Misure urgenti per il  finanziamento  del  saldo  della
 maggiore   spesa   sanitaria   relativa  agli  anni  1987  e  1988  e
 disposizioni per il  finanziamento  della  maggiore  spesa  sanitaria
 relativa  all'anno 1990), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana,
 Liguria,  Valle   d'Aosta,   Lombardia,   Piemonte,   Emilia-Romagna,
 Provincia  di Bolzano, Regione Campania, Provincia di Trento, Regioni
 Lazio e Sicilia, notificati rispettivamente il 16, 18, 19, 20 ottobre
 1990, il 5 novembre 1990, il 10, 19, 17, 14, 18 e 19  dicembre  1990,
 depositati  in  cancelleria  il  23,  24,  25, 27 ottobre 1990, il 14
 novembre 1990, il 14, 20, 21, 28 dicembre 1990 ed iscritti ai nn. 63,
 64, 65, 66, 67, 68, 69, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79 e  80  del
 registro   ricorsi  1990,  nonche'  nel  giudizio  per  conflitto  di
 attribuzione sorto a seguito del medesimo decreto-legge  n.  262  del
 1990,  convertito  nella  legge n. 334 del 1990, promosso con ricorso
 della Regione Marche, notificato il 19 dicembre 1990,  depositato  in
 cancelleria  il  7  gennaio  1991  ed  iscritto  al n. 1 del registro
 conflitti 1991;
    Visti gli atti di costituzione del Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  febbraio  1991  il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi gli Avvocati Alberto Predieri per la Regione  Toscana,  Gian
 Paolo  Zanchini  e  Fausto  Cuocolo  per  la Regione Liguria, Gustavo
 Romanelli per la Regione Valle d'Aosta, Valerio Onida per le  Regioni
 Lombardia  e  Piemonte  e  per  la  Provincia di Trento, Giandomenico
 Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Roland Riz per la Provincia  di
 Bolzano,  Sergio  Ferrari e Michele Scudiero per la Regione Campania,
 Giorgio Recchia per la Regione Lazio, Silvio De Fina e Giuseppe Fazio
 per la Regione Sicilia, Franco Gaetano Scoca per la Regione Marche  e
 l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Con  sei  distinti  ricorsi,  regolarmente  depositati  e
 notificati, le Regioni Toscana, Liguria,  Valle  d'Aosta,  Lombardia,
 Piemonte   ed   Emilia-Romagna   hanno   contestato  la  legittimita'
 costituzionale del decreto-legge 15 settembre 1990,  n.  262  (Misure
 urgenti  per  il finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa
 agli anni 1987 e 1988  e  disposizioni  per  il  finanziamento  della
 maggior spesa sanitaria relativa al 1990).
    Con   ulteriori   distinti   ricorsi,  regolarmente  depositati  e
 notificati, le medesime Regioni, piu' le Province autonome di  Trento
 e  di Bolzano e le Regioni Campania, Lazio e Sicilia hanno contestato
 la legittimita' costituzionale della legge 19 novembre 1990, n.  334,
 che ha convertito in legge il suddetto decreto-legge.
    2.  -  Le  Regioni  Toscana, Lazio e Valle d'Aosta hanno impugnato
 l'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 262 del 1990,  convertito
 senza  modificazioni,  il  quale,  riferendosi  alle  maggiori  spese
 sanitarie indicate nell'art. 4 del decreto-legge 25 novembre 1989, n.
 382, convertito dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8 (cioe' al disavanzo
 sanitario  per  gli  anni  1987  e  1988),  dispone  che  la quota di
 finanziamento con oneri di ammortamento a carico dello Stato sia, per
 il 1990, del 20 per cento e, per il 1991, del 25 per  cento.  Secondo
 le ricorrenti, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 3, 81 e
 119  della  Costituzione,  poiche' in modo irragionevole e immotivato
 limiterebbe retroattivamente il concorso dello Stato al  ripiano  del
 disavanzo  sanitario  per  gli anni 1987 e 1988, gia' determinato per
 l'anno  1990  nella  misura  del  35  per  cento,  senza  che   siano
 intervenuti,  a  partire  dalla  data di entrata in vigore del citato
 decreto-legge n. 382 del 1989, mutamenti legislativi e di fatto  tali
 da  giustificare  la diminuzione del predetto concorso. Cio' varrebbe
 tanto piu' ove si considerasse che la Corte costituzionale (v. sentt.
 nn. 245 del 1984 e 452 del 1989) ha  piu'  volte  affermato  che  non
 possono   essere  addossati  alle  regioni  oneri  non  imputabili  a
 decisioni delle regioni stesse, oneri che nel caso, oltre  ad  essere
 non  quantificati  ne' quantificabili, sarebbero posti a carico delle
 ricorrenti  senza   la   contestuale   assegnazione   delle   risorse
 finanziarie necessarie a farvi fronte.
    La   sola  Regione  Toscana  contesta  altresi'  l'adozione  della
 disposizione impugnata sotto il profilo della violazione dell'art. 97
 della Costituzione, in combinato disposto con le norme costituzionali
 precedentemente   invocate   come   parametro,   dal   momento    che
 l'addossamento  alle  regioni  di  nuovi  oneri con effetto immediato
 impedirebbe alle stesse una efficace e corretta manovra finanziaria.
    Le Regioni  Lombardia  e  Piemonte  hanno  impugnato  la  medesima
 disposizione  in  via  meramente  eventuale,  nel senso che, ove essa
 dovesse essere interpretata come vo'lta a prevedere l'assunzione solo
 parziale da parte dello Stato dell'onere di ammortamento dei mutui  a
 ripiano del disavanzo per gli anni 1987 e 1988, e non gia' come norma
 riguardante  la sola quota dei disavanzi della gestione sanitaria (45
 per cento) da ripianare attraverso mutui con oneri di ammortamento  a
 totale  carico  dello Stato, l'art. 1, primo comma, violerebbe l'art.
 81, quarto comma, e l'art. 119 della Costituzione, anche in relazione
 all'art. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e  all'art.  3,  sesto
 comma,   della  legge  14  giugno  1990,  n.  158,  in  quanto  dalla
 disposizone impugnata conseguirebbe l'addossamento alle regioni della
 parte residua.
    3. - Le Regioni Lombardia, Piemonte e Campania censurano  l'ultima
 parte  del  secondo  comma  dell'art.  1,  laddove si dispone che per
 l'assunzione dei mutui previsti dal primo comma dello stesso articolo
 non si applicano i limiti vigenti in materia  per  le  regioni  e  le
 province  autonome. Secondo le ricorrenti, ove fosse interpretata nel
 senso di ritenere che gli oneri relativi ai  mutui  disciplinati  dal
 primo  comma  concorrano  a determinare il "tetto" dell'indebitamento
 delle regioni, la disposizione impugnata lederebbe l'art.  119  della
 Costituzione,  dal momento che l'autonomia finanziaria ivi assicurata
 dovrebbe essere ritenuta comprensiva della garanzia  della  capacita'
 di   indebitamento,   nonche'   l'art.   81,   quarto   comma,  della
 Costituzione, in riferimento all'art. 26 della legge 5  agosto  1978,
 n.  468, e all'art. 3 della legge 14 giugno 1990, n. 158, dal momento
 che "l'assorbimento di una capacita' di indebitamento  residua  della
 regione  si tradurrebbe indirettamente in un accollo di un onere alla
 regione  per  la copertura dei deficit delle unita' sanitarie locali,
 nuovo onere cui non corrisponde l'attribuzione di nuove risorse".
    4. - La legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis, introdotto in
 sede di conversione, e' contestata sotto vari profili  dalle  Regioni
 Valle  d'Aosta,  Piemonte,  Lombardia,  Lazio, nonche' dalla Province
 autonome di Trento e di Bolzano.
    4.1. - Le nominate ricorrenti (ad  eccezione  della  Provincia  di
 Bolzano)  dubitano  che sia violato tanto il principio della certezza
 dei bilanci (art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione),  quanto
 l'autonomia  finanziaria - garantita alle regioni ordinarie dall'art.
 119 della Costituzione e a quelle speciali dai relativi  articoli  di
 Statuto  - per effetto della disposizione, contenuta nell'art. 2-bis,
 primo periodo, la quale prevede che le  eccedenze  di  spesa  per  il
 1989,  rispetto  alle  entrate  complessive  registrate  dalle unita'
 sanitarie locali e dagli altri enti del settore, siano coperte in via
 prioritaria  con  i  proventi  derivanti  dall'alienazione  totale  o
 parziale  dei  beni  patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della
 legge 23 dicembre 1978, n. 833, che non siano soggetti a  vincoli  di
 qualsiasi  natura (beni dei disciolti enti mutualistici attribuiti ai
 comuni con vincolo di destinazione alle unita' sanitarie locali; beni
 gia' di pertinenza degli enti  locali  con  destinazione  ai  servizi
 igienico-sanitari  trasferiti  ai  comuni con vincolo di destinazione
 alle   unita'   sanitarie    locali).    Secondo    le    ricorrenti,
 l'illegittimita'  costituzionale di tale disposizione deriverebbe dal
 fatto che essa porrebbe a carico delle regioni oneri la cui copertura
 sarebbe meramente eventuale e, comunque, fondata su beni appartenenti
 ai comuni e dei quali le regioni non avrebbero la disponibilita'.
    Le Regioni Lombardia e Piemonte e la Provincia autonoma di  Trento
 dubitano,  altresi',  che  sia violato il principio costituzionale di
 ragionevolezza, in quanto il meccanismo di ripianamento del disavanzo
 previsto dall'art. 2- bis del decreto-legge n. 262 del  1990  sarebbe
 palesemente  irrazionale  considerato che la riduzione del patrimonio
 non potrebbe non comportare una riduzione  delle  entrate  ovvero  un
 aumento  delle spese in relazione alla tipologia dei beni interessati
 alla alienazione.
    Le Regioni Lazio e Valle d'Aosta, nonche' la Provincia di  Trento,
 eccepiscono    l'illegittimita'    costituzionale    della   medesima
 disposizione anche in riferimento alle norme che  attribuiscono  loro
 la   competenza   legislativa  in  materia  di  beni  destinati  allo
 svolgimento delle funzioni  di  assistenza  sanitaria  e  ospedaliera
 (rispettivamente:  artt.  117 della Costituzione; 3 dello Statuto per
 la Valle d'Aosta; 9 dello Statuto per il Trentino-Alto  Adige).  Tale
 competenza,  peraltro gia' esercitata, risulterebbe lesa in relazione
 alla disciplina relativa all'alienazione dei beni patrimoniali  (pro-
 cedure, regole sul reimpiego del ricavato, etc.).
    4.2.  -  Le  Regioni Piemonte e Lombardia, nonche' la Provincia di
 Trento, impugnano altresi' l'art. 2-bis, secondo  periodo,  il  quale
 prevede  che  i disavanzi delle unita' sanitarie locali e degli altri
 enti sanitari non suscettibili di copertura mediante alienazione  dei
 beni siano ripianati attraverso operazioni di mutuo da stipularsi con
 gli  istituti  indicati  dal  Ministro  del  tesoro e alle condizioni
 stabilite  dallo  stesso  Ministro.   Tale   disposizione   lederebbe
 l'autonomia  finanziaria e contabile delle regioni, le quali non solo
 sarebbero tenute  a  indebitarsi,  ma  dovrebbero  farlo  anche  alle
 condizioni fissate dal Ministro.
    4.3.  - Le stesse ricorrenti di cui al punto precedente contestano
 la legittimita' costituzionale anche dell'art. 2-bis, terzo  periodo,
 il  quale dispone che agli oneri di ammortamento relativi ai mutui di
 cui al periodo precedente dello stesso  articolo,  valutati  in  lire
 1500 miliardi a decorrere dal 1993, le regioni debbano far fronte con
 specifiche  quote  del  Fondo sanitario nazionale all'uopo previste e
 vincolate a decorrere dall'anno 1993.  Secondo  le  ricorrenti,  tale
 disposizione  lederebbe  il  principio  della copertura del bilancio,
 desumibile  dall'art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione,  dal
 momento   che   al   relativo  onere  non  farebbe  riscontro  alcuna
 attribuzione di risorse, tale non potendosi considerare, per  la  sua
 genericita',  ipoteticita'  ed eventualita', il ricordato riferimento
 alle quote del Fondo sanitario nazionale.
    4.4.  -  Un'ultima  censura  all'art.  2-  bis  e'  formulata,  in
 relazione  all'ultimo periodo, dalle Regioni Valle d'Aosta, Piemonte,
 Lombardia, Lazio e dalle Province di Trento e di Bolzano.  Ad  avviso
 delle ricorrenti, la previsione di una commissione di vigilanza sugli
 atti  di  alienazione  "nominata dalla regione o provincia autonoma e
 presieduta da un magistrato delle giurisdizioni amministrative che si
 avvale  della  valutazione  dei  locali  uffici  tecnici   erariali",
 lederebbe  le  competenze  legislative  -  di  tipo  esclusivo per le
 regioni speciali e le province autonome (artt.  2,  lett.  a),  dello
 Statuto  della Valle d'Aosta; 8, n. 1, dello Statuto per il Trentino-
 Alto Adige) e di tipo concorrente per le regioni ordinarie (art.  117
 della Costituzione) - ed amministrative (art. 118 della Costituzione;
 art.  4  dello  Statuto  valdostano  e  art.  16 dello Statuto per il
 Trentino-Alto Adige) ad esse attribuite in materia di  organizzazione
 dei propri uffici.
    La  stessa disposizione e' censurata dalla Provincia di Bolzano in
 riferimento ai medesimi parametri, nonche' all'art. 54, primo  comma,
 n.  3 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, anche per la
 previsione che le commissioni di vigilanza  debbono  avvalersi  delle
 valutazioni  tecniche  degli  uffici  statali  anziche' di quelle dei
 corrispondenti uffici provinciali.
    5. - Tutte le ricorrenti contestano la legittimita' costituzionale
 dell'art. 3 sotto svariati profili.
    Tale articolo, al comma primo, stabilisce che le  regioni  possono
 autorizzare  le  unita'  sanitarie locali e gli altri enti gestori di
 servizi sanitari finanziati con quote del Fondo  sanitario  nazionale
 "ad  assumere  impegni  per  l'esercizio  finanziario  1990  anche in
 eccedenza agli stanziamenti di  parte  corrente  autorizzati  con  il
 bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di
 assoluta  urgenza  entro  limiti prequantificati dalle regioni stesse
 per ciascun ente". Nella formulazione originaria  del  decreto-legge,
 siffatto  meccanismo  autorizzatorio  era  collegato  a un sistema di
 ripianamento, previsto al terzo comma, in  base  al  quale  le  spese
 effettivamente sostenute a fronte delle autorizzazioni concesse dalle
 regioni  o  dalle  province autonome venivano finanziate dalle stesse
 regioni o province con  mezzi  propri  di  bilancio  ovvero  mediante
 l'alienazione  dei  beni  patrimoniali disponibili ovvero mediante la
 contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere,
 anche  in  deroga  alle  vigenti  disposizioni,  avvalendosi  per  la
 copertura  delle  relative  rate  di ammortamento anche delle entrate
 tributarie  previste dall'art. 6 della legge n. 158 del 1990. In sede
 di conversione l'art. 3 e' stato modificato al  terzo  comma  con  la
 previsione che le spese effettivamente sostenute in conseguenza delle
 autorizzazioni  di  cui  al  primo  comma sono assunte a carico delle
 regioni e delle province autonome  e  finanziate  con  operazioni  di
 mutuo  i  cui  oneri  di  ammortamento, fino alla concorrenza di lire
 90.000 per cittadino residente, sono a carico dello Stato, mentre  la
 differenza  residua  della  spesa,  per il 25 per cento, e' addossata
 alle regioni e alle province autonome, le quali vi provvedono con gli
 stessi mezzi gia' previsti nel testo originario del comma modificato,
 e, per il restante 75 per cento, viene coperta mediante  l'accensione
 di mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato.
    5.1. - Le ricorrenti, pur riconoscendo che le modifiche introdotte
 in   sede   di   conversione  siano  senz'altro  meno  gravose  delle
 disposizioni contenute nel testo originario, ritengono  tuttavia  che
 anche   alla  versione  definitiva  debbano  estendersi  i  dubbi  di
 legittimita'  costituzionale   fatti   valere   originariamente   nei
 confronti  del  decreto-legge,  i  quali  si  basano  sul  principio,
 presente nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui non possono
 essere addossati alle regioni oneri relativi a spese delle  quali  le
 stesse   regioni  non  hanno  alcuna  responsabilita'.  Ed  e'  noto,
 continuano le ricorrenti, che  la  spesa  sanitaria,  per  un  verso,
 dipende  da decisioni assunte al livello statale (spesa farmaceutica,
 convenzioni,  personale)  e,  per  altro  verso,   e'   legata   alla
 soddisfazione   di   esigenze   connesse   al  godimento  di  diritti
 fondamentali dei cittadini, primo fra tutti il  diritto  alla  salute
 garantito dall'art. 32 della Costituzione. Per tali ragioni e a causa
 della   insufficiente   stima  del  fabbisogno  del  Fondo  sanitario
 nazionale,   concludono   le   ricorrenti,   il   disavanzo   sarebbe
 inevitabile,  non quantificabile e non imputabile a scelte regionali.
 Di qui deriverebbe, dunque,  la  lesione  dell'autonomia  finanziaria
 garantita  alle  regioni  e  alle  province autonome (artt. 119 della
 Costituzione; titolo VI dello Statuto per il  Trentino-Alto  Adige  e
 legge 30 novembre 1989, n. 386; titolo III dello Statuto valdostano e
 legge  26  novembre  1981, n. 690; titolo V dello Statuto siciliano),
 nonche' la  violazione  delle  norme  costituzionali  attributive  di
 competenza  in materia sanitaria (artt. 117 e 118 della Costituzione,
 artt. 9, n.  10, e 16 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige; artt.
 3, lett. l), e 4 dello Statuto valdostano; art. 17,  lett.  b)  e  c)
 dello  Statuto  siciliano)  e  la  lesione del principio di copertura
 finanziaria (art.  81, quarto comma, della Costituzione) e di  quello
 di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione).
    5.2. - Inoltre, riguardo alla censura relativa all'art. 81, quarto
 comma,  della  Costituzione,  le ricorrenti, con varia accentuazione,
 rilevano come si sia in presenza di nuovi  oneri  per  le  regioni  e
 come,  quindi, la legge avrebbe dovuto prevederne idonea copertura. A
 loro avviso, quest'ultima non e'  affatto  assicurata  dall'impugnato
 art.  3, il quale, mentre riconoscerebbe che si tratta di nuovi oneri
 laddove indica nuovi mezzi di copertura, non provvederebbe tuttavia a
 fornire le risorse adeguate. Tali, infatti, non sarebbero, certo, gli
 ordinari mezzi di bilancio delle regioni (e delle province autonome),
 ne', la quota del  Fondo  sanitario  nazionale  all'uopo  prevista  e
 vincolata  di  cui  all'art.  3, comma 3-quater (essendo destinata ad
 altre spese sanitarie delle stesse regioni e province autonome),  ne'
 l'alienazione  dei  beni  patrimoniali  (che,  oltre  a  dover essere
 disposta dagli enti proprietari,  darebbe  luogo  a  una  diminuzione
 patrimoniale  o  a  minori entrate nel caso di beni da reddito), ne',
 tantomeno, le entrate tributarie previste dalla legge n. 158 del 1990
 (la quale, peraltro, non era applicabile  alla  data  di  entrata  in
 vigore  della legge di conversione del decreto impugnato, non essendo
 stati emanati a quella data i decreti legislativi delegati,  e  dalla
 quale, comunque, deriverebbero introiti inferiori ai disavanzi e agli
 oneri  di ammortamento da coprire). Queste ultime entrate tributarie,
 peraltro, non sarebbero riferibili alle regioni ad autonomia speciale
 e alle province autonome, poiche', come  sottolineano  le  difese  di
 tali  enti,  la  legge n. 158 del 1990 e' espressamente limitata alle
 regioni a statuto ordinario.
    Sulla predetta base, comune a  tutte  le  ricorrenti,  alcune  fra
 queste  ultime  innestano poi argomenti piu' particolari e profili di
 incostituzionalita' ulteriori, di cui si da' conto nei sottoparagrafi
 seguenti.
    5.3. - Le Regioni Toscana,  Lombardia,  Piemonte,  Emilia-Romagna,
 Sicilia   e  la  Provincia  autonoma  di  Trento  si  soffermano  sul
 significato da attribuire alla disposizione per la quale  le  regioni
 (e  le  province  autonome)  "possono  autorizzare"  l'assunzione  di
 impegni in eccedenza alla quota del Fondo  sanitario  spettante  alle
 unita' sanitarie locali.
    Premesso,  come  sottolinea in particolare la Regione Toscana, che
 l'imposizione di  un  onere  a  carico  delle  regioni  ad  esercizio
 finanziario 1990 ormai quasi concluso appare palesemente arbitraria e
 irrazionale,  questo  elemento  -  unito  al rilievo (sottolineato da
 tutte le ricorrenti indicate all'inizio di questo sottoparagrafo) che
 il    meccanismo    autorizzatorio    previsto    concerne     "spese
 improcrastinabili e di assoluta urgenza", e percio' non adottabili in
 base  a  scelte  discrezionali,  ma  inevitabili al fine del corretto
 espletamento del  servizio  sanitario  -  porterebbe  alla  ulteriore
 conclusione,   esplicitata   soprattutto  dalle  Regioni  Piemonte  e
 Lombardia, che l'autorizzazione regionale non sembra essere una  vera
 e  propria  autorizzazione a spendere, ma appare piuttosto consistere
 in una mera autorizzazione a contabilizzare e a pagare spese e debiti
 gia' assunti. Si tratterebbe, pertanto, non gia'  di  un  insieme  di
 misure  volte  al  contenimento  della  spesa sanitaria, ma piuttosto
 della  ripartizione  tra  Stato  e  regioni  di  un  disavanzo   gia'
 verificatosi,  disavanzo  che, anche se non fosse "autorizzato" dalle
 regioni, ricadrebbe sullo Stato,  titolare  di  un  servizio  (quello
 sanitario)  di  cui le regioni sono semplicemente enti organizzatori.
 Se cosi' e', come ha in particolare osservato la  Regione  Siciliana,
 la  prevista  "autorizzazione" non sarebbe altro che "un mero atto di
 controllo  preventivo  dello  Stato  affidato  alle   regioni   sulla
 rispondenza delle spese alle caratteristiche con le quali la norma le
 ha qualificate".
    Ne'  varrebbe  obiettare,  come  precisa in particolare la Regione
 Emilia-Romagna,  che,  poiche'  alle  regioni  viene   fatto   carico
 "soltanto"  di una quota pari a circa il 20 per cento del deficit, si
 sarebbe  rispettato  in  tal  modo  il   principio   presente   nella
 giurisprudenza costituzionale, secondo il quale allo Stato deve esser
 addossata   la   parte  essenziale  della  spesa  sanitaria,  ma  non
 necessariamente tutta la spesa. Infatti, a parte il  rilievo  che  si
 tratterebbe comunque di una cifra elevata per enti aventi una finanza
 sostanzialmente  derivata,  in  realta'  si  potrebbe far carico alle
 regioni di quella parte che,  diversamente  dal  caso  in  questione,
 potrebbe  essere  imputata all'esercizio o al mancato esercizio delle
 potesta' regionali sulla base di criteri  prestabiliti,  verificabili
 e, comunque, ragionevoli.
    5.4.  -  La  Regione  Valle  d'Aosta  prospetta  alcuni profili di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  non  sollevati  da  altre
 ricorrenti.  Oltre  alla  lesione  dei  parametri  gia'  indicati, la
 predetta Regione deduce la violazione degli artt. 38, quarto comma, e
 116 della Costituzione, nonche'  degli  artt.  6  e  12  del  proprio
 Statuto.
    Mentre  l'art.  116  della  Costituzione viene invocato come norma
 posta generalmente a tutela della  specialita'  dell'autonomia  della
 ricorrente,   l'art.  38,  quarto  comma,  della  Costituzione  viene
 specificamente  invocato  sul  presupposto   che   l'assistenza   per
 malattia,  rientrando pacificamente nella sicurezza sociale, dovrebbe
 essere annoverato fra le attivita' la cui  soddisfazione  costituisce
 un  dovere  costituzionale  dello  Stato  (v.  sent. n. 91 del 1972).
 Sicche', considerato che la Valle  d'Aosta  ha  potesta'  legislativa
 integrativa e attuativa soltanto riguardo all'assistenza ospedaliera,
 appare  illegittimo  l'obbligo  di  ripianamento dei disavanzi per un
 servizio i cui costi dovrebbero invece gravare, per l'art. 38,  sullo
 Stato.
    Inoltre,  la  Regione Valle d'Aosta deduce la violazione dell'art.
 12 del proprio Statuto, il quale dispone che per provvedere  a  scopi
 determinati  che  non  rientrano  nelle funzioni normali della Valle,
 come nel caso del ripianamento del  deficit  delle  unita'  sanitarie
 locali,  lo  Stato  assegna  con legge alla stessa Regione contributi
 speciali.
    5.5. - Censure piu' particolari avverso il medesimo  art.  3  sono
 state  prospettate  dalla  Regione  Siciliana,  la quale - oltre alla
 lesione dei parametri costituzionali sul  bilancio  e  sull'autonomia
 finanziaria  (artt.  81  e  119)  e  a quelli statutari sulle proprie
 potesta' in materia di sanita', di deliberazione sui bilanci, di beni
 patrimoniali disponibili, di autonomia finanziaria e di  assorbimento
 delle   entrate   dovute  dallo  Stato  a  titolo  di  contributo  di
 solidarieta' (artt. 17, lettere b) e c), 19, 34, 36, 38) -  prospetta
 la lesione degli artt. 32 e 97 della Costituzione. Il primo, infatti,
 sarebbe  violato  in  quanto,  nel tutelare la salute, oltreche' come
 diritto   fondamentale,   come   interesse    della    collettivita',
 collettivita'  che  non  puo'  essere  impersonata  che  dallo Stato,
 comporterebbe  l'obbligo  di  quest'ultimo   di   sostenere   l'onere
 finanziario  per  assicurare la salute dei cittadini. L'art. 97 della
 Costituzione sarebbe,  invece,  violato  in  quanto  le  disposizioni
 impugnate   mortificherebbero   il   principio   del  buon  andamento
 dell'azione amministrativa ivi sancito.
    6. - In tutti i giudizi promossi tanto nei confronti del  decreto-
 legge  quanto nei confronti della relativa legge di conversione si e'
 costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere  che
 le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.
    Dopo   aver  ricordato  che  gli  attiimpugnati  costituiscono  il
 completamento di una complessiva manovra, avviata con la legge n.  37
 del  1989, vo'lta a realizzare il contenimento della spesa sanitaria,
 l'Avvocatura dello Stato rileva, in via generale, che il  riferimento
 all'art.  81,  quarto  comma, della Costituzione, operato da tutte le
 ricorrenti  in  relazione  a  ciascuna  censura,  sarebbe  del  tutto
 improprio,  dal  momento  che,  ad avviso della parte resistente, nel
 caso "non si tratta della copertura di maggiori spese derivanti dalla
 nuova legge (.. .. ..),  ma  del  ripianamento  di  oneri  finanziari
 derivanti  dal  vertiginoso  accrescersi  delle spese per il servizio
 sanitario nazionale", dovuto a "un complesso di  ragioni  sociali  ed
 economiche sopravvenute e non prima prevedibili".
    Con  riferimento alle censure mosse all'art. 1, l'Avvocatura dello
 Stato, riprendendo un'interpretazione prospettata nel  ricorso  della
 Regione  Emilia-Romagna,  osserva  che  l'articolo impugnato contiene
 disposizioni dirette, non gia' a modificare  retroattivamente,  ma  a
 completare  l'intervento  finanziario statale per l'integrale ripiano
 dei disavanzi delle unita' sanitarie locali per il biennio 1987-1988,
 gia' avviato con il decreto-legge n. 382 del 1989,  convertito  nella
 legge n. 8 del 1990.
    In  relazione  all'art.  2-bis, introdotto in sede di conversione,
 l'Avvocatura dello Stato rileva che  la  previsione  della  copertura
 delle  eccedenze di spesa per il 1989 mediante l'alienazione dei beni
 patrimoniali indicati negli artt. 61, 65 e 66 della legge n. 833  del
 1978  non  potrebbe  essere  considerata  lesiva di alcuna competenza
 regionale  (o  provinciale),  dal  momento  che  si  tratta  di  beni
 appartenenti  al  patrimonio  dei  comuni, e non gia' delle regioni o
 delle province autonome, beni che non sono direttamente destinati  al
 soddisfacimento  delle  finalita'  sanitarie  e ospedaliere. Sicche',
 conclude sul punto l'Avvocatura, "l'attivita' di coordinamento locale
 chiesta in merito  dal  legislatore  alle  regioni  e  alle  province
 autonome,  appare  pienamente  in linea con le prerogative degli enti
 ricorrenti".
    Riguardo alle censure formulate  avverso  l'art.  3,  l'Avvocatura
 dello Stato osserva che tale articolo "ha soltanto facoltizzato e non
 obbligato  le  regioni  e le province autonome ad assumere impegni in
 eccedenza agli stanziamenti  di  bilancio  entro  peraltro  i  limiti
 prequantificati  dalle medesime regioni per spese improcrastinabili e
 di  assoluta   urgenza".   Ne   consegue,   per   l'Avvocatura,   che
 l'applicabilita'   della   preettta   disposizione   "e'   ovviamente
 subordinata alle autonome  valutazioni  regionali  e  provinciali  di
 recepire  o  meno l'invito a cooperare attivamente e responsabilmente
 in  un  settore,  qual'e'   quello   sanitario,   caratterizzato   da
 particolari  rapporti  fra  le varie specie di enti ed organizzazioni
 cooperanti  ed  interagenti  nella  medesima  materia".  E,  conclude
 l'Avvocatura,   proprio   perche'   contiene  disposizioni  meramente
 autorizzatorie, prive di alcuna efficacia impositiva di nuovi oneri e
 dirette al fine di rispettare le scelte delle regioni,  l'art.  3  ha
 coerentemente  indicato  tutte  le possibili forme di copertura della
 maggior spesa sanitaria verificatasi per il 1990.
    In  altre  parole,  prosegue  la  resistente,  di  fronte   a   un
 vertiginoso espandersi della spesa sanitaria, il legislatore, dovendo
 bilanciare  vari  interessi  di  carattere  primario,  ha  scelto  di
 autorizzare le regioni ad  adottare  autonome  scelte,  prevedendo  i
 necessari mezzi tecnici e procedimentali per il caso in cui le stesse
 regioni  addivengano  alle determinazioni previste dalle disposizioni
 impugnate. Ne'  e'  vera,  ad  avviso  dell'Avvocatura  dello  Stato,
 l'affermazione  delle  ricorrenti  secondo  la  quale  le regioni non
 avrebbero alcun  potere  di  controllo  sulla  spesa  sanitaria,  dal
 momento   che   gli  oneri  che  le  regioni  possono  addossarsi  in
 conseguenza   dell'applicazione   dell'art.   3    sarebbero    tutti
 controllabili in quanto strettamente connessi alle verifiche che esse
 sono  tenute  a compiere sulle unita' sanitarie locali. In ogni caso,
 conclude l'Avvocatura, poiche' la percentuale del disavanzo  presunto
 per  il 1990 deriverebbe da impegni autorizzati dalle regioni o dalle
 province  autonome  in  eccedenza  agli  stanziamenti  (e,  pertanto,
 riguarderebbe  parte  di  una  spesa  che  un'accurata  gestione  dei
 controlli in sede locale potrebbe  annullare  o  contenere),  sarebbe
 fuori  luogo affermare che l'art. 3 addossa alle regioni e alle prov-
 ince autonome una quota di spesa  sanitaria  che  dovrebbe  essere  a
 carico dello Stato.
    In  ordine  alle  piu'  particolari  censure mosse dalle regioni a
 statuto speciale e dalle province autonome in riferimento alle  norme
 statutarie che le riguardano, l'Avvocatura dello Stato osserva che le
 predette  regioni  e province autonome sono legittimate a svolgere la
 propria attivita' legislativa d'integrazione e  di  attuazione  nella
 materia   in   questione  ove  ritengano  di  voler  concorrere  alla
 solidarieta' richiesta, ma non imposta, dal legislatore.
    7. - Con ricorso notificato il 19 dicembre 1990 e depositato il  7
 gennaio   1991,   la   Regione   Marche  ha  sollevato  conflitto  di
 attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto  legge
 n.  262 del 1990, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, e,
 in particolare, all'art. 3 del medesimo decreto come risultante  dopo
 la conversione.
    Secondo   la  ricorrente,  la  lesione  delle  proprie  competenze
 deriverebbe dal fatto  che  l'atto  impugnato  pone  a  carico  delle
 regioni,  al  termine di un esercizio finanziario, spese ed oneri non
 previsti  e  non  prevedibili  all'inizio  dello  stesso   esercizio,
 trattandosi  di  oneri  cui  avrebbe dovuto far fronte interamente il
 Servizio sanitario nazionale. In secondo luogo, l'atto  impugnato  si
 porrebbe  contro  i principi cui si ispira la disciplina del Servizio
 stesso, tanto piu' che la spesa eccedentaria rispetto alle previsioni
 per il 1990 riguarda la parte corrente e non  e'  connessa  ad  alcun
 intervento  o mancato intervento delle regioni, ma e' imputabile allo
 Stato, il quale, per un verso, ha sottostimato le previsioni di spesa
 e, per un altro, ha adottato provvedimenti  che  hanno  aumentato  il
 volume della spesa per il 1990.
    8.  -  Anche  nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione si e'
 costituito il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  il  quale  ha
 svolto  difese  identiche  a  quelle contenute nei precedenti atti di
 costituzione (v. punto n. 6).
    9.  -  In  prossimita'  dell'udienza  hanno  depositato  ulteriori
 memorie  difensive  le  Regioni  Toscana,  Valle  d'Aosta,  Piemonte,
 Lombardia,  Emilia-Romagna,  Liguria,  Lazio,  nonche'  le   Province
 autonome di Trento e di Bolzano, le quali, oltre a ribadire argomenti
 gia' svolti nei primi scritti difensivi, ne hanno formulato di nuovi.
    Pressoche'    tutte   le   ricorrenti,   al   fine   di   ribadire
 l'irrazionalita' del sistema  previsto,  sottolineano,  innanzitutto,
 come  il  provvedimento  impugnato configuri in realta' un intervento
 "tampone"  vo'lto  ad   addossare   retroattivamente   ad   esercizio
 finanziario quasi concluso oneri relativi a disavanzi gia' formatisi.
 Questo  elemento,  se, per un verso, dimostrerebbe come sia improprio
 parlare di autorizzazione o di facolta' di effettuare  le  operazioni
 previste,   trattandosi   piuttosto  di  un  potere-dovere,  come  lo
 definisce  la  Regione  Liguria,   comportante   scelte   per   nulla
 discrezionali  collegate  a  spese  improcrastinabili  e  di assoluta
 urgenza, per altro verso, proverebbe l'arbitrarieta' con cui e' stata
 determinata la quota di spesa sanitaria posta a carico delle regioni,
 tanto  piu'  se  si  considera  che  il  costo  medio  pro-capite  e'
 sensibilmente   superiore  alle  90.000  lire  indicate  nel  decreto
 impugnato (solo due regioni sarebbero,  infatti,  attestate  su  tale
 livello).  Allo  stesso  fine,  le  ricorrenti  e, in particolare, la
 Regione Toscana, rilevano l'irrazionalita' della previsione di  mutui
 per  ripianare  spese  correnti  -  previsione  che  comporterebbe un
 inutile spreco di denaro pubblico, con violazione dell'art. 97  della
 Costituzione - nonche' l'arbitrarieta' dell'obbligo per le regioni di
 quantificare  per ogni ente le spese fatte prima di procedere a nuove
 autorizzazioni,  trattandosi  di  adempimenti  che   e'   impossibile
 espletare prima della fine dell'esercizio.
    In  replica  alle  osservazioni  dell'Avvocatura  dello  Stato  in
 riferimento alle censure relative all'art. 81,  quarto  comma,  della
 Costituzione,  le  ricorrenti, e in particolare le Regioni Piemonte e
 Lombardia, nonche' la Provincia di Trento, rilevano che, ai fini  del
 rispetto  del  predetto  precetto costituzionale, appare indifferente
 che un onere venga evidenziato realisticamente per  attivita'  ancora
 da  svolgere  ovvero  che  venga disposto a posteriori il ripiano dei
 disavanzi,  essendo  rilevante,  piuttosto,  che  nel   provvedimento
 adottato non risulti la contestuale previsione di idonea copertura o,
 quantomeno,  non  sussista un'adeguata garanzia circa l'entita' della
 quota aggiuntiva del Fondo sanitario nazionale  che  a  quegli  oneri
 dovrebbe far fronte.
    Infine,  la Regione Emilia-Romagna insiste soprattutto sul rilievo
 che   non   potrebbe   propriamente   parlarsi   di   una   specifica
 responsabilita'  delle regioni per la spesa sanitaria laddove non sia
 possibile per queste ultime esperire idonei controlli (anziche'  meri
 controlli  di legittimita'), mentre la Regione Lazio ribadisce che lo
 Stato non  potrebbe  autorizzare  la  vendita  di  beni  immobili  di
 proprieta' dei comuni, beni che, pertanto, potrebbero essere alienati
 dai proprietari stessi, salva l'intesa con la regione (come prescrive
 appunto una legge vigente nella stessa regione ricorrente).
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le Regioni a statuto ordinario Toscana, Liguria, Lombardia,
 Piemonte, Emilia-Romagna  e  la  Regione  a  statuto  speciale  Valle
 d'Aosta  hanno  presentato distinti ricorsi con i quali contestano la
 legittimita' costituzionale del decreto-legge 15 settembre  1990,  n.
 262,  intitolato  "Misure  urgenti per il finanziamento della maggior
 spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988, e disposizioni per il
 finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa al 1990".
    Le stesse Regioni, nonche' le Regioni Campania, Lazio e Sicilia, e
 le Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  hanno  presentato
 distinti  ricorsi  di legittimita' costituzionale avverso la legge 19
 novembre 1990, n. 334, che ha convertito in legge, con  modificazioni
 ed integrazioni, il predetto decreto-legge.
    Infine,  la  Regione Marche, con ricorso notificato il 19 dicembre
 1990 e depositato il  7  gennaio  1991,  ha  sollevato  conflitto  di
 attribuzione  nei  confronti  dello  Stato  in  relazione allo stesso
 decreto-legge n. 262 del 1990, convertito  nella  legge  n.  334  del
 1990.
    Poiche'  tutti  i ricorsi menzionati hanno ad oggetto disposizioni
 identiche o fra loro connesse, contenute nel decreto-legge n. 262 del
 1990, convertito con modificazioni nella legge n.  334  del  1990,  i
 relativi  giudizi  possono  essere trattati congiuntamente per essere
 decisi con un'unica sentenza.
    2. - Non fondata e' la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 262 del 1990, articolo
 che  e'  stato  convertito senza modificazioni dalla legge n. 334 del
 1990.
    Nel riferirsi alla "maggior spesa sanitaria di cui all'art. 4  del
 decreto-legee   25   novembre   1989,   n.   382,   convertito,   con
 modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, non coperta con  le
 operazioni  di finanziamento ivi previste", la disposizione impugnata
 stabilisce che il disavanzo cosi' risultante (relativo agli anni 1987
 e 1988) va finanziato "mediante ulteriori operazioni  di  mutuo,  con
 onere  di  ammortamento  a  carico  del bilancio dello Stato, entro i
 limiti  del  20  per  cento  e  del  25  per   cento   da   assumere,
 rispettivamente,  entro gli anni 1990 e 1991 da parte delle regioni e
 delle province  autonome  con  le  aziende  ed  istituti  di  credito
 ordinario  e  speciale,  individuati  ai  sensi  dell'art.  4,  comma
 secondo, lettera b), del citato decreto-legge 25  novembre  1989,  n.
 382,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n.
 8, e secondo condizioni, durata e modalita' stabilite ai sensi  della
 predetta disposizione".
    Ad  avviso  delle  Regioni  Toscana  e  Lazio, la disposizione ora
 riferita violerebbe gli artt.  3,  81,  quarto  comma,  e  119  della
 Costituzione,  sia in quanto limiterebbe retroattivamente il concorso
 dello Stato al ripiano del disavanzo  sanitario  relativo  agli  anni
 1987  e  1988  senza  alcuna  ragionevole motivazione e senza che sia
 intervenuto, a partire dalla data di entrata in vigore del precedente
 decreto-legge n. 382 del 1989, alcun fatto nuovo giustificativo della
 ricordata limitazione, sia in quanto addosserebbe  ai  bilanci  delle
 regioni  oneri  non  imputabili  a decisioni di queste ultime e privi
 della relativa  copertura  finanziaria.  Sulla  base  di  un'identica
 interpretazione  dell'art.  1,  primo comma, quest'ultimo e' altresi'
 impugnato con analoghi argomenti  dalla  Regione  Valle  d'Aosta,  la
 quale  invoca  come  parametri  di legittimita' costituzionale che si
 presumono  violati  gli  artt.  81,  quarto  comma,   e   116   della
 Costituzione,  nonche'  il  titolo  III  del proprio Statuto speciale
 (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4).
    La stessa disposizione contenuta  nell'art.  1,  primo  comma,  e'
 impugnata  in  via  eventuale  dalle  Regioni Lombardia e Piemonte le
 quali  ipotizzano  la  violazione  del  principio   della   copertura
 finanziaria  (art. 81, quarto comma, in riferimento anche all'art. 26
 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e all'art. 3 della legge 14 giugno
 1990,  n.  158)  e  dell'autonomia  finanziaria   (art.   119   della
 Costituzione),  ove  la  disposizione  impugnata  fosse interpretata,
 contrariamente  a  quel  che  appare,  come  vo'lta  a  limitare   il
 prestabilito   accollo,   da   parte  dello  Stato,  degli  oneri  di
 ammortamento dei mutui diretti al ripiano del disavanzo  della  spesa
 sanitaria relativo agli anni 1987 e 1988.
    Una censura particolare e', infine, proposta dalla Regione Toscana
 nei  confronti  del  medesimo articolo 1, primo comma, in riferimento
 all'art. 97 della Costituzione, perche' l'addossamento  alle  regioni
 di  nuovi  oneri,  con effetto immediato, impedirebbe alle stesse una
 efficace e corretta manovra finanziaria.
    Nessuna delle censure appena riferite puo' essere accolta  poiche'
 non  si  puo' condividere l'interpretazione dell'art. 1, primo comma,
 del decreto-legge n. 262 del 1990, sulla quale si sorreggono le rela-
 tive impugnazioni. Come ha affermato l'Avvocatura dello Stato, l'art.
 1, primo comma, e' chiaramente diretto a  completare  la  manovra  di
 ripianamento  del  disavanzo sanitario relativo al 1987 e al 1988 che
 era stata avviata con il precedente decreto-legge n.  382  del  1989,
 convertito nella legge n. 8 del 1990. Quest'ultimo, infatti, all'art.
 4, secondo comma, prevedeva la copertura del disavanzo mediante mutui
 con   oneri  di  ammortamento  a  carico  del  bilancio  dello  Stato
 limitatamente al 20 per cento con operazioni  di  mutuo  da  attivare
 entro  il  31  dicembre  1989  e  al  35  per cento con operazioni da
 attivare nell'anno 1990. In altri termini, la misura  dell'intervento
 previsto  dal precedente decreto-legge riguardava complessivamente il
 55 per cento del disavanzo prodottosi  nella  spesa  sanitaria  negli
 anni   1987-1988.  La  disposizione  impugnata,  invece,  prevede  un
 intervento finanziario diretto a coprire il restante 45 per cento del
 disavanzo della spesa  sanitaria  degli  stessi  anni,  come  risulta
 chiaramente dal rilievo che la misura dell'intervento ivi configurato
 e'  limitato  al  20  per  cento  del  disavanzo per le operazioni da
 assumere nel 1990 e al 25 per cento per quelle da attivare nel  1991.
 Sicche'  deve escludersi che l'art. 1, primo comma, del decreto-legge
 impugnato  preveda  un   intervento   finanziario   sostitutivo   del
 precedente  o,  comunque,  diretto  a  modificare  (retroattivamente)
 quello  gia'  disposto.  Al  contrario,  l'intervento  contestato  si
 aggiunge  e  integra  il  precedente  senza  comportare  alcun  onere
 aggiuntivo a carico  dei  bilanci  delle  regioni  o  delle  province
 autonome,  di  modo  che  viene meno la premessa interpretativa sulla
 quale si basano tutte le censure mosse all'art. 1, primo  comma,  del
 decreto-legge n. 262 del 1990.
    3.   -   Non   fondata  e'  anche  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo comma,  ultimo  periodo,  laddove
 dispone che, in relazione alle operazioni di cui al comma precedente,
 "non  si  applicano i limiti per l'assunzione di mutui previsti dalle
 vigenti disposizioni per le regioni e le province autonome".
    Secondo  le  Regioni  Lombardia,   Piemonte   e   Campania,   tale
 disposizione,  potendo  essere  interpretata  nel  senso  che i mutui
 assumibili a norma dell'art. 1, primo comma, concorrono a determinare
 il "tetto" di indebitamento delle regioni stesse, verrebbe  a  ledere
 l'autonomia finanziaria costituzionalmente assicurata alle ricorrenti
 (art.   119   della   Costituzione),   sotto  specie  di  illegittima
 limitazione alla capacita' di indebitamento delle  medesime  regioni,
 nonche'  l'art.  81, ultimo comma, della Costituzione, in riferimento
 agli artt. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 3 della  legge  14
 giugno  1990,  n.  158,  in  quanto  l'eventuale  compressione  della
 capacita' di indebitamento si tradurrebbe in un accollo alle  regioni
 dell'onere  per  la  copertura  dei  deficit  delle  unita' sanitarie
 locali, onere  al  quale  non  corrisponde  l'attribuzione  di  nuove
 risorse.  Anche  in tal caso, tuttavia, l'interpretazione dalla quale
 muovono le ricorrenti non  puo'  essere  ascritta  alla  disposizione
 impugnata.  Quest'ultima,  infatti,  ha chiaramente il significato di
 escludere che i mutui assunti a norma del  comma  precedente  possano
 essere  computati  tra  quelli  in  relazione  ai quali sono previsti
 limiti alla capacita' di indebitamento.
    Piu'  precisamente,  in  considerazione   del   rilievo   che   la
 legislazione  vigente  preclude alle regioni di assumere mutui per il
 finanziamento di spese correnti (v.: art. 10 della  legge  16  maggio
 1970,  n.  281; art. 22 della legge 19 maggio 1976, n. 335), l'art. 1
 del decreto-legge impugnato, dopo aver  autorizzato  l'accensione  di
 mutui  per  il ripiano del disavanzo, si limita a esplicitare, con la
 disposizione in esame, l'estraneita' dei predetti mutui a quelli  per
 i   quali   e'   ammesso   l'indebitamento   regionale   e,   quindi,
 l'inapplicabilita' dei limiti relativi a quest'ultimo. Del resto,  in
 relazione   a   mutui,  come  quelli  considerati,  i  cui  oneri  di
 ammortamento sono a totale carico  dello  Stato,  non  avrebbe  senso
 affermare   l'applicabilita'   dei  limiti  legali  di  indebitamento
 previsti per le regioni, non essendo queste  ultime  i  soggetti  sui
 quali  viene  addossato il relativo carico finanziario. Di qui deriva
 la  non  fondatezza  di  qualsivoglia  dubbio  relativo  all'asserito
 contrasto  della  disposizione  impugnata con l'autonomia finanziaria
 garantita alle regioni dall'art. 119  della  Costituzione  e  con  il
 principio di cui all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione.
    4.   -  Non  fondate  sono  le  varie  questioni  di  legittimita'
 costituzionale che numerose ricorrenti hanno sollevato  in  relazione
 all'art.  2-bis, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 334
 del 1990.
    4.1. - L'art. 2- bis e' impugnato  dalle  Regioni  Valle  d'Aosta,
 Piemonte,  Lombardia,  Lazio  e dalla Provincia autonoma di Trento in
 relazione al primo periodo, laddove si dispone che "le  eccedenze  di
 spesa  rispetto  alle  entrate  complessive,  registrate dalle unita'
 sanitarie locali e dagli altri enti che erogano assistenza  sanitaria
 per  l'esercizio 1989, sono coperte in via prioritaria con i proventi
 derivanti dall'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di
 cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833,  non
 soggetti a vincoli di qualsiasi natura".
    Secondo  le  menzionate  ricorrenti,  la disposizione impugnata si
 porrebbe in contrasto tanto con le norme  costituzionali  attributive
 di  competenza in materia sanitaria e di disposizione dei propri beni
 patrimoniali (art. 117 della Costituzione, artt. 3,  lett.  l)  e  4,
 primo  comma, dello Statuto della Valle d'Aosta, artt. 9, n. 10, e 16
 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige) quanto con  i  principi  di
 certezza  dei  bilanci  (art. 81 della Costituzione) e dell'autonomia
 finanziaria (art. 119 della Costituzione; art. 3, lett. f)  e  titolo
 III dello Statuto della Valle d'Aosta; titolo VI dello Statuto per il
 Trentino-Alto  Adige  e  legge 30 novembre 1989, n. 386), dal momento
 che addosserebbe alle regioni oneri  la  cui  copertura  risulterebbe
 meramente eventuale, essendo legata all'alienazione di beni dei quali
 le  regioni  non  avrebbero  alcuna disponibilita' e che in ogni caso
 sono stati trasferiti ai comuni  con  vincolo  di  destinazione  alle
 unita' sanitarie locali. La stessa disposizione e' altresi' impugnata
 dalla   Provincia  autonoma  di  Trento  per  lesione  della  propria
 autonomia finanziaria e patrimoniale (titolo VI dello Statuto per  il
 Trentino-Alto  Adige),  dal  momento  che  i  beni  di cui si dispone
 l'alienazione   apparterrebbero,    secondo    le    norme    vigenti
 nell'ordinamento    provinciale,   al   patrimonio   della   medesima
 ricorrente. Infine, la  disposizione  in  esame  e'  impugnata  dalle
 Regioni  Lombardia  e  Piemonte,  nonche' dalla Provincia autonoma di
 Trento,  sotto  il  profilo  della  violazione   del   principio   di
 ragionevolezza, sul presupposto che un meccanismo di ripianamento del
 disavanzo  come  quello  previsto sarebbe palesemente irrazionale, in
 quanto alla riduzione del patrimonio degli enti interessati  dovrebbe
 conseguire  una  riduzione  delle entrate (nel caso di alienazione di
 beni  da  reddito)  ovvero  un  aumento  delle  spese,  dovuto   alla
 sostituzione  dei  beni alienati con altri diretti all'uso cui quelli
 erano destinati.
    Siffatte prospettazioni non possono essere condivise.
    Contrariamente a quanto suppongono le ricorrenti, la  disposizione
 impugnata,  nel prevedere l'alienazione dei beni indicati negli artt.
 61, 65 e 66 della legge n. 833 del 1978 "non soggetti  a  vincoli  di
 qualsiasi  natura",  pone  una  norma  piu'  limitativa rispetto alla
 generale possibilita' di alienazione dei beni  patrimoniali  indicati
 negli  articoli appena citati, nel senso che, ai fini della copertura
 del disavanzo relativo al 1989, considera, non gia' tutti i beni  una
 volta  appartenenti  a  enti che prima del 1979 esercitavano forme di
 assistenza sanitaria, ma soltanto quelli fra i beni  suddetti  che  a
 tale vincolo (come ad altri vincoli) siano sottratti o, comunque, non
 siano   soggetti.   In  altri  termini,  oggetto  della  disposizione
 impugnata  e'  l'alienazione  di  beni  provenienti  dagli  enti  che
 erogavano   prestazioni   sanitarie   che,  prima  del  decreto-legge
 impugnato, erano interessati al programma pluriennale  di  interventi
 sul  patrimonio sanitario pubblico, di cui all'art. 20 della legge 11
 marzo 1988, n. 67, e al d.m. 29 agosto 1989, n. 321, finalizzato alla
 ristrutturazione edilizia, ammodernamento tecnologico e realizzazione
 di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti.
    Rispetto a  tali  beni  la  disposizione  impugnata  si  limita  a
 stabilire che, nel reperire i mezzi finanziari necessari al disavanzo
 sanitario  relativo  all'esercizio  1989, la regione (o la provincia)
 dovra' fare riferimento prioritario ai  beni  da  ultimo  menzionati,
 sempreche'  ovviamente siano attualmente posseduti dai comuni situati
 nel proprio territorio o, nel caso della Provincia di  Trento,  dalla
 Provincia  medesima  o  dai comprensori. L'art. 2-bis, primo periodo,
 pertanto, lascia del tutto impregiudicate le regole  e  le  procedure
 vigenti  a proposito dell'alienazione dei predetti beni patrimoniali,
 ne' impone in alcun modo alle regioni lo svincolo degli  stessi  beni
 dalla loro attuale destinazione per far fronte alle esigenze connesse
 al  servizio  sanitario.  In sostanza, mentre gli artt. 65 e 66 della
 legge n. 833 del 1978 prevedono "il reimpiego e il reinvestimento  in
 opere  di  realizzazione e di ammodernamento dei presidi sanitari dei
 capitali  ricavati"  dalla  alienazione  dei  beni   svincolati,   la
 disposizione  impugnata  pone semplicemente una direttiva di politica
 finanziaria  che  impegna  le  regioni  e   le   province   autonome,
 allorquando  raccolgano  le  risorse  necessarie  per  provvedere  al
 ripiano del disavanzo relativo al 1989, a reperire prioritariamente i
 fondi occorrenti attraverso l'alienazione  dei  beni  indicati  negli
 artt.  65  e  66 della legge n. 833 del 1978 che non siano soggetti a
 vincoli di qualsiasi natura, compreso quello della destinazione  alle
 unita' sanitarie locali.
   Sotto questo profilo, l'art. 2-bis, primo periodo, integra, seppure
 in  via  del  tutto temporanea e straordinaria, il disposto contenuto
 negli artt. 65, secondo comma, e 66, ultimo comma, della legge n. 833
 del 1978, i quali riservano al legislatore regionale (o  provinciale)
 la  disciplina della destinazione, del reimpiego e del reinvestimento
 dei proventi  dell'eventuale  alienazione  dei  beni  indicati  negli
 stessi   articoli,  anteponendo  la  finalita'  della  riduzione  del
 disavanzo delle unita' sanitarie  locali  al  reimpiego  delle  somme
 ricavate dalla vendita dei beni svincolati.
    Sulla  base  delle  considerazioni  svolte,  non  sono  fondate le
 censure mosse dalle ricorrenti all'art.  2-bis,  primo  periodo,  dal
 momento  che non possono considerarsi lese le competenze regionali (e
 provinciali) in materia sanitaria e quelle relative alla disposizione
 del  proprio  patrimonio.  Ne'  puo'  ritenersi  violata  l'autonomia
 finanziaria  regionale  (e  provinciale)  da una disposizione che, di
 fronte a un disavanzo che incide pesantemente  sul  deficit  pubblico
 nazionale,  da'  priorita'  al suo risanamento rispetto a progetti di
 reimpiego e reinvestimento. Ne', tantomeno, puo'  riconoscersi  alcun
 fondamento  alla  pretesa  lesione  dell'art. 81, quarto comma, della
 Costituzione, poiche', di fronte a una disposizione che stabilisce un
 ordine prioritario nel reperimento delle risorse  da  utilizzare  per
 coprire  un  disavanzo  di  spesa, non puo' correttamente parlarsi di
 legge di spesa ai sensi del ricordato art. 81.
    4.2.  -  Priva  di  fondamento  e'  altresi'   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale che le Regioni Lombardia e Piemonte e la
 Provincia autonoma di Trento hanno sollevato nei confronti  dell'art.
 2-bis,  secondo  periodo,  laddove  si dispone che "i disavanzi delle
 unita' sanitarie locali e degli altri  enti  che  erogano  assistenza
 sanitaria  che  non  dispongono  di beni patrimoniali alienabili e le
 eventuali eccedenze che non sia possibile coprire con le  alienazioni
 di  cui  sopra,  determinati  dalle  regioni  e province autonome con
 criteri e modalita' da  definirsi  con  decreto  del  Ministro  della
 sanita'  di  concerto  con  quello  del  tesoro, sono ripianati dalle
 regioni mediante  operazioni  di  mutuo,  da  stipulare  nel  secondo
 semestre  dell'anno  1992,  con  le aziende e gli istituti di credito
 ordinario e speciale individuati da apposito decreto del Ministro del
 tesoro, che ne definisce anche la durata e le modalita'". Secondo  le
 ricorrenti, tale disposizione lederebbe la loro autonomia finanziaria
 e  contabile,  in quanto le costringerebbe a contrarre debiti con gli
 istituti indicati dal Ministro del tesoro e alle condizioni stabilite
 dallo stesso Ministro.
    In realta', non  puo'  ravvisarsi  alcuna  lesione  dell'autonomia
 finanziaria  e  contabile  delle regioni e delle province autonome ad
 opera di una disposizione, la quale, pur prevedendo  l'assunzione  da
 parte  delle  stesse  regioni  (e  province  autonome)  di  mutui per
 ripianare le eccedenze di disavanzo  non  coperte  dalle  alienazioni
 considerate al punto precedente, ne addossa gli oneri di ammortamento
 allo Stato. Infatti, come risulta evidente dal periodo successivo del
 medesimo  articolo,  l'imputazione  dei  predetti  oneri a specifiche
 quote del Fondo sanitario nazionale esclude ogni dubbio che anche per
 i mutui ora considerati i  relativi  oneri  di  ammortamento  debbano
 essere  addossati  al  bilancio  dello  Stato. Sicche' non e' affatto
 illegittimo che la disposizione  impugnata  affidi  al  Ministro  del
 tesoro  il compito di individuare gli istituti di credito con i quali
 contrarre gli anzidetti mutui e di fissare le modalita' relative alla
 determinazione e al pagamento degli oneri di ammortamento.
    4.3. - Non fondato e', altresi', il  dubbio  di  costituzionalita'
 sollevato,   in   riferimento   all'art.   81,  quarto  comma,  della
 Costituzione, dalle Regioni Lombardia e Piemonte  e  dalla  Provincia
 autonoma  di  Trento riguardo all'art. 2-bis, terzo periodo, il quale
 dispone che "le regioni e le  province  autonome  fanno  fronte  agli
 oneri  di  ammortamento,  valutati in lire 1.500 miliardi a decorrere
 dal 1993, con specifiche quote del Fondo sanitario nazionale all'uopo
 previste e vincolate a decorrere dall'anno 1993".
    Secondo le ricorrenti tale disposizione  violerebbe  il  principio
 della  copertura  del  bilancio, dal momento che essa non conterrebbe
 alcuna garanzia riguardo alla effettiva  destinazione  di  quote  del
 Fondo  sanitario nazionale alla copertura degli oneri di ammortamento
 concernenti i mutui a ripiano assunti dalle regioni (e dalle province
 autonome) e alla precisa indicazione  delle  risorse  finanziarie  da
 destinare alla predetta copertura. Questo assunto, tuttavia, non puo'
 essere  condiviso, poiche' gli oneri di ammortamento cui si riferisce
 la disposizione  impugnata,  ancorche'  concernenti  il  ripiano  del
 disavanzo  sanitario  dell'anno 1989, ineriscono a mutui da stipulare
 soltanto nel secondo  semestre  del  1992  (v.  art.  2-bis,  secondo
 periodo)  e,  pertanto,  come  espressamente  prevede la disposizione
 impugnata, dovranno essere finanziati soltanto a decorrere  dal  1993
 con "specifiche quote del Fondo sanitario nazionale all'uopo previste
 e  vincolate".  In  altri  termini,  in  considerazione del fatto che
 questa Corte ha gia' affermato che riguardo agli  oneri  relativi  ad
 esercizi futuri l'adempimento del dovere costituzionale della precisa
 indicazione  dei  mezzi di copertura va valutato con minor rigore (v.
 sent. n. 12 del 1987), non  si  puo'  ritenere  che  la  disposizione
 impugnata  si  ponga  in contrasto con l'art. 81, quarto comma, della
 Costituzione. Del resto, ove nella concreta determinazione del  Fondo
 sanitario  nazionale  per  il 1993 non si provveda adeguatamente allo
 stanziamento delle somme  necessarie  a  far  fronte  agli  oneri  di
 ammortamento  dei  mutui  a ripiano del disavanzo per il 1989 assunti
 dalle regioni e  dalle  province  autonome,  queste  ultime  potranno
 allora    far    valere   nelle   forme   dovute   eventuali   motivi
 d'illegittimita' costituzionale.
    4.4. - Non fondata e', infine, la questione  di  costituzionalita'
 mossa nei confronti dell'ultimo periodo contenuto nell'art. 2-bis, il
 quale  dispone  che "sugli atti di alienazione vigila una commissione
 nominata dalla regione  o  provincia  autonoma  e  presieduta  da  un
 magistrato  delle  giurisdizioni  amministrative  che si avvale delle
 valutazioni dei locali uffici tecnici erariali". Non  puo',  infatti,
 condividersi  l'assunto  delle  Regioni  Piemonte,  Lombardia,  Valle
 d'Aosta, Lazio e delle Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
 secondo le quali la disposizione impugnata lederebbe le competenze ad
 esse  assegnate  in  materia  di organizzazione dei propri uffici (v.
 artt. 117  e  118  della  Costituzione,  per  le  regioni  a  statuto
 ordinario;  nonche'  l'art.  2,  lett. a) 4 dello Statuto della Valle
 d'Aosta e l'art. 8, n. 1, e 16 dello  Statuto  per  il  Trentino-Alto
 Adige,  i quali imputano la predetta competenza alla potesta' di tipo
 esclusivo).
    In realta', la norma contestata prevede l'istituzione di una forma
 di  controllo-vigilanza  diretta  a  conoscere e a verificare che gli
 atti di alienazione dei beni non vincolati di cui agli artt. 65 e  66
 della  legge  n.  833  del 1978 siano immuni da eventuali abusi e, in
 particolare,  non  diano  luogo  a   eventuali   vendite   a   prezzi
 sottostimati,  che, comportando un apporto alla riduzione del deficit
 sanitario minore di quello  preventivato  dallo  stesso  art.  2-bis,
 finirebbe per danneggiare illegittimamente sia le finanze dello Stato
 (sulle  quali e' addossata la restante parte del deficit, sotto forma
 del pagamento degli oneri di  ammortamento  dei  mutui),  sia  quelle
 delle  altre  regioni (le quali, in seguito a operazioni di vendita a
 prezzi   sottostimati,    vedrebbero    illegittimamente    aumentato
 l'ammontare  della quota del Fondo sanitario nazionale destinata alla
 copertura dell'onere di ammortamento dei mutui). In altri termini, la
 disposizione impugnata prevede una commissione la quale, operando  in
 un   contesto  caratterizzato  da  una  pluralita'  di  apporti  alla
 copertura del debito, e' finalizzata alla  garanzia  di  un  corretto
 coordinamento    finanziario    (art.   119,   primo   comma,   della
 Costituzione), una garanzia che, anche in  considerazione  della  sua
 concreta  disciplina,  e' ragionevolmente commisurata all'esigenza di
 un'equa ripartizione del deficit fra le unita' sanitarie locali delle
 varie regioni e fra queste  e  lo  Stato.  La  commissione  prevista,
 infatti, e' configurata come organo delle singole regioni (o province
 autonome), nel senso che e' collocata all'interno dell'ente che ha il
 compito  istituzionale  di vigilare sugli atti delle unita' sanitarie
 locali; e', inoltre, presieduta da un magistrato delle  giurisdizioni
 amministrative,  al chiaro scopo di connotarne l'operato in direzione
 di un'attivita'  di  garanzia  imparziale  e  neutrale;  e',  infine,
 vincolata  ad  avvalersi  delle valutazioni dei locali uffici tecnici
 erariali, onde assicurare l'applicazione  di  parametri  uniformi  su
 tutto il territorio nazionale nelle stime dei beni da alienare.
    Per  gli  stessi motivi ora enunciati va respinta anche la censura
 piu' particolare sollevata dalla Provincia autonoma di  Bolzano,  per
 la  quale il vincolo ad avvalersi delle valutazioni dei locali uffici
 tecnici  erariali,  anziche'  di   quelle   degli   analoghi   uffici
 provinciali, lederebbe la competenza esclusiva della Provincia stessa
 in  materia  di organizzazione dei propri uffici (art. 8, n. 1, dello
 Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
    5. - Non fondate sono le questioni di legittimita'  costituzionale
 che tutte le ricorrenti hanno sollevato nei confronti dell'art. 3 del
 decreto-legge n. 262 del 1990, come modificato in sede di conversione
 dalla legge n. 334 del 1990.
    L'articolo  impugnato  dispone  al  primo  comma  che  "le regioni
 possono autorizzare le unita' sanitarie locali e gli altri  enti  che
 gestiscono  i  servizi  sanitari finanziati dalle quote regionali del
 Fondo  sanitario  nazionale  ad  assumere  impegni  per   l'esercizio
 finanziario  1990  anche  in  eccedenza  agli  stanziamenti  di parte
 corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere  a
 spese   improcrastinabili   e   di   assoluta  urgenza  entro  limiti
 prequantificati dalle regioni stesse per  ciascun  ente".  Lo  stesso
 articolo,  poi, stabilisce al terzo comma che le spese effettivamente
 sostenute in conseguenza  delle  autorizzazioni  previste  nel  primo
 comma sono assunte a carico delle regioni e delle province autonome e
 sono  finanziate con operazioni di mutuo, i cui oneri di ammortamento
 sono addossati a carico dello Stato fino  alla  concorrenza  di  lire
 90.000  per  cittadino  residente,  mentre,  quanto  alla  differenza
 residua della spesa, sono coperti mediante accensione  di  mutui  con
 oneri di ammortamento a carico dello Stato per il 75 per cento e, per
 il  restante  25  per  cento,  sono  posti a carico dei bilanci delle
 regioni e delle province autonome. Per  tale  parte,  queste  ultime,
 com'e'  precisato ancora nel comma 3-bis, "vi provvedono o con propri
 mezzi di bilancio o mediante alienazione di beni  disponibili  ovvero
 mediante  la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito,
 da assumere anche in deroga alle limitazioni previste  dalle  vigenti
 disposizioni,  avvalendosi,  per  la copertura delle relative rate di
 ammortamento, anche delle entrate  tributarie  previste  dall'art.  6
 della legge 14 giugno 1990, n. 158".
    Questo    complesso    di    disposizioni    e'    sospettato   di
 incostituzionalita' da parte di tutte le ricorrenti sotto un  duplice
 profilo.  In  considerazione del fatto che le autorizzazioni previste
 nel primo  comma  si  riferiscono  a  spese  improcrastinabili  e  di
 assoluta  urgenza  (e  pertanto  non  costituirebbero esercizio di un
 potere discrezionale delle regioni e delle province  autonome)  e  in
 considerazione  del  rilievo  che  la  spesa  sanitaria  dipenderebbe
 totalmente da decisioni dello Stato o di singoli cittadini nel libero
 godimento di loro diritti  fondamentali,  le  disposizioni  impugnate
 violerebbero,       innanzitutto,       l'autonomia       finanziaria
 costituzionalmente garantita alle regioni e alle  province  autonome,
 dal momento che queste ultime, contrariamente a quanto affermato piu'
 volte  da  questa  Corte,  sarebbero  irragionevolmente  tenute a far
 fronte ad oneri di spesa cui  non  avrebbero  potuto  concorrere  con
 proprie   scelte   discrezionali.   In   secondo   luogo,  le  stesse
 disposizioni contrasterebbero con  l'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione,  dal  momento  che,  a fronte della previsione di nuovi
 oneri, non  provvederebbero  a  indicare  i  mezzi  di  copertura  o,
 quantomeno, a indicarli in modo adeguato.
    5.1.   -  Riguardo  alla  garanzia  costituzionale  dell'autonomia
 finanziaria delle regioni (e delle province autonome),  questa  Corte
 ha  costantemente  affermato  il  principio  che  non  possono essere
 addossati ai bilanci regionali (o provinciali) gli oneri di spesa che
 non dipendano da decisioni imputabili alle regioni (o  alle  province
 autonome)  medesime (v. sentt. nn. 245 del 1984 e 452 del 1989). E, a
 proposito del deficit sanitario, ha,  anzi,  precisato  nelle  stesse
 decisioni  che  non si puo' presupporre che le regioni (e le province
 autonome) siano interamente responsabili  degli  eventuali  disavanzi
 delle  unita'  sanitarie  locali,  dal momento che la spesa sanitaria
 deriva dalla esigenza di tutelare interessi pubblici o di  soddisfare
 il godimento di diritti costituzionali dei cittadini, "la cui cura e'
 affidata  dalla  Costituzione  soltanto in parte - e non certo quella
 essenziale - alla regione" (o alla provincia autonoma).
    Le disposizioni oggetto dell'impugnazione in esame non si  pongono
 in  contrasto  con i principi ora indicati, tenuto anche conto che la
 loro  finalita'  e'   quella   di   non   interrompere   l'erogazione
 dell'assistenza  sanitaria.  Esse,  infatti, prevedono, innanzitutto,
 che le unita' sanitarie locali autorizzate dalle regioni  o  province
 autonome,  possano sostenere spese correnti oltre gli stanziamenti di
 bilancio (per spese improcrastinabili  e  di  assoluta  urgenza);  in
 secondo  luogo,  che i maggiori oneri siano coperti con anticipazioni
 di cassa; e, infine, che le regioni (e le province autonome)  possano
 coprire  i  maggiori  oneri  per  le spese sanitarie e il costo delle
 anticipazioni di cassa con mutui (altrimenti vietati) e con  oneri  a
 loro  parziale  carico.  Tali  disposizioni, cioe', lungi dal porre a
 carico delle regioni (e delle province autonome) tutte  le  eccedenze
 di  spesa  verificatesi in un determinato esercizio finanziario (come
 nel caso deciso con la sentenza n. 452  del  1989,  relativa  ad  una
 disposizione la quale escludeva che le eccedenze di spesa nel settore
 delle   prestazioni  specialistiche  in  regime  di  convenzionamento
 esterno potessero essere addossate allo Stato), imputano  ai  bilanci
 regionali  (e  provinciali) soltanto una parte della spesa finanziata
 in eccedenza, al fine di  corresponsabilizzare  le  unita'  sanitarie
 locali  e  le  regioni  (e  province autonome) nel contenimento della
 spesa sanitaria. Le prime,  infatti,  dovranno  coprire  con  risorse
 proprie le spese correnti superiori agli stanziamenti di bilancio non
 autorizzate  dalle regioni (o province autonome); e le altre dovranno
 farsi carico di un quarto della spesa  autorizzata,  aumentata  degli
 oneri   delle   anticipazioni   di   cassa  e  depurata  della  quota
 addebitabile alla sottostima del Fondo sanitario.
    L'attuale indeterminatezza dei compiti e delle responsabilita' dei
 soggetti che erogano il servizio sanitario impedisce a  questa  Corte
 una   precisa  quantificazione  della  quota  del  deficit  sanitario
 riconducibile alla responsabilita' di regioni (e  province  autonome)
 in relazione ai poteri che queste hanno in termini di regolazione, di
 vigilanza e di controllo; ne' le ricorrenti hanno dimostrato, davanti
 a  questa  Corte,  che la quota di un quarto del deficit delle unita'
 sanitarie locali,  depurato  dalla  sottostima  del  Fondo  sanitario
 nazionale,  non  corrisponde  alla  quota  di  spesa riconducibile ai
 propri comportamenti in materia. E, d'altra parte, non si puo' negare
 che  alla  formazione  del  deficit  delle  unita'  sanitarie  locali
 concorrano,   insieme   a   decisioni   assunte   a  livello  statale
 (riferibili, come tali, alla responsabilita' dello Stato),  decisioni
 imputabili  alle  regioni  (e  alle  province  autonome), come quelle
 vertenti in materia di piante organiche, di lavoro straordinario,  di
 funzionamento  dei  servizi ispettivi e, piu' in generale, in tema di
 controlli. In questo contesto normativo e  fattuale  la  disposizione
 impugnata  non  puo'  essere  ritenuta  frutto  di  una irragionevole
 determinazione del legislatore nazionale, anche in considerazione del
 fatto che il decreto impugnato, come risulta dai lavori  preparatori,
 e'  parte  di una piu' ampia manovra in cui dovranno essere disegnate
 precise competenze accompagnate dalle corrispondenti responsabilita',
 anche in termini finanziari.
    Ne',  sempre  ai  fini  della  dimostrazione  relativa  alla   non
 irragionevolezza  della  determinazione  della  quota  posta a carico
 delle regioni (e delle province autonome), puo' esser  trascurato  il
 rilievo  che  l'impugnato  art.  3  prevede,  al  primo comma, che le
 regioni  e  le  province  autonome  possono  autorizzare  le   unita'
 sanitarie  locali  ad  assumere  oneri  eccedenti gli stanziamenti di
 spesa corrente contenuti nel bilancio di previsione soltanto se  tali
 oneri si riferiscano a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza.
 Contrariamente   a   quanto   suppongono   le   ricorrenti,  siffatta
 limitazione  non  priva  le  regioni  (e  le  province  autonome)  di
 qualsiasi  potere  decisionale  in  ordine alle spese in eccedenza da
 autorizzare, ma riconduce al livello  regionale  (e  provinciale)  la
 valutazione   decisiva,   tipicamente  discrezionale,  relativa  alla
 ricorrenza     in     concreto     degli    estremi    dell'effettiva
 improcrastinabilita'e dell'assoluta urgenza delle spese in  eccedenza
 che  le  unita'  sanitarie  locali  intendono compiere. Si tratta, in
 altri termini, di una precisa previsione di corresponsabilita' per le
 regioni (e le province autonome), diretta  al  fine,  tutt'altro  che
 irragionevole,  di  stimolare  queste  ultime ad effettuare severi ed
 effettivi controlli sulle eccedenze  di  spesa  volute  dalle  unita'
 sanitarie locali.
    5.2.  -  Le  medesime  disposizioni non contrastano neppure con il
 principio  di  copertura  finanziaria  delle  nuove  spese,   sancito
 dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, per il semplice fatto
 che  esse  non  pongono  a  carico  delle  regioni  (e delle province
 autonome) oneri per i  quali  sussiste  l'obbligo  costituzionale  di
 copertura.  Infatti,  se  si  riconosce,  come  si  e'  precisato nel
 precedente punto della motivazione, che le  regioni  (e  le  province
 autonome)   effettivamente   dividono   con   lo  Stato  parte  della
 responsabilita' relativa alla determinazione della  spesa  sanitaria,
 non  si  puo'  conseguentemente  ritenere  che la (non irragionevole)
 esplicitazione della quantificazione della quota in cui consiste tale
 effettiva compartecipazione costituisca un nuovo  onere  rispetto  al
 quale  lo  Stato  avrebbe  dovuto indicare le risorse finanziarie per
 farvi fronte.
    Ne',  al  fine  di  dimostrare  il  contrario,  puo'  riconoscersi
 fondamento  all'osservazione  formulata  dalle ricorrenti, secondo la
 quale e' la stessa disposizione impugnata a presupporre che si tratti
 di  nuovi  oneri  da  coprire  allorche'  indica,  in  modo  ritenuto
 insufficiente,  nuovi mezzi di copertura. In effetti, l'art. 3, comma
 3-bis, lettera a), laddove fa  riferimento  agli  ordinari  mezzi  di
 bilancio,  all'alienazione  di  beni e alla contrazione di mutui o di
 prestiti, non indica le risorse previste per far fronte ai  disavanzi
 di   spesa,   ma,  piu'  semplicemente,  elenca  le  varie  modalita'
 attraverso le quali le regioni (e le province autonome)  reperiranno,
 a  loro  discrezione,  i mezzi di copertura per far fronte alla quota
 del  disavanzo  di  cui   sono   (non   irragionevolmente)   ritenute
 responsabili.
    Del  pari,  non puo' condividersi l'assunto delle ricorrenti circa
 l'irrazionalita' e l'illegittimita'  dell'asserita  imposizione  alle
 regioni  (e  alle province autonome) di oneri riferentisi a disavanzi
 prodottisi  nell'esercizio   finanziario   1990,   ormai   pressoche'
 concluso.  In  realta',  gli  oneri  di ammortamento dei mutui che le
 regioni (e  le  province  autonome)  contrarranno  sulla  base  delle
 disposizioni impugnate, o qualsiasi altro mezzo di copertura che esse
 sceglieranno,  dovranno essere imputati a bilanci relativi a esercizi
 finanziari futuri, di modo che gli oneri conseguenti potranno  essere
 ripartiti  in  relazione  alle risorse disponibili per lo svolgimento
 delle varie funzioni ad esse affidate. Viene meno, cosi', il  rilievo
 sottolineato  dalle  ricorrenti,  in  base  al  quale le disposizioni
 impugnate comporterebbero un'alterazione degli impegni di spesa  gia'
 legittimamente assunti in sede di bilancio di previsione per il 1990,
 tanto  piu'  che, come si e' precedentemente ricordato, il ricorso ai
 mezzi di bilancio e' considerato dall'art. 3,  comma  3-bis,  lettera
 a),  soltanto  come  una delle possibili modalita', e non l'unica, da
 seguire per il reperimento dei mezzi di copertura finanziaria.
    Allo stesso modo, per i motivi appena enunciati, perde significato
 il  dubbio  di costituzionalita', formulato dalle Regioni Lombardia e
 Piemonte e dalla Provincia di Trento, in base al quale la  previsione
 che  ai  relativi  oneri si faccia fronte "mediante utilizzo di quota
 parte del Fondo sanitario nazionale all'uopo  prevista  e  vincolata"
 (art.  3,  comma  3-quater)  non  conterrebbe  alcuna  garanzia circa
 l'effettiva destinazione delle predette quote  alla  copertura  degli
 indicati  oneri  e si porrebbe, pertanto, in contrasto con l'art. 81,
 quarto comma, della  Costituzione.  Infatti,  analogamente  a  quanto
 osservato  nel  precedente punto 4.3 della motivazione riguardo a una
 simile censura mossa all'art. 2-bis,l'imputazione della copertura dei
 ricordati oneri a esercizi finanziari futuri non permette di valutare
 oggi quale sara' allora la dotazione del Fondo sanitario nazionale e,
 in particolare, non esige che sia prevista sin  da  oggi  la  precisa
 predisposizione e quantificazione dei mezzi per la relativa copertura
 finanziaria.
    5.3.  -  Manifestamente  non  fondata  e',  poi,  la  questione di
 legittimita' costituzionale che la Regione a statuto  speciale  Valle
 d'Aosta  ha  sollevato  nei  confronti del menzionato art. 3, nonche'
 degli artt. 1 e 2-  bis  del  decreto-legge  n.  262  del  1990,  per
 violazione  dell'art.  38,  quarto  comma,  della  Costituzione,  sul
 presupposto che la spesa per  l'assistenza  sanitaria  e  ospedaliera
 debba  esser  considerata  totalmente  a  carico dello Stato, essendo
 relativa  a  un  servizio  imputabile  soltanto  a  quest'ultimo.  La
 ricorrente,  infatti,  muove dall'errata premessa che la disposizione
 costituzionale, secondo la  quale  "ai  compiti  previsti  in  questo
 articolo  (scil.:  assistenza  per  malattia)  provvedono  organi  ed
 istituti predisposti o integrati dallo  Stato",  abbia  l'effetto  di
 cancellare  la  competenza  concorrente  che la Regione Valle d'Aosta
 possiede in materia di assistenza sanitaria per effetto dell'art.  3,
 lettera  l),  del proprio Statuto speciale, come attuato dall'art. 22
 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182.
    Manifestamente  non  fondata  e',  altresi',   la   questione   di
 legittimita' costituzionale che la Regione Valle d'Aosta ha sollevato
 nei confronti delle disposizioni del decreto-legge n. 262 del 1990 da
 ultimo  citate  in  riferimento all'art. 12, terzo comma, del proprio
 Statuto speciale, il quale prevede che lo Stato assegni alla  Regione
 contributi  speciali  per  provvedere  a  scopi  determinati  che non
 rientrino nelle funzioni normali della Valle. In realta', come si  e'
 appena   detto,   la   ricorrente   muove  dall'errata  premessa  che
 l'assitenza sanitaria e  ospedaliera  non  rientri  nelle  competenze
 "normali"  della  Regione  e, pertanto, adduce a torto una lesione in
 effetti inesistente.
    5.4. - Manifestamente non fondate sono, infine, le questioni  piu'
 particolari  che  la Regione Siciliana ha sollevato nei confronti del
 medesimo  art.  3.    Non  puo',  infatti,  condividersi  minimamente
 l'assunto  che  le disposizioni impugnate si pongano in contrasto con
 il principio del buon andamento della pubblica amministrazione  (art.
 97 della Costituzione), poiche', per i motivi gia' espressi nei punti
 precedenti,  l'art.  3  mira, al contrario, a rendere piu' rigorosi i
 poteri di controllo che la  Regione  possiede  in  materia  di  spesa
 sanitaria.  Ne',  sempre  per  gli  stessi  motivi enunciati al punto
 precedente,  puo'  riconoscersi  alcun  valore  alla  censura  basata
 sull'asserito compito dello Stato di provvedere in via esclusiva alla
 tutela   della  salute  dei  cittadini;  ne'  a  quella  sul  preteso
 assorbimento   delle   entrate  dovute  a  titolo  di  contributo  di
 solidarieta' (art. 38 del proprio Statuto), trattandosi di oneri  che
 la  Regione  deve  sostenere  per  lo svolgimento di funzioni ad essa
 attribuite in una materia diversa da quella indicata nel citato  art.
 38.
    6.  -  Va,  infine,  dichiarata  la manifesta inammissibilita' del
 conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Marche nei confronti
 dello Stato in relazione al decreto-legge n. 262 del 1990, convertito
 nella legge  n.  334  del  1990,  con  particolare  riferimento  alle
 modificazioni  introdotte  in  sede  di  conversione  all'art.  3 del
 decreto-legge. Questa Corte, infatti, ha gia' escluso  (v.  sent.  n.
 314  del  1990)  che il conflitto di attribuzione tra Stato e regioni
 possa avere ad oggetto atti aventi forza o valore di legge e  non  ha
 motivo  di  distaccarsi da tale orientamento.  Occorre, poi, rilevare
 che  il  ricorso  proposto  dalla   Regione   Marche   e'   parimenti
 inammissibile  anche  se  lo  si  consideri, secondo un suo possibile
 significato sostanziale, come mezzo di proposizione in via principale
 di una questione di legittimita' costituzionale dello stesso art.  3.
 Esso,   infatti,  pur  se  e'  stato  notificato  tempestivamente  al
 Presidente del Consiglio dei  ministri,  e'  stato  depositato  nella
 cancelleria  di  questa  Corte  il  7  gennaio 1991, e cioe' oltre il
 termine di dieci giorni dalla  notificazione,  previsto  dalle  Norme
 integrative  per  i  giudizi  di  legittimita'  costituzionale in via
 principale.