ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  secondo  e
 quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di
 ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
 regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in  materia  di
 incompatibilita'  degli  addetti  al  Servizio  sanitario nazionale),
 promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio  1991  dal  Tribunale  di
 Foggia nel procedimento civile vertente tra Pietrocola Luigi e De Leo
 Salvatore,   iscritta  al  n.  142  del  registro  ordinanze  1991  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,  n.  11,  prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1991 il Giudice relatore
 Mauro Ferri;
    Uditi l'avv. Costanzo De Michele per Pietrocola Luigi e l'avvocato
 dello Stato Giorgio D'Amato  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale di Foggia, con ordinanza emessa il 22 gennaio
 1991,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  51   della
 Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 2, secondo e quinto
 comma,  della  legge  23  aprile  1981  n.  154  (Norme in materia di
 ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
 regionale,  provinciale, comunale e circoscrizionale, e in materia di
 incompatibilita' degli addetti al S.S.N.), nella parte in cui prevede
 che le dimissioni di chi sia in rapporto di servizio con la  pubblica
 amministrazione    abbiano    effetto,   se   non   prima   accettate
 dall'Amministrazione, dal quinto giorno successivo alla presentazione
 (sempreche' accompagnate dall'effettiva cessazione  dalle  funzioni),
 anziche' immediatamente.
    2.  - In particolare il giudice a quo ritiene che il secondo ed il
 quinto  comma  del  citato  art.  2  determinino,  senza  ragionevole
 fondamento,  una  discriminazione  tra  i soggetti che versano in una
 delle situazioni di ineleggibilita' previste dai nn.  4,  9  e  10  e
 quelli  per  i  quali,  invece,  sussistono  cause di ineleggibilita'
 ipotizzate dai restanti numeri. Cio' in quanto nella prima ipotesi le
 dimissioni  hanno  effetto   immediato,   al   momento   della   loro
 presentazione,   restando   la   relativa   domanda   sottratta  alle
 operativita' del disposto del  quinto  comma,  sicche'  esse  possono
 essere  presentate  fruttuosamente fino al termine ultimo fissato per
 la presentazione delle candidature. Altrettanto non e' possibile  nei
 casi tipizzati dagli altri numeri poiche' la rimozione della causa di
 ineleggibilita'  deve  essere  anticipata  almeno al sesto giorno che
 precede detto termine.
    Quanto al secondo profilo, un'oggettiva compromissione del diritto
 di elettorato passivo  sarebbe  ipotizzabile  per  il  fatto  che  la
 rimozione   della   causa  di  ineleggibilita'  deve  necessariamente
 avvenire con congruo anticipo rispetto alla presentazione delle liste
 dei candidati: il che esporrebbe  l'interessato  all'evenienza  della
 rinuncia  alla  propria  carica  ancor prima di acquisire la certezza
 dell'inserimento nella lista da  lui  prescelta;  laddove  l'art.  51
 della  Costituzione  assicura  l'accesso  di  tutti  i cittadini alle
 cariche  elettive  in  condizioni  di  effettiva  eguaglianza,  senza
 possibili restrizioni per determinate categorie di soggetti.
    3.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso  per  l'inammissibilita', o in subordine per l'infondatezza,
 della questione.
    La difesa del governo osserva in primo  luogo  che,  ove  pure  la
 questione   venisse   dichiarata   fondata,  rimarrebbe  come  motivo
 preclusivo dell'eleggibilita' il fatto della mancata cessazione dalle
 funzioni,  continuate,  a  quanto   emergerebbe   dall'ordinanza   di
 rimessione,  anche  dopo  la  proclamazione  dell'elezione  da  parte
 dell'ufficio elettorale centrale.
    Ad avviso dell'Avvocatura, cioe', la questione  sarebbe  risultata
 rilevante  solo  in  quanto, contestualmente alla presentazione delle
 dimissioni, l'interessato avesse cessato l'esercizio  delle  funzioni
 inerenti alla carica costituente motivo ostativo all'eleggibilita'.
    Nel merito l'Avvocatura rileva che l'accettazione delle dimissioni
 e'  richiesta  non  dalle  norme  censurate,  che  anzi consentono di
 prescinderne ove trascorra il brevissimo termine da  esse  stabilito,
 bensi',  secondo  un  principio  di  generale  applicazione nel campo
 giuspubblicistico,  dalle  disposizioni  concernenti   lo   specifico
 rapporto   la  cui  prosecuzione  non  e'  dal  legislatore  ritenuta
 compatibile col munus elettorale.
    Cio' posto,  e  ferma  la  discrezionalita'  del  legislatore  nel
 disciplinare  in  modo  differenziato situazioni diverse nel rispetto
 del citato art. 51 della Costituzione, non  si  potrebbe,  per  altro
 verso,   neanche   escludere  che  il  giudice  remittente  muova  da
 un'inesatta lettura delle norme censurate.
    Cio' in quanto il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 154 del
 1981 dispone che "le cause di ineleggibilita' previste nei numeri  1,
 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10 e 11 non hanno effetto se l'interessato cessa
 dalle  funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dall'incarico o
 del comando, collocamento in aspettativa non oltre il giorno  fissato
 per la presentazione delle candidature".
    A  sua  volta  il  quinto  comma  dello  stesso  articolo parla di
 "domanda di  dimissioni  o  aspettativa  accompagnata  dall'effettiva
 cessazione delle funzioni".
    Con  il  che  potrebbe  ritenersi  che  a  rimuovere l'impedimento
 all'eleggibilita' sia sufficiente - entro il termine  ultimo  fissato
 per la presentazione delle candidature - l'effettiva cessazione delle
 funzioni  titolata  dalla  domanda a provvedere in ordine allo status
 connesso alla carica cui le funzioni ineriscono.
    Infine,   l'Avvocatura   osserva   che   e'   del   tutto   omesso
 nell'ordinanza di rimessione il richiamo al primo comma, n. 11, della
 norma  impugnata,  il  cui  disposto  (stabilendo l'ineleggibilita' a
 consigliere comunale degli amministratori di aziende  dipendenti  dal
 Comune) costituisce la premessa normativa e logica dell'impugnazione.
    4.  -  Si  e' costituito nel giudizio Pietrocola Luigi, ricorrente
 nel giudizio a quo, svolgendo le seguenti considerazioni:
      a)  inammissibilita'  della  questione per genericita' e carenza
 assoluta di motivazione dell'ordinanza di rimessione;
      b) ancora inammissibilita' per  irrilevanza  perche',  ai  sensi
 dell'art. 18 del d.P.R. n. 102 del 1986 gli amministratori di aziende
 municipalizzate   dovrebbero   comunque   rimanere   in  carica  fino
 all'insediamento dei successori.
    Inoltre, a suo avviso, il Tribunale avrebbe omesso  di  verificare
 se   il  De  Leo  abbia  effettivamente  cessato  dalle  funzioni  di
 amministratore, come prescrivono gli artt. 2 e 6 della legge  n.  154
 del 1981.
    Nel  merito  la  questione  dovrebbe  comunque ritenersi infondata
 poiche' le  norme  impugnate  rientrano  nella  discrezionalita'  del
 legislatore  che  avrebbe rispettato i principi posti da questa Corte
 con la sentenza n. 46 del 1969.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Foggia con ordinanza del 22 gennaio  1991  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
 secondo e quinto comma, della  legge  23  aprile  1981,  n.  154,  in
 riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione.
    Il  primo  comma  del  citato  art. 2 elenca, raggruppandole sotto
 dodici numeri, una serie di cause di  ineleggibilita'  a  consigliere
 regionale,  provinciale,  comunale  e  circoscrizionale,  concernenti
 soggetti che ricoprono cariche elettive, uffici, impieghi o  funzioni
 diverse  amministrative e dirigenziali. Come si evince dall'ordinanza
 di rimessione, nel giudizio a quo e'  stata  impugnata  l'elezione  a
 consigliere  comunale  di  Foggia  di un componente della commissione
 amministratrice di un'azienda municipalizzata, ritenuta dal tribunale
 remittente azienda dipendente dal comune, come tale rientrante  nelle
 cause di ineleggibilita' previste sotto il n. 11 del richiamato primo
 comma dell'art. 2.
    Il   secondo   comma   dell'art.   2   prevede  che  le  cause  di
 ineleggibilita'  non  hanno  effetto  se  l'interessato  cessa  dalle
 funzioni   per   dimissioni  non  oltre  il  giorno  fissato  per  la
 presentazione delle candidature; a sua volta il quinto comma  dispone
 che, entro cinque giorni dalla richiesta, la pubblica amministrazione
 debba  adottare  i  provvedimenti  relativi  e  che,  in mancanza, le
 dimissioni accompagnate dalla  effettiva  cessazione  dalle  funzioni
 abbiano effetto dal quinto giorno successivo alla loro presentazione.
    Ad avviso del giudice a quo, le disposizioni suddette sarebbero in
 contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione in quanto creerebbero una
 ingiustificata disparita' di trattamento fra coloro i  quali  versano
 in  una  ipotesi  di ineleggibilita' che viene meno solo in seguito a
 provvedimento della pubblica  amministrazione,  o  comunque  dopo  il
 decorso   di   cinque  giorni  dalle  dimissioni  o  dalla  richiesta
 dell'interessato, e coloro i quali trovandosi in  una  condizione  di
 ineleggibilita'  che  non ha rapporti con la pubblica amministrazione
 (nn. 4, 9 e 10) possono farla cessare con effetto immediato  all'atto
 della   presentazione  delle  dimissioni.  Vi  sarebbe  altresi'  una
 violazione dell'art. 51 della Costituzione attraverso  "un'obbiettiva
 compromissione  del  diritto  di  elettorato passivo" derivante dalla
 necessita' che la rimozione della causa  di  ineleggibilita'  avvenga
 "con  congruo  anticipo  rispetto  alla presentazione delle liste dei
 candidati".
    2. - La questione sottoposta all'esame della Corte e' circoscritta
 alla disposizione risultante dal combinato disposto del secondo e del
 quinto  comma dell'art. 2, in forza del quale - come si e' visto - le
 dimissioni dalla carica o ufficio che  e'  causa  di  ineleggibilita'
 hanno  effetto  dopo che la pubblica amministrazione abbia adottato i
 provvedimenti di sua competenza, (ed essa e'  tenuta  a  farlo  entro
 cinque  giorni  dalla  richiesta),  ovvero,  in  difetto di essi, dal
 quinto giorno successivo alla presentazione delle dimissioni  stesse.
 In buona sostanza si prospetta che sia costituzionalmente illegittima
 la  previsione  di  detto termine di cinque giorni che viene, per dir
 cosi', ad anticipare quello del giorno fissato per  la  presentazione
 delle candidature.
    Tanto risulta chiaramente dall'ordinanza di rimessione: ogni altra
 questione  relativa alla causa di ineleggibilita' la cui preesistenza
 non e' controversa nel giudizio a quo e' quindi estranea al tema  sui
 cui questa Corte e' chiamata a pronunciarsi.
    3.  -  La  difesa della parte ricorrente nel giudizio di merito ha
 eccepito l'inammissibilita' della questione per tre motivi.  Identica
 eccezione  ha  formulato  l'Avvocatura  generale dello Stato sotto il
 profilo dell'irrilevanza per  motivi  che  coincidono  col  terzo  di
 quelli prospettati dalla parte privata.
    L'eccezione non puo' essere accolta.
    L'ordinanza  di  rimessione  e'  formulata  in  modo preciso ed e'
 sufficientemente motivata: non ha quindi alcun  fondamento  il  primo
 motivo  con  cui  si  prospetta  l'inammissibilita' per genericita' e
 carenza assoluta di motivazione.
    Parimenti inconsistente e' il secondo motivo avanzato dalla difesa
 di parte, secondo cui la questione sarebbe irrilevante  perche'  alle
 dimissioni   degli   amministratori  di  aziende  municipalizzate  si
 applicherebbero le disposizioni di cui all'art. 18 del d.P.R. n.  102
 del  1986  che  prevede  la  permanenza  in  carica dei predetti fino
 all'insediamento dei successori.
    Il giudice a quo, al contrario, ha correttamente ritenuto  che  le
 norme  censurate  prevalgono  comunque, configurandosi come "legge di
 carattere eccezionale a tutela  del  diritto  di  elettorato  passivo
 costituzionalmente garantito".
    Si  sostiene,  infine,  anche  dall'Avvocatura dello Stato, che la
 questione sarebbe in ogni caso irrilevante perche', ove anche venisse
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma impugnata,  la
 pronuncia  non  spiegherebbe efficacia nel caso di specie a causa del
 fatto "della mancata cessazione dalle funzioni, continuate"  -  cosi'
 rileva  l'Avvocatura  -  "a quanto emerge dall'ordinanza in epigrafe,
 anche dopo  la  proclamazione  dell'elezione  da  parte  dell'Ufficio
 elettorale".  Siffatta  affermazione  non  trova  riscontro nel testo
 dell'ordinanza stessa. Il giudice a quo si  limita  a  riportare  "in
 fatto"  la  tesi  del  ricorrente secondo cui "malgrado la lettera di
 dimissioni, (l'eletto) non era cessato dalle funzioni entro  la  data
 dell'11   aprile   1990   stabilita   per   la   presentazione  della
 candidatura.. .. .. ne' era cessato entro dieci giorni dal 12  giugno
 1990  (data  della sua proclamazione a consigliere comunale, da parte
 dell'ufficio elettorale  centrale):  giorno  in  cui  la  carica  dal
 medesimo  rivestita  si  sarebbe concretata, comunque in una causa di
 incompatibilita'".
    Ma  tale  tesi  e' contraddetta dalla successiva motivazione sulla
 rilevanza dove si afferma che l'eventuale pronunzia di illegittimita'
 costituzionale della norma  censurata  renderebbe  valida  l'elezione
 essendo  state  presentate le dimissioni in tempo utile per rimuovere
 la causa di ineleggibilita'. Tanto basta perche', anche sotto  questo
 profilo, l'eccezione vada respinta.
    4.1 - La questione e' dunque ammissibile, ma non e' fondata.
    Non sussiste la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione.
 E'  vero  che tutti i soggetti che rivestono le cariche o gli uffici,
 elettivi o non, enunciati nel primo comma dell'art. 2 si  trovano  in
 eguale  condizione  di  ineleggibilita';  ma  la differenziazione che
 viene a crearsi  agli  effetti  della  eliminazione  della  causa  di
 ineleggibilita'  fra  coloro la cui posizione ha carattere pubblico e
 coloro che ricoprono invece uffici ecclesiastici, ovvero  soggetti  a
 disciplina  privatistica,  non  puo' essere ritenuta discriminatoria,
 trattandosi di situazioni non comparabili. Per  la  cessazione  dalle
 cariche o uffici pubblici e', per regola generale, richiesta la presa
 d'atto ovvero l'accettazione da parte dell'amministrazione: il quinto
 comma  dell'art.  2  ha  dettato  una  disciplina  speciale  intesa a
 garantire in modo rigoroso l'operativita' delle  dimissioni  mediante
 la determinazione di un termine brevissimo allo scadere del quale, se
 la pubblica amministrazione non ha adottato l'atto di sua competenza,
 le  dimissioni  hanno ugualmente l'effetto di far venir meno la causa
 di ineleggibilita'. Misure analoghe non sono previste per coloro  che
 versano  nelle  ipotesi  di  cui ai numeri 4, 9 e 10 (ecclesiastici e
 ministri di culto, legali rappresentanti  e  dirigenti  di  strutture
 convenzionate  e  di  societa'  per azioni), per i quali vanno quindi
 applicate le normative vigenti nelle rispettive materie, che peraltro
 non e' detto siano piu'  favorevoli  nel  senso  dell'immediatezza  o
 quanto  meno  della previsione di termini tassativi. Ma la differenza
 di  regolamentazione  discende  come   naturale   conseguenza   dalla
 diversita'  delle  posizioni,  e  pertanto  non  da'  luogo ad alcuna
 violazione del precetto contenuto nell'art. 3 della Costituzione.
    4.2  -  Non  sussiste  nemmeno  violazione  dell'art.   51   della
 Costituzione.   Come   si  e'  visto,  il  giudice  a  quo  prospetta
 "un'obbiettiva compromissione del diritto di elettorato passivo"  per
 il  fatto  che  il  candidato  debba  presentare le dimissioni (dalla
 carica o  dall'ufficio  che  costituisce  causa  di  ineleggibilita')
 cinque  giorni  prima  del  termine  di presentazione della lista per
 essere sicuro che le dimissioni abbiano effetto in tempo utile, anche
 in mancanza del provvedimento di accettazione o di presa di  atto  da
 parte   della  pubblica  amministrazione.  "Cio'  potrebbe  realmente
 esporre l'interessato - cosi'  recita  l'ordinanza  di  rimessione  -
 all'evenienza  della  rinuncia  alla  propria  carica  ancor prima di
 acquisire la certezza dell'inserimento nella lista da lui prescelta".
 Ma tale rischio, e' per cosi' dire, in re ipsa: infatti il  candidato
 deve  comunque  rimuovere  la  causa dell'ineleggibilita' prima della
 presentazione della lista dei candidati, che - come e'  noto  -,  non
 puo'  essere effettuata dal candidato stesso, ma soltanto da chi e' a
 cio' abilitato dalle vigenti leggi sul procedimento elettorale.
    Che  il  legislatore  abbia  usato  del  proprio  potere  in  modo
 costituzionalmente   corretto   risulta   dal  richiamo  ai  principi
 enunciati nella sentenza di questa Corte n. 46  del  1969.  In  detta
 sentenza,  dopo aver enunciato le regole relative alla determinazione
 delle  cause  di  ineleggibilita',  la  Corte   ha   precisato,   con
 riferimento  alle ipotesi nelle quali rientra il caso cui il giudizio
 a quo si riferisce, che "e' manifestamente  ultroneo  richiedere  per
 far  cessare  l'ineleggibilita'  che le dimissioni di chi aspiri alla
 candidatura siano state accettate, senza d'altronde che alcun termine
 sia prescritto per l'accettazione", in quanto, in  tali  ipotesi,  la
 eleggibilita'  finisce  "per  dipendere  da un'estranea volonta', per
 giunta discrezionale almeno in ordine al quando". Ed  in  conclusione
 la  predetta  sentenza  afferma  che  nella  sua  discrezionalita' il
 legislatore "puo' variamente  determinare,  purche'  secondo  criteri
 razionali,  la  data  entro  la  quale deve verificarsi la cessazione
 della causa di ineleggibilita'", che, in nessun  caso,  "puo'  essere
 successiva  a  quella prescritta per l'accettazione della candidatura
 che rappresenta il primo atto di  esercizio  del  diritto  elettorale
 passivo".  Alla  luce  di  tali  principi  si deve riconoscere che il
 legislatore, prescrivendo alla pubblica amministrazione il termine di
 cinque giorni per adottare il provvedimento di accettazione e preved-
 endo  espressamente  che  in  mancanza  di  tale   provvedimento   le
 dimissioni  hanno effetto dopo cinque giorni dalla presentazione, non
 e' incorso in alcuna violazione dell'art. 51 della Costituzione.