ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 71, 72 e
 72-quater della legge 22 dicembre  1975,  n.  685  (Disciplina  degli
 stupefacenti    e    sostanze   psicotrope.   Prevenzione,   cura   e
 riabilitazione  dei  relativi  stati  di   tossicodipendenza),   come
 modificata  dalla  legge  26  giugno  1990,  n.  162  (Aggiornamento,
 modifiche ed integrazioni  della  legge  22  dicembre  1975  n.  685,
 recante   disciplina   degli   stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
 prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza),
 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del  D.P.R.  9
 ottobre  1990,  n.  309,  testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
 disciplina degli stupefacenti e  sostanze  psicotrope)  promossi  con
 ordinanze  emesse  l'8  gennaio 1991 dal Pretore di Bergamo - Sezione
 distaccata di Grumello del Monte; il 12 ottobre e 31 dicembre 1990  e
 il  9  gennaio 1991 dal Tribunale di Roma (n. 4 ordd.); l'11 febbraio
 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il  Tribunale  di
 Camerino  (n. 2 ordd.), iscritte rispettivamente ai nn. 73, 163, 164,
 165, 166, 215 e 216 del registro ordinanze 1991  e  pubblicate  nelle
 Gazzette  Ufficiali  della  Repubblica  n.  8,  12  e 14, prima serie
 speciale, dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1991 il Giudice relatore
 Renato Granata;
    Udito l'Avvocato dello Stato Ignazio Caramazza per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  del  12  ottobre 1990 il Tribunale di Roma,
 all'esito  del  dibattimento  penale  celebrato  nei   confronti   di
 Martignetti  Romeo, imputato del reato di cui all'art. 71 della legge
 22 dicembre 1975 n. 685, come modificato dalla legge 26  giugno  1990
 n.  162  per  aver illecitamente detenuto 0,389 grammi di cocaina, ha
 sollevato questione incidentale di costituzionalita' degli artt.  71,
 72  e  72-quater  della  legge n. 685 del 1975, come modificata dalla
 legge 26 giugno 1990  n.  162  (corrispondenti  rispettivamente  agli
 artt.  73,  75 e 78 del T.U. 9 ottobre 1990 n. 309) in relazione agli
 artt. 3 e 25 della Costituzione.
    In  particolare  il  Tribunale  rimettente  sembra  muovere  dalla
 possibilita' di una lettura duplice delle norme censurate secondo che
 la  fattispecie  di  cui  all'art. 71 cit. si intenda dal legislatore
 configurata come reato di pericolo di spaccio,  presunto  in  maniera
 assoluta,  ovvero si ritenga che "la suddetta fattispecie punisce non
 gia' il pericolo di spaccio, bensi' direttamente il consumo".
   In relazione alla prima ipotesi denuncia "violazione del  principio
 di  ragionevolezza,  in contrasto con l'art. 3 della Costituzione" in
 quanto l'esperienza giudiziaria mostra che di regola  i  consumatori,
 specie  di  sostanze  stupefacenti  c.d. "leggere" si riforniscono di
 quantita' superiori al fabbisogno giornaliero, onde il criterio della
 "dose  media  giornaliera"   non   puo'   costituire   un   parametro
 ragionevole,  corrispondente  cioe' all'id quod plerumque accidit, su
 cui possa attendibilmente fondarsi una prognosi legale di pericolo di
 spaccio.
    Con  riferimento  poi  alla  seconda  ipotesi,  che  il  tribunale
 rimettente sembra preferire, "la portata normativa degli artt. 71, 72
 e  72-quater  appare  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  25  della
 Costituzione",  la'  dove  alla  stregua  di  tali  disposizioni  "la
 detenzione  per  comprovato  uso  personale e addirittura l'effettivo
 consumo di sostanze stupefacenti in quantita' superiore alla dose me-
 dia giornaliera sono sanzionati come reato".
    In questa prospettiva il Tribunale muove tre ulteriori censure  di
 costituzionalita'.
    Ritiene  innanzi  tutto  sussistere  un'ipotesi  di  disparita' di
 trattamento nella forma di pari  trattamento  di  situazioni  diverse
 perche',  in  caso  di  detenzione di sostanze stupefacenti in misura
 appena superiore alla dose media giornaliera, sarebbero  assoggettati
 alla  stessa  sanzione  sia  il  soggetto che ha ceduto la droga, sia
 quello che l'ha consumata giacche', trattandosi di un fatto minimo in
 senso assoluto, la pena non potrebbe essere differenziata.
    Inoltre  risulterebbe  violato  il  principio   della   necessaria
 offensivita'  del reato, che costituisce limite alla discrezionalita'
 del legislatore penale. Infatti nel caso della  detenzione  destinata
 al  consumo  o  di  effettivo  consumo  di  sostanze  stupefacenti in
 quantita'  superiore  alla  dose  media   giornaliera   non   sarebbe
 configurabile  la  lesione  o  l'esposizione  a  pericolo  di un bene
 giuridico che possa giustificare la sanzione penale. Ove anche poi si
 considerassero   come   vittime  della  droga,  non  solo  lo  stesso
 tossicodipendente, ma anche  i  suoi  familiari,  i  suoi  amici,  la
 comunita'  in  cui vive, la societa' nel suo complesso, il rischio di
 tale incidenza esulerebbe del tutto dall'assunzione, anche  abituale,
 delle   cd.   sostanze   stupefacenti   "leggere"  che  non  inducono
 tossicodipendenza, e rappresentano un rischio assai remoto in caso di
 uso  occasionale  di  oppiacei  o  cocaina.  Inoltre,  nel  caso   di
 assunzione  abituale di sostanze stupefacenti "pesanti", il Tribunale
 rimettente osserva  che  il  tossicodipendente  e'  indefettibilmente
 punito  per  la  detenzione  a fine di consumo di quantita' superiori
 alla dose media giornaliera anche  se,  nel  caso  concreto,  i  beni
 tutelati non abbiano corso alcun pericolo, non essendo egli ammesso a
 provare l'insussistenza del pericolo.
    Infine  il  giudice  a  quo  ritiene  che  il meccanismo normativo
 attraverso  il  quale  il  legislatore   individua   la   fattispecie
 penalmente  rilevante  contrasti  con  la riserva di legge in materia
 penale sancita dall'art. 25 Cost. essendo demandato ad un decreto del
 Ministro della sanita' (tra l'altro)  la  determinazione  dei  limiti
 quantitativi   massimi   di   principio  attivo  per  le  dosi  medie
 giornaliere   senza   che   risulti   soddisfatta    l'esigenza    di
 predeterminazione   ad  opera  della  norma  primaria  del  contenuto
 essenziale della fattispecie penale.
    E poiche', secondo l'avviso del giudice  rimettente,  il  criterio
 quantitativo   e'  di  per  se'  stesso  ontologicamente  inidoneo  a
 determinare  la  condotta  legittimamente  punibile  (spaccio)  ed  a
 differenziarla  da  quella  non punibile (consumo) alla stregua della
 Costituzione, l'unica via  per  ricondurre  il  denunciato  complesso
 normativo   nell'ambito   della  legittimita'  costituzionale  e',  a
 giudizio del tribunale di Roma, eliminare dall' art. 72  della  legge
 (art.  75  del  t.u.)  l'inciso "in dose non superiore a quella media
 giornaliera, determinata in base  ai  criteri  indicati  al  comma  I
 dell'art. 72-quater" (art. 78 del t.u.).
    2. - Con ordinanze del 31 dicembre 1990 (nel procedimento penale a
 carico  di  Bartolomei Claudio), del 9 gennaio 1991 (nel procedimento
 penale a carico di Saporito Fabrizio)  e  del  9  gennaio  1991  (nel
 procedimento penale a carico di Marconi Massimo) il Tribunale di Roma
 ha sollevato analoga questione incidentale di costituzionalita'.
    3.  -  Con  ordinanza  dell'8  gennaio 1991 il Pretore di Bergamo,
 Sezione  distaccata  di  Grumello  del  Monte  -  nel  corso  di   un
 procedimento   penale   a  carico  di  Piensi  Massimo,  imputato  di
 detenzione di sostanze stupefacenti in misura superiore alla dose me-
 dia giornaliera - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e  32
 della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale delle
 medesime norme della legge n. 685 del  1975,  come  modificate  dalla
 legge  n.  162  del  1990, nella parte in cui sottopongono a sanzione
 penale la detenzione a fine  di  uso  personale  non  terapeutico  di
 sostanze  stupefacenti e psicotrope in misura superiore alla dose me-
 dia giornaliera. Sostiene il giudice a quo che la normativa censurata
 vi'ola l'art.  3  Cost.  (perche'  sottopone  ad  uguale  trattamento
 situazioni notevolmente diverse in relazione alle caratteristiche dei
 soggetti  agenti), l'art. 27 Cost. (perche' commina pene i cui limiti
 edittali  sono  del  tutto  divergenti  dalla  finalita'  rieducativa
 dell'imputato), l'art. 32 Cost., perche', anziche' tutelare la salute
 dei singoli assuntori, sottopone invece a pena detentiva (formalmente
 una condotta, ma di fatto) lo stato personale di tossicodipendenza.
    4.  -  Con  ordinanza  dell'11  febbraio  1991  il  giudice per le
 indagini  preliminari  presso   il   Tribunale   di   Camerino,   nel
 procedimento  penale  nei confronti di Andreani Gianluca, imputato di
 illecita detenzione di 7,94 grammi di hashish, ha sollevato questione
 di legittimita' costituzionale  delle  medesime  norme  in  relazione
 all'art.  25  della  Costituzione.  Il  giudice rimettente lamenta la
 violazione del principio di riserva di  legge  dettato  dall'art.  25
 Cost.  per  essere  gli elementi costitutivi della fattispecie penale
 posti  con  decreto  del  Ministro  della  sanita'.   Svolge   quindi
 argomentazioni  in  tutto analoghe a quelle espresse dal Tribunale di
 Roma nella menzionata ordinanza del 12 ottobre 1990.
    5. - In tutti i giudizi suddetti si e'  costituito  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  a mezzo dell'Avvocatura generale dello
 Stato, eccependo preliminarmente l'inammissibilita'  delle  questioni
 sollevate con l'ordinanza dell'8 gennaio 1991 dal Pretore di Bergamo,
 Sezione  distaccata  di  Grumello  del  Monte,  in  quanto carente di
 motivazione      sulla      rilevanza      e      per      incertezza
 nell'identificazionedella questione sottoposta alla Corte.
    Nel merito, poi, sia di tale ordinanza che delle altre sopra indi-
 cate, ha sostenuto l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza delle
 questioni sollevate.
    L'Avvocatura  ritiene  innanzi tutto che l'individuare in una dose
 giornaliera di quantita' di droga  il  discrimine  tra  comportamento
 sanzionabile    penalmente    e   comportamento   sanzionabile   solo
 amministrativamente costituisce esercizio di un potere  discrezionale
 del   legislatore   non   censurabile   in   sede   di   giudizio  di
 costituzionalita' delle leggi.
    Sostiene poi potersi distinguere  -  al  fine  di  determinare  la
 soglia di punibilita' della detenzione di sostanze stupefacenti - tra
 consumatore  occasionale  e tossicodipendente giacche' l'art. 78 t.u.
 sarebbe da interpretare nel senso che coesisterebbero una dose  media
 giornaliera  personalizzata del singolo tossicodipendente (lett. a) e
 b) dell'art. 78), ed una dose media giornaliera unitaria  desunta  da
 metodiche  di  tossicologia  e di statistica (lett. c) della medesima
 norma) per l'assuntore occasionale.
    Afferma infine l'Avvocatura che  non  risulta  violato  l'art.  25
 Cost.  ne'  sotto il profilo dell'offensivita' giacche' la detenzione
 di sostanze  stupefacenti  per  uso  personale,  ove  assoggettata  a
 sanzione  penale,  non  puo'  considerarsi  "reato  senza offesa", ma
 piuttosto "reato con vittime indeterminate",  gravissime  essendo  le
 conseguenze   della   tossicodipendenza   (che   induce   spesso   il
 tossicodipendente  a  compiere  attivita'  criminose,   che   provoca
 profonde   sofferenze   morali   alle   famiglie,  che  favorisce  il
 diffondersi di gravissime  malattie,  quali  l'A.I.D.S.  e  l'epatite
 virale);  ne'  sotto il profilo della riserva di legge penale, atteso
 che la  fattispecie  incriminatrice  risulta  pienamente  determinata
 dalla  legge  essendo demandata al Ministro della sanita' soltanto la
 specificazione in sede tecnica dei quantitativi massimi di  principio
 attivo  delle  singole  sostanze stupefacenti alla stregua di nozioni
 tossicologiche ed epidemiologiche.
    In ordine alla denunciata violazione dell'art. 27 Cost. (lamentata
 nella sola ordinanza dell'8 gennaio  1991  del  Pretore  di  Bergamo,
 Sezione  distaccata  di  Grumello del Monte) l'Avvocatura dello Stato
 rileva  che  la  configurazione  della  fattispecie  criminosa  e  la
 valutazione  delle  relative  pene  rientrano  nella discrezionalita'
 legislativa con  l'unico  limite  della  manifesta  irragionevolezza;
 d'altra  parte al fine della rieducazione del condannato mirano varie
 norme della stessa legge n. 162 del 1990. Infine l'art. 32 Cost.  non
 puo'  dirsi  violato  perche'  la  normativa impugnata mira proprio a
 tutelare  la  salute  sia  dissuadendo  dal   consumo   di   sostanze
 stupefacenti   sia   prevedendo   programmi   terapeutici   e  socio-
 riabilitativi.
    6. - In uno dei giudizi incidentali di costituzionalita' -  quello
 promosso  con  ordinanza  n. 215/91 dal G.i.p. presso il Tribunale di
 Camerino nel procedimento penale a carico di Ciammarucchi Igino -  si
 e'  costituito  il  Coordinamento  radicale antiproibizionista (CORA)
 sostenendo preliminarmente in rito  l'ammissibilita'  dell'intervento
 pur  non  essendo  parte  nel  giudizio  penale  a quo; nel merito ha
 ritenuto essere costituzionalmente illegittima la normativa censurata
 per essere stato violato  il  precetto  della  riserva  di  legge  in
 materia penale (art. 25 Cost.).
    7. - In una memoria difensiva l'Avvocatura Generale dello Stato si
 e' opposta all'ammissione dell'intervento del C.O.R.A., ribadendo nel
 merito le argomentazioni gia' svolte nell'atto di intervento.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione incidentale di costituzionalita'
 degli  artt.  71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre 1975 n. 685,
 come modificata dalla legge 26 giugno  1990  n.  162  (corrispondenti
 rispettivamente  agli  artt. 73, 75 e 78 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n.
 309,  testo  unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina   degli
 stupefacenti e sostanze psicotrope) per sospetta violazione:
       a)  dell'art.  3  Cost.  perche',  nel  caso  di  detenzione di
 sostanze  stupefacenti  in   misura   superiore   alla   dose   media
 giornaliera,  prevedono  una  presunzione  assoluta di spaccio che e'
 arbitraria ed irragionevole in  quanto  contrastante  con  l'id  quod
 plerumque accidit;
       b)  del  medesimo  art.  3 Cost. perche', nell'accomunare nella
 stessa fattispecie criminosa sia la detenzione  in  misura  superiore
 alla dose media giornaliera, che lo spaccio di sostanze stupefacenti,
 determinano  una  disparita'  di  trattamento  nella  forma  di  pari
 trattamento di situazioni diverse per il fatto di comminare la stessa
 pena sia al soggetto che ha ceduto la droga, sia a  quello  che  l'ha
 consumata;
       c)  dell'art.  25  Cost.  per  violazione  del  principio della
 necessaria offensivita' del reato, quale limite alla discrezionalita'
 del  legislatore  penale,  sotto  il  profilo  che  nel  caso   della
 detenzione  per  uso  personale di sostanze stupefacenti in quantita'
 superiore alla dose media giornaliera non  sarebbe  configurabile  la
 lesione  o l'esposizione a pericolo di alcun bene giuridico che possa
 giustificare la sanzione penale;
       d) dell'art. 25 Cost. per violazione della riserva di legge  in
 materia  penale  in  quanto  -  essendo  demandato  ad un decreto del
 Ministro della sanita'  la  determinazione  dei  limiti  quantitativi
 massimi  di  principio  attivo  per  le  dosi medie giornaliere - non
 risulterebbe soddisfatta l'esigenza  di  predeterminazione  ad  opera
 della  norma  primaria  del  contenuto  essenziale  della fattispecie
 penale;
       e)   dell'art.  27  Cost.  perche'  l'art.  73  t.u.  cit.,  in
 particolare, commina pene  i  cui  limiti  edittali  sono  del  tutto
 divergenti dalla finalita' rieducativa dell'imputato;
       f)  dell'art.  32  Cost., perche', anziche' tutelarsi la salute
 dei singoli assuntori, si sottopone a pena detentiva (formalmente una
 condotta, ma di fatto) lo stato personale di tossicodipendenza.
    2. - Delle norme censurate, in particolare, l'art.  73  del  testo
 unico  cit.  (al  quale si fara' unicamente riferimento in seguito) -
 nel prevedere un tipico reato a condotta alternativa -  contempla  il
 comportamento  di  "chiunque,  senza l'autorizzazione di cui all'art.
 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette
 in  vendita,  cede  o  riceve  a  qualsiasi   titolo,   distribuisce,
 commercia,  acquista,  trasporta, esporta, importa, procura ad altri,
 invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo,  o
 comunque  illecitamente  detiene,  fuori dalle ipotesi previste dagli
 articoli 75 e 76, sostanze stupefacenti o psicotrope".
    A  sua  volta  l'art.  75   configura   un'ipotesi   di   illecito
 amministrativo,  anch'esso  a  condotta alternativa, essendo previsti
 l'illecita importazione,  l'acquisto  e  la  detenzione  di  sostanze
 stupefacenti  per uso personale "in dose non superiore a quella media
 giornaliera".
    Quest'ultima condotta quindi ricade nella fattispecie dell'art. 75
 (sanzioni amministrative)  -  e  non  gia'  in  quella  dell'art.  73
 (sanzioni  penali)  -  se  sussiste  la destinazione ad uso personale
 delle sostanze stupefacenti detenute e se la quantita'  detenuta  non
 eccede  la  dose  media  giornaliera  (d'ora  in  poi  anche  d.m.g.)
 determinata in base ai criteri indicati dal primo comma dell'art.  78
 che  demanda  al  Ministro della Sanita', previo parere dell'Istituto
 superiore di sanita', di stabilire ( a) le procedure  diagnostiche  e
 medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze stupefacenti e
 psicotrope;  ( b) le metodiche per quantificare l'assunzione abituale
 nelle 24 ore; ( c) i limiti quantitativi massimi di principio  attivo
 per le dosi medie giornaliere.
    3.  -  Premesso  che l'identita' delle norme censurate nelle varie
 ordinanze  indicate  in  narrativa   giustifica   la   riunione   dei
 procedimenti   e   confermata,   per   quanto   possa  occorrere,  la
 dichiarazione  di  inammissibilita'  -  gia'   resa   con   ordinanza
 pronunziata  alla  pubblica  udienza di discussione - dell'intervento
 spiegato  in  questa  sede  dal  C.O.R.A.   (Coordinamento   Radicale
 Antiproibizionista),  non  essendo  esso parte nel giudizio a quo (in
 tal senso v., ex plurimis, sent. 63 del 1991 e n. 124 del  1990),  va
 pregiudizialmente   rilevato   che   delle  questioni  sollevate  con
 l'ordinanza del Pretore di Bergamo l'Avvocatura dello Stato eccepisce
 la inammissibilita' per carenza di motivazione sulla rilevanza e  per
 incertezza  nella  identificazione  della  questione  sottoposta alla
 Corte.
    L'eccezione e' infondata sotto entrambi i profili. Per  un  verso,
 perche'  dal  testo  dell'ordinanza risulta che nel giudizio a quo il
 Pretore procedeva a carico di persona imputata  del  delitto  di  cui
 all'art.  73,  comma  5,  onde  di tale norma incriminatrice egli era
 ovviamente chiamato a fare applicazione. Per altro verso, perche'  la
 questione  sollevata  e'  -  come  piu' avanti si potra' constatare -
 enunciata in termini sufficientemente esplicativi.
    4.1.  -  Nel  merito devono innanzi tutto esaminarsi le censure di
 incostituzionalita'  mosse  nell'ordinanza  del  Tribunale  di  Roma,
 rilevando  subito  che  l'apparente  alternativa  esegetica posta dal
 giudice a  quo  in  realta'  non  riguarda  la  individuazione  della
 struttura   formale   della   norma  incriminatrice  penale  espressa
 nell'art. 73, in relazione agli artt. 75 e 78, del t.u., ma se mai la
 ratio della incriminazione stessa.
    Il tribunale rimettente stesso, invero, non manca di rilevare  che
 la   condotta   incriminata   e'   la   "detenzione"  della  sostanza
 stupefacente pur quando ne "sia provata la destinazione  al  consumo"
 e,  se pur riferisce l'incriminazione anche allo "effettivo consumo",
 mostra peraltro di essere ben consapevole che questa  ultima  ipotesi
 ha semmairiguardo "al consumo pregresso, cioe' alla detenzione per la
 quale",  a  suo  avviso,  "il  pericolo  di  spaccio  non  e' neppure
 ipotizzabile".
    Ed  in  ogni  caso,  realmente,  l'individuazione  della  condotta
 incriminata   -  tra  le  altre  considerate  dall'art.  71  -  nella
 "detenzione" e non nel mero consumo di sostanze stupefacenti,  e'  un
 dato  ermeneutico inequivocabilmente emergente dal testo normativo, a
 tenore del quale e' punito (art. 73, primo comma) "chiunque..  ..  ..
 comunque  illecitamente  detiene,  fuori dalle ipotesi previste dagli
 articoli 75 e 76 sostanze stupefacenti o psicotrope.. ..  ..".  Onde,
 dal  raffronto con il successivo art. 75, che qualifica in termini di
 illecito (non penale, ma) amministrativo la  condotta  di  "chiunque,
 per  farne  uso  personale,  illecitamente..  ..  .. comunque detiene
 sostanze stupefacenti o psicotrope in dose non superiore a quella me-
 dia giornaliera, determinata in base ai  criteri  indicati  al  primo
 comma dell'art. 78.. .. ..", risulta che oggetto della incriminazione
 penale  e' (non l'uso, ma) sia la detenzione per uso non personale di
 qualsiasi quantita', tanto  maggiore  che  minore  della  dose  media
 giornaliera  -  condotta  questa  che  e'  estranea  all'oggetto  del
 presente giudizio di costituzionalita' -, sia la  detenzione  di  una
 quantita'  eccedente  la  dose  media  giornaliera  qualunque  sia la
 finalita', di spaccio o di consumo, della detenzione stessa.
    4.2. - Peraltro, pur se vietata, non ogni detenzione  di  sostanza
 stupefacente   e'   sanzionata   penalmente.   Per   le  ragioni,  le
 valutazioni, le finalita' che fra breve verranno analiticamente messe
 in luce, il legislatore del 1990 ha ritenuto di dovere  rendere  piu'
 severa  -  riducendo  la  quantita'  non  rilevante  penalmente  - la
 repressione criminale della "produzione e del  traffico  illecito  di
 sostanze  stupefacenti" (tale e' la rubrica dell'art. 73 nell'attuale
 formulazione). Al contempo, il diverso disvalore della  condotta  del
 tossicodipendente o tossicofilo che detiene sostanze stupefacenti per
 uso   personale,   la   concorrente  esigenza  di  tenere  conto  del
 particolare stato  individuale  del  medesimo  e  le  aspettative  di
 recupero  della  sua salute psico-fisica hanno indotto il legislatore
 del 1990 - non diversamente da quello  del  1975  -  ad  operare  una
 distinzione   nell'ambito  della  detenzione  cosi'  da  rendere  non
 penalmente sanzionabile il  comportamento  dell'ultimo  anello  della
 catena che dal produttore di droga si snoda fino all'assuntore.
    4.3. - Un'ulteriore precisazione - in tema di individuazione della
 fattispecie incriminatrice - si rende a questo punto necessaria.
    I  giudici  a  quibus  contestano  la  legittimita' costituzionale
 dell'art.  78,  laddove  rimette   la   determinazione   del   limite
 quantitativo  al  decreto  ministeriale,  riferendosi ad un parametro
 "medio"  unico  stabilito  per  ogni  singolo  tipo  di  sostanza   e
 applicabile  oggettivamente  nei  confronti  di  qualsiasi detentore,
 indipendentemente  dal  suo  eventuale  stato  di  tossicofilo  o  di
 tossicodipendente e dalla entita' del suo fabbisogno personale.
    L'Avvocatura   dello   Stato   suggerisce   invece   una   diversa
 interpretazione, secondo  la  quale  nella  norma  citata  dovrebbero
 ravvisarsi (non uno, ma) due criteri discriminanti: per i tossicofili
 la   dose  media  giornaliera  unitaria  (desunta  con  metodiche  di
 tossicologia e di statistica sanitaria ) e per i tossicodipendenti la
 dose  media  giornaliera  personalizzata  (determinata  per   ciascun
 consumatore  in base alle procedure diagnostiche ed alle metodiche di
 cui sub a) e sub b) dell'art. 78).
    Tuttavia  la  Corte,  ai  fini  del  controllo   di   legittimita'
 costituzionale  della  norma  impugnata, non ha motivo di discostarsi
 dalla uniforme interpretazione adottata dai giudici a quibus.
    5. - Dalla lettura del testo della legge risulta  chiaramente  che
 scopo immediato e diretto dell'incriminazione e' quello di combattere
 il  mercato  della droga, limitando - con il divieto di accumulo - la
 quantita' di  sostanza  che  giornalmente  il  soggetto  agente  puo'
 detenere  anche  per  uso  personale  senza  incorrere nella sanzione
 penale, con il duplice, concorrente effetto, per un verso, di ridurre
 il pericolo che  una  parte  della  sostanza  detenuta  possa  essere
 venduta  o ceduta a terzi, e, per altro verso, di indurre la domanda,
 e di riflesso l'offerta, a modellarsi su quantitativi minimi in guisa
 da costringere lo spaccio a parcellizzarsi al massimo e  da  renderne
 cosi'  piu'  difficile  la  pratica.  Tutto  cio'  al  fine ultimo di
 espellere la droga dal mercato, anzi di espellere  il  mercato  della
 droga dal circuito nazionale, per la tutela sia della salute pubblica
 (gia'  sent.  n.  9/1972;  sent.  n.  31/1983;  vedi  pure  Preambolo
 Convenzione Vienna 21 febbraio 1971), sempre piu' compromessa da tale
 diffusione, sia - con non minorerilievo - della sicurezza pubblica  e
 dell'ordine  pubblico  (gia' sent. n. 9/1972 cit.; sent. n. 243/1987;
 sent.  n.  1044/1988)  negativamente  incisi  vuoi   dalle   pulsioni
 criminogene   indotte   dalla  tossicodipendenza  (ibidem)  vuoi  dal
 prosperare intorno a tale  fenomeno  della  criminalita'  organizzata
 (vedi  Raccomandazione  del Consiglio d'Europa 4 ottobre 1988 n. 1085
 cit., punto  3;  Preambolo  Convenzione  Vienna  20  dicembre  1988),
 nonche'  a  fini  di  tutela delle giovani generazioni (gia' sent. n.
 31/1983, in relazione all'art. 31, secondo comma, Cost.).
   6. - Cosi' delineata la fattispecie incriminatrice,  individuati  i
 beni  giuridici  tutelati  e precisata la ratio della incriminazione,
 puo'  procedersi  all'ulteriore  valutazione  delle  singole  censure
 sollevate dal Tribunale di Roma.
    Con  l'avvertenza,  peraltro,  da tenersi ben presente nell'intero
 prosieguo del discorso, che le argomentazioni  critiche  del  giudice
 rimettente  sono pertinenti al tema e meritano di essere quindi prese
 in considerazione e vagliate, soltanto nei limiti in cui riguardano i
 termini normativi di riferimento come sopra  individuati,  nonche'  -
 ovviamente  -  nel  solo ambito del sindacato di competenza di questa
 Corte.
    7. -  Conviene  innanzi  tutto  esaminare  piu'  in  dettaglio  la
 denunziata  violazione  dell'art.  3 Cost. per irragionevolezza della
 scelta legislativa, nei termini sopra indicati, e dell'art. 25  Cost.
 per  inosservanza del principio di necessaria offensivita' del reato,
 profili  questi  che  presentano  punti  di contiguita', rinviando ai
 paragrafi  10  e  seguenti  l'esame   della   denunziata   violazione
 rispettivamente  dello  stesso art. 3 per disparita' di trattamento e
 dell'art. 25 per inosservanza  della  riserva  di  legge  in  materia
 penale.
    Sotto un primo profilo, il Tribunale di Roma muove dal rilievo che
 la  dose  media giornaliera non costituisce un parametro ragionevole,
 corrispondente cioe' all'id quod  plerumque  accidit,  su  cui  possa
 attendibilmente  fondarsi una prognosi legale di pericolo di spaccio,
 onde la norma incriminatrice viola il principio di ragionevolezza la'
 dove irragionevolmente ricollega la presunzione assoluta del pericolo
 di spaccio alla detenzione di una  quantita'  di  sostanza  eccedente
 quella   misura.   Al   contrario,  secondo  il  giudice  rimettente,
 l'esperienza giudiziaria dimostra che di regola i consumatori, specie
 delle droghe c.d. leggere, si riforniscono di quantita' superiori  al
 fabbisogno  giornaliero,  anche  per  evitare  i  rischi  connessi ai
 quotidiani contatti con il mondo del traffico.
    Ancora agganci alla problematica dei reati di pericolo  presentano
 i  profili  di  censura  proposti  in  riferimento  al  principio  di
 necessaria  offensivita'  del  reato,  che  pertanto   qui   conviene
 congiuntamente esaminare.
    Sul    presupposto    che    tale    principio    sarebbe    stato
 costituzionalizzato nell'art. 25, comma 2, letto alla luce  dell'art.
 13  Cost., ed elevato a limite della discrezionalita' del legislatore
 penale, il giudice a quo  nega  che  nella  detenzione  destinata  al
 consumo di sostanze stupefacenti in quantita' superiore alla dose me-
 dia  giornaliera  sia  configurabile  la  lesione  o la esposizione a
 pericolo di un bene giuridico che possa giustificare, alla stregua di
 quel principio, la sanzione penale.  Invero,  egli  osserva,  non  e'
 suscettibile  di repressione penale la lesione o messa in pericolo di
 un bene proprio, neppure quello della propria salute. Ne' la sanzione
 penale puo' giustificarsi - come il giudice rimettente ricorda essere
 stato prospettato durante l'iter formativo della legge  -  alla  luce
 della  situazione di pericolo che il tossicomane puo' creare in danno
 della salute degli altri consociati (ad  esempio  con  la  diffusione
 della  sindrome  da  immunodeficienza  acquisita)  e  della sicurezza
 sociale (per le spinte criminogene in lui sollecitate dal  suo  stato
 di  tossicodipendenza).  Infatti  tale pericolo esula del tutto dalla
 assunzione,  anche  abituale,  delle   c.d.   sostanze   stupefacenti
 "leggere"  che  non  inducono  tossicodipendenza,  e  rappresenta  un
 rischio assai remoto nel  caso  di  uso  occasionale  di  oppiacei  o
 cocaina  (sicche' l'incriminazione penale in tali casi si paleserebbe
 anche   irragionevole   ed    arbitraria).    Ne'    giustificherebbe
 l'imputazione il rischio di passaggio dall'una all'altra abitudine di
 consumo  (dal  consumo  di droghe leggere a quello di droghe pesanti;
 dal consumo occasionale di droghe pesanti al consumo  abituale  delle
 stesse)  perche'  in  realta'  si  tratterebbe  di  un  "pericolo  di
 pericolo",  inidoneo  a  giustificare  la   configurazione   di   una
 fattispecie  criminosa.  In  presenza quindi di un pericolo meramente
 astratto verrebbe in sostanza ad essere punita la mera  disobbedienza
 o  violazione  formale  della legge in relazione ad una azione di per
 se'  inoffensiva.  Quanto  poi  all'assuntore  abituale  di  sostanze
 stupefacenti  "pesanti",  il  tribunale  rimettente  osserva  che "il
 tossicodipendente  e'  indefettibilmente  punito  per  il  consumo di
 sostanze  stupefacenti  in  quantita'  superiore  alla   dose   media
 giornaliera,  anche  se, nel caso concreto, i beni tutelati non hanno
 corso  alcun  pericolo"  non   essendo   egli   ammesso   a   provare
 l'insussistenza,   appunto   nel   caso   concreto,  della  effettiva
 esposizione a pericolo di tali beni.
    E poiche', secondo l'avviso del giudice rimettente,  alla  stregua
 di  tali profili di censura, in una agli altri come sopra rinviati al
 successivo esame piu' avanti, il criterio quantitativo e' di per  se'
 stesso   ontologicamente   inidoneo   a   determinare   la   condotta
 legittimamente punibile (spaccio) ed a differenziarla da  quella  non
 punibile  (consumo)  alla stregua della Costituzione, l'unica via per
 ricondurre  il  denunziato  complesso  normativo  nell'ambito   della
 legittimita'  costituzionale  e',  a  giudizio del Tribunale di Roma,
 eliminare dall'art. 75 del t.u. l'inciso "in  dose  non  superiore  a
 quella  media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al
 primo comma dell'art. 78".
    8.  -  Si  rende  a  questo  punto  opportuna  una  pur  sintetica
 puntualizzazione  dei  principi fissati alla giurisprudenza di questa
 Corte in tema di discrezionalita' del legislatore - e dei suoi limiti
 - nella configurazione delle fattispecie criminose, in generale e con
 riferimento specifico ai reati di pericolo.
    In tale giurisprudenza -  pure  se  con  riferimento  a  parametri
 costituzionali   solo   in   alcuni   casi  corrispondenti  a  quelli
 attualmente invocati, ma con proposizioni di principio aventi valenza
 generale - e' consolidata l'affermazione che la configurazione  delle
 fattispecie   criminose  appartiene  "alla  politica  legislativa  e,
 pertanto, all'incensurabile  discrezionalita'  del  legislatore,  con
 l'unico limite della manifesta irragionevolezza". Le opzioni legisla-
 tive  in  sede  di configurazione delle fattispecie criminose tipiche
 "devono tenere conto non soltanto  del  bene  o  dei  beni  giuridici
 tutelati  attraverso  le  incriminazioni  delle fattispecie stesse ma
 anche delle finalita' immediate che, nel contesto storico in cui tali
 opzioni  vengono  operate,  il  legislatore  persegue  nonche'  degli
 effetti   indiretti   che   i  fatti  incriminati  vanno  a  produrre
 nell'ambiente sociale". "Necessita' di prevenzione  generale"  e  "di
 riduzione dell'allarme sociale cagionato dai reati convergono insieme
 alle  ragioni  gia'  indicate a motivare le opzioni legislative nella
 determinazione delle ipotesi criminose tipiche"  coerentemente  "alle
 varie  finalita'  immediate perseguite nei diversi momenti storici ed
 alle svariate conseguenze dannose o pericolose dirette od  indirette,
 che,  nei  tempi  e nei luoghi nei quali i comportamenti criminosi si
 realizzano, questi ultimi sono idonei a produrre" (sent. n. 62/1986).
 La valutazione del legislatore - viene ripetuto -  "varia  nel  tempo
 (oltreche'  nello  spazio) anche in relazione alla normalita' od alla
 eccezionalita'  della   realta'   concreta",   tenuto   conto   cioe'
 dell'intero  sistema  dell'esperienza  giuridica,  legislativa e non,
 "della concreta realta' storica" (sent. n. 171/1986). E, ribadita "la
 discrezionalita' del legislatore  in  ordine  alla  individuazione  e
 delimitazione  delle fattispecie tipiche di reato, salvo la manifesta
 arbitrarieta'", ulteriormente  si  puntualizza  che  il  legislatore,
 nella  determinazione  delle  fattispecie tipiche di reato, non tiene
 conto soltanto della struttura e pericolosita' astratta dei fatti che
 va ad incriminare, ma anche della "concreta  esperienza  nella  quale
 quei  fatti  si  sono  verificati  e  dei  particolari  inconvenienti
 provocati in precedenza dai fatti stessi, in relazione  ai  beni  che
 intende  tutelare",  dovendo  esso  legislatore tenere conto "anche e
 soprattutto dell'uso concreto" che dell'oggetto materiale  del  fatto
 che intende incriminare "l'esperienza mostra" (sent. n. 132/1986). Ed
 ancora   nella   giurisprudenza   della  Corte  si  ricorda  che  non
 arbitrariamente "il legislatore, nell'intento di emanare una adeguata
 disciplina di talune fattispecie, almeno di regola, si riferisce alla
 esperienza dalla quale la normazione parte e sulla quale quest'ultima
 va ad incidere. Infatti, soltanto in  base  a  sorpassate  concezioni
 dottrinali  sarebbe  sostenibile che il legislatore possa ignorare la
 realta', non  verificando  l'esperienza  dalla  quale  la  normazione
 statale  prende  avvio:  e' appunto questa che il legislatore tende a
 modificare" (sent. n. 132/1986 cit.). Come pure si  sottolineano,  da
 un  lato,  la  funzione  di  determinazione psicologica operata dalle
 leggi penali  (sent.  n.  364/1988)  e,  dall'altro,  il  rilievo  da
 riconoscere  alla  situazione  di  "emergenza"  in cui la fattispecie
 incriminatrice possa essere stata emanata (sent. n.  171/1986  cit.),
 con  la  precisazione che, perche' le "misure insolite" dettate dallo
 stato di emergenza  perdano  legittimita',  occorre  che  esse  siano
 "ingiustificatamente" protratte nel tempo (sent. n. 15/1982).
    E   per  quanto  riguarda  in  particolare  la  configurazione  di
 fattispecie criminose strutturate con riferimento  ad  un  evento  di
 pericolo astratto la giurisprudenza di questa Corte, nel ritenere che
 le  incriminazioni di pericolo presunto non sono incompatibili in via
 di principio con il dettato costituzionale, ha anche riconosciuto che
 e' riservata al legislatore l'individuazione sia delle condotte  alle
 quali collegare una presunzione assoluta di pericolo sia della soglia
 di pericolosita' alla quale far riferimento, purche', peraltro, l'una
 e  l'altra  determinazione  non siano irrazionali od arbitrarie, cio'
 che si verifica allorquando esse non siano  collegabili  all'id  quod
 plerumque accidit (cfr. sent. n. 1/1971, n. 139/1982, n. 126/1983, n.
 71/1978).
    9.1.  -  Orbene  oggetto della verifica che la Corte e' chiamata a
 compiere e' se  la  scelta  del  legislatore  censurata  dai  giudici
 rimettenti,  indipendentemente  da  qualsiasi valutazione nel merito,
 sia manifestamente arbitraria o irragionevole.
    Tale verifica conduce ad un esito negativo.
    Infatti  il  complesso   normativo   direttamente   rivolto   alla
 repressione  delle  attivita'  illecite  si  e' strutturato anche con
 l'introduzione di una piu' rigorosa, rispetto al passato, limitazione
 della non punibilita' penale della detenzione  di  sostanze  vietate,
 attuata   mediante   la   riduzione   della   quantita'  di  sostanza
 stupefacente la cui detenzione  non  costituisce  reato  in  modo  da
 rendere  estremamente  improbabile  che  l'agente possa cederla anche
 solo in piccola parte a terzi, al tempo stesso,  come  si  e'  detto,
 frapponendo    ostacoli   all'offerta   attraverso   la   necessitata
 frantumazione della domanda.
    Tale  irrigidimento  si  coordina  con  la  ratio  fondamentale  e
 sostanzialmente   unica,   pur  se  composita,  da  ravvisarsi  nella
 valutazione del pericolo  di  spaccio  insito  nell'accumulazione  di
 sostanze  oltre un dato limite, comunque finalizzata, e - ad un tempo
 - nella ricerca di una  piu'  efficace  strategia  di  contrasto  del
 narcotraffico,  costretto  dalla  parcellizzazione  della  domanda  a
 moltiplicare i rivoli dell'ultima fase di spaccio.
    Con  la duplice conseguenza che, da un lato, la scelta legislativa
 in discussione si appalesa ne' arbitraria ne'  irragionevole,  e  che
 dall'altro, per le stesse ragioni, essa neppure puo' essere utilmente
 censurata sotto il profilo del principio di offensivita', in quanto -
 a    parte    il   rilievo   che   "puo'   certo   discutersi   sulla
 costituzionalizzazione o meno del principio d'offensivita'" (sent. n.
 62/1986)  -  l'apprezzamento  del  legislatore   e'   anch'esso   ne'
 irrazionale ne' arbitrario.
    In realta', l'offensivita' deve ritenersi di norma implicita nella
 configurazione  del  fatto  e nella sua qualificazione di illecito da
 parte del legislatore, salvo talune ipotesi marginali - cui si  fara'
 cenno  -  nelle  quali,  a  causa  della necessaria astrattezza della
 norma, puo' verificarsi divergenza fra tipicita' ed offesa.
    Impropriamente,  comunque,  dal  giudice  a  quo   si   parla   di
 "presunzione  assoluta"  del  pericolo di spaccio. La valutazione del
 pericolo di spaccio insito nell'accumulo di sostanze  stupefacenti  o
 psicotrope  al  di sopra della d.m.g. costituisce infatti uno dei due
 concorrenti aspetti in cui si articola la ratio della sanzione penale
 del relativo divieto. Mentre la esistenza o meno  nel  caso  concreto
 del  pericolo  e'  fuori  dalla  fattispecie  legale;  come  tale  e'
 irrilevante.
    9.2.  -  Ulteriori  considerazioni  concorrono  poi  a  dimostrare
 infondato  l'addebito  di  irragionevolezza  - sotto il profilo anche
 della offensivita'  -  mosso  al  criterio  "quantitativo  obiettivo"
 adottato  per  individuare  la  fattispecie  di detenzione sanzionata
 penalmente ex art. 73 rispetto a quella non  ricompresa,  invece,  in
 tale previsione.
    Si  e'  gia' visto sopra che il criterio distintivo tra detenzione
 sanzionata penalmente,  e  non,  riposa  essenzialmente  su  un  dato
 quantitativo:  la "dose media giornaliera" del regime della legge del
 1990, che si e' sostituita alla "modica quantita'" di cui alla  legge
 del 1975.
    Tale  criterio  quantitativo  oggettivo  e' coerente con l'oggetto
 giuridico tutelato dalla norma incriminatrice se  si  considera  che,
 con   riferimento   al   tossicodipendente   o  tossicofilo,  possono
 distinguersi una detenzione di sostanze stupefacenti per  il  consumo
 immediato ed una detenzione per il consumo differito (ossia l'ipotesi
 di  accumulo,  intendendosi  per  tale  la  detenzione  di  piu' dosi
 singole).
    Le due fattispecie non sono sullo stesso piano perche' la prima  -
 soprattutto  se  riferita  al tossicodipendente che e' pressato dalle
 urgenti pulsioni che gli derivano dal suo stato di dipendenza -  puo'
 fare   insorgere   la   problematica   relativa   alla   legittimita'
 costituzionale della incriminazione penale del consumo personale.
    Non cosi', invece, la seconda, rispetto alla quale va  considerato
 che  gia'  la  incriminazione  penale  dello  spaccio  - in principio
 certamente  legittima  -  di  per  se'   sola   provoca   difficolta'
 nell'approvvigionamento  di sostanza da parte del consumatore. Quando
 a cio' si aggiunge - come ha fatto la  legge  n.  162  del  1990  (ma
 analogamente aveva gia' operato il legislatore del 1975) - il divieto
 (penalmente  sanzionato)  di accumulo di sostanze stupefacenti, si ha
 l'effetto di creare difficolta' al mercato della droga.
    Del  resto l'adozione del discrimine quantitativo oggettivo, giova
 ripeterlo, non costituisce una  novita'  rispetto  alla  legislazione
 precedente,  la  quale  tale discrimine identificava nella nozione di
 "modica quantita'" (che ha superato il  vaglio  di  costituzionalita'
 pur  sotto  profili diversi da quello qui in esame: ord. n. 136/1987)
 sempre alla  luce  della  ispirazione  di  fondo  di  non  consentire
 "accumulazione", oltre una certa misura, di droga (sent. n. 170/1982;
 ord. n. 94/1/984).
    La  legge  del  1990  ha  ridotto tale misura, cioe' ha ridotto la
 quantita'  di  sostanze  stupefacenti  che,  se  detenuta   per   uso
 personale,  non  integra la condotta penalmente sanzionata; quindi la
 soglia tra detenzione penalmente punibile e detenzione non penalmente
 punibile  e'  tracciata  in  modo   da   ridimensionare   l'area   di
 quest'ultima.  Infatti,  secondo  la giurisprudenza consolidata della
 Cassazione, come piu' avanti si riferira', era ritenuta  "modica"  la
 quantita'  destinata  al consumo abituale, durante l'arco di un certo
 numero di giorni, da parte di un consumatore  medio.  Il  legislatore
 del  1990  si e' invece arrestato alla dose media per un solo giorno.
 Scelta indubbiamente piu' severa, perche' accentua le difficolta'  di
 approvvigionamento del consumatore, ma che (indipendentemente da ogni
 valutazione  sul  piano del merito) non travalica la discrezionalita'
 del legislatore in rapporto al duplice effetto al quale il divieto di
 accumulo   e'   finalizzato.   Inoltre   una    volta    riconosciuta
 l'offensivita'  della  condotta  del  tossicodipendente o tossicofilo
 che, per il suo personale consumo differito, accumuli  una  quantita'
 di   sostanza  stupefacente  superiore  ad  una  certa  soglia,  tale
 offensivita' non viene meno per il mero spostamento di  quest'ultima,
 che  determina  soltanto  un  diverso,  piu' severo bilanciamento dei
 contrapposti interessi: quello dello Stato di  reprimere  lo  spaccio
 della   droga;   quello   del   tossicodipendente  o  tossicofilo  di
 approvvigionarsi di droga.
   9.3. - Altre specifiche riflessioni sono richieste dalle  ulteriori
 considerazioni svolte dal giudice a quo a proposito della distinzione
 fra  droghe pesanti (tab. I e III) e droghe leggere (tab. II e IV) ed
 alle implicazioni diverse che  secondo  le  prime  due  ordinanze  di
 rimessione   dovrebbero   trarsene,   con   riferimento   anche  alla
 abitualita' o occasionalita' del consumo, in punto di ragionevolezza,
 di  configurabilita'  di  un  evento  di  pericolo  e  di  necessaria
 offensivita'.
    Anche  tali  particolari critiche - da esaminarsi nei limiti della
 loro pertinenza ai reali termini normativi del problema -  riguardano
 peraltro  scelte di merito del legislatore, non inficiate dai vizi di
 costituzionalita' denunziati.
    Ancora  il  dato  storico,  l'esperienza  concreta,  da   cui   il
 legislatore  della  novella  si  e'  mosso,  rendono avvertiti che il
 fenomeno droga ha caratteristiche dinamiche sue proprie, che  possono
 suffragare  una  considerazione  di  esso sostanzialmente unitaria la
 quale puo' non apparire  la  migliore  ne',  certamente,  e'  l'unica
 soluzione  possibile;  ma che altrettanto certamente (come dimostrano
 da un  lato,  la  storia  della  legislazione  nazionale  dell'ultimo
 quarantennio,   che  ha  disciplinato  sempre  in  modo  unitario  la
 repressione del commercio dei due tipi di sostanza e, dall'altro,  la
 variegata  disciplina  normativa  vigente  negli  altri  Paesi, anche
 appartenenti alla C.E.E.) e' una delle  possibili,  di  per  se'  non
 irragionevole.
    Il   pericolo  di  assuefazione  alle  droghe  pesanti  anche  del
 consumatore inizialmente occasionale e' un dato  altamente  probabile
 in base alla comune esperienza.
    Invece  il  passaggio dalle droghe leggere alle droghe pesanti non
 presenta, secondo opinioni esperte  largamente  prevalenti,  analoghi
 connotati  di  probabilita'.  Ma tale diversita' non rende di per se'
 sola irragionevole o arbitraria la scelta, fra le varie possibili, di
 una disciplina fondamentalmente  unitaria  rispetto  alle  differenti
 ipotesi,  pur  nella logica graduazione della sanzione in riferimento
 al rispettivo loro diverso disvalore sociale.
    9.4. - In definitiva, deve  constatarsi  che,  dalla  lettura  del
 contesto   sociale   sul   quale  era  chiamato  ad  intervenire,  il
 legislatore ha tratto la  individuazione,  al  negativo,  di  fattori
 patogeni  da  rimuovere  e,  al  positivo,  di  valori antagonisti da
 tutelare  -  salute  pubblica,  sicurezza  pubblica,   pace   sociale
 minacciate  in  modo  straordinariamente  grave  dal fenomeno droga -
 anche  con  il  sacrificio  dell'interesse  del  tossicodipendente  o
 tossicofilo   ad   un   meno   disagevole  rifornimento  di  sostanze
 stupefacenti, talche' il legislatore nel configurare  la  fattispecie
 incriminatrice  in esame, ha esercitato una scelta discrezionale, ne'
 arbitraria  ne'  irragionevole   anche   sotto   il   profilo   della
 offensivita',   coerentemente  rapportata  al  quadro  globale  della
 strategia di intervento deliberata ed alla particolare  gravita'  del
 fenomeno criminoso da reprimere.
    Ne  consegue  che, con riferimento ai parametri fin qui esaminati,
 priva  di  fondamento  si  appalesa  anche  l'opinione  del   giudice
 rimettente  secondo  cui  il  criterio  quantitativo oggettivo medio,
 utilizzato dal  legislatore,  non  sarebbe  in  principio  idoneo  ad
 individuare la condotta punibile in conformita' a Costituzione.
    10.  - Un ulteriore profilo di legittimita' costituzionale, comune
 alle quattro ordinanze del tribunale  di  Roma,  e'  contenuto  nella
 censura, sempre nei confronti dello stesso complesso normativo di cui
 agli articoli 73, 75 e 78 t.u. approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990 n.
 309,  di  violazione  dell'art. 3 Cost. per disparita' di trattamento
 nella forma di pari trattamento di  situazioni  diverse  perche',  in
 caso   di  detenzione  di  sostanze  stupefacenti  in  misura  appena
 superiore alla dose media giornaliera,  sarebbero  assoggettati  alla
 stessa  pena  sia  il soggetto che ha ceduto la droga, sia quello che
 l'ha consumata giacche', trattandosi di  un  fatto  minimo  in  senso
 assoluto,  le due condotte non potrebbero essere differenziate, salvo
 a ritenere, con violazione dei criteri generali di applicazione della
 legge penale, che alla fattispecie  minima  di  spaccio  di  sostanze
 stupefacenti non si possa mai applicare il minimo edittale.
    Alla  stessa  idea  di  fondo  di violazione dell'art. 3 Cost. per
 parita' di trattamento di situazioni non omogenee, ma all'interno  in
 questo  caso  della  categoria  dei  detentori  per uso personale, si
 ispira  anche  la   prima   delle   due   censure   di   legittimita'
 costituzionale  sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. dal Pretore
 di Bergamo, sezione distaccata di Grumello del Monte, sul rilievo che
 le disposizioni citate sottopongono ad uguale trattamento  situazioni
 che   possono   essere   notevolmente   diverse   in  relazione  alle
 caratteristiche dei soggetti agenti, per  essere  dissimili  le  loro
 esigenze  e diverso il grado individuale di assuefazione o dipendenza
 dalla sostanza.
    La questione e' infondata sotto entrambi i profili prospettati.
    Va  in  primo  luogo  rettificata la premessa dalla quale muove il
 tribunale di Roma la'  dove  qualifica  "un  fatto  minimo  in  senso
 assoluto"  sia  la condotta del soggetto che ha venduto una quantita'
 di  sostanza  stupefacente  "appena  superiore"   alla   dose   media
 giornaliera, sia quella del soggetto che l'ha acquistata e consumata.
    In  realta'  le  due  fattispecie cosi' poste a raffronto non sono
 affatto entrambe  al  limite  minimo  della  soglia  di  punibilita'.
 Infatti  la  dose  media  giornaliera  opera  come  discrimine  della
 punibilita' solo per la detenzione per uso personale e non anche  per
 la  detenzione  per  lo  spaccio  o  per lo stesso spaccio. Quindi lo
 spaccio di una quantita' di droga appena superiore  alla  dose  media
 giornaliera  non rappresenta - a differenza dalla sua mera detenzione
 - la condotta di  minore  disvalore  penale  destinata  in  linea  di
 principio  alla  applicazione  della  pena minima, salvo il giuoco in
 concreto della valutazione discrezionale di cui agli artt. 132 e  133
 c.p.  che non rileva sul piano della considerazione in astratto delle
 due fattispecie. Ne', secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,
 eventuali  illegittime  applicazioni  del  minimo e del massimo della
 pena edittale possono ridondare in ragione  di  illegittimita'  della
 norma incriminatrice (ord. n. 806/1988).
    Nel  quadro  dell'ovvia  considerazione  che  offerta  (spaccio) e
 domanda (consumo) sono profili interagenti di un unico fenomeno,  "le
 due  facce  del  medesimo  ed indivisibile problema" (Raccomandazione
 citata punto 9) posto  che,  come  insistentemente  sottolineato  nel
 corso  dei  lavori  preparatori, non vi potrebbe essere offerta senza
 (la  sollecitazione   della)   domanda,   ne'   domanda   senza   (la
 disponibilita'  della) offerta, il legislatore, al momento di operare
 le sue scelte strategiche di politica  criminale  contro  il  mercato
 della  droga,  ha ritenuto opportuno contrastare entrambi i momenti -
 la domanda, e per essa la detenzione,  e  la  offerta  -  dei  quali,
 appunto,  qualsiasi  mercato vive, peraltro limitando, per le ragioni
 gia' viste, la parificazione del  trattamento  sanzionatorio,  quanto
 alla   detenzione,  soltanto  a  partire  da  un  determinato  limite
 quantitativo. Sicche' anche nel caso della detenzione, quando  quella
 quantita'  di  accumulo  sia  superata,  entrano  in  giuoco  - nella
 valutazione legislativa - il  mercato  generale  della  droga  ed  il
 fenomeno  droga  nel  suo  complesso  e  sfuma in tale prospettiva la
 differenza tra le due condotte.
    E non e' inutile da ultimo ricordare che  la  legittimita'  di  un
 trattamento  sanzionatorio  che  riconduca  alla medesima fattispecie
 incriminatrice la detenzione di  droga,  tanto  se  finalizzata  allo
 spaccio  quanto  se finalizzata al consumo, e' un dato gia' acquisito
 dalla giurisprudenza di questa Corte, in relazione sia alla legge del
 1954 (sent. n. 9/1972), sia alla legge del 1975 (sent.  n.  170/1982;
 ord. n. 94/1984).
    11.   -  Parimenti  infondata  e'  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata dallo stesso pretore  di  Bergamo  sotto  un
 secondo  profilo  di violazione dell'art. 3 Cost., sul rilievo che il
 disposto  normativo  censurato  "pretermette  il   primario   compito
 ordinamentale  di  rimozione  degli  ostacoli di ordine sociale, che,
 inducendo o comunque non prevenendo ai singoli di  pervenire  ad  uno
 stato  di  dipendenza  dalle  droghe,  ne impedisce il pieno sviluppo
 della personalita'".   L'obiettivo della  tendenziale  e  progressiva
 eliminazione di disagi e difficolta' di ordine socio-economico - che,
 in  determinate  situazioni,  concorrono  a  dare origine al fenomeno
 delle tossicodipendenze - rappresenta un profilo di  ben  piu'  ampia
 portata,  che  travalica  quello  settoriale  della  disciplina delle
 sostanze stupefacenti ed  attiene  a  scelte  di  fondo  di  politica
 generale   -  legislativa,  sociale,  economica  -  che  sfuggono  al
 sindacato di questa Corte.
    12.1. - Altro profilo di costituzionalita'  e'  quello  introdotto
 dal  Tribunale di Roma (nelle quattro ordinanze sopra indicate) e dal
 G.i.p. presso il Tribunale di Camerino (in due  ordinanze),  i  quali
 ritengono   che  il  meccanismo  normativo  attraverso  il  quale  il
 legislatore individua la fattispecie penalmente  rilevante  contrasti
 con  la riserva di legge in materia penale sancita dall'art. 25 Cost.
 per il fatto che l'art. 78 demanda ad un decreto del  Ministro  della
 sanita'   la   determinazione  dei  limiti  quantitativi  massimi  di
 principio attivo per le  dosi  medie  giornaliere.  Tale  rinvio  non
 soddisfa   -   secondo   i   giudici   rimettenti   -  l'esigenza  di
 predeterminazione  ad  opera  della  norma  primaria  del   contenuto
 essenziale  della fattispecie penale. In particolare l'art. 78 cit. -
 mentre alle lett. a) e b) detta criteri per  l'accertamento  dell'uso
 abituale  di sostanze stupefacenti e metodiche per la quantificazione
 dell'assunzione abituale nelle  24  ore  -  non  detta  invece  alcun
 criterio  per  la  determinazione  della  dose  media  giornaliera, a
 differenza di quanto faceva l'art. 12 della legge n. 685/75 in ordine
 alle tabelle delle sostanze stupefacenti, indicando con ricchezza  di
 dettagli  i  criteri  per  la  formazione  di  tali  tabelle  e cosi'
 circoscrivendo l'intervento della pubblica amministrazione nei limiti
 di un'attivita' meramente  tecnica.  Invece  l'art.  78  contiene  il
 richiamo   ad  "un'entita'  irreale  (la  "dose  media  giornaliera")
 assolutamente  insuscettibile  di  definizione  dal  punto  di  vista
 tecnico - scientifico", atteso che, dovendo la dose media giornaliera
 riferirsi  alla  media  aritmetica  tra  dose  minima  e dose massima
 assumibile nelle 24 ore, tali due estremi sono  altamente  incerti  e
 mutevoli  a  causa delle molte variabili da cui essi dipendono, quali
 il modo  di  assunzione  ed  il  grado  di  tolleranza  del  soggetto
 assuntore.  In  tal  modo  lo  scrimine tra il lecito e l'illecito e'
 rimesso alla  discrezionalita'  dell'autorita'  amministrativa.    In
 concreto  poi  il  D.M.  12  luglio  1990 n. 186 confermerebbe questo
 assunto   evidenziando   in   particolare    l'inadeguatezza    della
 determinazione (in linea di massima eccessivamente restrittiva) della
 dose media giornaliera di eroina, cocaina e della cannabis e derivati
 e   l'illegittimo   perseguimento   di  finalita'  di  prevenzione  e
 disincentivazione. Tra l'altro si osserva che il  discrimine  fondato
 sulla  "dose media giornaliera" sarebbe fortemente penalizzante per i
 tossicomani  pesanti,  esposti  alla  sanzione  penale   pur   quando
 mantengano   l'approvvigionamento  nei  limiti  del  loro  fabbisogno
 quotidiano,  ed  invece  colpevolmente  gratificante  per  i  piccoli
 spacciatori,  che  siano  eventualmente anche assuntori occasionali o
 allo  stadio  iniziale,  i  quali,  avendo  un  fabbisogno  personale
 inferiore alla "dose media giornaliera", conservano un margine per il
 piccolo  spaccio.    In  realta'  -  si  sostiene  soprattutto  nelle
 ordinanze del Tribunale di Roma come si e' gia' prima ricordato -  il
 dato  quantitativo  obiettivo  non  e' in linea di principio idoneo a
 differenziare, senza violare la Costituzione, la condotta  penalmente
 punibile  (spaccio)  da  quella non penalmente punibile (consumo); il
 discrimine fra le due condotte, invece, deve essere fondato  su  dati
 fattuali   emergenti   singolarmente   dall'accertamento  giudiziale,
 nell'ambito del quale la quantita' di sostanze stupefacenti  detenute
 puo'  costituire  unicamente  uno  degli elementi di prova. Da qui la
 necessita' della caducazione nell'art. 75 dell'inciso  "in  dose  non
 superiore  a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri
 indicati al comma primo dell'art. 78", per  effetto  della  quale  il
 discrimine  del  penalmente rilevante verrebbe a fondarsi sul tipo di
 condotta (destinazione allo spaccio o  al  consumo)  passando  da  un
 criterio  "medio"  ad  uno  individuale.   12.2. - Della censura piu'
 radicale, formulata nelle ordinanze del Tribunale di  Roma,  volta  a
 denunziare la non idoneita', in principio, del parametro quantitativo
 oggettivo  medio  ad  individuare  la  detenzione penalmente punibile
 senza violare i principi  costituzionali,  si  e'  gia'  rilevata  la
 infondatezza   con   riferimento  ai  profili  di  ragionevolezza  ed
 offensivita'.  Ad eguale conclusione si perviene con  riferimento  al
 profilo  della  riserva di legge, dovendosi escludere, per le ragioni
 che seguono, che il complesso normativo in esame  violi  il  relativo
 principio.   Come si e' prima accennato, il criterio della dose media
 giornaliera  -  unico  e  non  duplice,   oggettivo   medio   e   non
 personalizzato   -   era   concetto   gia'   noto   alla   esperienza
 giurisprudenziale sotto la vigenza  della  legge  n.  685  del  1975.
 Infatti  la  giurisprudenza di gran lunga prevalente della Cassazione
 era pervenuta  a  definire  la  modica  quantita'  come  un  multiplo
 variamente quantificato del consumo giornaliero "medio" riferito alla
 figura  del  "consumatore  medio",  non  dovendosi tenere conto delle
 esigenze  del  singolo  tossicodipendente:  quindi  non   solo   tale
 parametro  era  gia'  noto,  ma  la giurisprudenza stessa faceva gia'
 riferimento alla quantita' di principio attivo cioe' di sostanza pura
 o allo stato puro presente nelle cosidette dosi di strada.   12.3.  -
 Diversi, peraltro, sono i criteri di determinazione, rispettivamente,
 della "dose media giornaliera" e della "modica quantita'": la seconda
 affidata   al   giudice;  la  prima  invece  rimessa  ad  un  decreto
 ministeriale dal combinato disposto  degli  artt.  75  e  78  t.u.  9
 ottobre  1990  n. 309.  Ma il tassello che nell'attuale disciplina va
 in tal  guisa  a  completare  la  fattispecie  penale  contiene  gia'
 l'estrinsecazione   della   prerogativa   della   norma  primaria  di
 determinare cio' che e' sanzionato  e  cio'  che  non  e'  sanzionato
 perche'  fa ricorso ad un criterio obiettivo di valutazione che - per
 le considerazioni teste'  svolte  sul  punto  che  anche  nel  regime
 previgente  la dose giornaliera abituale media era la base di calcolo
 della modica quantita' -  costituiva  un'acquisizione  gia'  presente
 nella giurisprudenza. La discrezionalita' del legislatore primario e'
 stata   esercitata  nel  momento  in  cui,  tra  le  varie  soluzioni
 possibili, ha optato per il criterio  della  dose  media  giornaliera
 come  scriminante  tra  detenzione sanzionata penalmente e non. Cosi'
 definita  la  soglia  di  punibilita',  la  fattispecie   penale   e'
 sufficientemente  descritta nei suoi elementi essenziali e, al di la'
 di questa opzione, residua soltanto una determinazione tecnica  sulla
 base di nozioni di tossicologia, farmacologia e statistica sanitaria,
 ma  non  anche  una  scelta  di  politica  criminale  (tant'e' che il
 precetto penale potrebbe in ipotesi  sussistere  autonomamente  anche
 senza  l'integrazione del decreto ministeriale, come era previsto nel
 testo  proposto  dalle Commissioni riunite 2a e 12a del Senato e come
 lo stesso testo definitivo non ha in principio escluso  che  potesse,
 almeno  interinalmente,  verificarsi  quando  ha  fissato in due mesi
 dalla data di entrata in vigore della legge n. 162  cit.  il  termine
 finale  per  l'emanazione  del  decreto  stesso).  Sono quindi queste
 conoscenze  tecniche  che   fissano   in   termini   sufficientemente
 delimitati  le coordinate dell'integrazione rimessa al Ministro della
 sanita',  il   quale   pertanto   e'   tenuto   ad   esercitare   una
 discrezionalita'  solo  tecnica,  come  risulta  dalla  previsione di
 aggiornamenti nel solo  caso  di  "evoluzione  delle  conoscenze  del
 settore" (e non gia' di inasprimento o allentamento della repressione
 dello spaccio). In quest'ottica il criterio indicato sub c) del primo
 comma  dell'art.  78  -  secondo  cui devono essere fissati "i limiti
 quantitativi  massimi  di  principio  attivo  per   le   dosi   medie
 giornaliere"  -  appare  vincolare  in modo sufficientemente adeguato
 all'attuale stato delle conoscenze  suddette  la  determinazione  del
 Ministro  della  sanita',  al  quale  la  legge  non  consente alcuna
 valutazione in chiave di prevenzione o di repressione, volta cioe' ad
 integrare la scelta di  politica  criminale  che  solo  la  normativa
 primaria  puo'  operare.   Si aggiunga che il criterio della lett. c)
 del primo comma dell'art. 78 va coordinato con i  precedenti  criteri
 sub  a)  e  b)  giacche'  l'art.  75  richiama tutto il contenuto del
 suddetto primo comma e non gia'  solo  la  lett.  c).  Ed  infatti  -
 dovendo  la  soglia  quantitativa  essere  "media" ed essere riferita
 all'arco di una giornata  -  soccorrono  a  tal  fine  le  "procedure
 diagnostiche e medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze
 stupefacenti   o   psicotrope"   e  "le  metodiche  per  quantificare
 l'assunzione abituale nelle ventiquattro ore" che il  Ministro  della
 sanita'  deve  emanare,  previo  parere  dell'Istituto  superiore  di
 sanita', ai sensi, rispettivamente, delle lett. a) e b) dell'art. 78,
 cosi' standardizzando i procedimenti di rilevazione  statistica  gia'
 adottati  nella  prassi.    In sostanza quindi il criterio sub c) del
 primo comma dell'art. 78 va integrato con quelli  sub  a)  e  b)  (di
 contenuto  strettamente  tecnico-scientifico),  nel  senso che questi
 ultimi due - che nel testo dell'originario  disegno  di  legge  erano
 deputati  a specificare il criterio della dose media "personalizzata"
 prevista per l'abituale assuntore di  sostanze  stupefacenti  -  oggi
 conservano   egualmente   una   loro   funzione  in  quanto  indicano
 all'autorita' amministrativa le metodiche per stabilire quale sia  il
 consumo abituale di sostanze stupefacenti che consentono di pervenire
 attraverso  campionature  statistiche a conoscere un panorama di dati
 individuali da utilizzare per quantificare la misura "media", secondo
 criteri  obiettivi  di  valutazione  alla  stregua  della   ricordata
 giurisprudenza.    Vero  e'  che  tali  criteri  - come risulta dalla
 letteratura sul tema e dalla  stessa  esperienza  testimoniata  dagli
 organi  tecnici  chiamati  a  fornire  parere durante la elaborazione
 della legge ed in sede di redazione del decreto ministeriale e  delle
 relative tabelle - presentano margini di opinabilita' e non conducono
 alla  individuazione  di  risultati  del tutto sicuri e precisi.   Ma
 tecnicita'  e  scientificita'  del  criterio   di   riferimento   ben
 raramente,  e comunque non necessariamente al fine che qui interessa,
 equivalgono a certezza: e' sufficiente, per realizzare  il  requisito
 della   adeguata   predeterminazione  del  contenuto  essenziale  del
 precetto penale, la verificabilita', la ragionevolezza dei criteri ai
 quali   la  norma  primaria  rinvia.  E  nella  specie,  come  si  e'
 ripetutamente sottolineato, si tratta  di  criteri  la  cui  concreta
 praticabilita'  operativa  e'  testimoniata dall'applicazione fattane
 durante i quindici anni di vigenza della precedente  disciplina.  Ne'
 va trascurata la considerazione che comunque, rispetto alle finalita'
 pratiche  perseguite attraverso il divieto di accumulo piu' volte in-
 dicate, e'  sufficiente  -  e  quindi  non  e'  irragionevole  -  una
 determinazione  quantitativa che pure presenti margini inevitabili di
 approssimazione.  Onde, in definitiva, la dose media giornaliera, pur
 con le approssimazioni proprie di ogni standardizzazione, e'  nozione
 riferita  a  criteri obiettivi determinati nella realta' del momento.
 La prevista variabilita' delle tabelle "in relazione alla  evoluzione
 delle  conoscenze  del  settore"  (art. 78 comma 2) e' il sufficiente
 correttivo  di  tali  approssimazioni.    12.4.  -  Cosi'  delimitata
 l'integrazione della fattispecie penale, il rinvio al d.m. non vi'ola
 il  precetto  dell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.    Conforta tale
 convincimento la giurisprudenza di questa Corte  che  -  a  parte  la
 radicale  affermazione  di  principio  formulata  in alcune risalenti
 pronunzie (sent. n. 36/1964; sent. n. 9/1972;  sent.  n.    113/1972)
 secondo  cui  la  riserva  di  legge penale e' rispettata solo che la
 norma primaria indichi "la condotta vietata" e  "l'oggetto  materiale
 del reato" - ha ritenuto costituzionalmente legittima la integrazione
 della  fattispecie penale ad opera di atti amministrativi in numerose
 altre ipotesi non dissimili da quella in  esame.    Puo'  richiamarsi
 innanzi  tutto  la  gia'  citata  sentenza n. 36 del 1964 (confermata
 dalla pure gia' citata sent. n. 9 del 1972) che non ha  ravvisato  la
 illegittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.  25 Cost.,
 dell'art. 6  della  legge  n.  1041  del  1954  cit.    perche',  nel
 sanzionare    tra   l'altro   l'illecita   detenzione   di   sostanze
 stupefacenti, rimetteva all'autorita' amministrativa l'elencazione di
 queste ultime. Anzi la Corte rilevava la maggiore  puntualita'  della
 fattispecie  criminosa  introdotta dall'art. 6, rispetto a quella dei
 precedenti  artt.  446  e  447  cod.   pen.   che   invece   facevano
 genericamente  riferimento  alla  nozione  di  "stupefacenti"  con la
 conseguenza  che  "nell'applicazione  delle  norme  del  codice   gli
 accertamenti subivano le incertezze, le insufficienze, le difformita'
 di  valutazioni  disposte  di  volta  in  volta dal giudice" (rilievo
 questo che, puo' valere anche nel passaggio  da  un  sistema  fondato
 sulla  nozione  generale di "modica quantita'", la cui determinazione
 era rimessa di volta in  volta  al  giudice  penale,  ad  un  sistema
 fondato   sulla   dose   media  giornaliera  che  e'  preventivamente
 determinata  in  modo  oggettivo  e  fornisce  "la  garanzia  di  una
 qualificazione unitaria" valevole per tutti).  Con riferimento poi ad
 altre fattispecie la Corte ha ribadito che "il principio di legalita'
 in  materia  penale  e' soddisfatto sotto il profilo della riserva di
 legge (art. 25, secondo comma, Cost.)  allorquando la legge determina
 con sufficiente specificazione il fatto cui e' riferita  la  sanzione
 penale.  In  corrispondenza  della ratio garantista della riserva, e'
 infatti necessario che la legge consenta di distinguere tra la  sfera
 del lecito e quella dell'illecito, fornendo a tal fine un'indicazione
 normativa sufficiente ad orientare la condotta dei consociati" (sent.
 n.  282 del 1990, che richiama proprio i suddetti elenchi di sostanze
 stupefacenti). Rispettosa di tale  principio  e'  stata  ritenuta  la
 normativa   in   materia   di   sanzioni  penali  per  violazione  di
 provvedimenti  della  p.a.  -  quali  quelli del C.I.P. in materia di
 prezzi ovvero quelli emessi per ragioni di giustizia o  di  sicurezza
 pubblica  o  d'ordine pubblico o d'igiene ex art. 650 cod. pen. (ord.
 n. 659 del 1988; sent. n. 58 del 1975; n. 21 del  1973;  n.  168  del
 1971)  -,  fattispecie  queste  in  cui  l'integrazione  ad opera del
 provvedimento amministrativo  della  condotta  sanzionata  penalmente
 appare  di  maggior momento rispetto a quella operata dall'art. 78 in
 esame.  Gli stessi principi si ritrovano ribaditi in varie  ulteriori
 ipotesi  di  integrazione  della fattispecie penale (cfr. ord. n. 492
 del 1987; sent. n. 108 del 1982 e n. 113 del 1972).   E  anche  nella
 delicata  materia  alimentare e' stata ritenuta la legittimita' della
 integrazione della fattispecie incriminatrice mediante rinvio a fonti
 secondarie   dalla   sentenza   n.   96/1964    relativamente    alla
 individuazione degli additivi chimici vietati, nonche' dalla sentenza
 n.  61/1969.  In particolare quest'ultima ha ritenuto compatibile con
 la riserva di legge il rinvio al decreto del Ministro  della  sanita'
 non  soltanto della formazione degli elenchi dei coloranti consentiti
 delle sostanze alimentari, ma anche delle "modalita' d'uso"; la Corte
 ha   ritenuto   che   tale    termine    contenesse    un'indicazione
 sufficientemente  vincolata per la p.a. e non consentisse "arbitrarie
 dilatazioni".      Infine,   anche   la    "pregressa    elaborazione
 giurisprudenziale"  - quale nella specie e' quella formatasi riguardo
 alla nozione della "modica quantita'" - e'  stata  ritenuta  adeguato
 criterio  di  integrazione  della  fattispecie  penalmente  rilevante
 (sent. n.  49/1980).  In conclusione pertanto puo' dirsi  che,  anche
 nel  caso  del  rinvio  operato  dall'art. 78 al decreto del Ministro
 della sanita', i parametri indicati nella lett. c) del  primo  comma,
 integrati  da  quelli  contemplati  nelle  precedenti  lett. a) e b),
 rappresentano  -  in  correlazione  con  la   richiamata   esperienza
 giurisprudenziale  maturata  circa la individuazione del dato di base
 (consumo giornaliero di un assuntore medio) gia'  utilizzato  per  la
 quantificazione della "modica quantita'" di cui alla legge del 1975 -
 vincoli  sufficienti  a  restringere  la  discrezionalita' della p.a.
 nell'ambito di una valutazione strettamente tecnica  -  e  come  tale
 giudicata  ripetutamente  idonea  a  concorrere,  nel  pieno rispetto
 dell'art. 25, secondo comma, Cost. a  precisare  il  contenuto  della
 norma  incriminatrice  con l'ausilio dei "suggerimenti che la scienza
 specialistica puo' dare in un determinato momento storico" (sent.  n.
 475/1988  con  riferimento  ad  elementi  normativi della fattispecie
 affidati alla individuazione del giudice) - ed  in  conseguenza  puo'
 affermarsi    che   la   condotta   penalmente   sanzionata   risulta
 sufficientemente descritta dalla norma primaria dettata con il citato
 art. 78.   12.5. - Le prime  due  ordinanze  del  Tribunale  di  Roma
 contengono  ulteriori  censure  rivolte  (non  piu'  all'art. 78, ma)
 direttamente nei  confronti  del  decreto  ministeriale,  che  -  mal
 utilizzando  le conoscenze tecniche del settore - avrebbe determinato
 la  dose  media  giornaliera  delle  singole  sostanze   stupefacenti
 eccedendo  essenzialmente  per  difetto.   Ma tali censure, in quanto
 concernenti non  la  sufficienza  dei  criteri  fissati  dalla  norma
 primaria - in misura, come si e' visto, costituzionalmente adeguata -
 bensi'   la   applicazione   fattane  dall'autorita'  amministrativa,
 rimangono estranee al giudizio di questa Corte.  Infatti  l'eventuale
 illegittimita'   della   integrazione   amministrativa   della  norma
 incriminatrice primaria non ridonderebbe certamente in illegittimita'
 costituzionale  di  quest'ultima, ma soltanto radicherebbe il potere-
 dovere del giudice ordinario di disapplicare  nel  caso  concreto  la
 fonte  normativa  integratrice  secondaria  (nella  parte  in  cui la
 ritenga illegittima), dato il  potere  di  disapplicazione  dell'atto
 amministrativo  illegittimo  che  compete  all'autorita' giudiziaria.
 13. - La anelasticita' dell'attuale discrimine fra illecito penale  e
 illecito amministrativo - identificato nella "dose media giornaliera"
 normativamente  predeterminata  in  misura  fissa per ciascun tipo di
 sostanza   -   puo'   provocare   il   verificarsi   di    situazioni
 particolarmente  delicate  - di cui questa Corte si sente avvertita -
 in tutti i casi in cui l'eccedenza rispetto al limite  di  tolleranza
 si   presenti  in  termini  quantitativamente  marginali  o  comunque
 modesti.  E' questo, peraltro, un conseguenziale effetto della scelta
 legislativa - in se', come si e' visto, non viziata da illegittimita'
 costituzionale - di un limite  obiettivo  fisso,  predeterminato  con
 valenza  generale.  E  se  e'  innegabile che alla peculiarita' della
 situazione verificantesi per  il  mero  detentore  nelle  ipotesi  di
 eccedenza   marginale   avrebbe   potuto   farsi   corrispondere  una
 configurazione della fattispecie criminosa piu' articolata rispetto a
 quella gia' adottata con la disposizione di cui all'art. 73, comma 5,
 t.u., cit., e' anche vero che l'essersi il legislatore - fino ad oggi
 -  diversamente  determinato  concretizza  una  scelta  di   politica
 criminale  che (la si voglia oppur no condividere nel merito) rientra
 nella sua discrezionalita', e non  presenta  connotati  di  manifesta
 irragionevolezza  o  arbitrarieta'  - gli unici censurabili da questa
 Corte in tema di individuazione della fattispecie (ord. n.  439/1987;
 sent. n. 132/1986; sent. n. 62/1986; sent. n. 126/1983) - trattandosi
 di  scelta  coerente  con  una  delle  plausibili  conseguenze  della
 predeterminazione normativa di un limite  fisso.  D'altra  parte  non
 puo'   non   tenersi   conto,  sempre  sul  piano  del  controllo  di
 ragionevolezza,  che  il  legislatore  non  ha  comunque  mancato  di
 configurare  una  ipotesi  di attenuante specifica ovvero di autonomo
 reato attenuato (questione interpretativa di cui non deve darsi conto
 in questa sede) riguardo ai fatti da ritenersi di "lieve entita'"  in
 considerazione,  fra  l'altro,  proprio  della  quantita' di sostanza
 detenuta.   Rimane precipuo dovere del  giudice  di  merito  -  nelle
 ipotesi peculiari in discorso - apprezzare, alla stregua del generale
 canone   interpretativo   offerto   dal   principio   di   necessaria
 offensivita' della condotta concreta, se la  eccedenza  eventualmente
 accertata  sia  di  modesta  entita'  cosi'  da  far  ritenere che la
 condotta dell'agente - avuto riguardo alla ratio  incriminatrice  del
 divieto  di  accumulo  e  tenuto  conto  delle  particolarita'  della
 fattispecie - sia priva di qualsiasi idoneita'  lesiva  concreta  dei
 beni   giuridici   tutelati  e  conseguentemente  si  collochi  fuori
 dall'area del penalmente rilevante  (cosi'  come  gia'  affermato  da
 questa  Corte  nella  sent.  n. 62/1986).   Ed al riguardo neppure va
 pretermesso  il  rilievo  che  a  differenza  del  sistema  normativo
 delineato  dalla legge del 1975 - vigente il quale si riteneva che il
 dato  quantitativo  giuocasse  nella  struttura   della   fattispecie
 incriminatrice  il  ruolo  di  esimente  -  nella nuova disciplina il
 limite della dose media  giornaliera  opera  come  elemento  negativo
 della   fattispecie,   questa  identificandosi  nella  detenzione  di
 sostanza contenenti un quantitativo di principio attivo superiore  al
 massimo  consentito.  Quindi  anche  questo  ulteriore elemento della
 condotta   incriminata   deve  essere  investito  dal  dolo  (essendo
 insufficiente la mera colpa con previsione); cioe' e' necessario  che
 l'agente sia consapevole di detenere una quantita' totale di sostanza
 stupefacente  tale  che  contenga  una  quantita' di principio attivo
 superiore a quella tabellata  nel  citato  decreto  ministeriale.  Di
 guisa   che,   ad   esempio,   nell'ipotesi   in   cui   il  soggetto
 tossicodipendente o tossicofilo acquisti una quantita' di  droga  che
 normalmente contiene un principio attivo inferiore a quello di legge,
 ma  che  per  avventura  risulti essere particolarmente pura e quindi
 ricca di principio attivo in misura  superiore  a  quella  di  legge,
 potrebbe  mancare  la  consapevolezza del superamento della soglia di
 punibilita' e quindi il dolo e, per esso, il reato stesso.    Infine,
 una  ulteriore  puntualizzazione dei criteri di quantificazione della
 pena adottati dal legislatore conferma la conclusione secondo cui  il
 regime    vigente    permette    una   modulazione   della   sanzione
 sufficientemente rispettosa del criterio di ragionevolezza.  Il comma
 5 dell'art. 73  prevede  l'ipotesi  in  cui  "per  i  mezzi,  per  le
 modalita'  o  le  circostanze  dell'azione  ovvero  per la qualita' e
 quantita' delle sostanze" i  fatti  previsti  nel  medesimo  articolo
 siano  di  "lieve  entita'";  in  tal  caso  le  pene  detentive sono
 rispettivamente,nel minimo, un anno (per le "droghe pesanti")  e  sei
 mesi  (per  le  "droghe  leggere")  di  reclusione.    Orbene, tra le
 "circostanze dell'azione" menzionate nella disposizione  citata  sono
 comprese  anche  le "circostanze soggettive" tutte, e quindi anche le
 finalita' della condotta tenuta dall'agente.  Con la conseguenza  che
 anche  la  detenzione  di  una quantita' di sostanze stupefacenti che
 ecceda  in  misura  non  "lieve"  la  d.m.g.  puo'  comunque   essere
 ricondotta  nell'ambito della incriminazione attenuata ove il giudice
 ritenga, in relazione alle circostanze del caso, di potere a tal fine
 valorizzare la inequivoca destinazione al consumo personale.   14.  -
 Il Pretore di Bergamo ha poi sollevato questione di costituzionalita'
 delle norme censurate in riferimento all'art. 27 Cost. nella parte in
 cui  esse  (ma  in  realta'  l'art.  73)  comminano pene i cui limiti
 edittali sono divergenti dalle finalita'  rieducative  dell'imputato.
 La  questione,  cosi'  posta,  non  appare fondata perche' secondo la
 giurisprudenza  di   questa   Corte,   come   gia'   ricordato,   "la
 configurazione  della  fattispecie  criminosa  e la valutazione della
 congruita' della pena rientrano  nella  discrezionalita'  legislativa
 con   l'unico  limite  della  manifesta  irragionevolezza"  (ord.  n.
 439/1987; sent. n. 132/1986; sent. n.  62/1986;  sent.  n.  126/1983,
 cit.).  D'altra  parte  la  funzione rieducativa della pena trova una
 speciale ed accentuata attuazione nella legge n. 162 del  1990,  come
 all'evidenza risulta dalla lettura, fra gli altri, degli articoli 89,
 90,  93, 94, 95 t.u., che disegnano un complesso di misure tutte ori-
 entate verso il recupero del tossicodipendente e che  assicurano  una
 piena  (ed anzi esaltata) attuazione della funzione rieducativa della
 pena quale prescritta dall'art. 27 Cost.  15. - Con ordinanza  dell'8
 gennaio  1991  il  Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello
 del  Monte,  ha  sollevato,  in   riferimento   all'art.   32   della
 Costituzione,  ulteriore  questione  di  legittimita'  costituzionale
 delle medesime norme gia' censurate sotto i profili finora  esaminati
 nella  parte  in  cui  sottopongono a sanzione penale la detenzione a
 fine di uso personale non  terapeutico  di  sostanze  stupefacenti  e
 psicotrope  in  misura  superiore  alla  dose  media giornaliera, sul
 rilievo  che le norme stesse, anziche' tutelare la salute dei singoli
 assuntori, sottopongono invece  a  pena  detentiva  (formalmente  una
 condotta,  ma  di fatto) lo stato personale di tossicodipendenza.  Si
 tratta  null'altro  che  di  un   ulteriore   profilo   argomentativo
 discendente  dalla  premessa  che  la  condotta sanzionata penalmente
 dall'art. 73 cit.  e'  in  realta'  lo  stesso  consumo  di  sostanze
 stupefacenti.   Di   tale  premessa  si  e'  gia'  ampiamente  detto,
 pervenendo  alla  conclusione  che  sanzionata   penalmente   e'   la
 detenzione (e non gia' il consumo) di sostanze stupefacenti, condotta
 di per se' stessa connotata dal carattere dell'offensivita', e che la
 configurazione  di  tale fattispecie incriminatrice e' immune da vizi
 di illogicita' o irrazionalita'. Consegue che anche la prospettazione
 svolta dal  Pretore  di  Bergamo,  sotto  l'ulteriore  profilo  della
 violazione  del  diritto alla salute individuale (art. 32 Cost.), non
 e' fondata non potendo accogliersi la premessa da  cui  tale  censura
 muove.  16. - In definitiva, e conclusivamente, tutte le questioni di
 costituzionalita'  sollevate dai giudici a quibus sono infondate.  In
 relazione alla gravita', complessita',  delicatezza  e  drammaticita'
 dei  problemi  individuali e sociali, morali e politici, nazionali ed
 internazionali implicati nel fenomeno  droga,  rimane  affidato  alla
 sensibilita'  del legislatore il compito essenziale di verificare sul
 concreto terreno applicativo, alla luce degli effetti  provocati  dal
 sistema  normativo in questione, la bonta' delle scelte di merito non
 sindacabili come tali da questa Corte e di individuare  le  linee  di
 ogni possibile ed utile modifica migliorativa.