ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 56 della legge
 26 luglio 1975, n.  354  (Ordinamento  penitenziario),  e  successive
 modifiche  promosso  con  ordinanza  emessa  il  30  gennaio 1991 dal
 Magistrato di sorveglianza di Trento sull'istanza proposta  da  Moser
 Ivano  iscritta  al  n.  243 del registro ordinanze 1991 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  16,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1991;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 19 giugno 1991 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  del  30  gennaio  1991,  il  magistrato  di
 sorveglianza  di  Trento  ha  denunciato  - in riferimento all'art. 3
 Cost. - l'art. 56  della  l.  26  luglio  1975  n.  354  (Ordinamento
 penitenziario),  nella parte in cui detta norma (nel testo modificato
 dall'art. 19 l. 1986  n.  663)  -  subordinando  il  beneficio  della
 remissione  del debito per spese di giustizia (oltreche' alle attuali
 disagiate  condizioni   economiche   dell'istante)   alla   "regolare
 condotta" tenuta nel corso della esecuzione della pena - ne rende, in
 concreto,  impossibile la concessione ai condannati nei cui confronti
 la seconda condizione non sia valutabile per non avere essi  scontato
 alcun periodo di carcerazione.
    Premesso  che  tale  situazione si era verificata nella specie nei
 riguardi del richiedente Ivano Moser (il  quale  aveva  fruito  della
 sospensione  condizionale  di  una  pena  detentiva  inflittagli  dal
 Tribunale di Trento), dal che appunto la  rilevanza  della  sollevata
 questione, ha argomentato il giudice a quo, in punto di non manifesta
 infondatezza   della  questione  medesima,  che  proprio  i  soggetti
 (presumibilmente) piu' meritevoli - i quali per la non  gravita'  del
 reato  commesso, per la minore loro pericolosita' sociale o per altra
 qualsivoglia ragione, non abbiano sofferto un periodo di carcerazione
 (ne' a titolo cautelare ne' di espiazione di  pena)  -  sembrerebbero
 ingiustamente  ed  irragionevolmente  discriminati dalla disposizione
 impugnata, rimanendo inderogabilmente costretti a pagare somme  (come
 nella  specie)  anche ingenti, pur in presenza di precarie condizioni
 economiche e di una onesta condotta di  vita,  in  contrasto  con  la
 finalita'  di  reinserimento  sociale che l'istituto della remissione
 delle  obbligazioni  civili  per  spese  di  giustizia  e'   deputato
 viceversa ad agevolare.
    Nel  giudizio  innanzi  alla Corte non vi e' stata costituzione di
 parte, ne' intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  stata  sollevata  -  in  relazione  all'art.  3   della
 Costituzione  -  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 56 della
 legge  26  luglio  1975  n.  354  (Ordinamento  penitenziario),  come
 modificato dall'art. 19 della legge 10 ottobre 1986 n. 663 (Modifiche
 alla  legge  sull'ordinamento  penitenziario  e sull'esecuzione delle
 misure privative e limitative della liberta') nella parte  in  cui  -
 subordinando  il  beneficio  della remissione del debito per spese di
 giustizia (oltreche' alle attuali disagiate condizioni economiche del
 condannato) alla "regolare condotta" tenuta nel corso dell'esecuzione
 della pena - ne rende, in concreto,  impossibile  la  concessione  ai
 condannati nei cui confronti la seconda condizione non e' (come nella
 specie)  valutabile,  per  non  avere  essi scontato alcun periodo di
 carcerazione, ne' a titolo cautelare, ne' di espiazione della pena.
    2. - Va premesso che la norma  all'evidenza  persegue  un  duplice
 obiettivo,  insito  nell'essere  il  beneficio  della  remissione del
 debito  per  le  spese  processuali  e  di  mantenimento  in  carcere
 condizionato  alla ricorrenza del duplice presupposto della "regolare
 condotta" tenuta dal condannato, e delle  sue  "disagiate  condizioni
 economiche".  E'  infatti  identificabile innanzi tutto una finalita'
 premiale  per  la  "regolare  condotta"  dal  condannato,  indice  di
 ravvedimento  e  di  avvenuto  recupero.  Concorre  poi  con essa una
 finalita' di agevolazione del reinserimento sociale realizzata con la
 rimozione della difficolta' di ordine  economico  in  cui  altrimenti
 verrebbe  a  trovarsi  il  condannato in ragione delle sue "disagiate
 condizioni economiche".
    3.  -  Questi  essendo  presupposti  e  finalita'  del  beneficio,
 consegue  che,  secondo  la  piana esegesi della norma, (condivisa da
 dottrina e giurisprudenza), non puo' risultare verificata  una  delle
 due  condizioni del beneficio nel caso in cui il condannato non abbia
 sofferto  alcun  periodo  di  carcerazione  preventiva,   ne'   debba
 scontarne  per aver ottenuto la sospensione condizionale della pena o
 per altra qualsivoglia ragione.
    Non di meno  pero'  anche  per  costui,  ove  versi  in  disagiate
 condizioni  economiche,  si  pone  -  non  diversamente  che  per  il
 condannato che abbia subito un periodo di carcerazione  -  l'esigenza
 di  evitare  che la necessita' di dover far fronte al pagamento delle
 spese processuali, talora ingenti, possa  interferire  negativamente,
 se non addirittura compromettere, il ravvedimento dello stesso.
    4.  -  Ne'  puo'  ritenersi  che la concorrente finalita' premiale
 dell'istituto  presupponga  indefettibilmente  l'osservazione   della
 condotta  tenuta  dal  condannato  in stato di detenzione, cosi' come
 richiede la norma impugnata riferendosi  all'ultimo  comma  dell'art.
 30- ter dell'ordinamento penitenziario (secondo cui " la condotta dei
 condannati  si  considera  regolare  quando  i  soggetti,  durante la
 detenzione, hanno manifestato costante  senso  di  responsabilita'  e
 correttezza  nel comportamento personale, nelle attivita' organizzate
 negli istituti e nelle eventuali attivita' lavorative o culturali").
    Lo  stesso  legislatore   del   1986,   nell'apportare   modifiche
 all'istituto  dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,  ha
 infatti gia' previsto (al terzo comma del nuovo  testo  dell'art.  47
 dell'ordinamento  penitenziario  cit.)  la possibilita' che, in luogo
 dell'osservazione  della  personalita'  del  condannato  condotta  in
 carcere,  si  tenga  conto - in caso di un previo periodo di custodia
 cautelare - del (successivo) comportamento  tenuto  dallo  stesso  in
 liberta': comportamento che deve esser tale da consentire il giudizio
 prognostico  dell'utilita'  del provvedimento di affidamento in prova
 al fine della rieducazione del condannato  e  della  prevenzione  del
 pericolo che egli commetta altri reati. Nel caso poi dell'affidamento
 in  prova  del tossicodipendente od alcooldipendente (art. 47- bis l.
 663/86) si prescinde del tutto dal presupposto di un  previo  periodo
 di carcerazione.
    Questo   sviluppo  normativo  e'  stato,  del  resto,  portato  ad
 ulteriori e piu' avanzate conseguenze dalla sentenza n. 569 del  1989
 di  questa  Corte,  che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 47, terzo comma, cit., nella parte in cui non prevede  che,
 "anche  indipendentemente  dalla  detenzione per espiazione di pena o
 custodia   cautelare",   il   condannato   possa    essere    ammesso
 all'affidamento  in  prova  al servizio sociale se, in presenza delle
 altre  condizioni,   abbia   serbato   (in   liberta',   quindi)   un
 comportamento  tale  da consentire il giudizio prognostico favorevole
 di cui al secondo  comma  del  medesimo  articolo.  La  Corte  ha  in
 particolare evidenziato che "la pur imprescindibile valutazione della
 personalita'   (del   condannato)  puo'  essere  piu'  opportunamente
 condotta in liberta'": considerazione  questa  ribadita  anche  nella
 successiva ordinanza n. 303 del 1990.
   5. - D'altra parte l'affievolirsi dell'ancoraggio dell'osservazione
 della  condotta  del  condannato  ad un periodo di detenzione risulta
 come conseguenza di quella giurisprudenza della Corte di  cassazione,
 che  ritiene  sufficiente  per  l'applicabilita'  del beneficio della
 remissione il fatto che il condannato, pur non  dovendo  scontare  la
 pena  inflittagli perche' condonata od estinta per altra causa, abbia
 sofferto un periodo di carcerazione preventiva, periodo che  potrebbe
 essere  anche  di  durata  ridottissima, sicche' - mutuando il rilevo
 gia' espresso da questa Corte nella citata sentenza n. 569  -  "anche
 un  solo  giorno  di  custodia  cautelare  potrebbe  essere  ritenuto
 sufficiente, in  presenza  delle  altre  condizioni,  a  giustificare
 l'ammissione" al beneficio de quo.
    6.   -   Risulta   quindi   irragionevolmente  discriminatoria  la
 preclusione della remissione delle spese di giustizia - per la  quale
 peraltro la finalita' di agevolazione del ravvedimento e del recupero
 sociale  fa  aggio  su  quella  premiale,  questa invece maggiormente
 (ancorche' non esclusivamente) rilevante  nella  diversa  fattispecie
 della  remissione  delle  spese  di  mantenimento  in  carcere  - nei
 confronti di quei condannati che - per non aver sofferto (in  ragione
 della   non   gravita'   del   reato   commesso,  della  minore  loro
 pericolosita' sociale o per qualsiasi altra causa) alcun  periodo  di
 carcerazione  (ne'  a titolo di custodia cautelare, ne' di espiazione
 di  pena)  -  appaiono  maggiormente  meritevoli  di  un'agevolazione
 economica  che, seppur nella limitata portata dell'istituto, li ponga
 al  riparo  da   possibili   spinte   criminogene   (soprattutto   di
 microcriminalita')   che   potrebbero   insorgere   nel   momento  di
 difficolta' economica conseguente alla  riscossione  da  parte  dello
 Stato  delle  spese  di  giustizia,  riscossione  altrimenti  sospesa
 soltanto in caso di insolvibilita' del condannato.
    Nella parte e per le  ragioni  indicate,  la  norma  impugnata  va
 percio'  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  per  violazione
 dell'art. 3 Cost.