ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 47-ter della
 legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
 sull'esecuzione  delle misure privative e limitative della liberta'),
 nel testo introdotto dall'art. 13 della legge  10  ottobre  1986,  n.
 663,  promossi  con  le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 18
 febbraio 1991 dal Tribunale militare  di  sorveglianza  di  Roma  nel
 procedimento  di  sorveglianza  nei  confronti di Di Lorenzo Antonino
 iscritta  al  n.  281  del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  17,  prima  serie  speciale,
 dell'anno  1991;  2) ordinanza emessa il 10 giugno 1991 dal Tribunale
 militare di sorveglianza di Roma nel procedimento di sorveglianza nei
 confronti di Cappelluti Davide,  iscritta  al  n.  479  del  registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 ottobre 1991 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un procedimento relativo all'esame di un'istanza
 per  la  concessione  del  beneficio  della  detenzione  domiciliare,
 proposta  da un detenuto che stava scontando un periodo di reclusione
 militare (inflittagli per il reato di rifiuto di prestare il servizio
 di  leva),  il  Tribunale  militare  di  sorveglianza  di  Roma,  con
 ordinanza  emessa  il  18 febbraio 1991, ha sollevato, in riferimento
 agli artt. 2, 3, 4, 27, 29, 31 e 32 della Costituzione, questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 47- ter della legge 26 luglio
 1975, n. 354, nel  testo  introdotto  dall'art.  13  della  legge  10
 ottobre 1986, n. 663.
    A parere del giudice a quo dovrebbe escludersi che il beneficio in
 argomento  possa essere esteso alla pena della "reclusione militare",
 in quanto il tenore letterale della norma impugnata espressamente  si
 riferisce  soltanto  all'"arresto"  ed  alla "reclusione" e non gia',
 genericamente alla "pena detentiva" (locuzione usata invece nell'art.
 54 della stessa legge  di  ordinamento  penitenziario)  in  cui  puo'
 viceversa ritenersi compreso il concetto di "reclusione militare".
    Quest'ultima  pena  e'  giuridicamente  distinta dalla reclusione,
 attesa anche la diversa durata legale minima (un mese per  la  prima,
 quindici giorni per la seconda).
    Tuttavia  l'impossibilita'  di  estendere  il beneficio anche alla
 reclusione  militare  sarebbe  imputabile,   secondo   il   Tribunale
 rimettente,  ad  una  mera  svista  del legislatore in quanto nessuna
 differenza  sostanziale  potrebbe  ravvisarsi  tra  i  due  tipi   di
 reclusione,   in   considerazione   della  mancanza  di  qualsivoglia
 fondamento teorico all'idea  di  una  "rieducazione  militare"  quale
 "rieducazione speciale".
    In  ogni  caso,  argomenta il giudice a quo, lo status di militare
 non potrebbe condurre ad una minore attenzione verso quelle  esigenze
 di  tutela  del diritto al lavoro, alla salute, alla vita in famiglia
 dd sottese  alla  concezione  del  beneficio  dd  senza  vulnerare  i
 corrispondenti  parametri  costituzionali.  Nessuna distinzione tra i
 due  tipi  di  reclusione  consentirebbe,  secondo  il  collegio,  di
 sacrificare il finalismo rieducativo della pena a meno di non violare
 il principio d'eguaglianza.
    2. - Il medesimo Tribunale, nel corso di un procedimento del tutto
 analogo,  ha  sollevato  la  stessa questione, con identica ordinanza
 emessa il 10 giugno 1991 (senza peraltro riferimento all'art. 4 della
 Costituzione).
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale  militare  di  sorveglianza  di  Roma,  con  due
 ordinanze  di  identico  contenuto,  del  18  febbraio 1991 (R. O. n.
 281/1991) e del 10 giugno  1991  (R.  O.  n.  479/1991),  solleva  di
 ufficio  questione  di legittimita' costituzionale, in relazione agli
 articoli  2, 3, 4 (solo nella prima ordinanza), 27, 29, 31 e 32 della
 Costituzione, dell'art. 47- ter della legge 26 luglio 1975,  n.  354,
 nel  testo  introdotto  dall'art.  13 della legge 10 ottobre 1986, n.
 663,  nella  parte  in  cui  esclude  che  la  pena  detentiva  della
 reclusione  militare  possa essere espiata nella propria abitazione o
 in altro luogo pubblico di cura o di assistenza.
    2. - La questione e' fondata nei termini di cui appresso.
    Il quesito posto alla Corte e' se la reclusione militare sia  pena
 detentiva   con   caratteristiche   tali   da  impedire  ch'essa  sia
 assimilabile nelle connotazioni essenziali alla reclusione comune,  e
 possa come questa essere espiata in detenzione domiciliare.
    La  definizione legislativa della reclusione militare e' contenuta
 nell'art. 26, primo comma, del codice penale militare  di  pace:  "La
 pena  della  reclusione militare si estende da un mese a ventiquattro
 anni, ed e' scontata in uno degli stabilimenti a cio' destinati,  con
 l'obbligo  del  lavoro,  secondo le norme stabilite dalla legge o dai
 regolamenti militari  approvati  con  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica".
    La reclusione comune e' invece definita nell'art. 23, primo comma,
 del  codice  penale: "La pena della reclusione si estende da quindici
 giorni a ventiquattro anni, ed e' scontata in uno degli  stabilimenti
 a  cio'  destinati,  con  l'obbligo  del  lavoro  e  con l'isolamento
 notturno".
    I caratteri varianti nelle due definizioni  consistono:  a)  nella
 diversa  durata minima della pena edittale (un mese per la reclusione
 militare, quindici giorni per la comune); b) nell'isolamento notturno
 previsto per la reclusione comune, non per quella militare.
    Essendo essi di scarso significato distintivo, occorre risalire al
 corpus   di   norme   tuttora   vigenti,   costituito   dal   decreto
 luogotenenziale  del  27  ottobre  1918,  n. 201 (Regolamento per gli
 stabilimenti militari di pena e per le compagnie di disciplina),  per
 ricavarne  fini  e  modalita'  a  fondamento  della specialita' della
 reclusione militare.
    Lo scopo degli stabilimenti militari di  pena  e'  dichiarato  nel
 paragrafo   8   del   capo   primo  della  parte  prima  del  decreto
 luogotenenziale citato:  "Questi  riparti  di  punizione  e  di  pena
 debbono  avere  un carattere prevalente di istituti di correzione. La
 riforma morale dei militari incorporati  e  detenuti  e'  cosa  della
 maggior  importanza  e  dovra'  essere  il  fine  a cui costantemente
 tendere. Il lavoro, l'istruzione, l'educazione ai princip/' morali ed
 ai doveri degli  uomini  onesti,  accompagnata  dall'esempio  di  una
 condotta  sempre  corretta  del  personale  di  governo, la vigilanza
 continua, l'inflessibile severita' verso i tristi e la repressione di
 qualunque  infrazione  alle  regole  stabilite,  sono  i   mezzi   da
 adoperarsi per conseguire il fine ora detto".
    La  rieducazione  del  condannato,  richiesta  dal precetto di cui
 all'art. 27, terzo comma,  della  Costituzione,  e'  dunque  presente
 anche   nel  regolamento  per  gli  stabilimenti  militari  di  pena,
 precedente di un trentennio la Costituzione repubblicana, e non e' di
 per se' ragione sufficiente di specialita' della reclusione  militare
 rispetto   alla   comune.   Per   quest'ultima,  le  modalita'  della
 rieducazione sono piu'  modernamente  formulate  nell'art.  1,  sesto
 comma,  della  legge  26  luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
 penitenziario  e  sull'esecuzione delle misure privative e limitative
 della liberta'):   "Nei confronti dei condannati  e  degli  internati
 deve  essere  attuato  un  trattamento  rieducativo  che tenda, anche
 attraverso  i  contatti  con  l'ambiente  esterno,  al  reinserimento
 sociale  degli  stessi. Il trattamento e' attuato secondo un criterio
 di individualizzazione in rapporto  alle  specifiche  condizioni  dei
 soggetti".
    3.  -  E'  evidente  che  la specialita' della reclusione militare
 risiede  in  quelle  modalita'  della  esecuzione  della   pena   che
 consistono  nella  istruzione  militare  teorica  di almeno un'ora al
 giorno e nella esercitazione militare pratica  settimanale  di  circa
 due  ore  (paragrafo 608 del decreto luogotenenziale 27 ottobre 1918,
 n. 201).
    Le esercitazioni pratiche comprendono istruzione  individuale,  di
 plotone  e  di compagnia, ginnastica militare, servizio territoriale,
 pratica  del  fucile;  quelle  teoriche  riguardano  il  servizio  di
 sicurezza  delle  truppe  in campagna, il regolamento di disciplina e
 quello penitenziario, il codice penale militare, l'igiene e la scuola
 di contegno, l'affardellamento,  i  doveri  del  soldato  in  congedo
 illimitato  ed  in  occasione  di  chiamata  alle armi (paragrafo 610
 d.lgt. cit.). Inoltre nel  carcere  militare  per  le  istruzioni  si
 impiegano  armi senza sciabola-baionetta ed in condizioni tali da non
 servire a far fuoco;  nei  reclusori  le  istruzioni  sono  senz'armi
 (paragrafo 611 d.lgt. cit.).
    Le  descritte  attivita'  sono  le  uniche caratterizzazioni delle
 finalita' militari della rieducazione del militare in  espiazione  di
 pena,  allo  scopo evidente di un suo recupero al servizio alle armi,
 una volta cessato il periodo di detenzione.
    Esse sono idonee a  descrivere  la  specialita'  della  reclusione
 militare rispetto alla reclusione comune.
    I  fini della rieducazione per il condannato militare e per quello
 comune si rivelano  dunque  divergenti:  il  prevalente  recupero  al
 servizio  militare  per  il  primo,  il  reinserimento sociale per il
 secondo.
    Dalla  specialita'  della  giurisdizione  e  del  diritto   penale
 sostanziale  e processuale militare non discenderebbe necessariamente
 la specialita' della esecuzione della pena se non fosse perseguito il
 fine di una rieducazione particolare del militare-detenuto.  La  sola
 ragione  valida  per  la  conservazione  della specialita' della pena
 detentiva militare deve individuarsi  nella  sua  natura,  funzionale
 all'espletamento  del compito delle Forze Armate conforme all'art. 52
 della  Costituzione:  la  difesa  della  Patria,  in  un  ordinamento
 informato  allo  spirito  democratico  della  Repubblica,  nonche' il
 concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e al  bene  della
 collettivita'   nazionale  nei  casi  di  pubbliche  calamita',  come
 ulteriormente statuisce l'art.  1,  secondo  comma,  della  legge  11
 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare).
    Non  possono  invece  piu' valere a giustificare la soggezione del
 militare in espiazione di pena alla disciplina e al diritto  punitivo
 militare  le ragioni storiche di un ordinamento originario e primario
 delle Forze Armate, quasi di una societa' separata rispetto a  quella
 dei cittadini. In epoche in cui gli eserciti prescindevano dallo sta-
 tus   civitatis  dei  reclutati,  peraltro  privi,  nei  regimi  pre-
 costituzionali, di diritti civili formalmente riconosciuti, per  dare
 rilevanza  esclusiva  allo  status  militis,  e' comprensibile che, a
 tutela  dell'unico  decisivo  interesse  della  disciplina  e   della
 gerarchia,  si  tenesse  separato  il soldato, anche in espiazione di
 pena, rispetto ai  condannati  comuni,  a  sottolineare  la  qualita'
 inalienabile  dello  statuto  personale  (semel  miles semper miles),
 salvo l'effetto espulsivo della degradazione.
    Residuando ancora un  apprezzabile  fondamento  della  specialita'
 della  reclusione  militare,  nel  quadro  della odierna integrazione
 dell'ordinamento militare  in  quello  statale,  consistente  in  una
 particolare  funzionalizzazione  della rieducazione del condannato al
 dovere costituzionale di difesa della Patria, attuale e non  virtuale
 quando  sia  collegato  alla  qualita'  del  cittadino alle armi, non
 sembra si possa ravvisare lesione del principio di uguaglianza per il
 diverso regime di espiazione  della  pena  detentiva  dei  condannati
 militari e dei condannati comuni.
    4.  -  Non  si  puo' peraltro interpretare il regime di espiazione
 della reclusione militare, come divenuto da situazione  un  tempo  di
 privilegio,  rispetto  al  sistema  penitenziario  comune, condizione
 deteriore, se rapportato a beni costituzionalmente garantiti a  tutti
 i  cittadini,  richiamati  dai  parametri  invocati,  del  diritto al
 lavoro, ex art. 4 della Costituzione, dei diritti della famiglia,  ex
 artt. 29 e 31 della Costituzione, del diritto alla salute, ex art. 32
 della  Costituzione,  e fruibili nella detenzione domiciliare, cui la
 norma impugnata non prevede abbiano accesso i condannati militari.
    Questi beni, anche se riconducibili  alla  categoria  dei  diritti
 inviolabili,  di  cui  all'art. 2 della Costituzione, non hanno tutti
 egual forza nel porsi come limite alla soggezione del  militare  alla
 specialita'  della  pena  militare,  attraendolo  in  quella comune e
 ammettendolo in conseguenza alla detenzione domiciliare.
    Non il diritto al lavoro che e' sospeso durante il  servizio  alle
 armi,  limitandosi  la norma di cui all'art. 52, secondo comma, della
 Costituzione, a disporre che l'adempimento dell'obbligo del  servizio
 militare non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino.
    Non  i  diritti  della  famiglia  perche'  la unione domestica per
 l'adempimento dei mutui doveri di assistenza e' anch'essa in linea di
 principio interrotta dalla partenza del cittadino alle armi  e  dalla
 sua convivenza nella comunita' militare.
   Diversa  valenza  ha invece il bene fondamentale della vita e della
 salute, di cui all'art. 32  della  Costituzione.  Esso  ha  forza  di
 sottrarre   il  cittadino  alle  armi,  condannato  alla  pena  della
 reclusione militare, alla soggezione alla disciplina e alle modalita'
 della espiazione speciale, quando egli richieda conversione di questa
 in detenzione domiciliare. Il valore della dignita' e della salute di
 ciascun essere umano e' valore supremo che non conosce distinzioni  e
 graduazioni  di  status  personali e dunque annienta ogni separazione
 tra cittadini e soldati.