ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 6, settimo
 comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in
 materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento  della  spesa
 pubblica,    disposizioni    per    vari   settori   della   pubblica
 amministrazione  e  proroga  di  taluni  termini),  convertito,   con
 modificazioni,  nella  legge  11  novembre 1983, n. 638, promosso con
 ordinanza emessa il 18  marzo  1991  dal  Tribunale  di  Firenze  nel
 procedimento   civile  vertente  tra  I.N.P.S.  e  Mecacci  Vittoria,
 iscritta al n. 319 del registro ordinanze  1991  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  21, prima serie speciale,
 dell'anno 1991;
    Visti gli atti di costituzione di Mecacci Vittoria e dell'I.N.P.S.
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  ottobre  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi gli avvocati Franco Agostini per Mecacci Vittoria e Pasquale
 Vario per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il Tribunale di Firenze, sez. Lavoro, con ordinanza emessa il
 18 marzo 1991 nella controversia tra I.N.P.S. e Mecacci Vittoria,  ha
 sollevato,  in  relazione  agli  artt.  3  e  38  della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, settimo  comma,
 del   decreto-legge  12  settembre  1983,  n.  463,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella  parte  in
 cui  non contempla la conservazione dell'importo erogato alla data di
 cessazione del diritto alla integrazione anche per il caso di  doppia
 integrazione al minimo.
    Riferisce  il  giudice  rimettente  che  il  Pretore  di  Firenze,
 decidendo sul ricorso proposto da Mecacci Vittoria, titolare  di  due
 pensioni  entrambe  integrate  al  minimo,  condannava  l'I.N.P.S. al
 pagamento   della    pensione    di    reversibilita'    nell'importo
 cristallizzato   al   30   settembre  1983  sul  presupposto  che  la
 cristallizzazione prevista dal settimo comma dell'art. 6 della  legge
 n. 638 del 1983 si applichi ad ogni ipotesi di cessazione del diritto
 alla  integrazione  e non solo a quella per superamento di reddito di
 cui al comma sesto e cioe' dopo il 1›  settembre  1983.  Chiamato  al
 riesame  della  controversia dall'appello dell'I.N.P.S., il giudice a
 quo non condivide le motivazioni  di  due  pronunce  della  Corte  di
 cassazione   (nn.   5720/1989   e  3749/1990)  che  hanno  affermato,
 rispettivamente, che:
       a) l'art. 6 del decreto-legge n. 463  del  1983  convertito  in
 legge  n.  638 del 1983 ha dettato un generale regime di integrazione
 al minimo per l'ipotesi di cumulo di piu' pensioni,  sicche'  risulta
 legittima  la soppressione del diritto all'integrazione al minimo per
 il periodo successivo  all'entrata  in  vigore  della  normativa  (1›
 ottobre 1983), salva la corresponsione dell'integrazione nella misura
 pagata  al  30 settembre 1983 fino al riassorbimento conseguente alla
 rivalutazione  automatica  della  pensione-base,   conformemente   al
 dettato del settimo comma dell'art. 6;
       b)  dopo il 1› ottobre 1983 il diritto alla doppia integrazione
 al minimo delle pensioni con  decorrenza  anteriore  cessa  solo  per
 effetto del superamento del limite reddituale.
    Le  motivazioni  delle  due pronunce della Corte di cassazione non
 costituirebbero diritto vivente, in quanto da un lato, con  la  prima
 decisione,  si  e'  creduto  di trovare nella stessa legge n. 638 del
 1983  quel  principio  della  doppia  cristallizzazione  che  invece,
 secondo  il  giudice rimettente, e' stato dettato per l'unico caso di
 integrazione che si e'  voluto  regolare,  non  essendosi  mai  posto
 nell'iter  formativo  della  legge  il  problema  di una integrazione
 plurima. Con la seconda decisione, la  Corte  di  cassazione  avrebbe
 addirittura  affermato  il diritto alla doppia integrazione al minimo
 anche per il periodo successivo al 1› ottobre 1983, il che sarebbe da
 escludere, contenendo la nuova legge  esplicito  riferimento  ad  una
 sola ipotesi di integrazione.
    Il giudice a quo ritiene quindi di non poter accogliere la domanda
 di riconoscimento del diritto alla "cristallizzazione" della pensione
 in  godimento  al  30  settembre 1983 (data di cessazione del diritto
 alla  seconda  integrazione  al  minimo)  ostandovi  la  disposizione
 dell'art.  6,  settimo  comma,  della  legge  n.  638  del  1983.  Su
 quest'ultima norma tuttavia viene sollevata questione di legittimita'
 costituzionale laddove non si contempla la conservazione dell'importo
 erogato alla data di cessazione del diritto alla  integrazione  anche
 per  il  caso  di  doppia  integrazione al minimo: non sussisterebbe,
 infatti, valida ragione per un diverso trattamento  tra  titolari  di
 una sola pensione al minimo e titolari di due pensioni, anch'esse in-
 tegrate  al  minimo, considerato che la ratio della previsione, nella
 norma impugnata, del diritto alla "cristallizzazione" con riferimento
 ad una sola integrazione, dovrebbe essere comune ad entrambi i casi.
    2. - Intervenuta in rappresentanza del  Presidente  del  Consiglio
 dei  ministri,  l'Avvocatura  dello  Stato insiste per l'infondatezza
 della questione, in quanto il giudice a  quo,  nel  richiamarsi  alle
 decisioni  citate della Corte di cassazione, non ritenendo di poterne
 condividere la motivazione,  opta  per  la  soluzione  interpretativa
 opposta  deducendone  poi  il  contrasto  con  gli artt. 3 e 38 della
 Costituzione.
    3. - Si e'  costituito  in  giudizio  l'Istituto  Nazionale  della
 Previdenza  Sociale,  rappresentato  e  difeso dagli avvocati Antonio
 Salafia,  Pasquale  Vario,  Fabrizio  Ausenda,  Giorgio  Starnoni   e
 Giuseppe  Gigante,  presentando  una  memoria  in cui si segnalano le
 ulteriori decisioni della Corte di cassazione (nn. 2751, 2752,  2848,
 2850  e  3248  del 1991) motivate tutte per relationem sulle sentenze
 nn. 5720 del 1989 e 3749 del 1990.
    In  particolare,  in   una   memoria   presentata   nell'imminenza
 dell'udienza,   la   difesa   dell'I.N.P.S.  ribadisce  che,  siccome
 l'attuale disciplina  normativa  dell'integrazione  al  minimo  delle
 pensioni  circoscrive  il  diritto ad una sola integrazione (cessante
 per effetto del superamento del limite di  reddito),  l'ordinanza  di
 rimessione  muoverebbe  da  petizione  di  principio  laddove ritiene
 comparabili, per effetto della ritenuta comune ratio del diritto alla
 cristallizzazione, la situazione del titolare di  una  sola  pensione
 integrata  al  minimo  in  presenza  di redditi ostativi e quella del
 titolare di due  pensioni  anch'esse  integrate  al  minimo.  Le  due
 situazioni sarebbero, per la difesa dell'I.N.P.S., diverse sotto ogni
 profilo,  in  quanto  "qualora il reddito preclusivo del diritto alla
 integrazione   al   minimo  sia  costituito  anche  solamente  da  un
 trattamento pensionistico superiore  al  minimo,  le  due  situazioni
 sopra  considerate  non  possono  ritenersi  omogenee  e  ricevere un
 trattamento normativo uniforme con il diritto alla  cristallizzazione
 della  seconda  pensione, anch'essa integrata al minimo". Non sembra,
 dunque, alla difesa dell'INPS,  priva  di  razionale  giustificazione
 sotto  il  profilo  dei  princip/' di uguaglianza e di adeguatezza la
 esclusione dal diritto alla cristallizzazione nel concorso di due  (o
 piu')   pensioni,  tutte  integrate  al  minimo,  posto  che  con  la
 integrazione spettante una sola volta  nella  misura  intera  su  una
 pensione,   si   garantiscono   le   esigenze   vitali   minime,  con
 considerevole  apporto  finanziario   dello   Stato   a   titolo   di
 solidarieta' generale.
                        Considerato in diritto
    1.  - Il Pretore di Firenze, con ordinanza del 18 marzo 1991 (R.O.
 n. 319/1991), solleva,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale del settimo
 comma dell'art. 6 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure
 urgenti in materia previdenziale e sanitaria e  per  il  contenimento
 della  spesa  pubblica,  disposizioni per vari settori della pubblica
 Amministrazione e proroga di taluni termini),  convertito  in  legge,
 con modificazioni, con l'articolo unico della legge 11 novembre 1983,
 n.  638, "laddove non contempla la conservazione dell'importo erogato
 alla data di cessazione del diritto  all'integrazione  anche  per  il
 caso di doppia integrazione al minimo".
    2. - La questione non e' fondata nei termini di cui appresso.
    Il  quesito  posto  alla  Corte  e':  se  la  norma impugnata, nel
 disporre la cosiddetta "cristallizzazione" della pensione  integrata,
 a seguito della perdita del diritto all'integrazione, per superamento
 del  limite di reddito, regoli anche l'ipotesi del cumulo di pensioni
 integrate e, in caso affermativo, consenta  la  possibilita'  di  una
 cristallizzazione  del  trattamento  non  piu' integrabile dopo il 1›
 ottobre 1983.
    Va innanzi tutto premesso che l'ipotesi del concorso di due o piu'
 pensioni appare nel terzo comma dell'art. 6 della legge  n.  638  del
 1983,  uscito indenne dalla verifica di costituzionalita', operata da
 questa Corte con sentenza n. 184 del 1988. Anche allora la disciplina
 legislativa veniva sospettata di vulnerare gli artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  ma  la Corte statui' che la norma denunciata, sancendo
 una regola generale in ordine alla scelta della pensione da integrare
 al minimo e consentendo la perequazione  automatica  del  trattamento
 non   integrato,  non  era  da  considerarsi  illegittima  in  quanto
 collocata nel divenire di un processo tendente, dal 1› ottobre  1983,
 a  rendere uniforme l'istituto del trattamento minimo in presenza del
 cumulo di piu' pensioni.
    La osservazione di un graduale processo di razionalizzazione della
 materia, decisiva per il giudizio di  costituzionalita',  impone  una
 lettura  storica  della  norma  oggi  impugnata.  A tal fine acquista
 rilievo dirimente il dies a quo del 1› ottobre 1983 non solo per  gli
 effetti  temporali  della disciplina dettata, ma ai fini della esatta
 individuazione delle fattispecie normate.
    3. - Alla data della legge n. 638 del 1983 vigeva il divieto della
 integrazione al minimo di piu' pensioni, cosi'  come  disposto  dagli
 artt.  2,  secondo  comma,  della  legge n. 1338 del 1962, e 23 della
 legge n. 153 del 1969.
    Successivamente,  con  sentenza  n.  314  del  1985,  questa Corte
 dichiarava,  per  incompatibilita'  con  il  principio  generale   di
 eguaglianza,   la   illegittimita'   costituzionale  del  divieto  di
 integrare al minimo le pensioni di riversibilita' concorrenti con  le
 pensioni    dirette,    qualora    fossero    entrambe    a    carico
 dell'assicurazione generale obbligatoria  "limitatamente  al  periodo
 non  considerato  dal  decreto-legge n. 463 del 1983, come convertito
 dalla legge n. 638 del medesimo anno".
    La decisione fu seguita da una  serie  di  statuizioni,  volte  ad
 applicare  alle  svariate  combinazioni  di  trattamenti  la generale
 regola delle illegittimita'  della  preclusione  all'integrazione  di
 piu' pensioni ma sempre entro l'indicato limite temporale.
    E' evidente dunque che non si puo' rintracciare nelle disposizioni
 letterali  dell'art.  6 della legge n. 638 del 1983 la fattispecie, a
 quella data vietata, del cumulo di due pensioni integrate al minimo e
 di conseguenza nel comma settimo l'ipotesi  di  cristallizzazione  di
 una di esse.
    Per  effetto  della  sopravvenuta  sentenza  n.  314  del 1985, il
 principio dell'unica pensione  integrata  al  minimo,  affermato  dal
 legislatore  del  1983,  deve  intendersi validamente operante solo a
 partire dal 1› ottobre 1983 ma non per il periodo antecedente.
    Ne consegue che, successivamente alla data indicata,  il  titolare
 di  due  pensioni integrate al minimo conserva su un solo trattamento
 il  diritto  all'integrazione,   mentre   per   l'altro   la   misura
 dell'integrazione  stessa resta ferma all'importo percepito alla data
 del  30  settembre  1983  ed  e'  destinata  ad  essere  gradatamente
 sostituita  per  riassorbimento,  in  virtu'  degli  aumenti  che  la
 pensione-base  viene  a  subire  per   effetto   della   perequazione
 automatica.
    4.  -  Puo'  pertanto  darsi risposta affermativa al quesito della
 utilizzabilita' dell'art. 6, settimo comma, della legge  n.  638  del
 1983 ai fini del decidere il giudizio a quo, non ricorrendo una ratio
 decidendi  dissimile  da  quella che gia' condusse questa Corte a non
 riscontrare illegittimita' costituzionale nell'art. 6,  terzo  comma,
 della  stessa  legge con la richiamata sentenza n. 184 del 1988 e con
 la successiva sentenza n. 503 del 1988.