ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, quarto comma
 quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n.  413  (Disposizioni
 urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato
 e  delle categorie ad essi equiparate, nonche' in materia di pubblico
 impiego),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 28 febbraio
 1990, n. 37, promossi con tre ordinanze emesse il 20 marzo  1991  dal
 Tribunale    amministrativo    regionale    del    Lazio,    iscritte
 rispettivamente ai nn. 526, 527 e 528 del registro ordinanze  1991  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 33, prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti gli atti di costituzione di De Robertis Roberto, Rossi Folco
 e Bifulco Luigi, nonche' gli atti di intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  ottobre  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi l'avvocato Renato Recca per De Robertis Roberto, Rossi Folco
 e Bifulco Luigi e l'Avvocato dello Stato  Ivo  M.  Braguglia  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di tre giudizi, in cui i ricorrenti, dipendenti del
 Ministero  di  grazia  e  giustizia  con  qualifica  di  direttore di
 Cancelleria del ruolo ad esaurimento, avevano impugnato le  note  con
 cui  l'Amministrazione  aveva  respinto  le  loro  domande  volte  ad
 ottenere il trattenimento in servizio sino  al  raggiungimento  della
 massima anzianita' pensionabile, nonche' i decreti di collocamento in
 pensione  al  65› anno di eta', il Tribunale amministrativo regionale
 del Lazio, con tre identiche ordinanze emesse il 20  marzo  1991,  ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, quarto comma quinquies, del
 decreto-legge   27   dicembre   1989,   n.   413,   convertito,   con
 modificazioni,  nella  legge  28 febbraio 1990, n. 37, nella parte in
 cui non estende al predetto personale la possibilita' di permanere in
 servizio tra il 65› ed il 70›  anno  di  eta',  onde  raggiungere  la
 massima anzianita' pensionabile.
    Rileva  il  giudice  rimettente  che  il  beneficio  in questione,
 previsto per il personale della scuola e poi  concesso  ai  dirigenti
 civili  dello  Stato  nonche',  con legge 19 febbraio 1991, n. 50, ai
 primari ospedalieri, non risulta ispirato al fine  di  trattenere  in
 servizio  personale dotato di particolare qualificazione, ma trova la
 sua ratio in un'agevolazione per i dipendenti  intesa  a  scongiurare
 gli  effetti  negativi  di  una  tardiva  assunzione  nella  Pubblica
 Amministrazione.
    Cio'  premesso,   si   paleserebbe   del   tutto   irrazionale   e
 discriminatoria  l'esclusione  della  categoria  dei  ricorrenti, che
 svolgono compiti di rilievo  nell'organizzazione  delle  cancellerie,
 non   dissimili   da   quelli   dirigenziali   e   per  i  quali  era
 originariamente previsto, nell'ordinamento specifico (cfr.  art.  157
 della  legge  23 ottobre 1960, n. 1196), il trattenimento in servizio
 fino al 70› anno di eta', come per  il  personale  della  scuola.  Ma
 mentre  per  quest'ultimo, una volta intervenuto l'effetto abrogativo
 del d.P.R. n. 1092 del 1973 (che ha ricondotto a 65  anni  il  limite
 massimo  di  pensionamento),  si  e' provveduto con norme transitorie
 assicurando ( ex art. 15, secondo  e  terzo  comma,  della  legge  30
 luglio  1973,  n.  477)  la possibilita' di permanere in servizio non
 oltre il 70› anno per raggiungere la massima anzianita' pensionabile,
 nessun provvedimento e' stato  emanato  a  favore  dei  direttori  di
 cancelleria   in  argomento,  con  cio'  prospettandosi  lesione  del
 principio di eguaglianza.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per la declaratoria di non fondatezza della questione, richiamando le
 considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 461 del 1989.
    3.  -  Si  sono  costituite  le  parti  private  insistendo per la
 illegittimita'  costituzionale,  con  argomenti  analoghi  a   quelli
 prospettati  in  ordinanza  di  rimessione.  Tali considerazioni sono
 state altresi' ribadite dalle parti stesse in tre  identiche  memorie
 depositate nell'imminenza dell'udienza.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo regionale per il Lazio dubita
 della  legittimita'  costituzionale   dell'art.   1,   quarto   comma
 quinquies,  del  decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni
 urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato
 e delle categorie ad essi equiparate, nonche' in materia di  pubblico
 impiego),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 28 febbraio
 1990, n. 37.
    La  norma  e'  denunziata  nella  parte  in  cui  non  prevede  il
 trattenimento  in servizio, sino al raggiungimento del numero di anni
 richiesto per conseguire il massimo della  pensione,  in  favore  del
 personale  del  Ministero di grazia e giustizia appartenente ai ruoli
 ad  esaurimento  della  ex   carriera   direttiva.   Tale   categoria
 risulterebbe  ingiustificatamente  discriminata  rispetto  agli altri
 dirigenti dello Stato ai quali la normativa in argomento consente  di
 permanere  in  servizio, ai fini anzidetti, tra il sessantacinquesimo
 ed il settantesimo anno di eta'.
    I tre giudizi riguardano la  stessa  questione  e  debbono  quindi
 esser riuniti.
    2. - La questione non e' fondata.
    Va  premesso  che  l'art.  15  della legge di delega sul personale
 della scuola 30 luglio 1973, n. 477, introdusse, per gli appartenenti
 a tutte le qualifiche in servizio al 1› ottobre 1974, la possibilita'
 di permanere in servizio tra il sessantacinquesimo ed il settantesimo
 anno di eta' onde raggiungere il massimo  della  pensione.  Il  primo
 comma della citata disposizione poneva infatti la regola generale del
 collocamento  a  riposo  il  1›  ottobre successivo al compimento del
 sessantacinquesimo anno di eta' ed il descritto regime si qualificava
 in termini di deroga transitoria.
    Nello stesso rapporto deve essere  inscritta  la  norma  impugnata
 rispetto  al  principio  sancito  dall'art.  4 del d.P.R. 29 dicembre
 1973, n. 1092, concernente norme sul trattamento  di  quiescenza  dei
 dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato,  che  fissa  appunto a
 sessantacinque anni - per tutti gli impiegati e  per  gli  operai  di
 sesso maschile - il limite di eta' per la cessazione dal servizio.
    Del  tutto simmetricamente in confronto con quanto previsto per il
 personale scolastico, il denunziato art. 1, quarto  comma  quinquies,
 aggiunto  in  sede  di  conversione  in legge, estende tale normativa
 (unitamente a quella dettata successivamente, sempre per il personale
 scolastico, in materia di  valutazione  del  servizio)  ai  dirigenti
 civili dello Stato.
    Il  principio  del  conseguimento della posizione di quiescenza al
 sessantacinquesimo anno rappresenta  percio'  la  regola:  anche  se,
 ammettendo  delle  eccezioni  (cfr. sentenza n. 238 del 1988), non si
 traduce in un divieto assoluto di permanere in  servizio  oltre  quel
 termine,  non  v'e' dubbio che esso abbia portata generale, sicche' a
 metro della sua  legittimita'  non  puo'  essere  assunta  una  norma
 derogatoria.  L'affermazione,  piu'  volte  da questa Corte enunciata
 (cfr. sentenza n. 461 del 1989), deve  essere  confermata,  anche  in
 presenza  di  molteplici eccezioni contenute in discipline speciali e
 transitorie, ogni volta che la pronuncia richiesta sia nella sostanza
 volta  ad  ottenere   un'estensione   ulteriore   delle   fattispecie
 derogatorie del regime ordinario.
    3.  -  Priva  di  pregio  e' infine l'argomentazione fondata sulla
 recente legge 19 febbraio 1991, n. 50,  che  ha  consentito,  in  via
 permanente,  ai  primari ospedalieri di ruolo di essere trattenuti in
 servizio tra il sessantacinquesimo ed il settantesimo  anno  sino  al
 conseguimento del massimo della pensione.
    Tale  intervento  legislativo e' richiamato dal giudice a quo come
 sintomatico  di  una   presunta   tendenza   verso   il   superamento
 dell'anzidetta  regola  generale. Non a caso la categoria interessata
 non viene esplicitamente  assunta  quale  tertium  comparationis:  la
 posizione  dei  primari  in argomento e' infatti del tutto peculiare,
 come singolari sono state le vicende della normativa che, proprio  su
 questo punto, li ha riguardati (cfr. sentenza n. 134 del 1986), onde,
 anche a voler ammettere che di una terza deroga si tratti, se ne puo'
 trarre  soltanto  conferma  di  come  la valutazione delle specifiche
 situazioni  delle  singole  categorie  ed  il  bilanciamento  tra  il
 beneficio   da   concedere  ed  il  costo  -  non  solo  economico  -
 dell'eccezione, sia operazione discrezionale propria del legislatore.