ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2050 del codice
 civile,  promosso  ordinanza emessa il 4 aprile 1991 dal Tribunale di
 Monza nel procedimento civile  vertente  tra  Anedda  Paolo,  Corriga
 Patrizio  ed  altro, iscritta al n. 589 del registro ordinanze 1991 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  39,  prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di Anedda Paolo nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio di ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza del 4 aprile 1991 il Tribunale di Monza - nel
 corso del giudizio civile promosso da Anedda Paolo nei  confronti  di
 Corriga Patrizio e Biassoni Ermenegildo per il risarcimento del danno
 subito  per  essere  stato colpito all'occhio destro nel corso di una
 battuta di caccia dal fucile  di  uno  dei  due  convenuti,  i  quali
 avevano  fatto  fuoco  simultaneamente  provocando,  uno  dei due, il
 rimbalzo di un pallino nella sua direzione - ha  sollevato  questione
 incidentale  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2050 c.c. per
 contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.
    Il giudice rimettente - accertato in punto di fatto che  il  colpo
 fu  sicuramente esploso da uno dei due convenuti i quali puntarono la
 preda e spararono contemporaneamente mentre procedevano affiancati  e
 di  poco  distanziati  dall'attore,  loro  compagno  nella battuta di
 caccia, ed esclusa d'altro canto la sussistenza di un concorso  nella
 determinazione  dell'evento,  essendo  risultato  che  uno solo fu il
 pallino   che   colpi'   all'occhio   destro   l'attore   -   ritiene
 conseguentemente  non  ipotizzabile  la  solidarieta' passiva ex art.
 2055 c.c. giacche' uno solo dei convenuti - pur avendo entrambi posto
 in essere un comportamento del tutto identico  e  simultaneo  -  deve
 ritenersi  responsabile  dell'evento.  Ad  avviso  del  remittente e'
 invece applicabile l'art. 2050 c.c. essendo l'esercizio della  caccia
 un'attivita' pericolosa in ragione dell'utilizzo di armi da fuoco; ma
 alla  stregua  di tale norma l'inversione dell'onere probatorio opera
 solo  in  relazione  alla  prova   dell'elemento   soggettivo   della
 colpevolezza,  dovendo  il  preteso  responsabile dimostrare di avere
 adottato tutte le cautele atte ad evitare  l'evento  dannoso,  mentre
 permane sull'attore l'onere di provare il nesso causale esistente tra
 condotta  ed  evento  lesivo.  Cio'  comporta  che nell'ipotesi della
 caccia  (come  in  tutte  le  altre  ipotesi   di   danno   derivante
 dall'esercizio  di  un'attivita'  pericolosa svolta simultaneamente e
 con condotte uniformi da piu' persone) il danneggiato risulta gravato
 dall'onere probatorio di individuazione del responsabile,  onere  che
 nella  specie  e'  di impossibile assolvimento concreto, dovendo egli
 dimostrare da quale dei due fucili che  spararono  contemporaneamente
 sia partito il proiettile che l'ha colpito.
    Cio'  premesso,  il  giudice  rimettente  denuncia  disparita'  di
 trattamento (art. 3 Cost.) - che ridonda anche in lesione del diritto
 di difesa (art. 24 Cost.) - tra le vittime incolpevoli  di  attivita'
 pericolose,  quale l'esercizio della caccia, e le vittime incolpevoli
 degli incidenti stradali atteso che soltanto  per  queste  ultime  e'
 prevista  la  cd.  socializzazione  del  diritto  al risarcimento del
 danno, cosi' che le prime vengono a trovarsi  in  una  situazione  di
 evidente  svantaggio,  incombendo  su  di  loro  un onere probatorio,
 connesso  all'individuazione  del  responsabile,   di   difficile   o
 addirittura  impossibile  assolvimento  allorche'  il  danno  si  sia
 verificato in costanza di una pluralita'  di  condotte  simultanee  e
 tutte teoricamente possibili cause del danno.
    Quindi     il     giudice     rimettente     denuncia    d'ufficio
 l'incostituzionalita' dell'art. 2050 c.c.  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che,  allorche'  non  sia  possibile l'individuazione di uno
 specifico  responsabile  del  danno  nell'esercizio  di  un'attivita'
 pericolosa,  sia  applicabile  la  presunzione di responsabilita' nei
 confronti di tutti i partecipi  all'attivita'  e  quindi  incomba  su
 questi  ultimi  la  prova  liberatoria in ordine alla sussistenza del
 nesso causale tra la loro condotta e l'evento dannoso.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile.
    Sostiene   essere   improprio   il  richiamo  al  principio  della
 socializzazione  del  diritto  al  risarcimento  del  danno   ed   in
 particolare  il  riferimento  implicito  al  Fondo di garanzia per le
 vittime della strada ( ex art. 19 legge n. 990 del 1969) che concerne
 situazioni non suscettibili di essere confrontate con la  fattispecie
 concreta oggetto del giudizio principale.
    Inoltre  la  pronuncia  invocata  dal  giudice  rimettente implica
 comunque scelte discrezionali che competono  al  legislatore,  atteso
 che  la  soluzione auspicata dal giudice rimettente mira a sovvertire
 la regola che e' a fondamento della fattispecie presuntiva  dell'art.
 2050  c.c.  modificando  il  nesso  causale da presupposto ad oggetto
 della presunzione e fondando questa su una quanto mai labile  nozione
 di   "partecipazione",   con   la  conseguenza  di  gravare  soggetti
 incolpevoli  di  ingiustificati  oneri  probatori  privilegiando   la
 contrapposta  esigenza  di  assicurare  il  risarcimento del danno al
 danneggiato e quindi operando un giudizio dei contrapposti  interessi
 che compete al legislatore.
    3.  - Si e' costituito l'attore Anedda, limitandosi a chiedere che
 la Corte ritenga fondata la questione di legittimita' costituzionale.
                        Considerato in diritto
   1. - E'  stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  -  in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - dell'art.
 2050 cod. civ. nella parte in cui non prevede che - allorche' non sia
 possibile l'individuazione di uno specifico  responsabile  del  danno
 nell'esercizio   di   un'attivita'  pericolosa  (quale  nella  specie
 l'attivita'  venatoria)  -  sia  applicabile  la  presunzione  (iuris
 tantum)  di  responsabilita'  nei  confronti  di  tutti  i "partecipi
 all'attivita'", per sospetta violazione del principio di  parita'  di
 trattamento  con  le  vittime  della  circolazione stradale, le quali
 vengono risarcite anche nel caso in cui sia rimasto  ignoto  l'autore
 dell'illecito, nonche' del diritto di difesa.
    2.  -  La premessa del dubbio di costituzionalita' prospettato dal
 giudice  rimettente  e'  costituita  dall'affermazione,   che   trova
 conforme  riscontro  nella  giurisprudenza,  secondo  cui l'attivita'
 venatoria costituisce esercizio  di  attivita'  pericolosa  onde,  in
 deroga  al  principio  generale posto dall'art. 2043 cod. civ., opera
 l'inversione dell'onere della  prova  prevista  dall'art.  2050  cod.
 civ.,  con  la  conseguenza  che  chi  cagiona  il danno e' tenuto al
 risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee  ad
 evitare il danno.
    All'evidenza tale inversione attiene all'elemento soggettivo della
 colpa  e  non  gia'  al  nesso  di  causalita'  che  lega la condotta
 dell'agente,   costituente   esercizio   di   attivita'   pericolosa,
 all'evento  dannoso  sicche'  il  danneggiato rimane comunque onerato
 della prova che chi ha posto in essere l'attivita'  pericolosa  abbia
 causato  il  danno,  prova  da  fornirsi  secondo  il canone generale
 dell'imputabilita' del fatto illecito ex art. 2043 cit., sotto questo
 profilo non derogato.
    Non  viene  invece in rilievo il disposto dell'art. 2055 cod. civ.
 perche' nella  prospettazione  del  giudice  rimettente,  secondo  la
 ricostruzione  della fattispecie concreta oggetto della controversia,
 si  e'  fuori  dall'ipotesi  dell'imputabilita'  del  medesimo  fatto
 dannoso  a  piu'  persone che abbiano concorso nel porre in essere la
 condotta causativa del danno.
    3. - La prima  censura  di  costituzionalita'  si  specifica  come
 sospetta   disparita'   di  trattamento  tra  tale  disciplina  posta
 dall'art. 2050 cit. e quella, ulteriormente speciale, prevista  dalla
 legge  24 dicembre 1969 n. 990 (sull'assicurazione obbligatoria della
 responsabilita' civile derivante dalla  circolazione  dei  veicoli  a
 motore  e dei natanti), modificata dal decreto-legge 23 dicembre 1976
 n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977 n. 39.
    In particolare, in ipotesi di danno da circolazione di veicoli non
 solo opera la presunzione prevista dall'art. 2054, primo comma,  cod.
 civ.,  norma  in  tale  parte  simmetrica al cit. art. 2050, ma trova
 anche applicazione il disposto dell'art. 19 della cit. legge  n.  990
 del  1969,  che  prevede  l'intervento  del "Fondo di garanzia per le
 vittime della strada" per il  risarcimento  del  danno  alle  persone
 allorche'   il  sinistro  sia  stato  cagionato  da  un  veicolo  non
 identificato.
    Risulterebbe  quindi  -  secondo  il  giudice  rimettente   -   un
 ingiustificato  trattamento  piu'  favorevole  per  le  vittime della
 circolazione stradale rispetto alle vittime di  attivita'  pericolose
 in   genere;   tale   disparita'   dovrebbe   essere  rimossa,  nella
 prospettazione  del  giudice  rimettente,  estendendo  l'operativita'
 della  presunzione  prevista  dall'art. 2050 cit. fino a comprendervi
 anche il  nesso  di  causalita'  nell'ipotesi  in  cui  all'attivita'
 pericolosa  abbiano  partecipato  piu' persone, ma sia rimasto ignoto
 l'autore della singola condotta determinativa dell'evento dannoso.
    4. - Questo essendo il tertium comparationis invocato dal  giudice
 rimettente,  la questione sollevata si appalesa inammissibile perche'
 la censura di incostituzionalita' non e' coerente con  la  disciplina
 presa in esame a confronto di quella investita dalla censura stessa.
    Ed  infatti  l'art.  19  della  legge  n. 990 del 1969 non prevede
 affatto una deroga  al  generale  canone  di  imputazione  del  fatto
 illecito,  nel caso di danno da circolazione stradale, come in quello
 di danno da  attivita'  pericolosa,  rimanendo  pur  sempre  limitata
 l'inversione dell'onere della prova al solo elemento soggettivo della
 colpa.  In  entrambi  i  casi, quindi, il danneggiato deve fornire la
 prova del nesso di causalita' tra la condotta dell'agente e  l'evento
 dannoso.
    La  circostanza,  pero',  che  sia  rimasto  ignoto l'autore della
 condotta causativa dell'evento dannoso  -  ancorche'  non  alteri  in
 nessuna  delle  due  ipotesi la portata dell'inversione dell'onere di
 cui rispettivamente agli artt. 2054, primo comma, e 2050 cit., attiva
 - in un caso e non nell'altro - uno speciale meccanismo  risarcitorio
 rappresentato  dall'intervento  del Fondo suddetto, meccanismo che si
 inserisce nel contesto del regime di assicurazione obbligatoria della
 responsabilita' civile derivante  dalla  circolazione  di  veicoli  a
 motore.
    Quindi  la situazione meno favorevole in cui vengono a trovarsi le
 vittime di attivita' pericolose in genere rispetto alle vittime della
 circolazione stradale - situazione  certamente  degna  di  attenzione
 perche'  desta  allarme  sociale  il  mancato  ristoro del danno alla
 persona cagionato da soggetto non identificato - consegue non gia' ad
 una  differenziata  disciplina  dell'onere  probatorio, che e' invece
 analoga, bensi' alla previsione in un caso, e non nell'altro, di  uno
 strumento  assicurativo  (il Fondo di garanzia) tale da assicurare il
 ristoro  dei  danni  alla  persona  anche  nell'ipotesi  in  cui   il
 danneggiato non sia in grado di fornire la prova dell'identificazione
 dell'autore della condotta causativa del danno.
    Pertanto  la  parificazione delle due situazioni poste a confronto
 non puo' aversi - come auspica il giudice rimettente - modificando in
 un caso il regime dell'onere della prova (da che  anzi  conseguirebbe
 un'ingiustificata  disparita' di trattamento ove l'inversione di tale
 onere operasse in relazione  anche  al  nesso  di  causalita'  ovvero
 soltanto  all'elemento  soggettivo della colpa in ragione dell'essere
 il danno riferibile in  generale  ad  un'attivita'  pericolosa  o  in
 particolare  alla circolazione stradale). D'altra parte la disciplina
 posta dall'art. 2050 cod.  civ.,  come  nelle  altre  norme  speciali
 rispetto  al  disposto  dell'art.  2043  cod.  civ.,  e'  sottesa  al
 bilanciamento tra l'interesse del danneggiato al  ristoro  del  danno
 subito  e  l'interesse  del  soggetto  sul  quale  si  fa ricadere la
 responsabilita' risarcitoria con meccanismi di inversione  dell'onere
 della  prova  derogatori  dei  principi generali di imputabilita' del
 fatto illecito. Tale bilanciamento e' rimesso  alla  discrezionalita'
 del   legislatore,   non   sindacabile   se   non   irragionevole  od
 ingiustificatamente discriminante.
    Invece  la  prospettazione  di  ricondurre  la  disciplina   della
 fattispecie  presa  in considerazione dal giudice rimettente a quella
 del  tertium  comparationis  per  uniformarle  passa  necessariamente
 attraverso  l'estensione  del  meccanismo  del  Fondo di garanzia nel
 contesto del regime di assicurazione obbligatoria come da  ultimo  ha
 fatto, proprio per la caccia, il legislatore con la legge 11 febbraio
 1992   n.  157.  Ma  questa  ipotesi  di  estensione  del  meccanismo
 assicurativo -  astrattamente  rilevante  nel  regime  precedente  la
 citata  recentissima  riforma  -  non  e'  presente nell'ordinanza di
 rimessione che mira ad un  ampliamento  manipolativo  dell'ambito  di
 operativita'  della  presunzione  di  responsabilita' di cui all'art.
 2050 cod. civ. e quindi  attiene  ad  una  norma  diversa  da  quella
 censurata  (donde  la irrilevanza dello ius superveniens menzionato),
 incidendo  sulla  compatibilita',  o  meno,  con  il   canone   della
 ragionevolezza  (  ex art. 3 Cost.) della disposizione a quel momento
 vigente (art. 8, sesto comma, legge 27 dicembre 1977 n. 968,  recante
 principi  generali e disposizioni per la protezione e la tutela della
 fauna e la disciplina della  caccia)  che,  nel  prevedere  l'obbligo
 dell'assicurazione  per chi intende esercitare l'attivita' venatoria,
 non contemplava altresi' un meccanismo di copertura  dei  danni  alla
 persona  anche  nel caso di mancata identificazione dell'autore della
 condotta dannosa.
    6. - Inammissibile e' altresi' la censura  di  incostituzionalita'
 della medesima norma impugnata riferita al secondo parametro (art. 24
 Cost.)  invocato  (ancorche'  senza specifica e distinta motivazione)
 dal giudice rimettente, atteso che, pur quando tale censura si voglia
 intendere  implicitamente  motivata  con  l'impossibilita'   per   il
 danneggiato  di  provare  il nesso eziologico e quindi di individuare
 l'autore del fatto lesivo, nessuna compressione del diritto di azione
 potrebbe  vedersi  in tale situazione, ma soltanto il normale operare
 in concreto dell'onere probatorio. Mentre  la  censura,  anche  sotto
 questo  ulteriore  profilo,  mira  ad introdurre un nuovo criterio di
 imputazione, fondato non gia' sul nesso di causalita', ma sulla  mera
 "partecipazione"   all'esercizio   di   un'attivita'  pericolosa  con
 distinte  ed  autonome  condotte  uniformi  da  piu'  persone,  tutte
 simultanee   e  tutte  teoricamente  possibili  cause  di  danno;  ma
 l'introduzione  di  un  tal  criterio  di  imputazione   -   peraltro
 estremamente  labile  in  quanto  rappresenterebbe  un  quid  minoris
 rispetto alla partecipazione ad una medesima condotta che gia' radica
 la responsabilita' solidale ex art. 2055 cod. civ.  -  rientra  nella
 discrezionalita' del legislatore.