ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 23, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), in relazione all'art. 10, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1988 dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Venezia nel ricorso proposto da S.p.a. Veneta Immobiliare contro l'Ufficio del Registro di Portogruaro iscritta al n. 698 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di intervento del presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 4 marzo 1992 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino; Ritenuto che con ordinanza emessa il 22 giugno 1988 (pervenuta alla Corte costituzionale il 18 novembre 1991) dalla Commissione tributaria di secondo grado di Venezia sul ricorso proposto dalla S.p.a. Veneta Immobiliare contro l'Ufficio del Registro di Portogruaro (Reg. ord. n. 698 del 1991) e' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), per contrasto con l'art. 76 della Costituzione in riferimento all'art. 10, n. 11, della legge di delega n. 825 del 1971; che le censure si incentrano in particolare sull'art. 23, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, in quanto prevede la sanzione della soprattassa in misura fissa e non graduata tra un minimo ed un massimo; e sullo stesso art. 23, ultimo comma, in quanto non prevede (per effetto di un "inutile" rinvio alla normativa riguardante l'imposta di registro, che nulla dispone in proposito) una riduzione della soprattassa nell'ipotesi di tardiva dichiarazione INVIM decennale, cosi' equiparando tale ipotesi a quella di omessa dichiarazione; che e' intervenuta in giudizio l'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza. Considerato che la questione concernente la graduazione delle sanzioni, in relazione alle ipotesi del ritardo e della omissione della dichiarazione, e' stata gia' presa in esame da questa Corte (con specifico riferimento alla imposta in parola) con la sentenza n. 84 del 1989, che ne dichiaro' l'inammissibilita', spettando al legislatore ("attesa l'impossibilita' di individuare un modello unitario nel sistema tributario, che presenta nella materia una disarticolata prospettazione positiva") intervenire ai fini di una ragionevole graduazione delle rispettive sanzioni; che la Commissione tributaria rimettente solleva questione analoga, nei riferimenti e argomenti, a quella gia' presa in esame da questa Corte, risultando assorbita, da quanto sopra richiamato, anche la censura coinvolgente l'ultimo comma dell'art. 23; che pertanto, non sussistendo ragioni di sorta per modificare quanto gia' deciso, va dichiarata la manifesta inammissibilita' della sollevata questione. Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.