IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  iscritta  al  n.
 1536/1991 reg. gen. lav., oggetto: ricorso ex art. 28 legge 20 maggio
 1970,  n.  300,  vertente  tra  F.N.A.L.T. - C.A.S.I.L. ricorrente in
 persona  del  segretario  provinciale   pro-tempore,   sig.   Antonio
 Esposito,  elett.te  domiciliato  in  Napoli,  corso Umberto I, n. 7,
 presso  lo  studio  dell'avv.to  Gennaro  Dario  Esposito,   che   lo
 rappresenta  e  difende,  come  da  mandato  in atti, e E.T.P. S.p.a.
 resistente, in persona del legale rapp.te pro-tempore,  con  sede  in
 Portici,  piazza S. Ciro n. 4, ed elettivamente domiciliato presso lo
 studio dell'avv. Walter Albora, in Sorrento, via S. Francesco  n.  8,
 come da mandato in atti;
    Con  ricorso  proposto ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio
 1970, n. 300, la Federazione nazionale autonoma  dei  lavoratori  dei
 trasporti,  associata alla Confederazione autonoma sindacati italiani
 lavoratori - F.N.A.L.T.  -  C.A.S.I.L.,  in  persona  del  segretario
 provinciale  pro-tempore, sig. Antonio Esposito, elett.te domiciliato
 in Napoli, corso Umberto I, n. 7, presso lo studio  del  dott.  proc.
 Gennaro Dario Esposito, esponeva:
       a)  che  il giorno 27 novembre 1991, il sig. Coppola Salvatore,
 agente stabile alle dipendenze dell'E.T.P. S.p.a., con  matricola  n.
 504,  e  qualifica di "addetto alla manutenzione", livello ottavo, in
 servizio presso lo stabilimento di  Agnano  (Pozzuoli)  allontanatosi
 dal  magazzino  cui  era  addetto perche' chiamato al telefono presso
 l'ufficio movimento, dimenticava, nell'allontanarsi  di  chiudere  la
 porta  del magazzino e di portare con se', nei pochi minuti necessari
 per rispondere alla chiamata, le chiavi dello stesso;
       b)  che  rientrato  dopo  pochi  minuti,  si  accorgeva   della
 scomparsa delle chiavi;
       c)  che  l'azienda, informata dell'accaduto, contestava i fatti
 al Coppola, e ritenendo sussistente un fatto tale da giustificare  la
 sanzione  della  retrocessione, per violazione dell'art. 44 del reg.,
 all. A, r.d.-l. n. 148/1931, lo sospendeva immediatamente dal soldo e
 dal servizio, ai sensi dell'art. 46 del reg. citato;
       d) che il Coppola eccepiva la sproporzione  della  sanzione  in
 relazione  alla  mancanza  commessa, e ne contestava la legittimita',
 anche procedurale, della inflizione,  chiedendo  comunque  di  essere
 giudicato dal consiglio di disciplina;
       e)  che  nelle  more del procedimento disciplinare iniziato, la
 societa' resistente lo rissumeva in servizio, ma successivamente, con
 comunicazione del 5 dicembre 1991, prot.  n.  1205/RT,  e  successivo
 ordine  di  servizio  n.  211/1991,  comminava al Coppola la sanzione
 disciplinare della retrocessione a manovale di nono livello, ai sensi
 dell'art. 44,  quarto  comma,  reg.  citato,  ed  in  conseguenza  lo
 trasferiva dallo stabilimento di Agnano a quello di Pollena;
       f)  che  nuovamente il Coppola contestava la legittimita' della
 sanzione  inflittagli,  chiedendo  la  pronuncia  del  Consiglio   di
 disciplina anche per essa.
    Poiche'  il Coppola rivestiva all'interno dell'azienda la qualita'
 di dirigente di R.S.A., nella unita' produttiva di Agnano,  localita'
 Pisciarelli,  e  poiche' secondo l'istante le sanzioni inflitte erano
 palesemente illegittime,  sia  quanto  al  procedimento  seguito  per
 infliggerle,  sia quanto al rapporto di proporzione e adeguatezza tra
 esse ed il fatto che le  giustificava,  la  rappresentanza  sindacale
 ricorrente    sosteneva   la   antisindacalita'   del   comportamento
 dell'azienda, rilevando  che  in  quanto  dirigente  sindacale  nello
 stabilimento  di  Agnano,  il Coppola non poteva essere trasferito ad
 altro stabilimento senza il consenso dell'associazione  sindacale  di
 appartenenza;     ed    asseriva    altresi'    che    le    sanzioni
 sproporzionatamente  inflitte  al  Coppola  erano  soltanto  l'ultimo
 episodio   di   ripetute   azioni  di  intimidazione  portate  avanti
 dall'azienda a carico del Coppola, per la sua  scomoda  attivita'  di
 rappresentante sindacale in azienda.
    Pertanto  chiedeva che il pretore adi'to dichiarasse antisindacale
 il comportamento dell'azienda,  ordinando  alla  stessa  di  recedere
 dalle sanzioni applicate al Coppola.
    Si  costituiva  la  societa' resistente, contestando l'assunto del
 sindacato istante, e confermando  la  natura  meramente  disciplinare
 delle sanzioni inflitte al Coppola.
    Osserva    il   giudicante   che   ogni   valutazione   circa   la
 antisindacalita'  del   comportamento   aziendale   impugnato   passa
 attraverso  la valutazione di pretestuosita', ovvero di proporzione e
 adeguatezza,  delle  sanzioni   inflitte   al   Coppola,   ai   fatti
 addebitatigli, e dunque la valutazione di legittimita' delle sanzioni
 inflitte  e'  elemento  necessario ed indispensabile per la decisione
 del presente giudizio.
    Ritiene pero'  il  giudicante  che  sussistono  seri  dubbi  sulla
 legittimita' costituzionale della previsione normativa delle sanzioni
 inflitte al lavoratore nel caso di specie, per i seguenti motivi.
    La  sanzione  della  retrocessione  appare  mal conciliarsi, sotto
 diversi profili, con  i  principi  sulla  cui  tutela  la  disciplina
 giuridica del lavoro e' attualmente saldamente attestata.
    La  "retrocessione",  attuata  nella  specie  con il passaggio del
 lavoratore  dall'inquadramento  come  "addetto  alla  manutenzione  -
 ottavo  livello" all'inquadramento come "manovale - nono livello", e'
 prevista, specificamente per i lavoratori dipendenti  da  aziende  di
 trasporto  ferroviario,  tramviario, e marittimo interno, dagli artt.
 37 e 44 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148.
    Stabilisce l'art. 37 cit.:
      "37. Le punizioni che si possono infliggere agli agenti sono  le
 seguenti:
       1› la censura, che e' una riprensione per iscritto;
       2›  la multa, che e' una ritenuta dello stipendio o della paga;
 puo' elevarsi fino all'importo di  una  giornata  di  mercede  ed  e'
 devoluta al fondo di riserva della Cassa soccorso;
       3›  la  sospensione dal servizio, che ha per effetto di privare
 dello stipendio o paga l'agente che ne e' colpito, per una durata che
 puo' estendersi a 15 giorni od, in caso di recidiva entro  due  mesi,
 fino a 20 giorni;
       4› la proroga del termine normale per l'aumento dello stipendio
 o  della  paga,  per  la  durata  di tre o sei mesi od un anno per le
 aziende presso le  quali  siano  stabiliti  aumenti  periodici  dello
 stesso stipendio o paga;
       5› la retrocessione;
       6› la destituzione.
    La multa e' applicabile anche agli agenti ordinari e straordinari.
    Con  deliberazione del consiglio di disciplina di cui all'art. 54,
 agli agenti puo' essere inflitto, come punizione  accessoria,  quando
 vi  siano  ragioni di incompatibilita' locali e nei casi previsti dal
 presente regolamento, il trasloco punitivo, che priva l'agente  delle
 indennita' regolamentari, salvo il rimborso delle spese vive".
    A sua volta, l'art. 44 del r.d. cit. cosi' recita:
      "44. Si incorre nella retrocessione:
       1›  per  falso  deposto o calcolata reticenza nelle risposte ai
 superiori, allo scopo di occultare la verita' per  nuocere  ad  altri
 agenti;
       2›  per avere recato pregiudizio alla sicurezza dell'esercizio,
 causando accidenti nella marcia dei treni, con non  grave  danno  del
 materiale, delle persone e delle cose;
       3›  per  trascuratezza  abituale  nell'esercizio  delle proprie
 mansioni che rechi danno all'azienda, o per trascuratezza  che  abbia
 recato grave danno all'azienda;
       4› per inabilita' od incompatibilita' all'esercizio del proprio
 ufficio, sopraggiunte per motivi imputabili all'agente;
       5›   per  contravvenzioni  commesse  o  facilitate  in  ragione
 dell'ufficio alle leggi e ai regolamenti in materia di dogane,  dazi,
 posta, monopoli e sanita' pubblica.
    Per  effetto  della retrocessione gli agenti vengono trasferiti al
 grado immediatamente inferiore; pero' quando il provvedimento  stesso
 viene   applicato,  a  norma  dell'art.  55,  in  sostituzione  della
 destituzione puo' farsi luogo eccezionalmente alla  retrocessione  di
 due  gradi;  e  quando  trattisi di togliere o non ridare le funzioni
 nelle quali fu commessa la mancanza da punirsi, oppure  di  rimettere
 gli  agenti  nelle funzioni esercitate prima che siano stati promossi
 al grado da cui debbano essere retrocessi, viene assegnato quel grado
 che risulta necessario secondo la tabella graduatoria.
    Per gli agenti, per i quali la retrocessione non e' possibile,  si
 fa  luogo  alla  sospensione estensibile fino a 30 giorni con o senza
 trasloco punitivo cogli stessi effetti della retrocessione per quanto
 riguarda il disposto dell'art. 50 e dell'alinea seguente.
    Alla retrocessione va  sempre  aggiunta  la  proroga  del  termine
 normale  per l'aumento dello stipendio o paga, per la durata di tre o
 di sei mesi.
    Dopo trascorso almeno un anno dalla retrocessione, gli agenti  che
 ne  siano ritenuti meritevoli possono ottenere la reintegrazione, per
 effetto della quale e' restituita a ciascuno la qualifica  che  prima
 rivestiva,  fermi  restando  gli  effetti della pena accessoria della
 proroga, e  salva  la  facolta'  nell'azienda  di  farne  cessare  la
 ripercussione, ai sensi del terzo e quarto comma dell'art. 43".
    Come  si  evince  chiaramente  da tali norme, la sanzione in esame
 comporta la perdita della qualifica (nel testo si parla  di  "grado")
 rivestita  dal lavoratore all'epoca dei fatti, e la attribuzione allo
 stesso della qualifica immediatamente inferiore. Tale  sanzione  puo'
 anche  consistere  nella retrocessione di ben due gradi, nel caso sia
 applicata "in sostituzione della destituzione".
    Ad avviso di questo giudice, la previsione di  una  tale  sanzione
 contrasta con alcuni principi previsti dalla Costituzione.
    In  primo  luogo,  essa  appare  in contrasto con l'art. 35, primo
 comma, della Costituzione che afferma l'esigenza  che  la  Repubblica
 tuteli il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
    Tutela  del  lavoro  significa anche tutela della corretta ed equa
 utilizzazione della capacita' lavorativa  dal  lavoratore:  capacita'
 che  si  estrinseca proprio nella qualifica, che progredisce man mano
 che il  lavoratore  matura  sempre  maggiori  esperienze  tecniche  e
 professionali,  e  che  in  ogni momento della durata del rapporto di
 lavoro, "fotografa" il livello delle esperienze e capacita' raggiunte
 dallo stesso.
    Poiche' la qualifica non costituisce certo un beneficio  accordato
 discrezionalmente  dal datore di lavoro, ne' tanto meno un accessorio
 delle obbligazioni principali derivanti dal rapporto  di  lavoro,  ma
 rappresenta  e  si  identifica  con il lavoratore, in ciascun momento
 storico del rapporto di lavoro considerato, individuando le  qualita'
 essenziali  ed  ontologiche  della  sua  identita' lavorativa, appare
 impossibile che il datore di lavoro possa, con proprio  provvedimento
 disciplinare, privare il lavoratore della capacita' lavorativa da lui
 raggiunta,   "retrocedendolo"   ad  una  qualifica  inferiore  ovvero
 azzerando  (anche  attraverso  ripetute  retrocessioni,  teoricamente
 possibili,  secondo  la  normativa  de  qua)  addirittura i progressi
 tecnici maturati dal dipendente.
    Del resto, una tale possibilita' e' in contrasto con la disciplina
 ormai  generalmente  fissata  ed  accolta  per  tutti  i   lavoratori
 subordinati, in materia di qualifica e mansioni.
    Invero,  l'art.  2103 del c.c., come modificato dall'art. 13 della
 legge 20 maggio 1970, n. 300, afferma il  diritto  del  lavoratore  a
 vedere  sempre rispettate le mansioni (e la qualifica) di assunzione,
 ovvero quelle successivamente acquisite, sancendo  indirettamente  la
 inderogabilita' in pejus del livello lavorativo raggiunto, e comunque
 sottraendo  alla sfera di efficacia dei provvedimenti disciplinari la
 materia della qualifica:  e  tale  norma  appare  diretta  attuazione
 proprio dell'art. 35 della Costituzione citato.
    D'altro  lato, l'art. 7, quarto comma, prima parte, della legge 20
 maggio 1970, n. 300, afferma  che  "fermo  restando  quanto  disposto
 dalla  legge  15  luglio  1966,  n.  604, non possono essere disposte
 sanzioni  disciplinari  che  comportino  mutamenti   definitivi   del
 rapporto  di  lavoro".  In  altri termini, e' previsto come principio
 generale  dell'ordinamento  in  materia  di   lavoro,   che   l'unica
 modificazione  definitiva  ammessa  del rapporto di lavoro, che possa
 infliggersi come sanzione disciplinare, consiste  nel  licenziamento,
 allorche'   sussistono  le  cause  fissate  dalla  normativa  dettata
 specificamente per i licenziamenti.
    Se ne deve dedurre, a conferma di quanto gia' dispone l'art.  2103
 del  c.c.,  che non puo' il datore di lavoro infliggere al dipendente
 quale sanzione, la modifica in pejus della qualifica, che si porrebbe
 come modifica definitiva delle  condizioni  del  rapporto  di  lavoro
 (sino a nuova modifica in melius o in pejus).
    La  ratio di tutte tali disposizioni e' ravvisabile nella esigenza
 di sottrarre alla disponibilita' delle parti, ed in  particolare  del
 datore  di  lavoro,  la  "gestione" della qualifica del lavoratore, e
 cioe' della sua  capacita'  lavorativa,  che,  come  gia'  accennato,
 esprime l'identita' lavorativa del prestatore d'opera.
    In  secondo  luogo,  e  proprio  sulla scorta delle norme di legge
 ordinaria ora citate, le disposizioni degli artt. 37, primo comma, n.
 5, e 44 r.-d. n. 148/1931 cit. appaiono in  contrasto  con  l'art.  3
 della  Costituzione  in  quanto attuano una disparita' di trattamento
 con tutti gli altri lavoratori dipendenti, per i quali la  legge  non
 prevede  e non ammette la possibilita' di una perdita della qualifica
 raggiunta quale particolare tipo si sanzione disciplinare.
    Tale disparita' di trattamento  non  sembra  giustificabile  sulla
 base   della   ripetutamente  asserita  specialita'  del  lavoro  dei
 dipendenti di aziende di trasporto, poiche' non si fonda su obiettive
 particolarita' del lavoro svolto da questi  ultimi,  ma  concerne  un
 aspetto generale del rapporto di lavoro subordinato, quale quello del
 potere  disciplinare  del  datore  di  lavoro e della tipologia della
 sanzioni, che non puo' non ispirarsi a principi  normativi  superiori
 alle   particolari   caratteristiche  tecniche  del  singolo  settore
 lavorativo, ed uniformi per tutti i lavoratori.
    Per tutto quanto esposto, ad avviso del giudicante la questione di
 costituzionalita' delle disposizioni degli artt. 37, primo comma,  n.
 5,  e  44  del  r.d.  n.  148/1931  cit.  non  appare  manifestamente
 infondata, ed essendo la sua soluzione  rilevante  e  preliminare  ai
 fini  della  cognizione della presente controversia, deve disporsi la
 sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli  atti  alla
 Corte  costituzionale,  affinche'  voglia,  ove  ritenga  fondata  la
 questione  sollevata  con  la  presente  ordinanza,  provvedere  come
 richiesto in dispositivo;