IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente sentenza sui seguenti ricorsi:
      n. 1633/1989, proposto  dai  dottori  Bora  Ludovico  Raffaello,
 Angelucci Fausto, Frisina Antonio, Liberatore Vittorio, Giani Enrico,
 Mura  Erminio, Di Filippo Silvio, Capriolo Aldo, Petraccone Emanuele,
 D'Addezio Mario, Trapanese Mario, Interlenghi Guido,  Perucci  Mario,
 Nardino   Salvatore,   Gaggiotti   Raniero,  Boari  Giovanni,  Miconi
 Giovanni, Zanotti Roberto, Gianconti Ennio, Gatti  Luigi,  D'Ambrosio
 Vito,  Cataldo Eugenio, Savoia Vittorio, Sabalich Sergio, Di Patrizio
 Lucio,  Spingardi  Gianfranco,  Mandrelli  Mario,  Crincoli  Adriano,
 Mariani  Nicola, Palumbo Alfonso, Calabrese Donato, Galassi Marcello,
 Brachetti Elio, Jacovoni Danilo e Rampini Giovanni;
      n. 1634/1989, proposto  dai  dottori  Alfredo  Mensitieri,  Aldo
 Speranzini, Pierfrancesco Casula, Alfiero Storti, Antonino Giubilaro,
 Gaetano Savoldelli Petrocchi, Pierfrancesco Marini, Gioacchino Sassi,
 Giorgio   Savorelli,   Demonico  De  Angelis,  Mario  Fiore  e  Paolo
 Bardovagni;
      n. 1635/1989, proposto dal dott. Rossellini Adriano;
      n.  1636/1989,  proposto  dal  dott.  Santojanni  Marino  Donato
 Gennaro;
      n.  1637/1989,  proposto  dai  signori  Nucera Francesco e Bruna
 Carmela Dieni ved. Nucera, quali eredi  del  dott.  Domenico  Nucera,
 deceduto  il  12  aprile 1989, tutti rappresentati e difesi dall'avv.
 Gaetano Nensitieri e dall'avv.   Gabriele  Galvani  ed  elettivamente
 domiciliati  in  Ancona, corso Mazzini n. 156, contro il Ministero di
 grazia e  giustizia  e  il  Ministero  del  tesoro,  in  persona  dei
 rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
 distrettuale  dello  Stato  di  Ancona  e  ivi domiciliati ex lege in
 piazza Cavour 29, Ancona, per  l'annullamento  dei  provvedimenti  in
 data  14  aprile 1988, 2 ottobre 1987 e 29 settembre 1987, pubblicati
 sul B.U. 30 aprile 1989, n. 8, del Ministero di grazia  e  giustizia,
 con cui il direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli
 affari  generali  ha  disposto  che  le  somme  corrisposte a ciascun
 ricorrente in esecuzione delle sentenze nn. 190, 192 e 214  del  1984
 di  questo  tribunale  siano  riassorbite ai sensi e con le modalita'
 dell'art.  10,  secondo  comma,  della  legge  n.  425/1984,  e   per
 l'annullamento  dei  successivi  provvedimenti con cui si e' disposto
 anche il recupero delle somme erogate per interessi  e  rivalutazione
 monetaria, nonche' per l'accertamento del diritto a conservare quanto
 attribuito e pagato a seguito delle sentenze stesse;
    Visto  i  ricorsi  con i relativi allegati, gli atti di causa e le
 memorie prodotte;
    Visto  l'atto  di   costituzione   in   giudizio   dell'avvocatura
 distrettuale dello Stato di Ancona;
    Uditi,  alla pubblica udienza del 29 ottobre 1991, l'avv. Galvani,
 per i ricorrenti, e l'avv. Liborio Coaccioli, per l'avvocatura  dello
 Stato;
    Udito il relatore designato dott. Luigi Ranalli;
    Considerato che all'udienza stessa i ricorsi sono stati assunti in
 decisione;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
                               F A T T O
    I. - Con sentenze n. 190, rettificata con decisione n. 214/1984, e
 n.  192  del  23  maggio  1984,  questo  tribunale ha riconosciuto il
 diritto dei ricorrenti agli aumenti periodici di  stipendi  derivanti
 dall'applicazione  del  combinato  disposto dell'art. 9 della legge 2
 aprile 1979, n. 97, dell'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre
 1970, n. 1080, dell'art. 2 della legge 16 dicembre 1961, n.  1308,  e
 dell'art.  10,  ultimo  comma, della legge 20 dicembre 1981, n. 1345,
 con decorrenza 1› gennaio 1979,  oltre  gli  interessi  legali  e  la
 rivalutazione monetaria sulle differenze arretrate.
    Le sentenze sono state notificate il 2 giugno 1984, ma il 6 agosto
 1984 e' stata emanata la legge n. 425, recante nuove disposizioni sul
 trattamento economico dei magistrati.
    Successivamente questo tribunale, con sentenze nn. 352, 353, 354 e
 355  del  17  agosto  1987  e  n.  121 del 10 marzo 1988 ha accolto i
 ricorsi proposti ai sensi dell'art. 27, n.  4,  del  testo  unico  n.
 1054/1924, dichiarando l'obbligo delle amministrazioni soccombenti di
 dare esecuzione al giudicato.
    Nei mesi di novembre/dicembre 1987 le stesse amministrazioni hanno
 appellato  le citate sentenze nn. 190 e 192 del 1984, ma il Consiglio
 di Stato, sezione quarta, con decisione n. 851 dell'8  novembre  1988
 ha  dichiarato  l'appello  irricevibile  perche'  notificato oltre il
 termine di sessanta giorni dalla pubblicazione  della  sentenza  7-10
 aprile 1987, n. 123, della Corte costituzionale.
    Il 27 dicembre 1987, con decisione n. 1113, lo stesso Consiglio ha
 annullato  le decisioni nn. 352, 353, 354 e 355 del 1987, atteso che,
 quando i ricorsi per l'ottemperanza erano stati proposti  (1985),  il
 giudicato non si era ancora formato.
    Nel  frattempo,  il  Ministero di grazia e giustizia, con distinti
 provvedimenti in data 29 settembre 1987, 2 ottobre 1987 e  14  aprile
 1988,   ha   rideterminato   il   trattamento  economico  di  ciascun
 ricorrente,  stabilendo,  pero',  che  ai  sensi  del  secondo  comma
 dell'art.  10  della  legge  n.  425/1984,  le  somme  corrisposte in
 esecuzione delle decisioni di questo tribunale nn. 190 e 192 del 1984
 sarebbero state riassorbite con la normale progressione  economica  e
 nelle funzioni.
    Il  riassorbimento  e'  stato impugnato con i ricorsi in epigrafe,
 sostanzialmente uguali tra loro, per violazione dell'art. 10, secondo
 comma, della legge n. 425/1984, dei principi generali in  materia  di
 riassorbimento  e  di indebito, per violazione del giudicato, nonche'
 per eccesso di potere derivante da ingiustizia,  illogicita',  errata
 valutazione di presupposti e difetto di motivazione, nel rilievo che:
      1)  le  somme  erogate non costituiscono indebito, ma un credito
 accertato con sentenza passata in giudicato, ne' esiste una norma che
 stabilisce diversamente, ivi compreso l'art. 10, comma secondo, della
 legge n.  425/1984,  perche'  esso  prevede  il  riassorbimento,  ben
 diverso dal disposto recupero di un indebito.
    La  caratteristica  degli  emolumenti  riassorbibili  si sostanzia
 nella mera anticipazione temporale di  aumenti  spettanti,  ad  altro
 titolo,  da inglobare nel successivo trattamento economico, (v.si, ad
 es., l'art. 3, ultimo comma della legge  15  gennaio  1973,  n.  734,
 l'art.  23  del d.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, l'art. 4 del d.-l. 29
 maggio 1979, n. 503).
    Di conseguenza,  va  escluso  che,  ai  sensi  del  secondo  comma
 dell'art.  10 della legge n. 425/1984, essi ricorrenti siano tenuti a
 restituire, sia pure con la gradualita' della progressione  economica
 e   in  carriera,  quanto  corrisposto  per  effetto  delle  sentenze
 suindicate.
    Ne' i provvedimenti impugnati hanno considerato la  disparita'  di
 trattamento  che  si verifica nei confronti del personale in servizio
 rispetto a quello dei magistrati in pensione, per i  quali,  mancando
 una  progressione  economica  e  nelle  funzioni non puo' attuarsi il
 suindicato recupero;
      2) il secondo comma dell'art. 10  della  legge  n.  425/1984  si
 applica  soltanto  ai  giudicati  intervenuti  prima  della  legge n.
 425/1984, mentre le suindicate sentenze sono passate in giudicato  in
 epoca posteriore.
    Peraltro,  se  l'amministrazione  intendeva  procedere al suddetto
 riassorbimento, avrebbe dovuto tempestivamente impugnare le  sentenze
 n.  190  e 192 del 1984; non avendo cio' fatto, il giudicato non puo'
 essere posto in non cale;
      3) in subordine, il riassorbimento puo' effettuarsi solo per  le
 differenze   stipendiali   e   non  anche  per  gli  interessi  e  la
 rivalutazione monetaria sulle somme a suo tempo corrisposte.
    II. - Con il ricorso n. 1636/89, il  ricorrente  dott.  Santojanni
 M.,   ha   anche  dedotto  l'erronea  determinazione  dell'anzianita'
 effettiva di servizio nella  ricostruzione  del  proprio  trattamento
 economico,  disposta  con  provvedimento  del  29  settembre 1987, in
 esecuzione della  sentenza  n.  192/1984,  dalla  direzione  generale
 dell'organizzazione  giudiziaria  e  degli  affari generali presso il
 Ministero di grazia e giustizia.
    III. - L'avvocatura dello Stato ha chiesto, con apposite  memorie,
 che i ricorsi siano respinti, formulando ampie considerazioni dirette
 a dimostrare l'infondatezza dei gravami proposti.
                             D I R I T T O
    1.  -  I  ricorsi  in  epigrafe  vanno  riuniti,  attesa  la  loro
 connessione oggettiva ed, in parte, soggettiva, ai fini  di  un'unica
 decisione.
    2.  - L'operato dell'amministrazione e' ritenuto illegittimo per i
 seguenti motivi:
      l'art. 10, secondo comma, della legge  n.  425/1984  si  applica
 solo  ai  giudicati  intervenuti  prima  dell'entrata in vigore della
 legge n. 425/1984, non a quelli successivi;
      la stessa norma prevede il riassorbimento e non gia' il recupero
 delle somme erogate o da erogare, mentre nel caso di specie, pur  non
 sussistendo   un   indebito,  l'amministrazione  attua  un  effettivo
 recupero;
      in subordine, il riassorbimento puo' essere effettuato solo  per
 le  differenze  stipendiali, non per gli interessi e la rivalutazione
 monetaria.
    I gravami sono infondati.
    L'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984  cosi'  dispone:
 "Gli  importi  a  qualsiasi  titolo erogati o da erogare al personale
 previsto  dall'art.  3  della  presente  legge   in   esecuzione   di
 provvedimenti  giudiziali  passati in giudicato che hanno pronunciato
 su  domande  fondate  sull'applicazione  dell'art.  3  della legge 13
 febbraio 1981, n. 27, nonche'  sulle  disposizioni  richiamate  negli
 artt.  8  e  9,  rimangono  attribuiti  a  titolo  personale  e  sono
 riassorbiti con la normale progressione economica e  nelle  funzioni,
 ed  inoltre,  se  necessario,  operando  le  conseguenti detrazioni a
 conguaglio a carico dell'indennita' di buonuscita".
    Diversamente da quanto e' sostenuto dai ricorrenti,  cio'  che  il
 suindicato comma della disposizione in argomento postula e' che, alla
 data  di  emanazione della legge n. 425/1984, esistesse una pronuncia
 giudiziale e non anche che essa fosse gia' passata in giudicato.
    Il trascritto secondo comma  dimostra  chiaramente  l'intento  del
 legislatore  di  consentire  all'interpretazione autentica recata dal
 precedente  art.  1  non  solo  di  retroagire,   ma   di   prevalere
 sull'interpretazione  giurisprudenziale  anche  in  base  a  sentenze
 passate   in   giudicato   di   accoglimento   di   domande   fondate
 sull'applicazione  dell'art.  3  della legge 19 febbraio 1981, n. 27,
 nonche' sulle disposizioni richiamate negli artt. 8 e  9,  quindi,  a
 maggior  ragione  a  sentenze  per le quali il giudicato non si fosse
 ancora formato.
    E' vero che la possibilita' di un giudicato successivo alla  legge
 n.  425/1984  era  stata,  di  fatto,  preclusa dal primo comma dello
 stesso art. 10, in base al  quale  "i  provvedimenti  giudiziali  non
 ancora  passati  in giudicato restano, privi di effetto", ma cio' non
 esclude che, se il giudicato si forma ugualmente,  il  secondo  comma
 non debba essere applicato.
    Ed  un  giudicato  successivo  e'  ora possibile proprio a seguito
 della sentenza 7-10 aprile 1987, n. 123, della  Corte  costituzionale
 che,  peraltro,  non  ha  caducato il primo comma del citato art. 10,
 perche' violava i  diritti  affermati  nei  provvedimenti  giudiziali
 dichiarati "privi di effetti", ma perche' contrastava con il diritto,
 costituzionalmente garantito, di agire in giudizio.
    La stessa Corte costituizionale, con ordinanza n. 413 del 27 marzo
 -  7  aprile  1988, ha, infatti, ritenuto che la legge n. 425/1984 ha
 una finalita' perequativa diretta "ad  eliminare  con  il  meccanismo
 della   graduazione   temporale   proprio  del  riassorbimento  nella
 progressione economica, esiti privilegiati di  trattamento  economico
 riproduttivi  di  disparita'  non  tellerabili  nel quadro di intenti
 costituzionalmente legittimi della volonta' legislativa".
    Una   volta   affermata,   in   tale   quadro,   le   legittimita'
 costituzionale   del  secondo  comma  dell'art.  10  della  legge  n.
 425/1984, neanche sembra interpretazione costituzionalmente  corretta
 quella  che  esclude  la  sua  applicabilia' alle pronunce giudiziali
 intervenute prima della legge e passate in giudicato successivamente.
    L'esclusione attuerebbe un'illogica disparita' di trattamento  tra
 posizioni del tutto simili solo in virtu' di un elemento accidentale,
 quale   il  momento  di  formazione  del  giudicato  favorevole,  che
 consentirebbe a coloro nei cui confronti il giudicato si  e'  formato
 dopo   l'emanazione   della  legge  n.  425/1984,  di  conservare  il
 trattamento economico che l'art. 1 ha inteso  eliminare  con  effetto
 retroattivo, trattamento che, prima della citata sentenza n. 123/1987
 della   Corte  costituzionale,  il  primo  comma  dell'art.  10,  non
 attribuiva neppure a titolo personale con graduale riassorbimento.
    Ne'   l'applicabilita'   della   disposizione  in  argomento  puo'
 ritenersi preclusa, a seguito della ripetuta  sentenza  n.  123/1987,
 sul  rilievo  che  incombeva  all'amministrazione l'onere di proporre
 tempestivo appello avverso le  pronunce  di  primo  grado  di  questo
 Tribunale.
    L'appello  era,  eventualmente,  necessario  per  la loro riforma,
 cioe' ottenere una pronuncia che negasse, in  tutto  o  in  parte,  i
 benefici  economici  con  le  precedenti  pronunce affermati, non per
 evitarne   l'attribuzione   a   titolo   personale    con    graduale
 riassorbimento,  essendo  tali  effetti  direttamente  derivati dalla
 norma, una volta formatosi il giudicato.
    Il collegio non ritiene condivisibile  neppure  la  prospettazione
 dei  ricorrenti  secondo  le  quali  le  somme  erogate  (o erogande)
 costituirebbero un assegno ad personam irreversibilmente acquisito al
 patrimonio del percipiente, essendo il  "riassorbimento",  secondo  i
 consolidati  principi  e  la  prassi  propri  del  pubblico  impiego,
 ribaditi all'art. 8 della stessa legge n. 425/1984, ben  diverso  dal
 disposto recupero.
    Non  si  vede,  infatti,  come  il riassorbimento delle differenze
 stipendiali previsto dalla norma potrebbe operare con  meccanismo  ed
 effetti  diversi  da  quello  della  compensazione  con  gli  aumenti
 retributivi connessi alla progressione economica e in carriera.
    Il convincimento del colleggio esce  rafforzato  dalla  previsione
 contenuta  nello  stesso  secondo  comma  dell'art.  10,  laddove  si
 dispone,  a  completamento  del   riassorbimento   con   la   normale
 progressione economica e nelle funzioni, la previsione di "detrazioni
 a conguaglio a carico dell'indennita' di buonuscita .. se necessario"
 (v.si t.a.r Piemonte 10 dicembre 1986, n. 492; t.a.r. Emilia-Romagna,
 sezione Parma, 10 aprile 1987, n. 150).
    Ne'  l'uso  da  parte  del legislatore dell'espressione "rimangono
 attribuiti  a  titolo  personale",  con  riferimento   agli   importi
 derivanti dal giudicato puo' avere il significato di non tangibilita'
 delle   acquisizioni   patrimoniali   di   cui  si  discute,  dovendo
 semplicemente,  ad  avviso  del  collegio,  tale  espressione  essere
 considerata  in  funzione  della  necessita'  in cui si e' trovato il
 legislatore di conciliare la finalita' di disporre la ripetizione  di
 quanto corrisposto con l'osservanza, sia pure formale, del giudicato.
    Ugualmente  infondato  va  dichiarato il gravame nella subordinata
 richiesta che il riassorbimento sia limitato alla sorte capitale  con
 esclusione, quindi, degli interessi e della rivalutazione monetaria.
    Come  accennato  in  precedenza, la palese finalita' del combinato
 disposto degli artt. 1 e 10 della legge n. 425/1984 e' di  stabilire,
 direttamente, con un atto normativo e con effetto retroattivo, che le
 maggiorazioni  retributive,  derivanti  dall'applicazione delle norme
 richiamate negli articoli stessi, non erano  (ne'  sono)  dovute:  di
 conseguenza,  se  dette  maggiorazioni non erano dovute, sia pure per
 effetto  di  norme  sopravvenute,  manca  ogni  valido   titolo   per
 giustificare un autonomo diritto a trattenerle, la cui corresponsione
 strettamente   si   saldava   alla   medesima   pretesa   creditoria,
 costituendo, secondo i principi affermati dall'adunanza plenaria  del
 Consiglio  di  Stato  (a partire dalla decisione n. 1 del 23 febbraio
 1982) "una fattispecie unica e complessa".
    Ne' il riassorbimento anche di detti  accessori  contrasta  con  i
 canoni   di   logicita'   e   parita'   di  trattamento,  secondo  la
 prospettazione formulata dai ricorrenti nella memoria del 1›  ottobre
 1991,  in  quanto  chi  deve  restituire di piu' a causa del maggiore
 ritardo,  ad  esso non imputabile, con cui l'amministrazione provvede
 al pagamento della sorte, ha pur sempre percepito (o deve  percepire)
 una  somma maggiore per interessi e rivalutazione e si trova, quindi,
 in  una  posizione  adeguatamente  compensata  sul  piano  economico,
 rispetto  a  chi,  pagato  prima, ha percepito un'importo minore allo
 stesso titolo.
    Tenuto conto, infine,  che  nella  previsione  del  secondo  comma
 dell'art.  10 della legge n. 425/1984 il riassorbimento costituiva un
 atto vincolato per  l'amministrazione,  neanche  era  necessaria  una
 ulteriore  e particolare motivazione, oltre l'indicazione della norma
 applicata, ne' sono  configurabili  i  dedotti  vizi  di  eccesso  di
 potere, sotto il profilo della disparita' di trattamento, illogicita'
 e ingiustizia manifesta.
    3.  -  Con  il  ricorso  n.  1636/1989,  il dott. Santojanni M. ha
 impugnato anche la determinazione della sua anzianita'  di  servizio,
 cosi'  come indicato nel decreto del 29 settembre 1987, espressamente
 adottato  in  esecuzione  della  sentenza  n.  192/1984   di   questo
 tribunale.
    Il  gravame  e'  infondato in quanto per l'esecuzione della citata
 sentenza non va considerata l'anzianita' di  effettivo  servizio  sin
 dall'assunzione   in   magistratura,   ma   quella   c.d.  economica,
 corrispondente agli aumenti biennali  maturati  al  1›  gennaio  1979
 nella  qualifica  in  possesso (magistrato di cassazione dal 31 marzo
 1971) con l'aggiunta degli aumenti biennali dovuti  a  seguito  della
 sentenza stessa.
    Correttamente,  quindi,  nell'impugnato  provvedimento, sono stati
 considerati, alla data del 1›  gennaio  1979,  complessivamente  otto
 aumenti  biennali  e  corrispondenti  all'anzianita'  "economica"  di
 sedici anni, piu' i nove mesi dal 31 marzo 1978 al 1›  gennaio  1979;
 con   lo   stesso   criterio  il  decreto  impugnato  ha  determinato
 l'anzianita' economica successiva.
    4. -  Attesa  l'infondatezza  di  tutti  i  motivi  d'impugnazione
 proposti i ricorsi dovrebbero essere respinti.
    Senonche'  il collegio ritiene di sollevare d'ufficio la questione
 di costituzionalita' dell'art. 10,  secondo  comma,  della  legge  n.
 425/1984,  rilevante,  in  relazione  a  quanto  sopra, ai fini della
 decisione.
    Il dubbio di legittimita' della norma e' in relazione ai  principi
 affermati  dagli  artt.  3,  24,  25,  70,  101, 102, 103 e 113 della
 Costituzione.
    Ben consapevole che la questione non e' nuova,  essendo  stata  la
 Corte   costituzionale   gia'   investita  da  plurime  ordinanze  di
 remissione dei tribunali amministrativi regionali, e avendo essa, con
 la sentenza n. 413  del  7  aprile  1988,  ritenuto  la  disposizione
 conforme  a  tutti  i  parametri  costituzionali sopra richiamati, il
 collegio ritiene, tuttavia, di  prospettare  nuove  e  piu'  limitate
 implicazioni derivanti dall'applicazione della predetta norma.
    Nell'appena  richiamata  pronuncia  la Corte medesima ha affermato
 che il secondo comma dell'art. 10, della legge  n.  425/1984  ha  una
 finalita'  perequativa,  che  non  configura  ne'  lo svuotamento del
 contenuto economico  del  giudicato,  ne'  l'impiego  della  funzione
 legislativa   per  invadere  l'ambito  riservato  dalla  Costituzione
 all'attivita' giudiziaria.
    Il  trattamento  economico  previsto  dalla  legge n. 425/1984 per
 tutti i magistrati, avvocati e procuratori dello Stato e'  in  vigore
 dal 1› luglio 1983 e confrontato con quello previgente - determinato,
 in  ipotesi,  anche  a seguito di provvedimenti giudiziali passati in
 giudicato -  puo'  ben  essere  inferiore  o  superiore  allo  stesso
 previgente trattamento.
    Se   inferiore,   l'interessato  conserva  il  precedente  e  piu'
 vantaggioso trattamento mediante l'assegno ad personam,  pensionabile
 e riassorbibile con la normale progressione economica.
    In  tal  senso  dispone  segnatamente  l'art.  8  della  legge  n.
 425/1984: di conseguenza, per il  periodo  successivo  al  1›  luglio
 1983,  se  provvedimento giudiziale ha determinato un piu' favorevole
 trattamento  economico,  esso  e'  salvaguardato  nei  suoi   effetti
 sostanziali.
    Altrettanto  non  avviene  per  il periodo precedente il 1› luglio
 1983, in quanto il piu' volte citato art. 10, secondo comma,  dettato
 espressamente  per  tale  lasso  temporale,  impone che gli importi a
 qualsiasi titolo erogati in esecuzione dei giudicati ivi  richiamati,
 siano, invece, riassorbiti.
    Nel  primo  caso  l'interessato,  per  il periodo successivo al 1›
 luglio  1983,  fruisce  degli  effetti  favorevoli   del   giudicato,
 conservando   l'assegno   personale,   ma   inspiegabilmente  non  ne
 usufruisce per il periodo precedente, dovendo restituire gli  importi
 percepiti  allo  stesso  titolo;  nel  secondo caso l'interessato non
 beneficia ne' di assegno personale ne' conserva le somme percepite.
    Gli  effetti  del  secondo  comma  dell'art.  10   sono,   dunque,
 profondamente  diversi  a  seconda che il giudicato abbia determinato
 alla data del 1› luglio 1983 una retribuzione  maggiore  o  inferiore
 rispetto  a  quella  (nuova)  derivante  dalla  legge n. 425/1984, ma
 soprattutto, per il periodo precedente il  1›  luglio  1983,  la  sua
 applicazione  comporta comunque un completo e sostanziale svuotamento
 del giudicato stesso.
    Nemmeno e' agevole individuare quale sia la finalita'  perequativa
 del  comma  se si tiene presente che questo svuotamento del giudicato
 di fatto ripristina, per il periodo precedente  il  1›  luglio  1983,
 proprio  le  diversita'  retributive  tra gli appartenenti alle varie
 magistrature (cioe' gli "esiti privilegiati" cui accenna la  sentenza
 n.  413/1988  della  Corte  costituzionale) che, invece, il giudicato
 stesso aveva inteso eliminare.
    Senonche', la salvaguardia del giudicato, del diritto di difesa in
 giudizio e della stessa funzione giurisdizionale, limiti invalicabili
 per qualsiasi intervento legislativo che voglia risultare conforme ai
 dettagli costituzionali degli artt. 24, 25, 101, 102, 103 e 113 della
 Costituzione - come ha sempre riconosciuto il giudice delle  leggi  -
 mentre  appare  osservata  dal  disposto  dell'art.  8 della legge n.
 425/1984,  e',  invece,  illogicamente  disattesa  nell'ipotesi   del
 secondo  comma del successivo art. 10, con conseguente violazione dei
 suindicati parametri costituzionali, oltre che dello  stesso  art.  3
 della  Costituzione  (v.si,  in tal senso, anche l'ordinanza n. 638 e
 segg. del 9 maggio 1991 del t.a.r. Lazio, sez. I).
    Per le suesposte  considerazioni,  le  delineate  questioni  vanno
 rimesse  alla  Corte  costituzionale,  restando sospesa la definitiva
 pronuncia sui ricorsi in epigrafe e con  riserva  di  ogni  ulteriore
 statuizione    all'esito    della   risoluzione   dell'incidente   di
 costituzionalita'.