IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente sentenza sui seguenti ricorsi: n. 1633/1989, proposto dai dottori Bora Ludovico Raffaello, Angelucci Fausto, Frisina Antonio, Liberatore Vittorio, Giani Enrico, Mura Erminio, Di Filippo Silvio, Capriolo Aldo, Petraccone Emanuele, D'Addezio Mario, Trapanese Mario, Interlenghi Guido, Perucci Mario, Nardino Salvatore, Gaggiotti Raniero, Boari Giovanni, Miconi Giovanni, Zanotti Roberto, Gianconti Ennio, Gatti Luigi, D'Ambrosio Vito, Cataldo Eugenio, Savoia Vittorio, Sabalich Sergio, Di Patrizio Lucio, Spingardi Gianfranco, Mandrelli Mario, Crincoli Adriano, Mariani Nicola, Palumbo Alfonso, Calabrese Donato, Galassi Marcello, Brachetti Elio, Jacovoni Danilo e Rampini Giovanni; n. 1634/1989, proposto dai dottori Alfredo Mensitieri, Aldo Speranzini, Pierfrancesco Casula, Alfiero Storti, Antonino Giubilaro, Gaetano Savoldelli Petrocchi, Pierfrancesco Marini, Gioacchino Sassi, Giorgio Savorelli, Demonico De Angelis, Mario Fiore e Paolo Bardovagni; n. 1635/1989, proposto dal dott. Rossellini Adriano; n. 1636/1989, proposto dal dott. Santojanni Marino Donato Gennaro; n. 1637/1989, proposto dai signori Nucera Francesco e Bruna Carmela Dieni ved. Nucera, quali eredi del dott. Domenico Nucera, deceduto il 12 aprile 1989, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Gaetano Nensitieri e dall'avv. Gabriele Galvani ed elettivamente domiciliati in Ancona, corso Mazzini n. 156, contro il Ministero di grazia e giustizia e il Ministero del tesoro, in persona dei rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Ancona e ivi domiciliati ex lege in piazza Cavour 29, Ancona, per l'annullamento dei provvedimenti in data 14 aprile 1988, 2 ottobre 1987 e 29 settembre 1987, pubblicati sul B.U. 30 aprile 1989, n. 8, del Ministero di grazia e giustizia, con cui il direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli affari generali ha disposto che le somme corrisposte a ciascun ricorrente in esecuzione delle sentenze nn. 190, 192 e 214 del 1984 di questo tribunale siano riassorbite ai sensi e con le modalita' dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984, e per l'annullamento dei successivi provvedimenti con cui si e' disposto anche il recupero delle somme erogate per interessi e rivalutazione monetaria, nonche' per l'accertamento del diritto a conservare quanto attribuito e pagato a seguito delle sentenze stesse; Visto i ricorsi con i relativi allegati, gli atti di causa e le memorie prodotte; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'avvocatura distrettuale dello Stato di Ancona; Uditi, alla pubblica udienza del 29 ottobre 1991, l'avv. Galvani, per i ricorrenti, e l'avv. Liborio Coaccioli, per l'avvocatura dello Stato; Udito il relatore designato dott. Luigi Ranalli; Considerato che all'udienza stessa i ricorsi sono stati assunti in decisione; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: F A T T O I. - Con sentenze n. 190, rettificata con decisione n. 214/1984, e n. 192 del 23 maggio 1984, questo tribunale ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti agli aumenti periodici di stipendi derivanti dall'applicazione del combinato disposto dell'art. 9 della legge 2 aprile 1979, n. 97, dell'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, dell'art. 2 della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, e dell'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1981, n. 1345, con decorrenza 1 gennaio 1979, oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle differenze arretrate. Le sentenze sono state notificate il 2 giugno 1984, ma il 6 agosto 1984 e' stata emanata la legge n. 425, recante nuove disposizioni sul trattamento economico dei magistrati. Successivamente questo tribunale, con sentenze nn. 352, 353, 354 e 355 del 17 agosto 1987 e n. 121 del 10 marzo 1988 ha accolto i ricorsi proposti ai sensi dell'art. 27, n. 4, del testo unico n. 1054/1924, dichiarando l'obbligo delle amministrazioni soccombenti di dare esecuzione al giudicato. Nei mesi di novembre/dicembre 1987 le stesse amministrazioni hanno appellato le citate sentenze nn. 190 e 192 del 1984, ma il Consiglio di Stato, sezione quarta, con decisione n. 851 dell'8 novembre 1988 ha dichiarato l'appello irricevibile perche' notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza 7-10 aprile 1987, n. 123, della Corte costituzionale. Il 27 dicembre 1987, con decisione n. 1113, lo stesso Consiglio ha annullato le decisioni nn. 352, 353, 354 e 355 del 1987, atteso che, quando i ricorsi per l'ottemperanza erano stati proposti (1985), il giudicato non si era ancora formato. Nel frattempo, il Ministero di grazia e giustizia, con distinti provvedimenti in data 29 settembre 1987, 2 ottobre 1987 e 14 aprile 1988, ha rideterminato il trattamento economico di ciascun ricorrente, stabilendo, pero', che ai sensi del secondo comma dell'art. 10 della legge n. 425/1984, le somme corrisposte in esecuzione delle decisioni di questo tribunale nn. 190 e 192 del 1984 sarebbero state riassorbite con la normale progressione economica e nelle funzioni. Il riassorbimento e' stato impugnato con i ricorsi in epigrafe, sostanzialmente uguali tra loro, per violazione dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984, dei principi generali in materia di riassorbimento e di indebito, per violazione del giudicato, nonche' per eccesso di potere derivante da ingiustizia, illogicita', errata valutazione di presupposti e difetto di motivazione, nel rilievo che: 1) le somme erogate non costituiscono indebito, ma un credito accertato con sentenza passata in giudicato, ne' esiste una norma che stabilisce diversamente, ivi compreso l'art. 10, comma secondo, della legge n. 425/1984, perche' esso prevede il riassorbimento, ben diverso dal disposto recupero di un indebito. La caratteristica degli emolumenti riassorbibili si sostanzia nella mera anticipazione temporale di aumenti spettanti, ad altro titolo, da inglobare nel successivo trattamento economico, (v.si, ad es., l'art. 3, ultimo comma della legge 15 gennaio 1973, n. 734, l'art. 23 del d.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, l'art. 4 del d.-l. 29 maggio 1979, n. 503). Di conseguenza, va escluso che, ai sensi del secondo comma dell'art. 10 della legge n. 425/1984, essi ricorrenti siano tenuti a restituire, sia pure con la gradualita' della progressione economica e in carriera, quanto corrisposto per effetto delle sentenze suindicate. Ne' i provvedimenti impugnati hanno considerato la disparita' di trattamento che si verifica nei confronti del personale in servizio rispetto a quello dei magistrati in pensione, per i quali, mancando una progressione economica e nelle funzioni non puo' attuarsi il suindicato recupero; 2) il secondo comma dell'art. 10 della legge n. 425/1984 si applica soltanto ai giudicati intervenuti prima della legge n. 425/1984, mentre le suindicate sentenze sono passate in giudicato in epoca posteriore. Peraltro, se l'amministrazione intendeva procedere al suddetto riassorbimento, avrebbe dovuto tempestivamente impugnare le sentenze n. 190 e 192 del 1984; non avendo cio' fatto, il giudicato non puo' essere posto in non cale; 3) in subordine, il riassorbimento puo' effettuarsi solo per le differenze stipendiali e non anche per gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle somme a suo tempo corrisposte. II. - Con il ricorso n. 1636/89, il ricorrente dott. Santojanni M., ha anche dedotto l'erronea determinazione dell'anzianita' effettiva di servizio nella ricostruzione del proprio trattamento economico, disposta con provvedimento del 29 settembre 1987, in esecuzione della sentenza n. 192/1984, dalla direzione generale dell'organizzazione giudiziaria e degli affari generali presso il Ministero di grazia e giustizia. III. - L'avvocatura dello Stato ha chiesto, con apposite memorie, che i ricorsi siano respinti, formulando ampie considerazioni dirette a dimostrare l'infondatezza dei gravami proposti. D I R I T T O 1. - I ricorsi in epigrafe vanno riuniti, attesa la loro connessione oggettiva ed, in parte, soggettiva, ai fini di un'unica decisione. 2. - L'operato dell'amministrazione e' ritenuto illegittimo per i seguenti motivi: l'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984 si applica solo ai giudicati intervenuti prima dell'entrata in vigore della legge n. 425/1984, non a quelli successivi; la stessa norma prevede il riassorbimento e non gia' il recupero delle somme erogate o da erogare, mentre nel caso di specie, pur non sussistendo un indebito, l'amministrazione attua un effettivo recupero; in subordine, il riassorbimento puo' essere effettuato solo per le differenze stipendiali, non per gli interessi e la rivalutazione monetaria. I gravami sono infondati. L'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984 cosi' dispone: "Gli importi a qualsiasi titolo erogati o da erogare al personale previsto dall'art. 3 della presente legge in esecuzione di provvedimenti giudiziali passati in giudicato che hanno pronunciato su domande fondate sull'applicazione dell'art. 3 della legge 13 febbraio 1981, n. 27, nonche' sulle disposizioni richiamate negli artt. 8 e 9, rimangono attribuiti a titolo personale e sono riassorbiti con la normale progressione economica e nelle funzioni, ed inoltre, se necessario, operando le conseguenti detrazioni a conguaglio a carico dell'indennita' di buonuscita". Diversamente da quanto e' sostenuto dai ricorrenti, cio' che il suindicato comma della disposizione in argomento postula e' che, alla data di emanazione della legge n. 425/1984, esistesse una pronuncia giudiziale e non anche che essa fosse gia' passata in giudicato. Il trascritto secondo comma dimostra chiaramente l'intento del legislatore di consentire all'interpretazione autentica recata dal precedente art. 1 non solo di retroagire, ma di prevalere sull'interpretazione giurisprudenziale anche in base a sentenze passate in giudicato di accoglimento di domande fondate sull'applicazione dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nonche' sulle disposizioni richiamate negli artt. 8 e 9, quindi, a maggior ragione a sentenze per le quali il giudicato non si fosse ancora formato. E' vero che la possibilita' di un giudicato successivo alla legge n. 425/1984 era stata, di fatto, preclusa dal primo comma dello stesso art. 10, in base al quale "i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano, privi di effetto", ma cio' non esclude che, se il giudicato si forma ugualmente, il secondo comma non debba essere applicato. Ed un giudicato successivo e' ora possibile proprio a seguito della sentenza 7-10 aprile 1987, n. 123, della Corte costituzionale che, peraltro, non ha caducato il primo comma del citato art. 10, perche' violava i diritti affermati nei provvedimenti giudiziali dichiarati "privi di effetti", ma perche' contrastava con il diritto, costituzionalmente garantito, di agire in giudizio. La stessa Corte costituizionale, con ordinanza n. 413 del 27 marzo - 7 aprile 1988, ha, infatti, ritenuto che la legge n. 425/1984 ha una finalita' perequativa diretta "ad eliminare con il meccanismo della graduazione temporale proprio del riassorbimento nella progressione economica, esiti privilegiati di trattamento economico riproduttivi di disparita' non tellerabili nel quadro di intenti costituzionalmente legittimi della volonta' legislativa". Una volta affermata, in tale quadro, le legittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 10 della legge n. 425/1984, neanche sembra interpretazione costituzionalmente corretta quella che esclude la sua applicabilia' alle pronunce giudiziali intervenute prima della legge e passate in giudicato successivamente. L'esclusione attuerebbe un'illogica disparita' di trattamento tra posizioni del tutto simili solo in virtu' di un elemento accidentale, quale il momento di formazione del giudicato favorevole, che consentirebbe a coloro nei cui confronti il giudicato si e' formato dopo l'emanazione della legge n. 425/1984, di conservare il trattamento economico che l'art. 1 ha inteso eliminare con effetto retroattivo, trattamento che, prima della citata sentenza n. 123/1987 della Corte costituzionale, il primo comma dell'art. 10, non attribuiva neppure a titolo personale con graduale riassorbimento. Ne' l'applicabilita' della disposizione in argomento puo' ritenersi preclusa, a seguito della ripetuta sentenza n. 123/1987, sul rilievo che incombeva all'amministrazione l'onere di proporre tempestivo appello avverso le pronunce di primo grado di questo Tribunale. L'appello era, eventualmente, necessario per la loro riforma, cioe' ottenere una pronuncia che negasse, in tutto o in parte, i benefici economici con le precedenti pronunce affermati, non per evitarne l'attribuzione a titolo personale con graduale riassorbimento, essendo tali effetti direttamente derivati dalla norma, una volta formatosi il giudicato. Il collegio non ritiene condivisibile neppure la prospettazione dei ricorrenti secondo le quali le somme erogate (o erogande) costituirebbero un assegno ad personam irreversibilmente acquisito al patrimonio del percipiente, essendo il "riassorbimento", secondo i consolidati principi e la prassi propri del pubblico impiego, ribaditi all'art. 8 della stessa legge n. 425/1984, ben diverso dal disposto recupero. Non si vede, infatti, come il riassorbimento delle differenze stipendiali previsto dalla norma potrebbe operare con meccanismo ed effetti diversi da quello della compensazione con gli aumenti retributivi connessi alla progressione economica e in carriera. Il convincimento del colleggio esce rafforzato dalla previsione contenuta nello stesso secondo comma dell'art. 10, laddove si dispone, a completamento del riassorbimento con la normale progressione economica e nelle funzioni, la previsione di "detrazioni a conguaglio a carico dell'indennita' di buonuscita .. se necessario" (v.si t.a.r Piemonte 10 dicembre 1986, n. 492; t.a.r. Emilia-Romagna, sezione Parma, 10 aprile 1987, n. 150). Ne' l'uso da parte del legislatore dell'espressione "rimangono attribuiti a titolo personale", con riferimento agli importi derivanti dal giudicato puo' avere il significato di non tangibilita' delle acquisizioni patrimoniali di cui si discute, dovendo semplicemente, ad avviso del collegio, tale espressione essere considerata in funzione della necessita' in cui si e' trovato il legislatore di conciliare la finalita' di disporre la ripetizione di quanto corrisposto con l'osservanza, sia pure formale, del giudicato. Ugualmente infondato va dichiarato il gravame nella subordinata richiesta che il riassorbimento sia limitato alla sorte capitale con esclusione, quindi, degli interessi e della rivalutazione monetaria. Come accennato in precedenza, la palese finalita' del combinato disposto degli artt. 1 e 10 della legge n. 425/1984 e' di stabilire, direttamente, con un atto normativo e con effetto retroattivo, che le maggiorazioni retributive, derivanti dall'applicazione delle norme richiamate negli articoli stessi, non erano (ne' sono) dovute: di conseguenza, se dette maggiorazioni non erano dovute, sia pure per effetto di norme sopravvenute, manca ogni valido titolo per giustificare un autonomo diritto a trattenerle, la cui corresponsione strettamente si saldava alla medesima pretesa creditoria, costituendo, secondo i principi affermati dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (a partire dalla decisione n. 1 del 23 febbraio 1982) "una fattispecie unica e complessa". Ne' il riassorbimento anche di detti accessori contrasta con i canoni di logicita' e parita' di trattamento, secondo la prospettazione formulata dai ricorrenti nella memoria del 1 ottobre 1991, in quanto chi deve restituire di piu' a causa del maggiore ritardo, ad esso non imputabile, con cui l'amministrazione provvede al pagamento della sorte, ha pur sempre percepito (o deve percepire) una somma maggiore per interessi e rivalutazione e si trova, quindi, in una posizione adeguatamente compensata sul piano economico, rispetto a chi, pagato prima, ha percepito un'importo minore allo stesso titolo. Tenuto conto, infine, che nella previsione del secondo comma dell'art. 10 della legge n. 425/1984 il riassorbimento costituiva un atto vincolato per l'amministrazione, neanche era necessaria una ulteriore e particolare motivazione, oltre l'indicazione della norma applicata, ne' sono configurabili i dedotti vizi di eccesso di potere, sotto il profilo della disparita' di trattamento, illogicita' e ingiustizia manifesta. 3. - Con il ricorso n. 1636/1989, il dott. Santojanni M. ha impugnato anche la determinazione della sua anzianita' di servizio, cosi' come indicato nel decreto del 29 settembre 1987, espressamente adottato in esecuzione della sentenza n. 192/1984 di questo tribunale. Il gravame e' infondato in quanto per l'esecuzione della citata sentenza non va considerata l'anzianita' di effettivo servizio sin dall'assunzione in magistratura, ma quella c.d. economica, corrispondente agli aumenti biennali maturati al 1 gennaio 1979 nella qualifica in possesso (magistrato di cassazione dal 31 marzo 1971) con l'aggiunta degli aumenti biennali dovuti a seguito della sentenza stessa. Correttamente, quindi, nell'impugnato provvedimento, sono stati considerati, alla data del 1 gennaio 1979, complessivamente otto aumenti biennali e corrispondenti all'anzianita' "economica" di sedici anni, piu' i nove mesi dal 31 marzo 1978 al 1 gennaio 1979; con lo stesso criterio il decreto impugnato ha determinato l'anzianita' economica successiva. 4. - Attesa l'infondatezza di tutti i motivi d'impugnazione proposti i ricorsi dovrebbero essere respinti. Senonche' il collegio ritiene di sollevare d'ufficio la questione di costituzionalita' dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984, rilevante, in relazione a quanto sopra, ai fini della decisione. Il dubbio di legittimita' della norma e' in relazione ai principi affermati dagli artt. 3, 24, 25, 70, 101, 102, 103 e 113 della Costituzione. Ben consapevole che la questione non e' nuova, essendo stata la Corte costituzionale gia' investita da plurime ordinanze di remissione dei tribunali amministrativi regionali, e avendo essa, con la sentenza n. 413 del 7 aprile 1988, ritenuto la disposizione conforme a tutti i parametri costituzionali sopra richiamati, il collegio ritiene, tuttavia, di prospettare nuove e piu' limitate implicazioni derivanti dall'applicazione della predetta norma. Nell'appena richiamata pronuncia la Corte medesima ha affermato che il secondo comma dell'art. 10, della legge n. 425/1984 ha una finalita' perequativa, che non configura ne' lo svuotamento del contenuto economico del giudicato, ne' l'impiego della funzione legislativa per invadere l'ambito riservato dalla Costituzione all'attivita' giudiziaria. Il trattamento economico previsto dalla legge n. 425/1984 per tutti i magistrati, avvocati e procuratori dello Stato e' in vigore dal 1 luglio 1983 e confrontato con quello previgente - determinato, in ipotesi, anche a seguito di provvedimenti giudiziali passati in giudicato - puo' ben essere inferiore o superiore allo stesso previgente trattamento. Se inferiore, l'interessato conserva il precedente e piu' vantaggioso trattamento mediante l'assegno ad personam, pensionabile e riassorbibile con la normale progressione economica. In tal senso dispone segnatamente l'art. 8 della legge n. 425/1984: di conseguenza, per il periodo successivo al 1 luglio 1983, se provvedimento giudiziale ha determinato un piu' favorevole trattamento economico, esso e' salvaguardato nei suoi effetti sostanziali. Altrettanto non avviene per il periodo precedente il 1 luglio 1983, in quanto il piu' volte citato art. 10, secondo comma, dettato espressamente per tale lasso temporale, impone che gli importi a qualsiasi titolo erogati in esecuzione dei giudicati ivi richiamati, siano, invece, riassorbiti. Nel primo caso l'interessato, per il periodo successivo al 1 luglio 1983, fruisce degli effetti favorevoli del giudicato, conservando l'assegno personale, ma inspiegabilmente non ne usufruisce per il periodo precedente, dovendo restituire gli importi percepiti allo stesso titolo; nel secondo caso l'interessato non beneficia ne' di assegno personale ne' conserva le somme percepite. Gli effetti del secondo comma dell'art. 10 sono, dunque, profondamente diversi a seconda che il giudicato abbia determinato alla data del 1 luglio 1983 una retribuzione maggiore o inferiore rispetto a quella (nuova) derivante dalla legge n. 425/1984, ma soprattutto, per il periodo precedente il 1 luglio 1983, la sua applicazione comporta comunque un completo e sostanziale svuotamento del giudicato stesso. Nemmeno e' agevole individuare quale sia la finalita' perequativa del comma se si tiene presente che questo svuotamento del giudicato di fatto ripristina, per il periodo precedente il 1 luglio 1983, proprio le diversita' retributive tra gli appartenenti alle varie magistrature (cioe' gli "esiti privilegiati" cui accenna la sentenza n. 413/1988 della Corte costituzionale) che, invece, il giudicato stesso aveva inteso eliminare. Senonche', la salvaguardia del giudicato, del diritto di difesa in giudizio e della stessa funzione giurisdizionale, limiti invalicabili per qualsiasi intervento legislativo che voglia risultare conforme ai dettagli costituzionali degli artt. 24, 25, 101, 102, 103 e 113 della Costituzione - come ha sempre riconosciuto il giudice delle leggi - mentre appare osservata dal disposto dell'art. 8 della legge n. 425/1984, e', invece, illogicamente disattesa nell'ipotesi del secondo comma del successivo art. 10, con conseguente violazione dei suindicati parametri costituzionali, oltre che dello stesso art. 3 della Costituzione (v.si, in tal senso, anche l'ordinanza n. 638 e segg. del 9 maggio 1991 del t.a.r. Lazio, sez. I). Per le suesposte considerazioni, le delineate questioni vanno rimesse alla Corte costituzionale, restando sospesa la definitiva pronuncia sui ricorsi in epigrafe e con riserva di ogni ulteriore statuizione all'esito della risoluzione dell'incidente di costituzionalita'.