ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge
 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine  presso
 le  regioni  e gli enti locali), promosso con ricorso della Provincia
 autonoma di Trento, notificato il 21  febbraio  1992,  depositato  in
 cancelleria  il  2 marzo successivo ed iscritto al n. 22 del registro
 ricorsi 1992;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore
 Mauro Ferri;
    Uditi  l'avv.  Valerio  Onida  per la Provincia di Trento e l'avv.
 dello Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Con  ricorso notificato il 21 febbraio 1992, la Provincia
 autonoma  di  Trento   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme
 in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali),
 nella parte in cui sostituisce il  terzo  comma  dell'art.  15  della
 legge  19 marzo 1990, n. 55, ed introduce i nuovi commi 4-bis, 4- ter
 , 4-septies e 4-octies del medesimo art. 15; cio' in riferimento agli
 artt. 8, n. 1, 49 - nella parte in cui richiama l'art.  33  -,  51  -
 nella  parte  in cui richiama l'art. 38 - e 54 dello Statuto speciale
 di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670,  nonche'  all'art.  3  della
 Costituzione.
    Premette  la ricorrente che la norma impugnata ha dettato un'ampia
 disciplina riguardante la eleggibilita' e la permanenza in carica  di
 amministratori  e  dipendenti  delle  regioni  e  degli  enti locali,
 nonche' dei titolari di incarichi per cui l'elezione o la nomina  sia
 di  competenza  degli  organi  regionali,  provinciali e comunali, in
 relazione a condanne penali  o  alla  sottoposizione  a  procedimenti
 penali o a misure di prevenzione.
    Dopo  un'ampia  disamina  delle  nuove disposizioni, la ricorrente
 osserva che, a parte il caso della sentenza definitiva  di  condanna,
 si  tratta  di  ipotesi  di "incandidabilita'" o di sospensione dalla
 carica collegate alla  pendenza  di  un  procedimento  penale  o  per
 l'applicazione   di   misure  di  prevenzione,  ipotesi  graduate  in
 relazione ai diversi  possibili  stadi  del  procedimento  (rinvio  a
 giudizio,  condanna  in primo grado, condanna confermata in appello),
 con evidente incidenza nella materia del principio costituzionale  di
 presunzione  di  non  colpevolezza  dell'imputato "sino alla condanna
 definitiva" (art. 27, secondo comma, della Costituzione).
    Stante questo principio, le limitazioni al diritto  di  elettorato
 passivo,  e al diritto a ricoprire le cariche elettive, sancita dalle
 norme in questione, non  possono  in  alcun  modo  configurarsi  come
 effetti  sanzionatori  "anticipati" della condanna. Non resta allora,
 prosegue la Provincia,  che  configurare  tali  effetti  come  misure
 cautelari  intese  ad evitare il pregiudizio che potrebbe derivare al
 pubblico interesse e al "buon nome" delle istituzioni dalla  elezione
 o  dalla permanenza nell'esercizio della funzione elettiva di chi sia
 colpito dalle condanne o dalle misure in questione.
    Orbene, se tali sono - e non possono essere altre - la  portata  e
 la  ratio  delle  disposizioni  in esame, i commi 4- bis e 4- ter del
 nuovo art. 15, che  prevedono  e  disciplinano  la  sospensione,  con
 decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri, dei presidenti
 delle  giunte  regionali  e  provinciali,  degli  assessori   e   dei
 consiglieri   regionali   e   provinciali  (con  norme  che  appaiono
 applicabili alle cariche elettive della Provincia autonoma di Trento,
 in  cui,  come  e'  noto,  le  cariche  di  consigliere  regionale  e
 provinciale coincidono nelle stesse persone), si configurano non gia'
 come  disciplina  dell'elettorato  passivo  con riguardo alle cariche
 regionali e provinciali considerate, ma come disciplina di una  forma
 di  controllo  sugli  organi,  che  da'  luogo all'adozione di misure
 cautelari comportanti sospensione dalle cariche medesime.
    Come  tali,  pero',  dette  disposizioni  sono   illegittime   per
 violazione  dell'autonomia  costituzionale  della Provincia autonoma,
 garantita dallo Statuto speciale, in  quanto  configurano  una  forma
 nuova  di  controllo  sugli organi, non prevista e non consentita ne'
 dalla Costituzione ne' dallo Statuto. Quest'ultimo, infatti,  prevede
 come  unico  strumento di intervento statale sugli organi provinciali
 lo scioglimento del Consiglio quando questo compia atti contrari alla
 Costituzione e gravi violazioni di legge, o non sostituisca la giunta
 o il suo Presidente che abbiano compiuto analoghi atti  o  violazioni
 (art.  33, primo comma, richiamato dall'art. 49, primo comma); e come
 unica causa di rimozione dalle cariche di Presidente della  giunta  o
 di  assessore  la  revoca ad opera dello stesso Consiglio (artt. 38 e
 33,  primo comma, richiamati rispettivamente dall'art. 51 e dall'art.
 49, primo comma).
    La giurisprudenza di questa  Corte  ha  chiarito  che  la  "natura
 costituzionale"  conferita  all'autonomia  regionale,  risultante dal
 "disegno tracciato dal titolo V della parte  II  della  Costituzione,
 derogabile,  ma  solo  in  termini  piu' favorevoli, per le autonomie
 speciali", comporta "come prima conseguenza, che il complesso sistema
 delle relazioni tra Stato e Regioni debba trovare la sua base diretta
 nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare,  in
 termini  conclusi,  le stesse dimensioni dell'autonomia, cioe' i suoi
 contenuti ed i suoi confini"; e come ulteriore  conseguenza  che  "ad
 ogni  potere  di  intervento dello Stato, suscettibile di incidere su
 tale sfera costituzionalmente garantita, in modo da condizionarne  in
 concreto - cosi' come accade con le forme puntuali del controllo - la
 misura  e  la  portata,  non  potra'  non corrispondere un fondamento
 specifico nella stessa disciplina costituzionale" (sent. n.  229  del
 1990, recte del 1989).
    Tali affermazioni si trovano nel contesto di una sentenza relativa
 ad  una forma di intervento o di controllo sugli atti delle regioni e
 delle province autonome, ma il discorso vale  allo  stesso  modo  con
 riguardo  a  forme  di  controllo  sugli organi come quella di cui e'
 giudizio, posto che la stessa sentenza non ha  mancato  di  precisare
 che  la  disciplina  "espressa in tema di controlli negli artt. 126 e
 127  della  Costituzione",  come  quella  relativa  al  controllo  di
 legittimita'  sugli  atti  amministrativi  posta  dall'art. 125 della
 Costituzione, "viene a presentarsi come tassativa e insuscettibile di
 estensione da parte del legislatore  ordinario,  in  quanto  posta  a
 garanzia   di   una   autonomia   compiutamente   definita   in  sede
 costituzionale".
    In subordine, prosegue la ricorrente, la disposizione del comma 4-
 ter e' censurabile in quanto attribuisce la competenza ad adottare il
 provvedimento di sospensione ad un organo diverso da  quello  cui  lo
 statuto  demanda  l'unico  potere  statale  di controllo sugli organi
 provinciali, vale a dire il Presidente della Repubblica, e prevede un
 procedimento  diverso  da  quello  previsto  dallo  statuto  per   lo
 scioglimento.  In  particolare, la partecipazione al procedimento del
 Ministro  per  le  riforme  istituzionali  non   puo'   evidentemente
 sostituire,  ai  fini  di  garanzia per la Provincia, il parere della
 Commissione parlamentare per le questioni regionali.
    Le disposizioni in questione  appaiono  illegittime  altresi'  per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, nel disporre la
 sospensione  e  la  decadenza  nei soli riguardi degli amministratori
 regionali, provinciali e comunali  (nonche'  di  altri  enti  locali)
 realizzano  un  trattamento  irragionevolmente  differenziato di tali
 amministratori  nei  confronti  dei  titolari  di  analoghe   cariche
 elettive statali, come quelle di membro del Parlamento e del Governo.
    Non  sussistono infatti ragioni simili a quelle che hanno condotto
 questa  Corte,  nella  sentenza  n.  310  del  1991,  a  giustificare
 l'eccezione alla regola generale introdotta con la norma che sancisce
 l'ineleggibilita'   alla   sola  carica  di  Sindaco  dei  condannati
 (peraltro definitivamente) a certi reati o  a  certe  pene  (art.  6,
 ultimo capoverso, d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570).
    Infatti,  da  un lato le norme qui in discussione estendono il re-
 gime di sospensione a tutti i titolari di cariche elettive  regionali
 e  locali, compresi i semplici consiglieri; dall'altro lato, lasciano
 invece esenti da tale disciplina i  titolari  delle  piu'  importanti
 cariche  elettive  statali,  come  i  membri  del  Parlamento, le cui
 funzioni non sono certo  meno  delicate  di  quelle  dei  consiglieri
 provinciali,  ed  i  membri del Governo, le cui funzioni a loro volta
 non sono certo meno  delicate  di  quelle  del  presidente  o  di  un
 componente della giunta provinciale.
    Tale  violazione del principio di eguaglianza ridonda nella specie
 in lesione dell'autonomia  e  della  posizione  costituzionale  della
 Provincia autonoma.
    1.2.  -  Il  nuovo  terzo comma dell'art. 15 della legge n. 55 del
 1990 stabilisce che le disposizioni del primo comma  si  applicano  a
 "qualsiasi  altro  incarico" con riferimento al quale l'elezione o la
 nomina e' di competenza,  fra  l'altro,  del  consiglio  regionale  o
 provinciale,   della   giunta   regionale  o  provinciale,  dei  loro
 presidenti o di assessori regionali o provinciali.
    Anche a tali incarichi appaiono  applicabili  i  commi  successivi
 dell'art.  15,  salvo  il  comma 4-quinquies, il quale, stabilendo la
 decadenza di diritto dalle "cariche indicate al comma 1" nel caso  di
 definitivita'  della  condanna  o  del  provvedimento  che applica la
 misura di prevenzione, e omettendo invece qualsiasi richiamo al comma
 terzo, sembrerebbe riferirsi solo alle cariche elettive elencate  nel
 primo comma dell'articolo.
    Le  disposizioni in questione, osserva la ricorrente, sancendo una
 causa di ineleggibilita' o di  non  nominabilita',  e  demandando  al
 prefetto  la  competenza  a  disporre  la  sospensione  nel  caso  di
 sopravvenienza di una delle condizioni previste,  con  riferimento  a
 tutti  gli  incarichi  per  i  quali  l'elezione  o  la nomina sia di
 competenza degli organi provinciali, e quindi a tutti  gli  incarichi
 negli enti dipendenti o vigilati dalla Provincia, nonche' negli altri
 organismi  nei  quali essa partecipa eleggendo o nominando taluno dei
 titolari di cariche di ogni natura, violano la competenza provinciale
 esclusiva in materia di ordinamento degli uffici provinciali (art. 8,
 n. 1, Statuto speciale). Violano altresi'  le  competenze  attribuite
 alla  Provincia  per  la  nomina  di  organi o per il controllo sugli
 organi di altri enti:  in  particolare,  quelle  spettanti  ai  sensi
 dell'art.  54,  primo comma, n. 5, Statuto speciale, che demanda alla
 giunta provinciale la vigilanza e  la  tutela  sulle  amministrazioni
 comunali,  sulle  istituzioni  pubbliche di assistenza e beneficenza,
 sui consorzi e sugli altri  enti  o  istituti  locali,  "compresa  la
 facolta'  di  sospensione e scioglimento dei loro organi in base alla
 legge", nonche' la nomina di commissari.
    Infatti tali competenze, in particolare quella di cui all'art.  8,
 n.  1  dello  Statuto  (da ritenersi comunque comprensiva anche della
 materia concernente gli enti dipendenti dalla Provincia),  comportano
 da  un  lato che solo la Provincia possa disciplinare i requisiti per
 la nomina o l'elezione, le cause di ineleggibilita', di  decadenza  e
 di  sospensione  relative  agli  uffici e organi indicati; dall'altro
 lato che solo gli organi provinciali (talora espressamente  designati
 dallo  Statuto)  siano  competenti  ad adottare provvedimenti come la
 sospensione di cui e' parola nei commi 4- bis e 4- ter.
    Anche  per quanto riguarda tali incarichi, e per le stesse ragioni
 sopra illustrate,  sussiste  altresi'  la  violazione  del  principio
 costituzionale    di   eguaglianza   -   ridondante   in   violazione
 dell'autonomia e della posizione costituzionale della Provincia - che
 discende dall'aver  previsto  la  sospensione  esclusivamente  per  i
 titolari  degli  incarichi  per i quali l'elezione o la nomina sia di
 competenza degli organi provinciali, e non per i titolari di analoghi
 incarichi per i quali l'elezione o la nomina  sia  di  competenza  di
 organi statali, compresi il Governo e il Parlamento.
    1.3. - Il nuovo comma 4-septies dell'art. 15 della legge n. 55 del
 1990  dispone  che,  qualora  ricorra  una delle condizioni di cui al
 primo  comma   nei   confronti   del   personale   dipendente   delle
 amministrazioni  pubbliche,  "compresi gli enti ivi indicati" - fra i
 quali la Provincia e le unita' sanitarie  locali,  i  cui  dipendenti
 sono  soggetti a disciplina provinciale - "si fa luogo alla immediata
 sospensione   dell'interessato   dalla   funzione   o    dall'ufficio
 ricoperti".
    Il seguito del comma stabilisce che "per il personale appartenente
 alle regioni" (ma e' disposto che probabilmente deve ritenersi esteso
 alle  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano)  la  sospensione e'
 adottata dal presidente  della  giunta  regionale,  "fatta  salva  la
 competenza,  nella  regione Trentino-Alto Adige, dei presidenti delle
 Province autonome di Trento e di Bolzano".
    Il  comma  4-octies  a  sua  volta  stabilisce  che  al  personale
 dipendente  di  cui  al  comma  4-septies  si  applicano  altresi' le
 disposizioni dei commi  4-quinquies  (decadenza  di  diritto  con  la
 definitivita'  della  condanna  o  del  provvedimento  che applica la
 misura di prevenzione) e 4-sexies (esclusione dei  casi  in  cui  sia
 stata concessa la riabilitazione).
    Ad  avviso  della  ricorrente,  per i dipendenti della Provincia e
 degli enti comunque soggetti alla disciplina provinciale, stabilire i
 requisiti di accesso  all'impiego  e  le  cause  di  decadenza  e  di
 sospensione  spetta  esclusivamente  al  legislatore  provinciale: e'
 pertanto illegittimo il comma 4-septies in quanto disciplina  materie
 riservate alla competenza provinciale.
    Il  medesimo comma 4-septies si riferisce al "personale dipendente
 delle amministrazioni pubbliche, compresi gli enti ivi  indicati",  e
 quindi  sembrerebbe letteralmente dettare una disciplina estesa anche
 ai dipendenti delle amministrazioni statali e degli  enti  dipendenti
 dallo Stato.
    Tuttavia  il  fatto  che  il  comma  taccia  del  tutto  circa  la
 competenza e  le  procedure  per  disporre  la  sospensione  di  tali
 dipendenti, mentre la specifica per quanto riguarda gli enti locali e
 le  regioni;  il  fatto che nell'ultima parte del comma si preveda la
 comunicazione dei  provvedimenti,  da  parte  della  cancelleria  del
 tribunale   o  della  segreteria  del  pubblico  ministero,  ai  soli
 "responsabili delle amministrazioni o enti locali indicati  al  comma
 1"  (escluse  quindi  le  amministrazioni statali); nonche' infine il
 riferimento del titolo della  legge  alle  sole  "elezioni  e  nomine
 presso  le regioni e gli enti locali", fanno ritenere che in realta',
 anche per quanto riguarda i dipendenti, la disciplina introdotta  sia
 limitata a quelli delle amministrazioni regionali e locali.
    Ma  in  tal modo si evidenzia anche a questo riguardo, conclude la
 ricorrente,  una  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  che
 ridonda  a  sua  volta  in  lesione  dell'autonomia e della posizione
 costituzionale della Provincia, in quanto non risulta in  alcun  modo
 giustificato   il  diverso  e  deteriore  trattamento  riservato  dal
 legislatore statale ai dipendenti della Provincia e degli enti locali
 rispetto ai  dipendenti  delle  amministrazioni  statali,  senza  che
 sussistano  ragionevoli motivi connessi alle funzioni rispettivamente
 esplicate.
    2.1. - Si e' costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
 dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello
 Stato, deducendo la inammissibilita' e l'infondatezza del  ricorso  e
 rinviando  ad  una  successiva  memoria  l'illustrazione  dei  motivi
 addotti a sostegno di tali conclusioni.
    2.2. - Con memoria depositata nei termini,  l'Avvocatura  Generale
 dello  Stato ha ribadito le proprie conclusioni di inammissibilita' e
 di infondatezza del ricorso.
    La difesa del governo richiama, innanzitutto,  talune  circostanze
 relative al contesto in cui la disciplina impugnata e' stata proposta
 al Parlamento e da questo approvata. Tra queste, rileva l'Avvocatura,
 va  ricordata  la drammatica realta' dell'allargamento della sfera di
 influenza  territoriale  della  delinquenza  organizzata,  che  dalle
 tradizionali regioni di origine si e' andata estendendo ormai a tutto
 il   territorio   nazionale.   Si   tratta   di  una  situazione  non
 ulteriormente sostenibile che mina alle radici ogni  possibilita'  di
 crescita  della  comunita'  nazionale  e  forse  anche  la sua stessa
 sopravvivenza.
    In  questo  quadro  si  inserisce   la   legislazione   cosiddetta
 antimafia,  che  trae  origini nella legge 10 febbraio 1962, n. 57, e
 poi via via nelle leggi 31 maggio 1965, n. 575; 26  luglio  1975,  n.
 354  e  13  settembre 1982, n. 646: con una complessa serie di norme,
 man mano migliorate ed  affinate  dall'esperienza  operativa,  ed  in
 relazione  alle  nuove  emergenze  che  si  andavano manifestando nel
 tempo, si e' tentato di arginare il  fenomeno  mafioso,  cercando  di
 costruire  una  rete  di  protezione  contro  le  infiltrazioni della
 delinquenza organizzata  nell'esercizio  di  attivita'  economiche  e
 nell'amministrazione  della cosa pubblica, assicurandone nel contempo
 la trasparenza ed il buon andamento.
    Negli ultimi anni alla legge 19 marzo 1990, n. 55 (recante  "Nuove
 disposizioni  per  la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e
 di altre forme gravi di manifestazioni di pericolosita' sociale")  si
 e'  aggiunta  la  legge  12 luglio 1991, n. 203, che ha convertito il
 decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, recante  provvedimenti  urgenti
 in  tema  di  lotta  alla criminalita' organizzata e di trasparenza e
 buon andamento dell'attivita' amministrativa; dopo pochi  giorni,  e'
 seguita  la  legge  22  luglio  1991,  n.  221,  che ha convertito il
 decreto-legge 31 maggio 1991, n.  164, recante misure urgenti per  lo
 scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi degli
 altri  enti  locali,  conseguente  a  fenomeni  di infiltrazione e di
 condizionamento di tipo mafioso, ed infine la legge 18 gennaio  1992,
 n.  16,  che,  pur  recando  l'anodino titolo di "norme in materia di
 elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali", all'art. 1 ha
 innovato profondamente le disposizioni dell'art. 15 della legge n. 55
 del 1990 relative alle elezioni amministrative, nella prospettiva  di
 una lotta sempre piu' incisiva alla delinquenza organizzata.
    Tutta  la  suddetta  normativa,  quindi,  va  ricollegata  a  quel
 concetto di ordine pubblico risultante dalla legislazione che  si  e'
 susseguita  dagli anni '80 in poi, la cui portata, prima strettamente
 collegata ai criteri della sicurezza  e  della  quiete  pubblica,  e'
 stata  ampliata  e valorizzata sotto il profilo materiale ed empirico
 come  salvaguardia  delle  condizioni  generali  della  tranquillita'
 pubblica  e  della  impermeabilita'  del consorzio civile di fronte a
 qualsiasi forma di aggressione criminosa.
    La   normativa   piu'   recente   avrebbe,    quindi,    carattere
 essenzialmente  preventivo, mirando ad eliminare le situazioni in cui
 -  a  prescindere  da   ogni   accertamento   circa   il   grado   di
 responsabilita'  individuale dei componenti del consesso - il governo
 locale viene assoggettato ad anomale interferenze, che ne alterano la
 capacita' di conformare la  propria  azione  ai  canoni  fondamentali
 della legalita'.
    In  conclusione,  ritiene  l'Avvocatura  che  tutta  la  normativa
 antimafia,  ivi  compresa  quella  impugnata,  sia  preordinata  alla
 salvaguardia  dell'ordine  e della sicurezza pubblica. Sarebbe quindi
 vano dolersi di una invasione delle competenze provinciali.
    Posto che tutta la legislazione contro la delinquenza  organizzata
 mira  a  fronteggiare  un fenomeno gravissimo che mina alle radici la
 stessa sopravvivenza della comunita' nazionale, ne deriva che il fine
 primario di tutte le  norme,  ivi  compresa  quella  oggi  in  esame,
 appartiene  alla  competenza  dello  Stato,  anche  se  sotto qualche
 profilo  secondario  puo'   incidere   su   materie   di   competenza
 provinciale.
    Quello  che  conta,  pero',  e' il fine primario, e cioe' la lotta
 alla delinquenza organizzata per la salvaguardia dell'ordine e  della
 sicurezza pubblica.
    Il che e' sufficiente a giustificare ed a legittimare l'intervento
 legislativo dello Stato, secondo la costante giurisprudenza di questa
 Corte  (sentt. nn. 138 del 1972, 243 del 1987, 1044 del 1988, 459 del
 1989 e 36 del 1992).
    2.3. - Quanto alle singole norme  impugnate,  l'Avvocatura  espone
 quanto segue.
    La  sospensione  immediata  e  la  decadenza di diritto, di cui ai
 commi  4-  bis  e  4-quinquies,  sono  la  conseguenza  automatica  e
 necessaria del verificarsi dei presupposti indicati nei commi stessi.
 I  provvedimenti di cui al comma 4- ter non avrebbero pertanto natura
 ed effetti costitutivi, ma solo ricognitivi di una situazione gia' in
 atto. Se il concetto di immediatezza - usato dal comma 4- bis - ha un
 significato, questo non puo' che essere quello  di  necessita'  e  di
 automaticita':  una  sospensione  che per produrre effetti deve prima
 essere disposta e magari valutata non e' immediata. Se si vuol  dare,
 pertanto,  un  senso  ai  commi 4- bis e seguenti, non rimarrebbe che
 riconoscere ad essi natura di disciplina dell'elettorato passivo (con
 previsione di ipotesi di ineleggibilita',  di  sospensione  cautelare
 automatica  o  di  decadenza)  ma  non  certamente  di nuove forme di
 controllo  sugli  organi;  non  sarebbe,  pertanto,   invocabile   la
 salvaguardia   dell'autonomia   speciale  che  definisce  fattispecie
 tassative di controllo sugli organi.
    In ordine, poi,  alla  denunciata  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione,  l'Avvocatura  rileva  che  il ricorso ex art. 32 della
 legge  11  marzo  1953,  n.  87  e'  previsto  ad  esclusiva   tutela
 dell'autonomia  regionale:  solo  la  ritenuta  violazione dei limiti
 posti  a  tutela di questa autonomia puo' esser fatta valere, in sede
 di impugnazione in via diretta, dalle regioni, che possono  impugnare
 la  legge  della  Repubblica  solo se ed in quanto invada la sfera di
 competenza loro  garantita  dalla  Costituzione.  Inoltre,  nel  caso
 specifico,  non  sarebbe  neanche  ravvisabile  un qualsiasi riflesso
 ancorche'  indiretto  sull'autonomia  e  competenza  regionali  della
 pretesa  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione da parte della
 legge n. 16/92.
    In ogni caso, a prescindere dall'inammissibilita' della questione,
 essa risulterebbe palesemente infondata.
    Il principio della parita' di trattamento  rispetto  alle  cariche
 elettive  del  Parlamento  e  del  Governo sarebbe malamente invocato
 essendo evidente, da un lato, il  differente  livello  dell'autonomia
 parlamentare,   e,  d'altro  lato,  la  valutazione  di  opportunita'
 politica, esercitata dal legislatore in riferimento  alle  esperienze
 pregresse,   maturate   in  sede  regionale-locale,  in  ordine  alla
 necessita'  di  garantire  il  sistema  amministrativo  locale  dalle
 infiltrazioni   della   delinquenza   organizzata  e  comunque  dalla
 occupazione delle relative cariche da parte di personaggi  penalmente
 compromessi.
    Quanto  alla  denunciata  violazione dell'autonomia provinciale ad
 opera del comma terzo  dell'art.  15,  laddove  e'  previsto  che  le
 disposizioni   del  comma  primo  si  applicano  "a  qualsiasi  altro
 incarico" con riferimento al quale  l'elezione  o  la  nomina  e'  di
 competenza,  fra l'altro, del Consiglio regionale o provinciale ecc.,
 l'Avvocatura richiama, nel senso dell'infondatezza  della  questione,
 le considerazioni sopra svolte.
    Quanto, infine, alle ulteriori censure dedotte dalla ricorrente in
 merito  ai  commi  4-septies  e  4-octies,  l'Avvocatura  dello Stato
 ribadisce che l'art.  15,  come  modificato  dalla  legge  n.  16/92,
 persegue,  cosi'  come  nel  suo complesso la legislazione antimafia,
 obiettivi di competenza dello Stato;  che  in  sede  di  impugnazione
 diretta   di   legge   statale,   le   Regioni   possono   denunciare
 esclusivamente  la  violazione  delle  proprie  sfere  di  competenza
 assegnate  dalla Costituzione o da leggi costituzionali; che, infine,
 la legge disciplina compiutamente i presupposti della  sospensione  e
 della decadenza graduandoli in relazione alla gravita' delle condanne
 ed  alla  natura  dei reati. La legge mira a combattere, prevenendo e
 poi reprimendo, la delinquenza organizzata: e' una lotta il cui  fine
 ultimo  e' la tutela dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza,
 della sopravvivenza stessa della comunita' nazionale,  con  la  ovvia
 conseguenza  che,  nel  condurre  questa  lotta a tutela dei principi
 fondamentali della Costituzione, l'interesse del singolo puo' e  deve
 cedere il passo a quello della intera collettivita'.
                        Considerato in diritto
    1. - L'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia
 di  elezioni  e  nomine  presso  le  regioni  e  gli  enti locali) ha
 integralmente sostituito i primi quattro  commi  dell'art.  15  della
 legge  19  marzo  1990,  n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione
 della  delinquenza  di  tipo  mafioso  e  di  altre  gravi  forme  di
 manifestazione  di  pericolosita'  sociale), aggiungendovi altresi' i
 commi da 4- bis a 4-octies.
    La  Provincia autonoma di Trento solleva questione di legittimita'
 costituzionale - in riferimento a varie  disposizioni  dello  Statuto
 speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige,  nonche'  all'art.  3  della
 Costituzione - dei nuovi commi 3, 4- bis  ,  4-  ter  ,  4-septies  e
 4-octies  del citato art. 15 della legge n. 55 del 1990, come appunto
 introdotti dall'art. 1 della legge n. 16 del 1992.
    2.  -  La  nuova  normativa,  modificando  in  senso  rigoroso  le
 previsioni  contenute in quella previgente, detta un'ampia disciplina
 in tema di eleggibilita' e, in genere, di  capacita'  di  assumere  e
 mantenere  cariche  od  uffici  di  varia natura nelle regioni, nelle
 province, nei comuni ed in altri enti ed organismi di  autonomia  lo-
 cale.
    In  particolare,  viene  introdotta (comma 1) la regola della "non
 candidabilita'" alle  elezioni  regionali,  provinciali,  comunali  e
 circoscrizionali  per  coloro che hanno riportato condanna, anche non
 definitiva, per determinati reati (associazione  di  tipo  mafioso  o
 finalizzata  al  traffico  di  sostanze  stupefacenti,  altri delitti
 concernenti dette sostanze, ovvero in materia di armi, alcuni delitti
 commessi da pubblici ufficiali contro la  pubblica  amministrazione);
 per altri delitti e' richiesta la condanna con sentenza definitiva o,
 quanto  meno,  confermata  in  appello;  per i delitti piu' gravi (in
 materia di mafia, stupefacenti, armi) e', d'altro canto,  sufficiente
 che  per  i soggetti interessati sia stato disposto il giudizio o che
 essi siano stati presentati ovvero citati a comparire in udienza  per
 il giudizio; gli stessi effetti, infine, conseguono all'applicazione,
 anche  non  definitiva,  di  una  misura  di prevenzione in relazione
 all'appartenenza ad un'associazione  di  tipo  mafioso.  Le  medesime
 situazioni  comportano  che i soggetti in esame "non possono comunque
 ricoprire" una serie di cariche elettive, anche di secondo  grado,  e
 di altri incarichi la cui nomina e' di competenza regionale o locale.
    E'  poi, in sintesi, stabilito, per quanto qui piu' specificamente
 interessa, che le  disposizioni  del  primo  comma  si  applicano  "a
 qualsiasi  altro  incarico"  in  riferimento al quale l'elezione o la
 nomina e' di competenza dei  consigli  o  delle  giunte  regionali  o
 locali  o  dei  loro  presidenti,  sindaci o assessori (comma 3); che
 l'eventuale elezione o nomina di chi si trovi nelle condizioni  sopra
 indicate e' nulla, con l'obbligo della revoca (comma 4); che, qualora
 dette  condizioni  sopravvengano  dopo  l'elezione  o la nomina, cio'
 comporta "l'immediata sospensione dalle cariche", adottata con proce-
 dure diverse a seconda dei casi (commi 4- bis e 4- ter); che,  da  un
 lato,  la  sospensione  cessa  nel  caso in cui venga emessa sentenza
 favorevole  all'interessato,  anche  se  non  passata  in  giudicato,
 mentre,  dall'altro,  il  passaggio  in  giudicato  della sentenza di
 condanna (o la  definitivita'  del  provvedimento  applicativo  della
 misura di prevenzione) determina la decadenza di diritto dalla carica
 (commi  4-quater  e  4-quinquies);  che la disciplina in esame non si
 applica se viene concessa la riabilitazione  (comma  4-sexies);  che,
 infine,  qualora  una  delle  condizioni  di  cui  al  primo comma si
 verifichi   nei   confronti   del    personale    dipendente    delle
 amministrazioni  pubbliche,  "si  fa luogo alla immediata sospensione
 dell'interessato dalla funzione o dall'ufficio ricoperti" (con proce-
 dure diverse a seconda dei casi), con successiva decadenza di diritto
 a seguito del passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di  condanna
 (commi 4-septies e 4-octies).
    3.1.  -  Seguendo  l'ordine  delle  censure  come  prospettate nel
 ricorso,  occorre  in  primo  luogo   esaminare   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dei  citati  commi  4- bis e 4- ter del
 nuovo testo dell'art. 15 della legge n. 55 del 1990,  i  quali,  come
 gia'  accennato,  prevedono  il  primo  l'immediata sospensione dalla
 carica  qualora  alcuna  delle  condizioni  di  cui  al  primo  comma
 sopravvenga  dopo  l'elezione  o  la  nomina,  e  il  secondo  che la
 sospensione dei presidenti delle giunte regionali, degli assessori  e
 dei consiglieri regionali "e' disposta con decreto del Presidente del
 Consiglio   dei   ministri,   adottato   su   proposta  del  Ministro
 dell'interno,  di  concerto  con   il   Ministro   per   le   riforme
 istituzionali  e  gli  affari  regionali,  previa  deliberazione  del
 Consiglio dei ministri", mentre negli altri casi la  sospensione  "e'
 adottata  dal  prefetto,  al  quale  i  provvedimenti  dell'autorita'
 giudiziaria sono comunicati a cura della cancelleria del Tribunale  o
 della segreteria del pubblico ministero".
    Ad  avviso  della  ricorrente,  dette  norme,  nella  parte in cui
 prevedono la sospensione dei  presidenti  delle  giunte  regionali  e
 provinciali   e   degli  assessori  e  dei  consiglieri  regionali  e
 provinciali, configurano una nuova forma di  controllo  sugli  organi
 provinciali,  non prevista e non consentita dallo Statuto speciale di
 autonomia, i cui artt. 49 e 51, nel  richiamare  rispettivamente  gli
 artt.  33  e 38, prevedono come unico strumento di intervento statale
 sugli organi provinciali lo scioglimento del Consiglio quando  questo
 compia  atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge o
 non sostituisca la giunta o il suo Presidente  che  abbiano  compiuto
 analoghi  atti  o  violazioni,  e come unica causa di rimozione dalle
 cariche di Presidente della giunta o di assessore la revoca ad  opera
 dello stesso Consiglio.
    La questione non e' fondata.
    Come  esattamente osserva l'Avvocatura dello Stato, deve ritenersi
 inesatta la premessa su cui la ricorrente fonda le  proprie  censure,
 cioe'  che  la disciplina in esame attenga alla materia del controllo
 sugli organi.
    Va in primo luogo  osservato,  invero,  che  le  ipotesi  di  "non
 candidabilita'"   alle   elezioni   previste   dal  primo  comma  non
 costituiscono  altro  che  nuove  cause  di  ineleggibilita'  che  il
 legislatore  ha ritenuto di configurare in relazione al fatto di aver
 subito condanne (o misure di prevenzione) per determinati delitti  di
 particolare  gravita'.  Cio'  e'  confermato dal rilievo, da un lato,
 che, ai sensi del quarto comma,  l'elezione  di  coloro  che  versano
 nelle   indicate   condizioni   "e'  nulla"  e,  dall'altro,  che  la
 sopravvenienza del  fatto  da'  luogo  a  conseguenze  automatiche  e
 necessarie,  quali vanno considerate sia la "decadenza di diritto" (a
 seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna) di cui
 al comma 4-quinquies, sia l'istituto - che forma oggetto specifico di
 censura  -  della  "immediata  sospensione"  dalla  carica:   questa,
 infatti,  ancorche'  adottata con procedure complesse, non puo' avere
 altra natura che quella di atto meramente dichiarativo e  ricognitivo
 della  situazione  determinatasi,  privo  di  qualsiasi  elemento  di
 carattere valutativo e discrezionale.
    In ogni caso, e cio' vale anche in ordine alle cosiddette  cariche
 elettive  di  secondo grado (assessori e presidenti delle giunte), e'
 fuori luogo invocare le norme statutarie in tema di  controllo  sugli
 organi, in quanto l'impugnato istituto della sospensione dalla carica
 non  puo'  farsi  rientrare  in  tale categoria giuridica, sia per le
 caratteristiche di automaticita' sopra evidenziate, sia  per  la  sua
 natura  di  provvedimento  cautelare  disposto  a  carico  di singole
 persone,  che  non   comporta   alcuna   valutazione   sull'attivita'
 istituzionale dell'organo.
    3.2.  -  Parimenti non fondata e' la questione - che la ricorrente
 propone  in  via  subordinata  in  riferimento  alle  medesime  norme
 statutarie  sopra  richiamate  - relativa al solo comma 4- ter, nella
 parte in cui attribuisce la competenza ad adottare  il  provvedimento
 di  sospensione  ad  un  organo  diverso  da quello (Presidente della
 Repubblica)  cui  lo  statuto  demanda  l'unico  potere  statale   di
 controllo   sugli   organi   provinciali,   e   prevede  altresi'  un
 procedimento  diverso  da  quello  stabilito  dallo  statuto  per  lo
 scioglimento,  in particolare sopprimendo il parere della Commissione
 parlamentare per le questioni regionali.
    Appare evidente come le considerazioni sopra svolte in ordine alla
 non riconducibilita' della normativa censurata al tema del  controllo
 sugli  organi  valgano anche in questo caso ad escludere qualsivoglia
 violazione delle norme statutarie in materia.
   3.3. - I medesimi commi 4- bis e 4- ter sono altresi' censurati  in
 riferimento  all'art.  3 della Costituzione, in quanto, nel prevedere
 la sospensione  nei  soli  confronti  dei  consiglieri  ed  assessori
 regionali  e provinciali e non anche dei titolari di analoghe cariche
 statali, quali i membri del Parlamento e del Governo, realizzerebbero
 un irragionevole trattamento differenziato a favore di questi ultimi.
    L'Avvocatura  dello  Stato  eccepisce   l'inammissibilita'   della
 questione,  sostenendo  che  la  dedotta  violazione del principio di
 eguaglianza non avrebbe alcuna influenza - neanche indiretta -  sulla
 sfera  di  autonomia  garantita  alla ricorrente. Ma l'eccezione deve
 essere respinta, in quanto  nel  caso  in  esame  non  puo'  negarsi,
 contrariamente   a   quanto  ritiene  l'Avvocatura,  che  la  dedotta
 violazione dell'art. 3 della Costituzione,  cosi'  come  prospettata,
 sia  intimamente  connessa  con  la  presunta  lesione delle invocate
 competenze provinciali e  si  rifletta,  pertanto,  anche  su  queste
 ultime (cfr., da ult., sentt. nn. 343 del 1991 e 393 del 1992).
    Nel merito la questione non e' fondata.
    Invero,   non   appare   configurabile,  sotto  il  profilo  della
 disparita' di trattamento, un raffronto tra la posizione dei titolari
 di cariche elettive nelle regioni e negli enti locali  e  quella  dei
 membri  del  Parlamento  e  del  Governo, essendo evidente il diverso
 livello istituzionale e funzionale degli  organi  costituzionali  ora
 citati:  ne consegue che, anche a prescindere dalle finalita' e dalle
 motivazioni che hanno ispirato la normativa in esame  e  che  saranno
 appresso  illustrate,  certamente non puo' ritenersi irragionevole la
 scelta operata dal legislatore di  dettare  le  norme  impugnate  con
 esclusivo riferimento ai titolari di cariche elettive non nazionali.
    4.1.  -  La  Provincia  di Trento impugna, poi, il nuovo testo del
 comma 3 dell'art. 15 della legge n. 55 del 1990, il quale estende  le
 disposizioni  previste  dal  primo comma "a qualsiasi altro incarico"
 con riferimento al quale l'elezione o la nomina e' di competenza, fra
 l'altro,  del  consiglio  regionale  o  provinciale,   della   giunta
 regionale o provinciale, o dei loro presidenti o assessori. Ad avviso
 della  ricorrente, detta norma, unitamente alle successive (e in spe-
 cial  modo  a  quella - comma 4- ter - che attribuisce al prefetto la
 competenza ad adottare la sospensione dei titolari degli incarichi in
 esame), viola da un  lato  la  competenza  provinciale  esclusiva  in
 materia  di ordinamento degli uffici provinciali (art. 8, n. 1, dello
 Statuto speciale), e dall'altro le competenze attribuite alla  giunta
 provinciale  in  tema  di  vigilanza  e  tutela sulle amministrazioni
 comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza  e  beneficienza,
 sui  consorzi  e  sugli  altri  enti  o istituti locali, "compresa la
 facolta' di sospensione e scioglimento dei loro organi in  base  alla
 legge" (art. 54, primo comma, n. 5, dello Statuto speciale).
    La questione non e' fondata.
    Occorre  a  questo punto individuare la ratio e le finalita' della
 normativa in esame, tenuto conto anche del  contesto  legislativo  in
 cui la stessa si colloca.
    Va  innanzitutto osservato che, come gia' detto all'inizio, l'art.
 1 della legge n. 16 del 1992 sostituisce quasi  integralmente  l'art.
 15 della legge n. 55 del 1990, la quale, come chiaramente evidenziato
 dal  titolo  (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza
 di  tipo  mafioso  e  di  altre  gravi  forme  di  manifestazione  di
 pericolosita'  sociale),  si  inserisce  nel  filone della cosiddetta
 legislazione antimafia, rappresentato essenzialmente dalle  leggi  n.
 57 del 1962, n. 575 del 1965, n. 354 del 1975 e n. 646 del 1982, alle
 quali  ha  apportato  varie modifiche. Il menzionato art. 15 gia' nel
 testo originario prevedeva la sospensione da  una  serie  di  cariche
 pubbliche  (presidenti  di  giunte regionali e provinciali, assessori
 regionali, provinciali e comunali, sindaci,  consiglieri  comunali  e
 provinciali,   ecc.)   per   coloro  che  risultassero  sottoposti  a
 procedimento penale per il delitto previsto dall'art.  416-  bis  del
 codice  penale,  ovvero  ad  una  misura  di  prevenzione,  anche non
 definitiva, perche' indiziati di appartenere ad associazioni di  tipo
 mafioso;  alla  sospensione  seguiva  la decadenza in conseguenza del
 passaggio in giudicato  della  sentenza  o  della  definitivita'  del
 provvedimento di applicazione della misura di prevenzione.
    Tuttavia,  si  e'  ritenuto,  come  risulta  ampiamente dai lavori
 preparatori della legge n. 16 del 1992, che tale disciplina non fosse
 sufficiente ad arginare il fenomeno  delle  infiltrazioni  di  stampo
 mafioso  all'interno  degli  organi  dell'autonomia  locale,  e si e'
 quindi  provveduto  da  un  lato,  attraverso  l'istituto  della  non
 candidabilita'  alle  elezioni,  ad  "impedire che persone gravemente
 indiziate di crimini .. di stampo mafioso, proprio mediante il  metus
 che  incutono,  possano pervenire a cariche elettive", e, dall'altro,
 ad estendere l'ambito dei destinatari della disciplina "a  tutta  una
 serie  di altri incarichi che spesso formano la fitta rete attraverso
 la  quale  si  esprime  l'intreccio  mafia-politica  ed   il   potere
 clientelare locale".
    In   definitiva,   la   ratio   legis,   come  esattamente  rileva
 l'Avvocatura dello Stato, e' quella di costituire una sorta di difesa
 avanzata dello Stato contro  il  crescente  aggravarsi  del  fenomeno
 della   criminalita'   organizzata   e  dell'infiltrazione  dei  suoi
 esponenti  negli  enti  locali;  le  finalita'  che  si  sono  intese
 perseguire   sono  la  salvaguardia  dell'ordine  e  della  sicurezza
 pubblica,  la  tutela  della  libera  determinazione   degli   organi
 elettivi,  il  buon  andamento e la trasparenza delle amministrazioni
 pubbliche.
    L'intervento  dello Stato appare pertanto essenzialmente diretto a
 fronteggiare una situazione di grave emergenza (che ha imposto  tutto
 un  complesso  di misure - in vari settori dell'ordinamento - nel cui
 ambito va inserita anche la legge in esame), emergenza che  coinvolge
 interessi ed esigenze dell'intera collettivita' nazionale, connessi a
 valori  costituzionali  di  primario  rilievo, in quanto strettamente
 collegati alla difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica. Da cio'
 consegue, in conclusione, che  devono  ritenersi  sussistenti,  nella
 specie,  quei  requisiti  che,  secondo la costante giurisprudenza di
 questa Corte (cfr., fra le altre, sentt. nn. 243 del  1987,  459  del
 1989,  36 del 1992), legittimano l'intervento legislativo dello Stato
 anche quando  questo  venga  ad  incidere  su  materie  in  linea  di
 principio di competenza regionale o provinciale.
    4.2.  -  Anche  il  terzo comma dell'art. 15 della legge n. 55 del
 1990, come nel caso  dei  commi  4-  bis  e  4-  ter  precedentemente
 esaminati,  e' poi censurato dalla Provincia di Trento per violazione
 del principio di eguaglianza, in quanto  contempla  esclusivamente  i
 titolari  degli  incarichi  per  i quali l'elezione o la nomina e' di
 competenza degli organi provinciali e non anche  per  i  titolari  di
 analoghi  incarichi  per  i  quali  l'elezione  o  la  nomina  e'  di
 competenza di organi statali, quali il Parlamento o il Governo.
    La questione - da ritenere ammissibile per i motivi  gia'  esposti
 sopra al punto 3.3 - non e' fondata.
    Come  si  e'  avuto  modo  di  osservare  al  punto precedente, il
 legislatore con la  disciplina  in  esame  ha  inteso  essenzialmente
 contrastare   il   fenomeno   dell'infiltrazione  della  criminalita'
 organizzata  nel  tessuto  istituzionale  locale  e,   in   generale,
 perseguire  l'esclusione  dalle  amministrazioni locali di coloro che
 per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia  popolare.
 La  scelta  di intervenire a livello degli enti locali si fonda, come
 si legge piu' volte nei lavori preparatori,  su  dati  di  esperienza
 oggettivi,  i  quali  dimostrano  che  i  fenomeni  che  si intendono
 arginare trovano in tale ambito le  loro  principali  manifestazioni:
 tale  scelta,  pertanto,  non  puo'  certamente  ritenersi viziata da
 irragionevolezza.
    5.1. - La ricorrente impugna, infine, i nuovi  commi  4-septies  e
 4-octies  dell'art.  15 della legge n. 55 del 1990, i quali estendono
 al personale dipendente delle amministrazioni pubbliche (compresi gli
 enti indicati nel primo comma) l'istituto della immediata sospensione
 dalla funzione o dall'ufficio ricoperti, qualora ricorra alcuna delle
 condizioni elencate nel medesimo comma 1, nonche' (mediante un rinvio
 al  comma  4-quinquies)  quello  della  decadenza   di   diritto   al
 verificarsi  dei  presupposti  ivi  indicati  (passaggio in giudicato
 della  sentenza  di   condanna,   definitivita'   del   provvedimento
 applicativo  di  una misura di prevenzione). E' altresi' previsto che
 per il personale degli enti locali la  sospensione  e'  disposta  dal
 capo  dell'amministrazione o dell'ente locale ovvero dal responsabile
 dell'ufficio secondo la specifica competenza, mentre per il personale
 delle regioni e per gli  amministratori  e  componenti  degli  organi
 delle  uu.ss.ll.  la  sospensione  e'  adottata  dal presidente della
 giunta regionale, fatta salva la competenza, nella regione  Trentino-
 Alto Adige, dei presidenti delle province autonome.
    Ad avviso della ricorrente, le norme in esame violano innanzitutto
 la  competenza  provinciale esclusiva in materia di ordinamento degli
 uffici e del personale ad essi addetto (art. 8, n. 1,  dello  Statuto
 speciale),  comprensiva  ovviamente  di  tutto  cio'  che  attiene ai
 requisiti di accesso e alle  cause  di  sospensione  e  di  decadenza
 dall'impiego.
    La  questione  non e' fondata per le identiche ragioni - attinenti
 alla ratio e alle finalita' generali della disciplina impugnata - che
 hanno gia' condotto al rigetto delle analoghe censure proposte  dalla
 ricorrente  avverso  il  comma 3 della normativa in esame (v., sopra,
 punto 4.1).
    5.2. - Anche in ordine  ai  commi  ora  esaminati,  la  ricorrente
 denuncia infine la violazione del principio di eguaglianza, in quanto
 le  norme,  riferendosi  ai  soli  dipendenti  delle  amministrazioni
 regionali e  locali  e  non  anche  a  quelli  delle  amministrazioni
 statali,  riserverebbero  ai primi un trattamento ingiustificatamente
 deteriore. La questione, ancorche' ammissibile, non e' fondata. Vanno
 qui richiamate, a tal fine, sia in ordine al  rigetto  dell'eccezione
 di   inammissibilita'   dell'Avvocatura   dello   Stato,   sia   alla
 dichiarazione di  infondatezza  della  questione,  le  considerazioni
 sopra rispettivamente svolte ai punti 3.3 e 4.2.