ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
 12 febbraio 1955, n. 77, (Pubblicazione degli  elenchi  dei  protesti
 cambiari)  come  emendato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n.
 349 (Modificazione alle norme sui protesti  delle  cambiali  e  degli
 assegni  bancari),  promosso  con  ordinanza emessa il 20 maggio 1992
 dalla Corte d'Appello di Palermo sul reclamo proposto da  La  Barbera
 Cosimo,  iscritta  al n. 388 del registro ordinanze 1992 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 2  dicembre  1992  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Ritenuto  che  con ordinanza del 20 maggio 1992 la Corte d'appello
 di Palermo - adita da  La  Barbera  Cosimo  con  reclamo  avverso  il
 decreto  del  Presidente  del tribunale di Palermo dell'11 marzo 1992
 con cui era stata rigettata l'istanza di cancellazione dal bollettino
 dei protesti - ha sollevato  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
 dell'art. 3 della  legge  12  febbraio  1955  n.  77,  come  emendato
 dall'art.  12  della legge 12 giugno 1973 n. 349, nella parte in cui,
 pur dopo l'entrata in vigore della legge  15  dicembre  1990  n.  386
 (modificativa  della  disciplina dell'assegno bancario), non consente
 al traente di un assegno bancario, o agli altri soggetti legittimati,
 di adire il presidente del tribunale per  ottenere  la  cancellazione
 dal bollettino dei protesti;
      che  -  secondo  la  Corte rimettente - il decreto presidenziale
 deve ritenersi reclamabile, in ragione della  regola  generale  della
 reclamabilita'  dei provvedimenti camerali (ex artt. 739-742 c.p.c.);
 che la Corte rimettente ritiene violato il principio  di  eguaglianza
 perche'  la  citata  normativa,  oggetto  di censura, non consente al
 traente  di  un  assegno   bancario   protestato   di   ottenere   la
 cancellazione  del  proprio  nome  dal  bollettino  dei  protesti,  a
 differenza del debitore cambiario, che tale provvedimento  favorevole
 puo'  ottenere ove abbia effettuato il pagamento, entro cinque giorni
 dal protesto, dell'importo della cambiale;
      che la diversita'  del  regime  giuridico  e  sanzionatorio  del
 protesto dell'assegno bancario rispetto al protesto della cambiale si
 sarebbe  attenuata per effetto della citata legge n. 386 del 1990, la
 quale, in  particolare,  ha  previsto  (all'art.  8)  che  l'avvenuto
 pagamento  dell'assegno,  degli interessi, della penale e delle spese
 di protesto rende improcedibile l'azione penale sollevando il traente
 da ogni conseguenza sanzionatoria;
      che  a  seguito  di  tale  riforma   pertanto   il   trattamento
 differenziato  sarebbe  ingiustificatamente  deteriore per il traente
 dell'assegno protestato che rimane sprovvisto di alcuna  tutela  (con
 conseguente  violazione del diritto di difesa), anche nell'ipotesi in
 cui l'avvenuto pagamento dell'assegno, degli interessi, della  penale
 e  delle  spese  di protesto lo abbia restituito ad una condizione di
 piena legalita', non  essendo  piu'  esposto  ad  alcuna  conseguenza
 sanzionatoria  ed  avendo  provveduto all'integrale ristoro del danno
 nei confronti del creditore;
      che e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato
 sostenendo la non fondatezza della questione di costituzionalita'  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione perche' cambiale ed assegno
 bancario sono istituti ben diversi, avuto riguardo alla loro funzione
 economica  (essendo  la prima strumento di credito, mentre il secondo
 un mezzo di pagamento); ne'  vi  e'  violazione  dell'art.  24  della
 Costituzione  giacche'  e'  l'ambito  della  tutela  sostanziale  che
 risulta limitato e quindi manca il diritto od interesse  tutelato  in
 relazione    al   quale   prospettare   la   lesione   della   tutela
 giurisdizionale;
    Considerato che la questione e' ammissibile atteso che l'eventuale
 carenza  di  potere  giurisdizionale  del  giudice  rimettente   (che
 conseguirebbe  alla negazione della reclamabilita' dell'ordinanza del
 presidente  del   tribunale   di   diniego   del   provvedimento   di
 cancellazione  dal  bollettino dei protesti) potrebbe essere rilevata
 da questa Corte soltanto se  evidente  ed  incontestabile  (cfr.,  ex
 plurimis, sent. n. 414 del 1989);
      che,  nel  merito,  permangono  - anche dopo l'entrata in vigore
 della legge 15 dicembre 1990 n. 386 che ha modificato  la  disciplina
 dell'assegno  bancario  -  le  ragioni  che hanno gia' indotto questa
 Corte, nella sentenza n. 317 del 1990,  a  ritenere  non  fondata  la
 stessa questione di costituzionalita';
      che  in  particolare  permane  il  diverso  regime sanzionatorio
 atteso che - mentre il mancato pagamento della  cambiale  continua  a
 non  costituire  oggetto di sanzioni specifiche, oltre quelle proprie
 dell'inadempimento - l'emissione dell'assegno bancario senza che  sia
 pagato  all'atto  della  presentazione  rappresenta  una condotta che
 integra gli estremi di un reato (salva  l'eventuale  improcedibilita'
 dell'azione penale ex art. 8 legge n. 386 del 1990 citata) e comunque
 comporta  la  revoca  al  traente  di ogni autorizzazione ad emettere
 assegni (art. 9 legge citata);
      che  diversa  e'  ancora  la  funzione  tipica dei due titoli di
 credito, costituendo l'assegno bancario un mezzo di  pagamento  e  la
 cambiale, invece, uno strumento di credito;
      che  tale  diversita'  giustifica  la  disciplina  differenziata
 quanto alla facolta' (riconosciuta al traente di una cambiale  e  non
 anche  al  traente di un assegno bancario) di adire il presidente del
 tribunale per ottenere la cancellazione dal bollettino  dei  protesti
 in  caso  di  pagamento  del  titolo  entro  cinque  giorni dalla sua
 presentazione;
      che l'esclusione della disparita' di trattamento denunciata  dal
 giudice  rimettente  esclude  anche  ogni  violazione  del diritto di
 difesa (art. 24 della Costituzione) non essendo configurabile  tutela
 processuale  quando non e' riconosciuta alcuna situazione sostanziale
 di diritto od interesse;
      che pertanto la questione di costituzionalita' e' manifestamente
 infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87
 e 9, secondo comma, delle norme integrative  per  i  giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale;