ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge  8
 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico
 e  di  quiescenza  del  personale  di  magistratura  ed  equiparato),
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 23 ottobre 1991 dalla Corte dei  conti  -
 Sezione  terza  giurisdizionale  -  sui  ricorsi proposti da Graziano
 Liberato Alberto ed altri, iscritta al n. 58 del  registro  ordinanze
 1992  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8,
 prima serie speciale, dell'anno 1992;
     2)  ordinanza  emessa il 20 novembre 1991 dalla Corte dei conti -
 Sezione giurisdizionale  per  la  Regione  siciliana  -  sui  ricorsi
 riuniti proposti da Finocchiaro Maria, ved. Trizzino Ubaldo, ed altri
 contro  il  Ministero  di Grazia e Giustizia ed altri, iscritta al n.
 241 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di costituzione di Graziano Liberato, Rossi  Manlio
 ed  altri, Dattilo Arduino e Vinci Teresa e gli atti di intervento di
 Novello Francesco ed altro e Mangiacasale Dionigi nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  1992  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  gli  avvocati  Michelangelo Pascasio e Filippo de Jorio per
 Rossi Manlio ed altri, Giovanni Vanin  per  Dattilo  Arduino,  Angelo
 Insolia per Vinci Teresa e Tommaso Palermo per Mangiacasale Dionigi e
 l'Avvocato   dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Nel corso di  un  giudizio  in  cui  i  ricorrenti  avevano
 richiesto  il  riconoscimento  del  diritto  alla  riliquidazione del
 trattamento di quiescenza sulla base  del  principio  di  adeguamento
 automatico alle variazioni del trattamento del personale in servizio,
 la  Corte  dei  conti,  con  ordinanza  emessa il 23 ottobre 1991, ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2 della legge 8
 agosto 1991, n. 265.
    Il giudice a quo riepiloga le  tappe  della  giurisprudenza  della
 Corte  dei conti successiva alla sentenza n. 501 del 1988 della Corte
 costituzionale. Con decisione n. 76/C del 14 novembre 1988 le Sezioni
 riunite  avevano  ritenuto  doversi   ricomprendere   la   permanente
 operativita'  del  meccanismo  di adeguamento delle retribuzioni ( ex
 art. 2 della legge n. 27 del 1981) nel ricalcolo delle  pensioni,  da
 effettuarsi  sulla  base degli stipendi spettanti al 1› gennaio 1988.
 Successivamente investite del problema, le singole sezioni, dubitando
 dell'applicabilita'  di  tale  adeguamento  anche  per  il  futuro  e
 ritenendo  di  poterlo  accordare  soltanto  sino al 1› gennaio 1988,
 sollevavano questione di legittimita' costituzionale del citato  art.
 2  nella  parte  in  cui  non prevedeva in favore dei pensionati tale
 meccanismo od altro  sistema  equivalente.  La  Corte  costituzionale
 dichiarava  la  manifesta  inammissibilita'  di  tale  questione  con
 ordinanza n. 95 del 1991.
    Nel perdurare contrasto interpretativo tra le sezioni, entrava  in
 vigore  la norma impugnata che escludendo, anche per il futuro, dalle
 riliquidazioni medesime  gli  adeguamenti  periodici,  esplicitamente
 ancorava  la  riliquidazione  delle  pensioni - con decorrenza dal 1›
 gennaio 1988 - agli stipendi vigenti al 1›  luglio  1983,  senza  gli
 adeguamenti  periodici i quali venivano esclusi, anche per il futuro,
 dalle riliquidazioni medesime.
    Ad avviso della Corte rimettente,  non  si  tratterebbe  di  legge
 interpretativa,  bensi'  di  una  normativa  intesa  a disporre anche
 retroattivamente la non computabilita' degli adeguamenti.
    In concreto la norma, secondo la Corte stessa, sarebbe destinata a
 riprodurre dal 1› gennaio 1988  quella  crescente  divaricazione  del
 trattamento  di  quiescenza  rispetto  allo  stipendio  (non  essendo
 previsto alcun raccordo tra gli stessi) che la  Corte  costituzionale
 ha   sanzionato   con  la  citata  sentenza  n.  501,  attraverso  la
 caducazione del "vecchio" meccanismo perequativo, che quindi  neppure
 sarebbe piu' applicabile.
    Pur dando atto della necessaria gradualita' riconosciuta da questa
 Corte  al  legislatore  nell'attuazione dei princip/' connessi con la
 natura di retribuzione differita propria della pensione, il giudice a
 quo individua tuttavia un  vulnus  degli  artt.  3,  36  e  38  della
 Costituzione.
    La  discrezionalita'  legislativa  dovrebbe  muoversi  in  materia
 "entro limiti particolarmente ristretti" a pena  di  una  separazione
 sostanziale  tra  pensione  e  retribuzione  erogata ai lavoratori in
 servizio. Questi ultimi, argomenta la Corte rimettente, si giovano, a
 differenza  dei  pensionati,  dell'istituto   della   contrattazione,
 recepita  da  apposito  decreto  del  Presidente  della Repubblica; i
 magistrati,  viceversa,  godono  di  un   sistema   di   collegamento
 automatico  con  le  retribuzioni  del  personale  statale proprio in
 quanto esclusi dalla contrattazione stessa.
    Di qui l'ulteriore profilo  di  illegittimita'  -  in  riferimento
 all'art.  3  Cost.  -  insito nell'esclusione da tale adeguamento dei
 magistrati in pensione. Parimenti lesivo del principio della  parita'
 di  trattamento  risulterebbe  il  confronto  con  le  categorie  che
 beneficiano di consimili adeguamenti.
    L'ordinanza di rimessione conclude ribadendo la necessita' di  una
 garanzia  della misura della pensione che non puo' essere considerata
 una "variabile indipendente" rispetto  al  trattamento  del  servizio
 attivo.
    1.2.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per  la non fondatezza della questione, sostenendo in particolare che
 la sentenza n. 501,  nel  riconoscere  la  garanzia  dell'adeguamento
 della  pensione  allo  stipendio  quale  "mero vincolo di principio",
 avrebbe altresi' fatta salva la discrezionalita' del legislatore  nel
 graduare le relative misure di adeguamento.
    Rileva  altresi'  l'Avvocatura  come la norma impugnata, se per un
 verso  esclude  ogni   automatico   collegamento   tra   pensioni   e
 retribuzioni  (in  asserita  conformita'  a  quanto  da  questa Corte
 sostenuto nell'ordinanza n. 95 del  1991),  da'  peraltro  attuazione
 almeno  ad  una  parte  della  citata  sentenza n. 501, la' dove essa
 dispone la riliquidazione in applicazione degli artt.  3  e  4  della
 legge  n.  425  del  1984  per  il  personale  collocato  in pensione
 anteriormente al 1› luglio 1983.
    1.3. - Nel giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  si  e'  costituito
 separatamente  il  ricorrente Dattilo, riservando successiva memoria,
 nonche' gli altri ricorrenti, i quali hanno insistito,  in  un  unico
 scritto    difensivo,    per    la    declaratoria   d'illegittimita'
 costituzionale.
    Argomentano in particolare le  parti  private  nel  senso  di  una
 sostanziale   reintroduzione   delle   pensioni  d'annata  -  la  cui
 illegittimita' non sarebbe  sfuggita  allo  stesso  legislatore  -  e
 precisano  come  la  violazione  dell'art. 3 sia piu' sensibile anche
 avuto riguardo ai dirigenti dello Stato beneficiari della sentenza di
 questa Corte n. 1 del 1991, nonche' al personale  destinatario  della
 pur  modesta  perequazione di cui alla legge 23 febbraio 1991, n. 59,
 da cui i magistrati sono testualmente esclusi.
    1.4.  -  E'  infine  intervenuta  la  parte privata in un giudizio
 analogo pendente dinanzi alla Sezione giurisdizionale della Corte dei
 conti  per  la  Sicilia  chiedendo  la  trattazione   congiunta   con
 l'ordinanza  di  rimessione  n.  9  del  1992 emessa da tale giudice,
 avente il  medesimo  oggetto.  La  stessa  parte,  nell'approssimarsi
 dell'udienza,  ha  depositato  una  memoria,  nella quale illustra la
 propria posizione stipendiale e svolge  argomenti  a  sostegno  della
 tesi  dell'illegittimita'  costituzionale  anche  con  riguardo  alla
 violazione dell'art. 136 della Costituzione.
    1.5. - Successivamente i  due  difensori  di  Rossi  Manlio  hanno
 depositato  due  distinte  memorie,  analoghe  a  quelle gia' svolte,
 insistendo per l'accoglimento della questione.
    In particolare, l'avv. Pascasio  ha  sottolineato  come  la  norma
 destinata a dare attuazione alle indicazioni contenute nella sentenza
 n.  501 del 1988 fosse proprio quella relativa all'adeguamento di cui
 all'art. 2 della legge n. 27 del 1981 la cui  operativita'  e'  stata
 esclusa  dall'impugnata disposizione. Quest'ultima, poi - nel fissare
 la  riliquidazione   per   i   magistrati   collocati   in   pensione
 anteriormente al 1› luglio 1983 sulla base degli stipendi percepiti a
 tale data (e non al 1› gennaio 1988) - avrebbe in sostanza vanificato
 il  giudicato. Lo stipendio percepito al 1› gennaio 1988 sarebbe piu'
 che doppio rispetto alla pensione spettante al 1› luglio 1983.
    L'avv.  De  Jorio  ribadisce  la   palese   irrazionalita'   della
 denunziata  normativa, volta a riscrivere la sentenza n. 501 del 1988
 cancellandone in concreto gli effetti ed a bloccare la riliquidazione
 delle pensioni dei magistrati  cessati  dal  servizio  prima  del  1›
 luglio  1983, cosi' ricreando proprio quella situazione che la stessa
 sentenza  aveva  inteso  scongiurare.  Sarebbe  percio'  evidente  la
 "rozzezza  giuridica"  di  un'impostazione  legislativa finalizzata a
 vanificare "la parte piu'  luminosa  sul  piano  della  civilta'  del
 diritto"  della  motivazione  con  cui, nella citata sentenza, si era
 affermato il costante adeguamento tra pensioni e retribuzioni.
    Anche il ricorrente Dattilo ha depositato ulteriore memoria in cui
 riassume  il  contenuto  dell'ordinanza  di  rimessione  evidenziando
 l'avvenuto  ripristino delle pensioni d'annata, nonche' l'illegittima
 espropriazione  (con  possibile  violazione   dell'art.   42   Cost.)
 realizzata  in  danno  dei  pensionati  attraverso  il meccanismo del
 riassorbimento di eventuali  trattamenti  in  godimento  maggiori  di
 quelli accordati dalla legge.
    1.6.  -  Ulteriori  memorie  di  analogo  tenore sono state infine
 depositate dall'avv. Pascasio, per i  ricorrenti  Rossi  ed  altri  e
 dall'avv.  Vanin  per  Dattilo.  Si  e'  inoltre  costituito Liberato
 Graziano rappresentato dall'avv. De Jorio.
    2.1. - La Sezione giurisdizionale della Corte  dei  conti  per  la
 Regione  siciliana  con ordinanza emessa il 20 novembre 1991 (R.O. n.
 241 del 1992), ha sollevato, in relazione agli  artt.  3,  36  e  136
 della Costituzione, questione di legittimita' del citato art. 2 della
 legge n. 265 del 1991.
    Dopo  aver  sintetizzato  lo svolgimento dei fatti a partire dalla
 sentenza di questa Corte n. 501 del 1988  sino  all'emanazione  della
 norma   impugnata,   il  giudice  a  quo  insiste  sulla  sostanziale
 vanificazione da parte di quest'ultima, degli effetti  del  giudicato
 costituzionale.  Se, infatti, con la sentenza n. 501 si era affermata
 la   necessita'   di  un  costante  adeguamento  del  trattamento  di
 quiescenza alle retribuzioni, censurando di conseguenza la  normativa
 allora  impugnata, l'intento perseguito dal legislatore attraverso il
 denunciato art. 2 era esattamente quello  di  escludere  qualsivoglia
 corrispondenza  tra pensione e stipendio. Siffatto risultato e' stato
 ottenuto eliminando  l'operativita'  del  meccanismo  di  adeguamento
 triennale  (  ex  art.  2  della legge 19 febbraio 1981, n. 27) dalla
 riliquidazione e  limitandone  comunque  gli  effetti  ai  dipendenti
 collocati a riposo anteriormente al 1› luglio 1983.
   Pertanto gli effetti di tale scelta - sostiene la Corte dei conti -
 risulterebbero  a  tal  punto  perversi,  che  in  taluni casi in cui
 l'Amministrazione aveva operato le  riliquidazioni  ancorandole  allo
 stipendio  di  dipendenti  di  pari  qualifica, senza considerare gli
 incrementi del menzionato  art.  2  con  eliminazione  degli  aumenti
 percentuali nel frattempo conteggiati (muovendosi cioe' nel senso poi
 indicato  dal  legislatore),  sicche'  la  pensione  riliquidata  era
 risultata addirittura  inferiore  a  quella  in  atto  percepita  dal
 pensionato.  Poiche'  il  meccanismo  stipendiale,  quale considerato
 dalla Corte  costituzionale,  rappresenta  viceversa  un  unicum,  la
 riliquidazione alla data del 1› gennaio 1988 non potrebbe assumere in
 alcun  modo  a parametro lo stipendio vigente nel 1983, bensi' quello
 attuale  (stipendio  tabellare   piu'   adeguamenti   medio   tempore
 intervenuti). Diversamente opinando, si introdurrebbero sperequazioni
 anche  piu'  gravi  di quelle che la Corte volle sanare con la citata
 sentenza n. 501. L'art. 136  risulterebbe  quindi  violato  sotto  il
 duplice  profilo  della  imposizione  da  parte  del  legislatore  di
 un'interpretazione diversa da quella adottata dai giudici  di  merito
 (volta  a  vanificare  l'istituzionale funzione ermeneutica di questi
 ultimi e gli effetti della sentenza n. 501) e del  venir  meno  della
 stessa  definitivita'  della  sentenza  della  Corte  a  causa  di un
 sostanziale ripristino della normativa gia' dichiarata illegittima.
    Quanto infine alla lesione degli artt. 3 e 36 della  Costituzione,
 il  giudice  a  quo  svolge  argomenti  analoghi  a  quelli contenuti
 nell'ordinanza sub 1.1.
    2.2. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   ha   concluso   per   la
 declaratoria  d'infondatezza,  replicando esclusivamente alle censure
 relative agli artt. 3  e  36  della  Costituzione.  In  proposito  si
 osserva  (sostanzialmente  seguendo le argomentazioni gia' svolte sub
 1.2.)  che  la  Corte  costituzionale,  pur  affermando  la  garanzia
 dell'adeguamento  del trattamento pensionistico alle retribuzioni del
 personale in servizio, ha prefigurato il potere  del  legislatore  di
 graduare  le  misure  di  adeguamento  secondo  propri  parametri  di
 ragionevolezza.   Il   riconoscimento   di   tale    discrezionalita'
 risulterebbe poi ribadito - a parere dell'Avvocatura - dall'ordinanza
 n.  95  del  1991 con cui questa Corte ha dichiarato inammissibile la
 questione  relativa  alla  mancata  previsione  del   meccanismo   di
 adeguamento triennale anche per le pensioni.
    2.3.  -  Nel  giudizio  dinanzi a questa Corte si e' costituita la
 parte privata Vinci-Vaccaro che  ha  insistito  per  la  declaratoria
 d'illegittimita'     costituzionale     con    motivazioni    desunte
 dall'ordinanza di rimessione.
    2.4.  -  Nell'approssimarsi  dell'udienza,  l'avv.  Palermo per la
 parte privata Mangiacasale (R.O. n.  241/1992)  e  l'avv.  Vanin  per
 Dattilo   Arduino  (R.O.  n.  58/1992),  hanno  depositato  ulteriori
 memorie.
    Il  primo  difensore,  a   dimostrazione   della   disparita'   di
 trattamento,   ha   depositato  alcuni  decreti  determinativi  della
 pensione riguardanti magistrati in diverse posizioni  amministrative;
 il  secondo  difensore  ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni
 gia' svolte nella precedente memoria.
                        Considerato in diritto
    1. - I giudici a quibus denunciano entrambi l'art. 2 della legge 8
 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico
 e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato)  recante
 disposizioni  in materia di trattamento economico e di quiescenza del
 personale di magistratura ed equiparato. La norma impugnata  prevede,
 al  primo  comma, che le pensioni del predetto personale collocato in
 pensione anteriormente al 1› luglio 1983 siano riliquidate sulla base
 delle misure stipendiali a quella  data  vigenti  per  effetto  della
 legge n. 425 del 1984 ma con esclusione del meccanismo di adeguamento
 periodico  (di  cui  agli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n.
 97, come sostituiti dall'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27).
 Dopo  aver  disposto  per  quanto  concerne  il   riassorbimento   di
 eventuali,  maggiori trattamenti di cui godessero i singoli, la norma
 ribadisce, al secondo comma, la permanente  e  definitiva  esclusione
 degli  adeguamenti  periodici di cui sopra dalle riliquidazioni delle
 pensioni.
    Le rimettenti Sezioni della Corte dei conti invocano, a  parametro
 d'illegittimita',  gli  artt.  3,  36  e  38  della  Costituzione, in
 ragione: a) della mancanza di ogni collegamento tra le pensioni e  la
 dinamica delle retribuzioni;
  b)  della  potenziale  compressione  dei  trattamenti di quiescenza,
 idonea a riprodurre il fenomeno delle  pensioni  d'annata;  c)  della
 disparita'  di  trattamento  rispetto  ad  altre  categorie; d) della
 lesione della garanzia costituzionale di una  retribuzione  differita
 proporzionata al lavoro prestato.
    In particolare, la Sezione giurisdizionale per la Sicilia denuncia
 la violazione dell'art. 136 della Costituzione sotto il profilo della
 violazione  del  "giudicato costituzionale" in quanto la normativa si
 porrebbe in contrasto con la sentenza di  questa  Corte  n.  501  del
 1988.
    I  giudizi riguardano la stessa questione e possono essere riuniti
 e congiuntamente decisi.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Nella sentenza n. 501 del 1988 questa Corte, dopo aver preso  atto
 del  cospicuo  divario  che,  per  il  personale in argomento, si era
 verificato tra pensioni e retribuzioni a seguito della legge 6 agosto
 1984,  n.  425  -  radicalmente  innovativa  della  struttura   della
 retribuzione  segnatamente riguardo alla valutazione delle anzianita'
 di carriera - ha affermato "l'esigenza di una  costante  adeguazione"
 dei due trattamenti.
    La conseguenza e' stata la declaratoria d'illegittimita' di quella
 normativa  che  aveva disposto rivalutazioni percentuali (estranee ai
 criteri adottati per le  nuove  retribuzioni)  invece  di  assicurare
 l'anzidetto   adeguamento  attraverso  un'appropriata  riliquidazione
 delle pensioni  dei  soggetti  esclusi  dai  nuovi  stipendi  perche'
 collocati in quiescenza anteriormente al 1› luglio 1983.
    Circa  la  portata  effettiva del decisum si e' subito manifestata
 una incerta linea  giurisprudenziale  della  Corte  dei  conti  sullo
 specifico   punto   della  inclusione,  o  meno,  del  meccanismo  di
 adeguamento automatico (del quale si dira'  in  seguito  estesamente)
 nel  ricalcolo  delle  pensioni oggetto della sentenza, nonche' sulla
 permanente  operativita'  del  meccanismo  medesimo  nella   generale
 determinazione dei trattamenti di quiescenza.
    Proprio  l'impossibilita'  di  far derivare dalla citata decisione
 un'immediata  e  completa  estensione  -  anche  per  il   futuro   -
 dell'adeguamento  a  tutti  i pensionati, aveva motivato una denuncia
 d'illegittimita' del gia' richiamato art. 2 della  legge  n.  27  del
 1981  (introduttivo  del  meccanismo)  da  parte di una Sezione della
 Corte dei conti  in  contrasto  con  quanto  avevano  ritenuto  altre
 sezioni.  Questa  Corte,  con ordinanza n. 95 del 1991, dichiarava la
 manifesta  inammissibilita'  della  questione,  osservando  come   il
 sindacato  di  legittimita'  non  possa sostanziarsi in una revisione
 delle interpretazioni offerte dagli organi  giurisdizionali  riguardo
 alle statuizioni della Corte stessa.
    In  tale  occasione, tuttavia, non si mancava di rilevare che "una
 sentenza  atta  ad  innestare  nella   normativa   pensionistica   un
 meccanismo  d'adeguamento  periodico  concepito  per  il personale in
 servizio",  comportando  varieta'  di  scelte  e   molteplicita'   di
 implicazioni,  sarebbe  stata  il  risultato di attivita' "certamente
 estranea al sindacato di costituzionalita' e  viceversa  propria  del
 legislatore".
    3.  - In tale quadro sopravveniva la norma impugnata, preceduta da
 quattro decreti-legge - decaduti  per  mancata  conversione  entro  i
 termini  -  i quali contenevano un testo pressoche' identico a quello
 ora in esame (cfr. decreto-legge 23 settembre 1989, n. 326;  decreto-
 legge  26  luglio 1989, n. 260; decreto-legge 26 maggio 1989 n.  191;
 decreto-legge 24 marzo 1989, n. 102).  La  travagliata  genesi  della
 norma  e' altresi' testimoniata dai lavori preparatori della legge n.
 265 del 1991: ai timori di  chi  paventava  un  conflitto  tra  Corte
 costituzionale   e   potere   legislativo  (cfr.  Commissione  affari
 costituzionali - Senato, seduta del 9 novembre  1989),  ai  dubbi  ed
 alle  perplessita'  circa la coerenza tra la previsione dell'art. 2 e
 la sentenza n. 501 (cfr.  Commissioni  riunite  -  Camera  11  luglio
 1991),  seguiva la soppressione dell'articolo in esame da parte della
 Commissione lavoro della Camera (cfr. seduta  del  18  luglio  1991).
 Peraltro il Governo, in un momento successivo, subordinava il proprio
 assenso  al  trasferimento  in  sede legislativa della discussione al
 ripristino dell'articolo, il che appunto avveniva in data  24  luglio
 1991.
    4.  -  Il  sistema  di adeguamento automatico di cui si discute e'
 fondato sulla garanzia di un aumento delle retribuzioni, che -  sulla
 base  di  indici  appositamente  elaborati  dall'Istituto centrale di
 Statistica - viene assicurato  "di  diritto",  ogni  triennio,  nella
 misura  percentuale  pari  alla media degli incrementi realizzati nel
 triennio  precedente  dalle  altre  categorie  del  pubblico  impiego
 (amministrazioni  statali,  aziende  autonome  dello  Stato, regioni,
 province e comuni, ospedali, enti di previdenza).
    Non  v'e' dubbio che tale meccanismo sia elemento intrinseco della
 struttura delle retribuzioni in discorso ed appare anche chiaro  come
 la  sua  logica  di  funzionamento si rapporti necessariamente con il
 sistema degli stipendi del personale in servizio dell'intero pubblico
 impiego, senza eccezioni. Inoltre  questa  Corte  ha,  a  suo  tempo,
 individuato  la  ratio  dell'istituto, quale significativo esempio di
 "attuazione  del  precetto   costituzionale   dell'indipendenza   dei
 magistrati,  che  va  salvaguardato  anche sotto il profilo economico
 (sentenza n. 1 del 1978) evitando tra l'altro che essi siano soggetti
 a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri",  si'  che
 il  meccanismo di cui all'art. 2 "in quanto configurato con l'attuale
 ampiezza di  termini  di  riferimento,  concretizza  una  guarentigia
 idonea a tale scopo" (sentenza n. 238 del 1990).
    Da   cio'   consegue  che  il  legislatore,  nell'escludere  dalla
 riliquidazione delle  pensioni  l'applicabilita'  del  meccanismo  di
 adeguamento,  ha  esercitato una discrezionalita' sua propria volendo
 limitare  gli  effetti  dello   stesso   all'ambito   esclusivo   del
 trattamento  stipendiale  per  il  quale, come si e' visto, era stato
 concepito.  Esula  dai   limiti   del   controllo   di   legittimita'
 l'operazione  additiva richiesta dalle rimettenti sezioni della Corte
 dei conti, consistente in una mera  trasposizione  dell'istituto  nel
 settore pensionistico, ed il giudizio non puo' essere ammesso.
    5.  -  Tuttavia deve osservarsi come la radicale opzione nel senso
 di cristallizzare la riliquidazione alle misure  stipendiali  del  1›
 luglio  1983, senza alcun conto, neppure parziale, degli adeguamenti,
 ne' prima ne' dopo, non possa non prospettarsi come fattore di  nuove
 ulteriori divaricazioni tra pensioni e stipendi.
    Le  incertezze  che  hanno  accompagnato  tale  scelta legislativa
 confermano una logica che non puo' propriamente dirsi  di  attuazione
 delle  statuizioni  di  questa  Corte,  le quali anzi vengono assunte
 nella piu' riduttiva e letterale delle accezioni possibili.
    Fermo   restando   l'attuale   assetto   normativo,   e'   agevole
 pronosticare    che,   venute   meno   le   contingenti   sospensioni
 dell'operativita' del meccanismo e riattivata la  dinamica  salariale
 del   pubblico   impiego,   nel   medio   periodo  l'andamento  delle
 retribuzioni finira' per discostarsi dalle pensioni ben al di la'  di
 quel  ragionevole rapporto di corrispondenza, sia pure tendenziale ed
 imperfetto, a suo tempo richiesto da questa Corte ex  artt.  3  e  36
 della  Costituzione  (cfr.  sentenza n. 119 del 1991). In tal caso le
 stesse considerazioni  svolte  nella  sentenza  n.  501  del  1988  a
 proposito   dell'omesso   calcolo   delle  anzianita'  pregresse  ben
 potrebbero applicarsi alla  mancata  previsione  di  un  qualsivoglia
 meccanismo  di  raccordo  tra  variazioni  retributive  indotte dagli
 aumenti  del  pubblico  impiego  e  computo  delle  pensioni,   cosi'
 determinando   l'esigenza   di   un   riesame   della   questione  di
 costituzionalita'.