ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23, primo
 comma, del d.P.R. 22  settembre  1988,  n.  448  (Approvazione  delle
 disposizioni  sul processo penale a carico di imputati minorenni) nel
 testo sostituito dall'art. 42  del  decreto  legislativo  14  gennaio
 1991,  n.  12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina
 processuale penale e delle norme  ad  essa  collegate)  in  relazione
 all'art.  3,  lett.  h),  della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega
 legislativa al Governo della Repubblica per  l'emanazione  del  nuovo
 codice  di  procedura  penale),  promosso  con ordinanza emessa il 13
 marzo  1992  dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  per i minorenni di Torino nel procedimento penale a carico
 di Bougalmi Atemi, iscritta al n. 322 del registro ordinanze  1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 26, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza del 13 marzo 1992, il Giudice per  le  indagini
 preliminari  presso  il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Torino  ha
 sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23,
 primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle
 disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nel
 testo  sostituito  dall'art.  42  del  decreto legislativo 14 gennaio
 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive  della  disciplina
 processuale  penale e delle norme ad essa collegate), sul presupposto
 che la norma, cosi' come  novellata,  nel  consentire  l'applicazione
 della  misura  della  custodia cautelare nei confronti degli imputati
 minorenni anche per il delitto di  tentato  furto  monoaggravato,  si
 porrebbe   in   contrasto  con  l'art.  76  della  Costituzione,  per
 violazione dell'art. 3, lett. h), della legge 16 febbraio 1987, n. 81
 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione  del
 nuovo  codice  di  procedura  penale), essendo stato ivi enunciato il
 criterio di  riconoscere  al  giudice  il  potere  di  disporre,  nel
 processo  a carico di imputati minorenni, la misura della custodia in
 carcere "solo per delitti di  maggiore  gravita'",  fra  i  quali  il
 giudice  a  quo non ritiene possa essere iscritta la specifica figura
 criminosa dedotta nella specie.
    2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Oltre a
 richiamare la sentenza di questa Corte n. 4 del 1992, l'Avvocatura ha
 osservato che le  modifiche  introdotte  in  parte  qua  dal  decreto
 legislativo  n.  12  del  1991,  hanno tratto origine dal rilievo che
 l'efficacia cautelare di misure di grado inferiore si  e'  dimostrata
 insufficiente con specifico riferimento a talune categorie di reati.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  censura  di eccesso di delega che il giudice a quo muove
 alla  norma  oggetto  di  impugnativa,  si  limita  a   prendere   in
 considerazione  una  specifica ipotesi per la quale e' ora consentito
 disporre l'applicazione della misura  della  custodia  cautelare  nei
 confronti   degli   imputati  minorenni,  a  seguito  delle  incisive
 modifiche che il legislatore  delegato,  facendo  applicazione  della
 speciale   procedura  prevista  dall'art.  7  della  legge-delega  16
 febbraio 1987, n. 81, ha ritenuto di apportare alla disciplina  della
 liberta'   personale   nel   processo  minorile.  Rispetto  al  testo
 originario, infatti, l'attuale formulazione dell'art. 23  del  d.P.R.
 22  settembre  1988,  n.  448,  ha  introdotto,  quale  condizione di
 applicabilita' della custodia cautelare nei confronti degli  imputati
 minorenni,  accanto  ad  un  presupposto "quantitativo" fondato sulla
 pena edittalmente stabilita per il reato in ordine al quale  si  pro-
 cede,  un  criterio per cosi' dire "qualitativo", rappresentato dalla
 enunciazione di specifiche figure di reato che legittimano l'adozione
 della misura cautelare di maggior rigore, a prescindere dalla entita'
 della pena per esse rispettivamente prevista.  L'individuazione delle
 singole fattispecie, peraltro,  e'  stata  non  a  caso  operata  dal
 legislatore mediante il rinvio a talune delle ipotesi per le quali in
 relazione  agli imputati adulti e' previsto l'arresto obbligatorio in
 flagranza, giacche' la norma impugnata,  anziche'  procedere  ad  una
 rassegna  "nominativa"  per  titoli  di  reato, ha significativamente
 sancito la possibilita' di disporre la custodia cautelare,  fuori  da
 qualsiasi  limite  di  pena,  "quando si procede per uno dei delitti,
 consumati o tentati, previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e),
 f), g), h) del codice di procedura penale". Dal rinvio  in  tal  modo
 operato  scaturisce,  dunque, la conseguenza, lamentata dal giudice a
 quo, di rendere applicabile la misura custodiale nei confronti  degli
 imputati  minorenni  pure  nella  ipotesi  in  cui  si proceda per il
 delitto di  furto  tentato,  quando  ricorra  anche  una  sola  delle
 circostanze  richiamate  nell'art. 380, comma 2, lett. e), del codice
 di rito.
    Tenuto conto, quindi, che l'art. 3, lettera h), della legge-delega
 n. 81 del 1987, nel fissare i criteri in base  ai  quali  il  Governo
 della  Repubblica  e'  stato  delegato  a  disciplinare il processo a
 carico di imputati minorenni, ha espressamente sancito  il  principio
 che  il  "potere del giudice di disporre la custodia in carcere" puo'
 essere attribuito "solo per delitti di maggiore gravita'",  l'ipotesi
 del  furto tentato monoaggravato, che ricorre nel procedimento a quo,
 non rientrerebbe, secondo il rimettente, nella categoria dei "delitti
 di  maggiore  gravita'", sia "nell'ambito delle fattispecie penali in
 genere", sia "nell'ambito delle fattispecie di furto".
    2. - La questione, dunque, finisce per ruotare  tutta  attorno  al
 quesito  se  una  determinata  figura  criminosa  integri o meno quel
 carattere di "maggiore gravita'"  che  il  legislatore  delegante  ha
 ritenuto di individuare come parametro alla cui stregua determinare i
 casi  in  cui  e'  consentito  applicare la "custodia in carcere" nei
 confronti degli imputati minorenni.
    Il giudice a quo, con riferimento alla fattispecie di tentativo di
 furto monoaggravato, risponde  in  senso  negativo,  assiomaticamente
 deducendone  la non maggiore gravita', sia con riferimento alle altre
 figure di reato in genere, sia in rapporto alle  diverse  ipotesi  di
 furto  in  specie. Ma un simile argomentare muove da premesse che non
 possono essere condivise. Nella  relazione  che  ha  accompagnato  lo
 schema  del  decreto  legislativo  14 gennaio 1991, n. 12, sono state
 infatti enunciate le ragioni per le quali il Governo si e' indotto  a
 modificare  il  testo  dell'art.  23  del  d.P.R.  n.  448  del 1988,
 essendosi ivi osservato come proprio per talune categorie  di  reati,
 anche  se  puniti con pena edittalmente inferiore ai nuovi limiti che
 il provvedimento ha stabilito,  le  misure  cautelari  diverse  dalla
 custodia  in  carcere si fossero rivelate "del tutto inadeguate", sia
 per la "incidenza quantitativa" di tali fattispecie  delittuose,  sia
 "per  le  caratteristiche  socio-ambientali dei minorenni che vi sono
 dediti". E non e' senza significato la circostanza che,  come  emerge
 dalla  medesima  relazione,  la  commissione parlamentare chiamata ad
 esprimere il proprio conforme parere sulla iniziativa legislativa del
 Governo, al fine di verificare la corrispondenza della  stessa  "alle
 direttive  della  legge  di delega" (art. 7, in relazione all'art. 8,
 secondo comma, della  legge-delega  n.  81  del  1987),  abbia  nella
 sostanza   condiviso   la   proposta   di   modifica,  limitandosi  a
 circoscrivere ad una parte soltanto delle ipotesi previste  dall'art.
 380,  secondo comma, c.p.p., il richiamo generale a tale articolo che
 invece compariva nell'originario schema del Governo.
    Cio' significa, dunque, che  Governo  e  commissione  parlamentare
 hanno  ritenuto  la  nuova  disciplina  coerente  rispetto alle linee
 ispiratrici della legge-delega, e cio' per l'assorbente  rilievo  che
 lo  strumento di delega, lungi dall'impartire una direttiva per cosi'
 dire autoapplicativa, si e' limitato, nel caso che qui si rileva,  ad
 enunciare un criterio a valenza essenzialmente finalistica, lasciando
 cosi'  libero  il  legislatore  delegato di individuare e tracciare i
 necessari  contenuti  attuativi,  secondo  l'ordinaria  sfera   della
 discrezionalita' legislativa.
    Nel  limitare  il  potere  del  giudice di disporre la custodia in
 carcere "solo per delitti  di  maggiore  gravita'",  la  legge-delega
 evoca,  quindi,  un  concetto  di  "gravita' relativa" i cui termini,
 inferiore e superiore, non possono certo  circoscriversi  all'interno
 di  un  rigido paradigma quantitativo fondato sulla pena edittalmente
 prevista. D'altra  parte,  e'  la  stessa  delega  ad  avere  altrove
 svincolato  la  valutazione  della  gravita'  del  reato da un editto
 punitivo di rilevante entita': cosi', nella direttiva 32, riferendosi
 ai casi di arresto facoltativo in flagranza, il legislatore delegante
 ne ha testualmente consentito la  previsione  "per  alcuni  reati  di
 particolare gravita'", anche se punibili con la pena della reclusione
 fino a tre anni. Dovendosi quindi saldare la gravita' del reato anche
 a  parametri di tipo qualitativo che facciano leva sulla specificita'
 delle singole condotte criminose e sul correlativo disvalore, nonche'
 sulla incidenza  che  tali  condotte  presentano  in  un  determinato
 contesto  storico  e  sociale  e sulle peculiarita' che indubbiamente
 caratterizzano  la  devianza   minorile   ed   il   connesso   regime
 processuale,  ciascuna  delle  fattispecie  che la norma impugnata ha
 provveduto a richiamare  integra,  per  espressa  e  coerente  scelta
 normativa,  quella  "maggiore gravita'" alla quale la legge-delega ha
 inteso condizionare la  possibilita'  di  disporre  la  "custodia  in
 carcere" nei confronti degli imputati minorenni.
    Anche  il  tentativo  di  furto, quindi, sempre che ricorra taluna
 delle circostanze aggravanti indicate nell'art. 380,  secondo  comma,
 lett. e), c.p.p., risponde alle specifiche connotazioni "qualitative"
 delle  quali  si  e' dianzi fatto cenno e che soddisfano il postulato
 voluto dalla  delega,  che  anche  per  gli  adulti  annovera  tra  i
 requisiti   per  l'arresto  facoltativo  in  flagranza  quello  della
 "gravita' del fatto" (numero 32, lett. b, 2a parte).