ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  30, terzo
 comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa
 il  15  aprile 1992 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento
 penale a carico di Gentile Giuseppe, iscritta al n. 349 del  registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 2  dicembre  1992  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  In  sede di atti preliminari al dibattimento da celebrarsi a
 carico  di  Gentile  Giuseppe  per  il  reato  di  peculato  militare
 continuato (artt. 81 cpv. cod. pen. e 215 cod. pen. mil. di pace), il
 Tribunale   militare   di   Padova  -  rilevando  che  nei  confronti
 dell'imputato il giudice ordinario aveva pronunciato, per il medesimo
 fatto (qualificato come peculato ex art. 314 cod. pen. ) sentenza  di
 applicazione  di  pena ex art. 444 cod. proc. pen. non ancora passata
 in giudicato e che il Giudice per le indagini preliminari  presso  lo
 stesso  Tribunale  militare  aveva,  il 28 febbraio 1992, attivato la
 procedura per la risoluzione del  conflitto  di  giurisdizione  -  ha
 sollevato,  con  ordinanza  del  15  aprile  1992,  una  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 30, terzo comma, del codice  di
 procedura  penale, in quanto prevede che la denuncia del conflitto di
 giurisdizione  e  la  conseguente  ordinanza   "non   hanno   effetto
 sospensivo sui procedimenti in corso".
    Secondo  il Tribunale rimettente, tale disposizione - a suo avviso
 innovativa rispetto  alla  prevalente  interpretazione  dottrinale  e
 giurisprudenziale  del corrispondente art. 53 del cod. proc. pen. del
 1930 - contrasta con gli artt. 2 e  3  della  Costituazione,  perche'
 "costringe  l'imputato  a  difendersi per un medesimo fatto dinanzi a
 piu'  giudici,  con  evidente   compromissione   dei   suoi   diritti
 fondamentali   e   sostanziale,  ingiustificato  aggravio  della  sua
 situazione nei confronti dell'Autorita'".
    Considerato, poi, che i procedimenti in conflitto, nelle more  del
 giudizio risolutivo, possono persino giungere, uno solo o anche tutti
 e due, al giudicato, la disposizione impugnata confliggerebbe con gli
 artt.  25,  primo  comma  e  103, terzo comma, della Costituzione, in
 quanto permette che l'imputato sia distolto dal giudice  naturale  e,
 quando  si  tratti  di  conflitto  tra  giudice  ordinario  e giudice
 militare, che quest'ultimo conosca di  un  reato  estraneo  alla  sua
 giurisdizione.
    Sarebbero,  infine,  violati  anche  gli  artt.  97, 76 e 77 della
 Costituzione, in quanto la mancata sospensione sarebbe  in  contrasto
 con   l'esigenza   del   buon  andamento  dell'amministrazione  della
 giustizia e non troverebbe riscontro nella direttiva n. 15  dell'art.
 2 della legge delega n. 81 del 1987.
    2.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  la
 questione sia dichiarata infondata.
    Quanto alla prima censura, l'Avvocatura osserva la norma impugnata
 e'  la conseguenza di una scelta ben ponderata basata sulla autonomia
 dei procedimenti - i cui possibili contrasti vanno composti  in  sede
 esecutiva  (art.  669 cod. proc. pen.) - e sull'esigenza di pervenire
 ad  una  loro  definizione  in  tempi   contenuti,   non   dilatabili
 indeterminatamente  ed  oltre misura. Ed infondate sarebbero anche le
 altre censure, dato che e' rispettata tanto  la  precostituzione  per
 legge  del  giudice che la giurisdizione dei tribunali militari e che
 nella direttiva n. 15 non vi e' alcun riferimento  che  si  ponga  in
 contrasto, sia pure potenziale, con la disposizione in esame.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale militare
 di Padova dubita che l'art. 30, terzo comma, cod.  proc.  pen.  ,  in
 quanto  dispone  che  la denuncia del conflitto di giurisdizione e la
 conseguente ordinanza non hanno effetto sospensivo  sui  procedimenti
 in corso, contrasti:
      con  gli  artt.  2  e 3 della Costituzione, per l'ingiustificato
 aggravio della posizione dell'imputato, costretto a difendersi per un
 medesimo fatto dinnanzi a piu' giudici.
      con gli artt. 25 e 103, terzo comma, della Costituzione, perche'
 consentirebbe che l'imputato sia distolto dal giudice naturale e  che
 il   Tribunale  militare  conosca  di  un  reato  estraneo  alla  sua
 giurisdizione.
      con  gli  artt. 97, 76 e 77 della Costituzione, perche' la norma
 sarebbe  in   contrasto   con   le   esigenze   di   buon   andamento
 dell'amministrazione della giustizia e non troverebbe riscontro nella
 direttiva n. 15 della legge delega.
    2. - La questione non e' fondata.
    Va  preliminarmente  precisato  che  l'assunto  del  giudice a quo
 secondo cui la  norma  impugnata  sarebbe  innovativa  rispetto  alla
 prevalente   interpretazione   dottrinale   e  giurisprudenziale  del
 corrispondente art. 53 del codice di rito del 1930 non e' esatto.
    Tale disposizione non conteneva una regola espressa sul punto,  ma
 la  giurisprudenza  ha  costantemente  ritenuto  che  in pendenza del
 conflitto di giurisdizione  potessero  comunque  compiersi  gli  atti
 urgenti,  e  quella  prevalente - contrastata solo da una parte della
 dottrina - che fosse consentito espletare anche quelli non urgenti.
    Nel nuovo codice, ispirato in via generale a criteri di  autonomia
 dei  procedimenti  (cfr.,  ad  es., gli artt. 2, 3, 12, 18, 479) e di
 "massima semplificazione nello svolgimento  del  processo"  (art.  2,
 punto   1  della  legge  delega),  quest'ultimo  obiettivo  e'  stato
 perseguito,  da  un  lato  delimitando  l'area   dei   conflitti   di
 giurisdizione  col  porre  a loro presupposto l'identita' del fatto e
 della  persona  imputata,  dall'altro  stabilendo  espressamente  che
 l'ordinanza  e la denuncia del conflitto non hanno effetto sospensivo
 dei procedimenti in corso e,  correlativamente,  che  alla  Corte  di
 cassazione  va  rimessa  (solo)  copia  degli atti necessari alla sua
 risoluzione.
    Considerando che la denuncia del conflitto fa sorgere in  capo  al
 giudice  l'obbligo  di  investirne  la Corte di cassazione, senza che
 egli possa rivalutarne l'ammissibilita' (e salva solo la facolta'  di
 formulare  le  proprie osservazioni), e' del tutto ragionevole che il
 legislatore abbia  escluso  l'effetto  sospensivo,  per  evitare  che
 denunce  di  conflitti  manifestamente  inesistenti  o pretestuosi si
 traducano in uno strumento per paralizzare temporaneamente  le  sorti
 del  processo  (cfr.  Relazione  al  progetto  preliminare,  p. 18) e
 possano incidere sui termini di custodia cautelare e di prescrizione.
    3. - Tanto premesso, deve innanzitutto escludersi che la norma che
 impedisce l'effetto sospensivo violi la direttiva n. 15  della  legge
 delega, dato che questa non si occupa specificamente del punto e che,
 anzi, nella disciplina dei conflitti di giurisdizione e di competenza
 si  e'  inteso  lasciare  al  legislatore  delegato  "il  massimo  di
 flessibilita'" (cfr.  il  parere  del  relatore  per  la  Commissione
 Giustizia  reso all'Assemblea della Camera nella seduta del 10 luglio
 1984, n. 161, p. 15483).
    Nemmeno  possono  dirsi  violati  gli  artt.  25   e   103   della
 Costituzione,  dato  che  le  norme  sui  conflitti servono proprio a
 stabilire quale sia il giudice naturale e se, in particolare, vi  sia
 o meno giurisdizione dei tribunali militari, sicche' nelle more della
 loro risoluzione l'individuazione del giudice cui spetta procedere e'
 a  priori  incerta.  Tanto meno, poi, puo' dirsi leso l'art. 97 della
 Costituzione, giacche', come si e' detto,  la  norma  impugnata  mira
 proprio  ad  evitare che il buon andamento dell'amministrazione della
 giustizia  possa  essere  pregiudicato  da  denuncia   di   conflitti
 inesistenti o pretestuosi.
    Certo,  la  circostanza  che  nelle  more  della  risoluzione  del
 conflitto l'imputato sia costretto a difendersi per lo  stesso  fatto
 innanzi a piu' giudici e' inconveniente non trascurabile. Ma, a parte
 che  la  disciplina  legislativa  ha  cercato di contenerlo in limiti
 temporali ristretti, la gia' illustrata validita' delle ragioni poste
 a  base  della  norma  impugnata induce ad escludere che si tratti di
 aggravio ingiustificato e percio' lesivo degli  artt.  2  e  3  della
 Costituzione.  Il  che  non  toglie che sia auspicabile un intervento
 legislativo volto ad approntare una disciplina idonea a  contemperare
 in modo diverso gli interessi in gioco.