ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  554,  secondo
 comma,  e  409,  del  codice  di  procedura  penale, promossi con due
 ordinanze emesse entrambe il  12  maggio  1992  dal  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  la Pretura circondariale di Torino nei
 procedimenti penali a carico  di  Nata  Lamberto  e  Maino  Stefania,
 iscritte rispettivamente ai nn. 399 e 400 del registro ordinanze 1992
 e  pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
   1. -  A  seguito  di  denuncia  presentata  da  Meda  Gian  Luca  e
 Caprioglio  Paolo  nei  confronti  di  Maino Stefania, il Procuratore
 della Repubblica presso la Pretura di Torino disponeva ricerche volte
 ad una migliore identificazione dell'indagata; quindi, richiedeva  al
 Giudice  per  le  indagini  preliminari  la  pronuncia del decreto di
 archiviazione per infondatezza della notitia criminis.
    Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso   la   Pretura
 circondariale  di  Torino,  ritenute  necessarie  ulteriori indagini,
 fissava, con ordinanza, il termine di tre mesi per il loro compimento
 e restituiva gli atti al Pubblico ministero.
    Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione il Procuratore
 della Repubblica deducendo violazione  degli  artt.  409  e  127  del
 codice di procedura penale, per essere lo stesso stato pronunciato de
 plano  anziche'  a seguito della fissazione dell'udienza in camera di
 consiglio.
    Con sentenza 30  marzo  1992  la  Corte  di  cassazione  annullava
 l'ordinanza impugnata ordinando "la trasmissione degli atti al G.I.P.
 presso la Pretura di Torino per nuovo esame".
    2.  - Con ordinanza del 12 maggio 1992, il Giudice per le indagini
 preliminari presso la Pretura circondariale di Torino  ha  sollevato,
 in  riferimento  agli  artt.  3 e 77 della Costituzione, questione di
 legittimita' degli artt. 554, secondo comma,  e  409  del  codice  di
 procedura   penale,   "non   essendo   consentito,  nel  procedimento
 pretorile, al giudice per le indagini preliminari che,  dinanzi  alla
 richiesta  di archiviazione del pubblico ministero ritenga necessarie
 ulteriori indagini, indicarle  con  ordinanza,  senza  la  fissazione
 dell'udienza   prevista   per   i   procedimenti  di  competenza  del
 tribunale".
    Premessi alcuni rilievi volti a  comprovare  l'assoluta  autonomia
 della  disciplina  procedimentale  avente  ad oggetto l'archiviazione
 pretorile, un'autonomia non attinta dalla sentenza costituzionale  n.
 445 del 1990, ma negata da una parte della giurisprudenza della Corte
 di  cassazione, il Pretore ravvisa nella linea interpretativa seguita
 dalla decisione della Suprema Corte - vincolante nel giudizio  a  quo
 (donde  la  rilevanza  della questione) - violazione del principio di
 ragionevolezza e di coerenza nonche' delle prescrizioni della  legge-
 delega.
    Sotto  il  primo  aspetto,  si  sottolinea  come  sarebbe  davvero
 inspiegabile che l'effetto della  sentenza  n.  445  del  1990  possa
 essere stato quello di introdurre nel procedimento pretorile distinte
 procedure a seconda che il giudice disponga ulteriori indagini ovvero
 ordini  di  formulare l'imputazione: ipotesi non presa in esame dalla
 Corte; mentre la reductio ad  unitatem  della  procedimentalizzazione
 dell'archiviazione  pretorile  rispetto  all'archiviazione  ordinaria
 (anche  sotto  il  profilo  dell'oppugnabilita'   del   provvedimento
 conclusivo,  una  tematica, peraltro, operante nell'area estremamente
 circoscritta   delle    violazioni    formali)    si    risolve    in
 un'argomentazione   tanto   suggestiva   quanto   surrettizia.   Cio'
 soprattutto con riguardo all'operativita' del  principio  di  massima
 semplificazione  che  informa  tutto  il  procedimento  pretorile, un
 principio ulteriormente valorizzato dalla Corte costituzionale con la
 sentenza n. 94 del 1992, che, pur non affrontando ex professo il tema
 dell'applicabilita' dell'art. 409 c.p.p. al procedimento  davanti  al
 pretore,   nel  dichiarare  la  non  fondatezza  della  questione  di
 legittimita' dell'art. 156 delle norme di attuazione, nella parte  in
 cui  non  prevede,  con  riguardo  al rito pretorile, che, in caso di
 opposizione  della  persona  offesa,  sia  necessaria  la  fissazione
 dell'udienza  in  camera  di consiglio, ha stabilito un principio dal
 quale dovrebbe univocamente dedursi "che il giudice rimanga libero di
 decidere de plano sulla richiesta di archiviazione medesima, tanto se
 si pronunci con decreto, in caso di accoglimento di essa, tanto se  -
 al  contrario  -  provveda con ordinanza all'indicazione di ulteriori
 indagini ovvero all'imposizione della  formulazione  dell'imputazione
 al   pubblico   ministero".   E   cio'   senza   contare  l'ulteriore
 compromissione  del  principio  di  coerenza  e  ragionevolezza  (con
 inevitabili riverberi sulla conformita' alla legge-delega che designa
 come "udienza preliminare" anche l'udienza di cui alle direttive 50 e
 51)  derivante  dalla presenza di una procedura in contraddittorio al
 fine di ordinare le ulteriori indagini da compiere, posta a raffronto
 con l'assenza dell'udienza preliminare, momento "ben piu'  importante
 e  rilevante"  in  quanto  destinato  a delibare l'accusa ai fini del
 rinvio a giudizio dell'imputato.
    Sotto  il  secondo  profilo  denuncia  "sostanziale  inosservanza"
 dell'art. 2, n. 103, della legge-delega nel quale e'  stata  prevista
 la massima semplificazione.
    3.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,  n.  35,  prima
 serie speciale, del 19 agosto 1992.
    4.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo  che  la questione sia dichiarata inammissibile. E cio', in
 primo luogo,  per  avere  la  Corte  di  cassazione  "definitivamente
 identificato,  nel procedimento di cui si discute, il contenuto delle
 regole da applicare ai fini del compimento  di  nuove  indagini".  In
 secondo  luogo,  per  essersi  denunciato  un  contrasto  tra diverse
 soluzioni  interpretative  e  non   una   divergenza   da   parametri
 costituzionali.
    5. - Il 22 ottobre 1991, il Procuratore della Repubblica presso la
 Pretura  circondariale  di Torino chiedeva al Giudice per le indagini
 preliminari  l'archiviazione,  per   infondatezza,   della   denuncia
 presentata  da  D'Ambrosio Sabatino nei confronti di Nata Lamberto. A
 se'guito di opposizione della  persona  offesa,  il  Giudice  per  le
 indagini  preliminari,  rilevata la necessita' di ulteriori indagini,
 le indicava con ordinanza al Pubblico ministero, fissando il  termine
 per il loro espletamento.
    Il  Procuratore  della Repubblica ricorreva per cassazione avverso
 tale provvedimento e la Corte di cassazione,  con  ordinanza  del  24
 marzo   1992,   annullava   l'impugnata   pronuncia,   disponendo  la
 trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso
 la Pretura di Torino.
    A base della statuizione della Corte di cassazione era il  rilievo
 che, a seguito della sentenza costituzionale, n. 445 del 1990, "vi e'
 piena  equiparazione  tra  provvedimenti  emessi dal G.I.P. presso il
 Tribunale e  quelli  resi  dal  G.I.P.  presso  la  Pretura,  con  la
 conseguenza che quest'ultimo deve osservare le formalita' ex art. 127
 c.p.p.  nel  caso  non  ritenga  di potere accogliere la richiesta di
 archiviazione del P.M.".
    In  sede  di  giudizio  di  rinvio  il  Giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  Pretura  circondariale  di  Torino ha allora
 sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  77  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita' degli artt. 554, secondo comma, e 409 del
 codice di procedura penale, "non essendo consentito nel  procedimento
 pretorile,  al  giudice per le indagini preliminari, che dinanzi alla
 richiesta di archiviazione del pubblico ministero, ritenga necessarie
 ulteriori indagini, indicarle  con  ordinanza,  senza  la  fissazione
 dell'udienza   prevista   per   i   procedimenti  di  competenza  del
 tribunale".
    In punto di rilevanza  il  giudice  a  quo  osserva  che,  essendo
 comunque   tenuto,  sulla  base  della  statuizione  della  Corte  di
 cassazione, a fissare l'udienza in camera di consiglio,  nessuna  via
 diversa  da quella di "proporre al vaglio della Corte Costituzionale"
 la detta  questione  gli  resta  percorribile  al  fine  di  impedire
 l'applicabilita'  al  procedimento  pretorile  del combinato disposto
 degli artt. 409 e 554 del codice di procedura  penale.  Un  combinato
 disposto  affetto  da  "incoerenza  e irragionevolezza", oltre che in
 contrasto con l'"art. 77 della Costituzione", donde la non  manifesta
 infondatezza  della questione, con sostanziale richiamo all'ordinanza
 pronunciata nel procedimento Maino.
    6. - L'ordinanza, ritualmente notificata e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 35, prima
 serie speciale, del 19 agosto 1992.
    7. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
 svolgendo argomentazioni identiche a quelle indicate sub 4.
                        Considerato in diritto
    1. - Le ordinanze in epigrafe sollevano un'identica  questione.  I
 relativi  giudizi,  vanno,  quindi,  riuniti  per  essere  decisi con
 un'unica sentenza.
    2. - Il Giudice per le  indagini  preliminari  presso  la  Pretura
 circondariale  di  Torino  dubita  della  legittimita' costituzionale
 degli artt. 554, secondo comma, e 409 del codice di procedura penale,
 "non essendo consentito, nel procedimento pretorile, al  giudice  per
 le  indagini preliminari che, dinanzi alla richiesta di archiviazione
 del  Pubblico  ministero  ritenga  necessarie   ulteriori   indagini,
 indicarle  con  ordinanza,  senza la fissazione dell'udienza prevista
 per i procedimenti di competenza del tribunale". Il dubbio  concerne,
 dunque, un combinato disposto: piu' precisamente quello ricavato, sul
 piano  interpretativo,  dall'implicito  richiamo  contenuto nell'art.
 554, secondo comma, del codice di procedura penale all'art. 409 dello
 stesso codice.
   3. - Entrambe le ordinanze di rimessione sono state  pronunciate  a
 se'guito  di  due decisioni della Corte di cassazione che, su ricorso
 del Pubblico ministero,  avevano  annullato  con  rinvio  altrettanti
 provvedimenti del Giudice per le indagini preliminari con i quali era
 stato  disposto  procedersi  de  plano,  anziche'  adottando  il rito
 dell'udienza in camera di consiglio - appositamente previsto, per  il
 procedimento  davanti  al tribunale e alla corte di assise, dall'art.
 409, secondo comma, del codice di procedura penale -  all'indicazione
 allo  stesso  Pubblico  ministero  di  ulteriori indagini da compiere
 sulla base di quanto prescritto dall'art. 554, secondo  comma,  dello
 stesso   codice,   nel  testo  risultante  in  forza  della  sentenza
 costituzionale n. 445 del 1990.
    Il rimettente, premesso di  essere  vincolato,  quale  giudice  di
 rinvio,  alle  statuizioni  della  Corte  Suprema  -  donde  anche la
 rilevanza della questione - ravvisa nella  norma  cosi'  interpretata
 dalla  Cassazione  violazione  degli  artt.  3 e 77 (recte: 76) della
 Costituzione.
    Il principio di  eguaglianza  risulterebbe  compromesso  sotto  un
 duplice  profilo:  per  l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 rispetto a quanto stabilito  dalla  legge  per  l'ipotesi  di  ordine
 rivolto al pubblico ministero di formulare l'imputazione, ipotesi non
 coinvolta  dalla  sentenza  n.  445  del  1990,  con  il  conseguente
 indiscutibile impiego della procedura de  plano;  per  l'inosservanza
 del criterio di ragionevolezza e coerenza, vulnerato dalla necessaria
 utilizzazione  nel  procedimento  davanti  al pretore della procedura
 dell'udienza in camera di consiglio, pur  nell'assoluta  preclusione,
 connaturata  al  rito pretorile, dell'udienza preliminare, un momento
 "ben piu' importante e rilevante" rispetto  a  quello  in  esame,  in
 quanto  destinato  a  delibare l'accusa ai fini del rinvio a giudizio
 dell'imputato.
    L'art.  77 (recte: 76) della Costituzione sarebbe violato sotto il
 profilo del contrasto con il principio di "massima semplificazione"al
 quale deve conformarsi il processo davanti al pretore (v. art. 2,  n.
 103,  della  legge-delega  16  febbraio  1987,  n. 81), anche perche'
 l'udienza in camera  di  consiglio  appartiene  ("come  ben  si  puo'
 rilevare dal dettato delle direttive 50, 51 e 52 della legge-delega")
 al  genus  "udienza  preliminare",  espressamente escluso, secondo le
 direttive della legge-delega (art. 2, n. 103) dall'area del  processo
 pretorile.
    4.  -  L'Avvocatura  Generale dello Stato, nell'atto di intervento
 per  il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri,   ha   dedotto
 l'inammissibilita' della questione per essere il principio di diritto
 enunciato  dalla  Cassazione non piu' contestabile dal giudice a quo,
 vincolato, in sede di rinvio, alle statuizioni della Suprema Corte.
    L'eccezione deve essere disattesa.
    Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato (v., da  ultimo,
 la   sentenza   n.   30   del   1990)   che  il  profilo  concernente
 l'interpretazione della norma alla quale  il  giudice  di  rinvio  e'
 vincolato  e  il  profilo  concernente la legittimita' costituzionale
 della norma stessa si muovono su piani distinti perche',  dovendo  la
 norma  - cosi' come interpretata - ricevere ancora applicazione nella
 fase di rinvio, il precludere  che  nei  confronti  di  essa  vengano
 prospettate  questioni  di legittimita' costituzionale "comporterebbe
 un'indubbia violazione dei precetti riguardanti la materia  (artt.  1
 della  legge  costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del
 1953), dato che questi non contengono al  riguardo  alcuna  specifica
 limitazione".
    E'  chiaro  peraltro  che  la  rilevanza  della  questione,  cosi'
 riaffermata, non esclude che nel caso di mancato  accoglimento  della
 questione  da  parte  di  questa  Corte  il  giudice del rinvio debba
 uniformarsi  al  principio  di  diritto  enunciato  dalla  Corte   di
 cassazione nella sua sentenza di annullamento (art. 627, terzo comma,
 del  codice  di  procedura  penale),  e cio' anche se successivamente
 siano intervenuti da parte della stessa Corte di  cassazione  diversi
 orientamenti interpretativi.
    5.  -  E'  stata,  ancora,  dedotta dall'Avvocatura Generale dello
 Stato l'inammissibilita' della questione per  essersi  il  rimettente
 limitato  a  prospettare  un mero dubbio interpretativo derivante dal
 contrasto  giurisprudenziale  profilatosi  in  materia.   Pure   tale
 eccezione  va  disattesa,  avendo il giudice a quo denunciato precisi
 vizi di legittimita' costituzionale, non superabili, a suo  dire,  se
 non  attraverso una pronuncia di questa Corte, donde la necessita' di
 soffermarsi sulla fondatezza della questione. Il tutto a  prescindere
 dall'interpretazione  delle norme censurate, unico essendo il petitum
 perseguito dal rimettente.
    6. - La questione non e', pero', fondata.
    Occorre premettere che  le  ordinanze  di  rimessione  sono  state
 pronunciate in presenza di un quadro giurisprudenziale contrassegnato
 da  una  decisa  contrapposizione  tra  le  sezioni  della  Corte  di
 cassazione circa la procedura da seguire nel caso in cui  il  giudice
 per  le indagini preliminari di pretura, in presenza di una richiesta
 di archiviazione per infondatezza della notitia criminis, ritenga  di
 indicare al pubblico ministero la necessita' di ulteriori indagini.
    Una   parte   della   giurisprudenza   aveva  prescelto  la  linea
 interpretativa sulla base della quale, pur in assenza di un esplicito
 richiamo da parte dell'art.  554  del  codice  di  procedura  penale,
 all'art.   127   dello   stesso   codice  -  un  richiamo,  peraltro,
 assolutamente inipotizzabile derivando l'ulteriore prosecuzione delle
 indagini non dal ricordato art. 554 ma quale effetto  della  sentenza
 costituzionale  n.  445  del  1990  -  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari di pretura, se non ritiene di accogliere la richiesta  di
 archiviazione  per  la  ravvisata  necessita'  di ulteriori indagini,
 sarebbe tenuto a provvedere utilizzando la procedura di cui  all'art.
 127 c.p.p., a sua volta richiamato dall'art. 409, quarto comma, dello
 stesso  codice.  E  cio'  sul  presupposto, implicitamente scaturente
 proprio dalla sentenza n. 445 del  1990,  che,  una  volta  affermata
 anche  per  il  procedimento pretorile la possibilita' di ordinare al
 pubblico ministero il compimento di ulteriori indagini, se ne sarebbe
 dovuta  ricavare  un'identita'  di  disciplina   procedimentale   tra
 l'ordinanza  del  giudice  per  le  indagini preliminari di pretura e
 l'ordinanza che il giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il
 tribunale  e'  tenuto  a  pronunciare  a  norma dell'art. 409, quarto
 comma, dello stesso codice.
    Ad una diversa soluzione erano, invece, pervenute altre  decisioni
 della   Corte   di   cassazione,   le   quali,  dopo  aver  ravvisato
 l'impossibilita'  di  trarre  dalla  sentenza   n.   445   del   1990
 l'estensione  al  rito  pretorile  dell'art.  409,  quarto comma, del
 codice di procedura penale ed aver rilevato che  anzi  la  fissazione
 dell'udienza camerale, oltre a snaturare il carattere semplificato di
 tale  rito,  non si armonizzerebbe neppure con l'art. 156 delle norme
 di attuazione, approvate con il d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271, hanno,
 invece, statuito nel senso che il giudice per le indagini preliminari
 di pretura, quando ritiene di non poter accogliere  la  richiesta  di
 archiviazione,   non   deve  fissare  alcuna  udienza  in  camera  di
 consiglio, ma soltanto indicare con ordinanza al  pubblico  ministero
 le ulteriori indagini da compiere.
    7.  -  Quando le linee di tendenza della Corte di cassazione erano
 ancora  contrastanti,  questa  Corte,  chiamata  a   decidere   sulla
 legittimita'  costituzionale  dell'ora  ricordato  art.  156, secondo
 comma, delle norme di attuazione, denunciato in  quanto  non  prevede
 che  nel  procedimento  pretorile le parti siano sentite in camera di
 consiglio in caso di opposizione della persona offesa  dal  reato,  a
 differenza  di  quanto avviene nel procedimento davanti al tribunale,
 dichiaro' (sentenza  n.  94  del  1992)  non  fondata  la  questione,
 osservando   essere   "perlomeno   dubbio"  che  l'impossibilita'  di
 utilizzare la "procedura camerale si risolva in un pregiudizio per la
 persona offesa" e, richiamata la direttiva di cui all'art. 2, n. 103,
 della legge-delega, si pronuncio' nel senso che "non puo' dirsi privo
 di giustificazione - e quindi fonte di disparita' di trattamento tale
 da violare l'art. 3 della Costituzione -  che  il  legislatore  abbia
 ritenuto  di  attuarla evitando l'appesantimento che l'adozione della
 complessa procedura camerale indubbiamente comporta".
    Dunque, la Corte, nello statuire circa la legittimita' della norma
 allora denunciata, non ravviso' alcun contrasto con il  principio  di
 eguaglianza    in    una   disciplina   contrassegnata   dall'assenza
 dell'udienza camerale  di  fronte  ad  un'opposizione  della  persona
 offesa  nell'ambito  del  procedimento  pretorile; ma al tempo stesso
 implicitamente escluse che  l'uso  dell'una  o  dell'altra  procedura
 comportasse  l'illegittimita'  della  relativa  disciplina.  In altri
 termini nessuna  delle  possibili  scelte  del  legislatore  (udienza
 camerale   o   procedura   de   plano)   puo'  ritenersi  una  scelta
 costituzionalmente obbligata (cfr., analogamente, sentenza n. 123 del
 1993, n. 2 del "Considerato in diritto").
    D'altro canto, nel caso in esame, il richiamo del  giudice  a  quo
 all'art.  2,  n. 103, e' formulato in termini assolutamente generici,
 oltre tutto perche' il  contrasto  con  la  detta  direttiva  non  e'
 misurabile se non su un piano funzionale.
    8.  -  Anche  le censure riferite al contrasto con il principio di
 eguaglianza, proposte talora con oscillazioni tali da coinvolgere  di
 nuovo  -  e sempre in forza dell'art. 2, n. 103, della legge-delega -
 l'art. 77 (recte: 76) della Costituzione, sono prive di fondamento. E
 cio' sotto entrambi i profili prospettati dal giudice a quo.
    Il profilo della disparita' di trattamento fra l'ipotesi in cui il
 giudice per le indagini preliminari di pretura,  ritenute  necessarie
 ulteriori  indagini,  le indichi al pubblico ministero e l'ipotesi in
 cui lo stesso giudice ordini la formulazione dell'imputazione deriva,
 infatti, da un accostamento che presuppone l'assimilazione o comunque
 l'identita' di ratio fra i moduli evocati.  Un'identita',  pero',  la
 cui  insussistenza e' agevolmente riscontrabile solo considerando che
 i due provvedimenti perseguono finalita' del tutto diverse.  Nell'una
 ipotesi,  quella  di  realizzare un'ulteriore attivita' che, in linea
 teorica, potrebbe  risultare  non  incompatibile  con  l'esigenza  di
 assicurare un sia pur rudimentale contraddittorio con il soggetto che
 tali   acquisizioni  suppletive  sara'  chiamato  a  compiere,  anche
 considerando che l'indicazione al  pubblico  ministero  di  ulteriori
 indagini  "opera  come  devoluzione  di  un  tema  d'indagine che" il
 titolare dell'azione  penale  "e'  chiamato  a  sviluppare  in  piena
 autonomia  e  liberta'  di  scelta circa la natura, il contenuto e le
 modalita'" (v. ordinanza n. 254 del 1991).
    Invece, l'ordine di  formulare  l'imputazione  derivante,  com'e',
 "non  da  carenza  di indagini ma da divergenti valutazioni in ordine
 alla ricostruzione dei fatti ed alla loro riconducibilita' in  deter-
 minate  figure criminose", corrisponde alla diversa esigenza che, ove
 venga ravvisata la necessita' di  procedere,  il  pubblico  ministero
 resti  vincolato  alle  determinazioni  del  giudice  a  garanzia del
 rispetto  sostanziale  e  non   solo   formale   del   principio   di
 obbligatorieta' dell'azione penale (cfr. sentenze n. 88 del 1991 e n.
 263  del  1991).  Ne discende, allora, il carattere non arbitrario di
 un'ipotetica diversita' della disciplina procedimentale,  conseguendo
 una simile non convergenza di regolamentazione dalla diversita' delle
 situazioni poste a raffronto.
    9.  -  Inoltre  -  venendo  al  secondo profilo di incoerenza e di
 irragionevolezza,  denunciato  dal  giudice  a  quo  insieme  ad   un
 ulteriore  contrasto  con  l'art.  2, n. 103, della legge-delega - il
 ripudio della procedura  in  camera  di  consiglio  non  pare  essere
 coessenziale  al  rito  pretorile, in ordine al quale, mentre, per un
 verso, il richiamo al principio di massima  semplificazione,  risulta
 non    sufficientemente    legato    alla   prospettazione   di   una
 regolamentazione caratterizzata da un  vero  e  proprio  rapporto  di
 incompatibilita',  per  un  altro  verso, diviene davvero esorbitante
 evocare il divieto, sancito, per il  procedimento  pretorile,  sempre
 dall'art.  2,  n.  103, della legge-delega, dell'udienza preliminare;
 risulta,  infatti, arbitrario - nonostante le originarie connotazioni
 lessicali delle direttive n. 50 e n. 51 - trarre dal  loro  raffronto
 con  la direttiva n. 52 ogni possibile analogia fra l'udienza in cam-
 era di consiglio di cui all'art. 409 c.p.p. e l'udienza  preliminare.
 Mentre  la prima ha per presupposto la verifica da parte del pubblico
 ministero circa la insussistenza  delle  condizioni  per  l'esercizio
 dell'azione  penale,  la  seconda  presuppone  proprio  la  presenza,
 rilevata dallo stesso pubblico ministero,  delle  condizioni  per  il
 rinvio  a  giudizio  della  persona  ormai  imputata.  Il tutto senza
 contare che solo l'udienza preliminare e non l'udienza in  camera  di
 consiglio  e'  espressamente esclusa dall'area del processo pretorile
 ad opera della legge-delega.
    10. - Dopo la pronuncia delle ordinanze di rimessione, le  Sezioni
 unite  della  Cassazione,  chiamate a dirimere il ricordato contrasto
 giurisprudenziale, lo hanno risolto nel senso  che  la  procedura  da
 seguire  non  e'  quella  in  contraddittorio, ma quella de plano. La
 sentenza delle Sezioni Unite non manca di  sottolineare  come  questa
 Corte   abbia  "ritenuto  decostituzionalizzante  non  una  qualsiasi
 diversificazione dei riti, ma  soltanto  quella  che  si  risolva  in
 un'effettiva violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di
 fronte  alla  legge";  di tal che, non facendo la Corte stessa alcuno
 specifico richiamo ne' all'udienza  camerale  ne'  all'art.  127  del
 codice di procedura penale, ha lasciato al giudice della nomofilachia
 il compito di effettuare, in via interpretativa, la scelta fra le due
 possibili  soluzioni: quella della ordinanza emessa de plano e quella
 dell'ordinanza emessa a conclusione della udienza  camerale  disposta
 in corrispondenza al contenuto dell'art. 409, secondo e quarto comma,
 del  codice  di  procedura  penale; con cio' accedendo alla soluzione
 interpretativa  voluta,  sub  specie  di  questione  di  legittimita'
 costituzionale, dall'ordinanza di rimessione.