ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 29, primo comma,
 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del r.d. 22
 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento  degli  usi  civici
 nel  Regno,  del r.d. 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l'art. 26
 del r.d. 22 maggio 1924, n. 751, e del r.d. 16 maggio 1926,  n.  895,
 che  proroga  i  termini  assegnati  dall'art. 2 del r.d.l. 22 maggio
 1924, n. 751), promosso con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il  19  dicembre  1991  dalla  Corte   di
 cassazione,   Sezioni   unite  civili,  sul  ricorso  proposto  dalla
 Comunita' Montana  della  Maielletta  contro  il  Comune  di  Rapino,
 iscritta  al  n.  353  del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  29,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1992;
      2)   ordinanza   emessa  il  23  gennaio  1992  dalla  Corte  di
 cassazione, Sezioni unite civili, sul ricorso proposto dal Condominio
 Altair ed altri contro il Comune di Ovindoli ed altri, iscritta al n.
 354 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Comunita'  Montana   della
 Maielletta   nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1992  il  giudice
 relatore Luigi Mengoni;
    Uditi  l'avv.  Lucio  V.  Moscarini per la Comunita' Montana della
 Maielletta e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Citata d'ufficio in giudizio, insieme col Comune di Rapino,
 dal Commissario per il riordinamento degli usi civici in Abruzzo,  al
 fine  di  sentire dichiarare la natura demaniale civica di un terreno
 su cui aveva promosso la costruzione di un manufatto a  servizio  del
 locale  artigianato  artistico  della  ceramica, la Comunita' Montana
 della Maielletta proponeva  ricorso  per  regolamento  preventivo  di
 giurisdizione,   adducendo   l'eccesso   di   potere  giurisdizionale
 rilevabile nell'azione esercitata dal commissario.
    Nel corso di questo giudizio,  la  Corte  di  cassazione,  Sezioni
 unite  civili,  con  ordinanza  del  19 dicembre 1991, pervenuta alla
 Corte costituzionale il 16 giugno 1992,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 29, primo comma, della legge 16
 giugno  1927,  n.  1766,  "nella  parte  in cui prevede che i giudizi
 davanti ai commissari degli usi civici possano essere promossi  anche
 di  ufficio",  per contrasto con gli artt. 24, primo e secondo comma,
 101 e 118, primo e secondo comma, della Costituzione.
    Ad avviso del giudice remittente,  l'attribuzione  al  commissario
 del  potere  non  solo di decidere le controversie indicate dall'art.
 29, secondo comma,  della  legge  n.  1766  del  1927,  ma  anche  di
 promuoverle, assumendo nel processo sia la veste di attore sia quella
 di   giudice,   trova  spiegazione  nel  fatto  che  nell'ordinamento
 originario degli  usi  civici  il  commissario  era  insieme  giudice
 speciale  e  organo  di amministrazione attiva portatore di interessi
 pubblici concreti. L'anomalia  dell'attore-giudice  era  un  riflesso
 dell'anomalia  amministratore-giudice, a suo tempo ritenuta da questa
 Corte non contrastante con gli artt. 25, primo comma, e 108,  secondo
 comma,  della  Costituzione  (sent.  n.  73  del 1970). L'anomalia e'
 cessata in  seguito  al  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616,  che  ha
 trasferito  alle  regioni tutte le funzioni amministrative in materia
 di usi civici precedentemente attribuite al commissario e al Ministro
 dell'agricoltura. Oggi il  commissario  e'  soltanto  un  giudice,  e
 quindi  non  puo' farsi portatore di alcun interesse particolare, sia
 pure dell'interesse pubblico inerente alla materia degli usi  civici,
 la  cura  del  quale,  anche  nella forma del potere di promuovere le
 controversie previste dall'art. 29, e' ora rimessa alle regioni (art.
 66, sesto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, in relazione all'art. 10
 della legge 10 luglio 1930, n. 1078).
    La norma denunciata e' ritenuta incompatibile sia con  l'art.  24,
 primo  comma,  della  Costituzione,  perche'  elimina  la  necessaria
 distinzione - insita nella garanzia del diritto di agire in  giudizio
 - tra giudice e attore che formula la domanda, sia col secondo comma,
 perche'  menoma  gravemente  il  diritto  di  difesa  delle parti del
 rapporto sostanziale, diritto che si esplica  nella  contrapposizione
 dialettica  delle  parti medesime e non nella contrapposizione con lo
 stesso giudice.
    Il dubbio di legittimita' costituzionale e' prospettato  anche  in
 riferimento  all'art. 101 della Costituzione, sul riflesso che, se il
 giudice  e'  garante  del  solo  interesse  generale  alla   corretta
 applicazione  della  legge,  non  puo',  senza contraddizione, essere
 contemporaneamente portatore di  interessi  particolari  e  concreti,
 anche   se   di   carattere   pubblico,   ma  propri  della  pubblica
 amministrazione, quali gli interessi sottesi alla proposizione di una
 domanda giudiziale.
    Infine  e'  ravvisata   una   violazione   dell'art.   118   della
 Costituzione  perche',  una volta trasferite alle regioni le funzioni
 amministrative in materia di usi civici, il potere del commissario di
 promuovere  i  giudizi   di   cui   all'art.   29   appare   invasivo
 dell'autonomia    delle    regioni   nell'ambito   della   sfera   di
 amministrazione ad esse riservata dalla Costituzione.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituita  la  Comunita' Montana della Maielletta concludendo per la
 fondatezza della questione.
    Secondo la ricorrente, il trasferimento alle regioni di  tutte  le
 funzioni  amministrative  in  materia  di  usi  civici  ha privato il
 commissario  dell'ufficio  di  tutela  dell'interesse  pubblico  alla
 conservazione  dei  demani  civici,  che nel regime precedente poteva
 giustificare il potere di agire d'ufficio correlato a  una  rilevante
 attenuazione   del  principio  dispositivo.  Nel  nuovo  regime,  che
 distingue  tra  interesse  pubblico  sostanziale  (di  cui   e'   ora
 portatrice  la regione) e interesse a reintegrare il diritto violato,
 deve essere ripristinato nella sua pienezza il principio  dispositivo
 e,  con  esso,  il  principio  della  domanda,  il quale vieta che un
 processo sia deciso da chi ad esso ha dato inizio.
    3. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
    Secondo  l'interveniente,  la  Corte  di cassazione avrebbe dovuto
 dichiarare  l'inammissibilita'  del  ricorso   per   regolamento   di
 giurisdizione,  perche'  "questo  strumento  processuale  e' dato per
 definire preventivamente quale sia il giudice o se vi sia un  giudice
 dotato di giurisdizione, non anche per giudicare della legittimazione
 o meno del soggetto (od organo) attore o convenuto".
    Nel  merito  l'Avvocatura  osserva che la tutela dei diritti sulle
 terre  civiche  e'  venuta  assumendo   obiettivi   di   salvaguardia
 dell'ambiente,   del   paesaggio  e  delle  caratteristiche  storico-
 antropologiche delle popolazioni e che a tali fini e'  indispensabile
 il  potere  di  iniziativa processuale del commissario, non potendosi
 fare affidamento sull'iniziativa diretta delle collettivita' titolari
 dei diritti  e  nemmeno  sull'iniziativa  delle  regioni,  attesa  la
 matrice  politico-discrezionale che le contrassegna in relazione alla
 molteplicita' degli interessi di varia natura che  si  appuntano  sul
 territorio.  Si  giustifica percio' la deroga al principio nemo judex
 sine actore. l'art. 24 della  Costituzione  non  e'  violato  ne'  in
 riferimento al primo comma, perche', non essendo il potere di impulso
 processuale attribuito al commissario in via esclusiva, nessun limite
 ne deriva al potere di agire di altri soggetti; ne' in riferimento al
 secondo comma, perche' nel processo, pur attivato dal commissario, si
 instaura  un  effettivo contraddittorio, che garantisce pienamente il
 diritto  di  difesa  e  insieme  il  rispetto  dell'art.  101   della
 Costituzione.
    Infine,   quanto   all'asserita  violazione  dell'art.  118  della
 Costituzione, si obietta che  l'attribuzione  al  commissario  di  un
 potere di iniziativa ufficiosa attiene alla disciplina della funzione
 giurisdizionale e percio' esorbita dalla competenza regionale.
   4.  -  In  una memoria di replica alle deduzioni dell'Avvocatura la
 ricorrente sottolinea in particolare: a) l'improprieta' del  richiamo
 ad  altre  figure di iniziativa processuale del giudice, quali quelle
 previste dal codice civile in materia  minorile  o  la  dichiarazione
 d'ufficio  di  fallimento,  queste  essendo  figure  di giurisdizione
 volontaria, che mettono capo a provvedimenti inidonei a formare  cosa
 giudicata,  mentre il processo commissariale in materia di usi civici
 ha natura inequivocamente contenziosa;  b)  la  focalizzazione  della
 questione sulla fase iniziale del giudizio commissariale, nella quale
 si  consuma  la  violazione dell'art. 24 della Costituzione, di guisa
 che e' irrilevante il contenuto dei poteri  delle  parti  a  processo
 gia'    iniziato;    c)    l'inidoneita'    dell'interesse   pubblico
 all'accertamento  dei  diritti  di  uso  civico  quale  criterio   di
 giustificazione della deroga al principio della domanda.
    5.  -  La medesima questione e' stata sollevata dalla stessa Corte
 di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza di analogo  tenore
 in  data  23 gennaio 1992, nel giudizio sul ricorso proposto, a norma
 dell'art. 111 della Costituzione, dai condominii Altair, Garage  I  e
 Garage  II  di  Ovindoli  contro  la  sentenza  16  gennaio  1991 del
 Commissario regionale  per  il  riordinamento  degli  usi  civici  in
 Abruzzo.  Previo  accertamento  della  natura  demaniale civica di un
 terreno venduto nel 1970 dal Comune di Ovindoli ai detti  condominii,
 questa  sentenza  ha  dichiarato  la nullita' dell'originario atto di
 vendita,  nonche'  del  successivo  atto  di   cessione   definitiva,
 denominato  di "conciliazione", stipulato nel 1990 ai sensi dell'art.
 30 della legge n. 1766 del 1927, con cui gli stessi contraenti  hanno
 inteso  definire la controversia demaniale conclusa da una precedente
 sentenza commissariale del 12 novembre 1986.
    6. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale e' intervenuto
 il   Presidente   del   Consiglio   dei    ministri,    rappresentato
 dall'Avvocatura   dello   Stato,   chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata inammissibile  o  comunque  infondata.  Inammissibile  per
 difetto totale di motivazione in punto di rilevanza; infondata per le
 medesime ragioni dedotte nelle memorie versate nell'altro giudizio di
 costituzionalita'.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con due ordinanze pronunciate l'una (R.O. 353/92) in sede di
 regolamento di giurisdizione, l'altra in sede di ricorso ex art.  111
 della  Costituzione  (R.O.  354/92)  le  Sezioni unite della Corte di
 cassazione hanno sollevato questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  29,  primo  comma,  della  legge  16 giugno 1927, n. 1766,
 "nella parte in cui prevede che i giudizi davanti ai commissari degli
 usi civici possano essere promossi anche di ufficio".
    2. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' della
 questione  sollevata  con  la  prima  ordinanza,  sul  rilievo che il
 ricorso per regolamento di giurisdizione e' uno strumento processuale
 per individuare il  giudice  avente  giurisdizione,  "non  anche  per
 giudicare della legittimazione o meno del soggetto (od organo) attore
 o  convenuto". L'eccezione non puo' essere condivisa. Essa presuppone
 che il commissario-giudice, quando esercita il potere di procedere ex
 officio, assuma anche la qualita' di parte nel processo,  il  che  e'
 sicuramente  da escludere. L'iniziativa ufficiosa e', essa stessa, un
 atto interno alla funzione giurisdizionale, di guisa che la questione
 se il commissario sia investito del  potere  di  agire  d'ufficio  e'
 legittimamente  proposta col ricorso previsto dall'art. 41 cod. proc.
 civ.
    La  questione  sollevata  con   la   seconda   ordinanza   sarebbe
 irrilevante,  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,  perche' la natura
 demaniale civica del terreno di cui  si  controverte  e'  gia'  stata
 accertata  da  una  sentenza  commissariale  in data 21 novembre 1991
 passata in giudicato. Anche questa eccezione va respinta  perche'  la
 valutazione  circa l'efficacia preclusiva di una sentenza precedente,
 pronunciata  nei  confronti  delle  stesse  parti,  appartiene   alla
 competenza del giudice a quo.
    3.  -  I giudizi di costituzionalita' promossi dalle due ordinanze
 hanno per oggetto la medesima questione e quindi  se  ne  dispone  la
 riunione perche' siano definiti con unica sentenza.
    4.  -  La  questione e' inammissibile per una ragione attinente ai
 limiti dei poteri di questa Corte.
    Ad avviso del giudice a quo,  il  potere  di  impulso  processuale
 attribuito  dalla  norma  denunciata  al  commissario,  mentre poteva
 giustificarsi nell'ordinamento  originario  degli  usi  civici,  dove
 "l'anomalia   dell'attore-giudice   era   il  riflesso  dell'anomalia
 amministratore-giudice",  non  e'   piu'   giustificabile   dopo   il
 trasferimento  alle  regioni  di  tutte le funzioni amministrative in
 questa materia, attuato dal  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616:  "il
 commissario,  oggi, e' soltanto un giudice che, come tale, non puo' e
 non deve essere portatore di alcun  interesse  particolare  attinente
 alla  materia  degli  usi  civici,  la  cui  cura  non  gli  e'  piu'
 attribuita".
    Integrato con l'assunto che il commissario non e'  oggi  portatore
 di  alcun interesse pubblico all'infuori dell'astratto interesse alla
 corretta applicazione della legge,  l'argomento  dovrebbe  indurre  a
 risolvere  la  questione  sul  piano esegetico, riconoscendo non piu'
 sostenibile, conformemente all'opinione di una parte della  dottrina,
 l'interpretazione  che  estende l'inciso "anche di ufficio" contenuto
 nel  primo  comma  dell'art.  29  della  legge  n.  1766  del   1927,
 concernente    le    funzioni    amministrative    del   commissario,
 all'accertamento giurisdizionale dei  diritti  di  uso  civico  e  in
 genere  alle  funzioni  giurisdizionali  previste  nel secondo comma.
 Nella giurisprudenza anteriore al  1977  tale  interpretazione  e  la
 conseguente  natura  prevalentemente  inquisitoria  del  processo  in
 materia di usi civici erano affermate in ragione  dell'incidentalita'
 delle  controversie  di  competenza  del commissario nelle operazioni
 amministrative a lui stesso affidate.
    La tradizionale  interpretazione  estensiva,  tenuta  ferma  dalla
 Corte  di  cassazione,  puo' ancora sostenersi soltanto se si nega il
 detto carattere di incidentalita', cioe' la  perfetta  corrispondenza
 delle funzioni giurisdizionali a quelle amministrative, e si ammette,
 invece,  che il trasferimento di queste alle regioni non esaurisce il
 compito di cura degli interessi pubblici inerenti  agli  usi  civici.
 Accanto  agli  interessi  locali,  di cui sono diventate esponenti le
 regioni,  emerge  l'interesse  della  collettivita'   generale   alla
 conservazione  degli usi civici nella misura in cui essa contribuisce
 alla salvaguardia  dell'ambiente  e  del  paesaggio.  Il  potere  dei
 commissari di provvedere d'ufficio alla tutela giurisdizionale non e'
 riferibile  se  non  a siffatto interesse - sancito dall'art. 1 della
 legge  8  agosto  1985,  n.  431,  che  ha  assoggettato  a   vincolo
 paesaggistico   le  zone  gravate  da  usi  civici  -  e,  con  esso,
 indirettamente anche all'interesse  delle  popolazioni  titolari  dei
 diritti  civici, non sempre coincidente con gli interessi particolari
 portati dall'amministrazione regionale.
    5. - Apprezzato alla stregua di questa  precisazione,  l'argomento
 riferito  nel  numero precedente intacca il fondamento giustificativo
 dell'attribuzione  allo  stesso  commissario-giudice  del  potere  di
 promuovere  d'ufficio  i  giudizi di sua competenza, ma non conduce a
 una soluzione meramente caducatoria, che riserverebbe  il  potere  di
 azione  alle popolazioni interessate e alle regioni. In altre parole,
 dato l'interesse pubblico generale sopra  individuato,  la  cura  del
 quale  non  puo'  essere  rimessa  esclusivamente  alle  regioni,  la
 questione di legittimita' costituzionale della norma  impugnata  puo'
 porsi  solo  come dubbio se la deroga al principio della domanda, che
 garantisce l'imparzialita' e l'oggettivita' del giudizio, sia tuttora
 razionalmente giustificabile oppure, venuta meno  la  giustificazione
 legata  all'originaria  coesistenza  in  capo  al  commissario  delle
 funzioni amministrative e delle funzioni giurisdizionali,  il  potere
 di impulso ufficioso debba essere attribuito a un organo di giustizia
 diverso,  e  precisamente  al  pubblico  ministero  giusta il modello
 normalmente  seguito  dalla  legge   quando   nell'oggetto   di   una
 controversia  e'  coinvolto,  insieme  con  l'interesse  privato,  un
 interesse pubblico generale (cfr. artt.  117,  119,  125,  848,  2098
 cod.civ.;  art.  78  r.d.  n.  1127 del 1939; art. 59 r.d. n. 929 del
 1942, ecc.). Il dubbio e' proponibile non solo in relazione  all'art.
 3  della  Costituzione,  non  esplicitamente richiamato nelle odierne
 ordinanze di rimessione (a differenza dalla precedente  ordinanza  n.
 820  del  1991,  che  ha  dato  luogo alla sentenza n. 395 del 1992),
 sebbene il principio di ragionevolezza rimanga il referente implicito
 della prima parte della motivazione, ma anche con  riguardo  all'art.
 24,  secondo  comma,  della Costituzione coordinato con l'art. 3: nel
 nostro caso la deroga alla regola di terzieta' del giudice  tocca  il
 diritto  di  difesa  alterando la normale dialettica processuale, sia
 perche' la domanda introduttiva del giudizio, formulata dallo  stesso
 giudice,  prefigura  il  contenuto  della  decisione,  sia perche' il
 contraddittorio non si instaura in condizioni di parita' tra le parti
 del rapporto sostanziale, bensi' tra queste, da un lato, e il giudice
 dall'altro.
    Ma la questione, quale che ne sia il fondamento, e'  inammissibile
 in  quanto  implica  una invasione della sfera delle scelte riservate
 alla discrezionalita' del legislatore.  Invero,  lo  spostamento  del
 potere  di azione in capo al pubblico ministero puo' avvenire secondo
 una pluralita' di varianti,  per  esempio  istituendo  l'ufficio  del
 pubblico  ministero presso il commissario agli usi civici e lasciando
 a  quest'ultimo  il  solo  compito  di  giudicare, oppure - soluzione
 ritenuta dall'Avvocatura dello Stato piu' coerente  con  l'art.  102,
 secondo  comma,  della  Costituzione  e con le esigenze pratiche e di
 salvaguardia - abolendo la giurisdizione speciale del  commissario  e
 lasciandogli  soltanto  il  potere  di  iniziativa processuale, cioe'
 trasformandolo in un  organo  specializzato  del  pubblico  ministero
 presso il tribunale ordinario.
    In  ogni  caso,  indipendentemente  dalle  possibili  varianti, si
 tratta  di  un   intervento   nell'organizzazione   della   giustizia
 manifestamente estraneo ai poteri di questa Corte.